ORIANA E L'ARABIA, DUE CLASSICI ESEMPI D'INTOLLERANZA
di Diego Gabutti
Sulla tv saudita i Protocolli dei Savi di Sion
Così diversi e così uguali al libro della Fallaci...
Si somigliano come gocce d'acqua santa
Come? Per quell'idea del nemico e del complotto
Mentre l'ultimo libro d'Oriana Fallaci, La rabbia e l'orgoglio, fa saltare il banco delle librerie, puntando tutte le sue fiches sull'idea stramba e visionaria che l'Islam, negli ultimi vent'anni, si sia sinistramente mutato in un immane complotto religioso e politico ai danni dell'Occidente cristiano, colpevole d'esistere e di conservarsi in salute a marcio dispetto d'Allah, la tivù di stato saudita s'appresta a mandare in onda una soap opera in trenta puntate ispirata ai Protocolli dei Savi Anziani di Sion, il famigerato pamphlet antisemita che la polizia segreta zarista, attraverso i suoi tagliagole e "agenti d'influenza", fece circolare in Europa all'inizio del secolo per aizzare i gentili al pogrom contro i giudei, il cui scopo segreto era il dominio del mondo, lo stesso di Fu Manchù nelle storie di Sax Rohmer.
C'è differenza, naturalmente, tra le invettive letterarie d'Oriana Fallaci, una giornalista controcorrente che vive in una società libera e scrive quel che le pare senza doverne rendere conto a nessuno, e le provocazioni antisemite della tivù di stato saudita, che invece fa soltanto quel che dispongono, dall'alto dei loro troni issati sul dorso d'un cammello, i diretti discendenti del Profeta. Oriana Fallaci s'affida al mercato e alle sue leggi mentre le famiglie saudite ricorrono alla Gestapo coranica e alle camere a gas della fiction televisiva. Siamo liberi di condividere le opinioni della Fallaci o di rifiutarle; liberi di leggere L'orgoglio e la rabbia oppure di non leggerlo, di consigliarlo oppure di sconsigliarlo agli amici. In Arabia Saudita, sotto la mezzaluna cosiddetta "moderata", persino la parola libertà è una bestemmia contro Dio e, quanto alla "drammatizzazione" in trenta puntate dei Protocolli, devi fartela piacere per forza, altrimenti ci pensano i mullah a insegnarti la Sura dell'indice di gradimento a bastonate
Niente da dire. C'è differenza tra una cospirazione e l'altra, tra le fantasie d'Oriana Fallaci e la propaganda ufficiale dei boss sauditi, e si tratta d'una differenza che balza all'occhio, come al tempo dell'impero sovietico balzava all'occhio, escluso soltanto l'occhio degli elettori comunisti, la differenza tra un McDonald's e una coda per il pane. Ma detto ciò rimane il fatto che sono entrambe delle chimere e che, nella loro sostanza iperbolica e romanzesca, l'idea del complotto ebraico universale e quella della congiura islamica senza limiti né confini si somigliano come gocce d'acqua, anzi come gocce d'acqua santa.
Entrambe individuano un nemico immaginario ma mortale, come il babau che di notte tiene svegli i bambini. Entrambe stabiliscono che questo nemico, l'orco, l'uomo nero, cospira contro la migliore delle way of life e ne deducono, per teorema dadaista, che chiunque sia immediatamente riconoscibile come nemico (per via del caffetano, per via dello zuccotto o delle treccioline) partecipa in prima persona al complotto. Dunque va smascherato e dato in pasto all'odio universale, sparandogli contro pamphlet rabbiosi e Protocolli "drammatizzati".
Entrambe postulano un mondo in cui non ci sono innocenti e non ci sono civili. Chiunque proclami la grandezza e la misericordia d'Allah (l'emigrato qualsiasi come il terrorista islamico armato fino ai denti) e chiunque non ammetta "sequel" della Bibbia (l'ebreo qualunque come il demagogo israeliano) è un nemico da prendere alla gola e da segnare nella lista nera. Al centro di queste fantasie c'è l'idea del nemico e amen. C'è l'idea del complotto universale e così sia. Tutto il resto è un di più: l'amor di patria e l'ateismo proclamati da Oriana Fallaci come il tremor di Dio e la denuncia delle politiche israeliane sbandierate dai governi arabi (che non vogliono critiche ma che ne distribuiscono con bigotta e salameleccosa generosità a destra e manca).
Un tempo la politica vantava (talvolta persino a ragione) la sobrietà e il realismo come suoi principali organi di senso. Lasciava ai filosofi e ai profeti, un po' come si lasciano le ossa ai cani, le patetiche astrusità dell'utopia e le perniciose miserie dell'intolleranza, che guardava dall'alto in basso, divertita e stomacata insieme. Oggi anche la politica (e il giornalismo, che con mezza bocca la racconta, con l'altra metà la incita a fare sempre peggio) ricorre alla minima provocazione e senza vergogna agli strumenti dell'intolleranza. E neppure agli strumenti dell'intolleranza classica, il bisturi delle mostruose semplificazioni pseudoscientifiche, il forcipe degli orribili e insensati anatemi religiosi, ma agli strumenti di un'intolleranza per così dire postmoderna, cinica e informe, che parla con la voce fuori campo dei film di quart'ordine, attraverso trame esotiche e complicate, colpi di scena a raffica e improbabili cattivi da fumetto, che poi il giornalismo cucina nel suo forno a micro-onde servendoceli in pagina, il mattino dopo, grumosi e mal cotti come panettoni ammosciati.
Accendete la tivù all'ora di cena e vi trovate a guardare il video in cui Osama bin Laden, nella parte del Vecchio della Montagna, rivendica a se stesso e ai suoi Assassini ipertecnologici l'apocalisse di New York e Washington. Naturalmente nessuno dubitava che ci fosse lui dietro gli attentati. Tutt'al più qualcuno fingeva di dubitarne tanto per arruffianarsi qualche sparuta minoranza militante da chiamare prima o poi al soccorso in campagna elettorale. Ma come nei vecchi film di James Bond, quando Goldfinger o il perfido Ernst Stavro Blofeld spiegano a Sean Connery quale sia in dettaglio il loro piano e di quali nuove orribili scelleratezze si renderanno presto colpevoli, anche la guerra al terrorismo ha un suo ritmo narrativo da rispettare e, chiusa la partita afghana, c'era evidentemente bisogno che il cattivo si facesse avanti e, con l'aria d'un Dottor Moriarty che si fa bello col Dottor Watson, s'assumesse le sue responsabilità coram populi, dopodiché si potrà passare a girare un'altra scena, quale che sia.
Sono tempi imprevedibili e perigliosi, tempi di tempeste storiche, quando la politica decide d'un tratto che una cattiva trama da romanzo, un plot da film catastrofico, una storia a sensazione, sia da preferire al buon senso, al due più due quattro, a qualunque considerazione razionale. Impossibile difendersi o anche soltanto "farsi un'opinione" (come si diceva una volta, sotto altre lune e mezzelune) quando si deve ricorrere alla "sospensione dell'incredulità" non soltanto per leggere l'ultimo "Segretissimo" o I misteri di Parigi ma anche per guardare il tiggì della sera o leggere il giornale.
16/12/2001
Fonte: Il Nuovo