QUANDO LA DESTRA AMERICANA PENSAVA L'IMPENSABILE: LA GENESI DI UN PENSIERO DOMINANTE
Serge Halimi
Nel 1998, un fiero sostenitore del "capitalismo globale", sconcertato dalle crisi finanziarie in Russia, nel Sudest asiatico e in America latina, lo giudicava "in totale smobilitazione, forse per anni".
E il settimanale Business Week prevedeva "il tramonto del capitalismo basato sul libero scambio, ideologia del dopo guerra fredda; un mondo in cui i paesi si ritirano dal sistema di mercato fin lì ritenuto indiscutibile (1)". Anche il ministro delle finanze giapponese si definiva "un keynesiano della vecchia scuola (2)".
L'illusione non è durata, le cose - e gli affari - hanno ripreso il loro corso normale. Ma in altri momenti, era pure avvenuto il crollo del sistema dominante basato su principi economici e delle politiche pubbliche legittimate da quegli stessi principi. Non si era trattato di un caso o di una fatalità, né del risultato meccanico di adattamenti sociali o storici. Per quanto riguarda gli Stati uniti, il libro che Rick Perlstein ha dedicato a Barry Goldwater, candidato repubblicano alle elezioni presidenziali americane del 1964, ci ricorda opportunamente il potere della politica, l'esistenza di un momento in cui, contro ogni aspettativa, sono i "perdenti" a scrivere la storia, perché capaci di mobilitare e diffondere idee, creare movimenti destinati a vincere in futuro (3).
Saper prevedere per saper agire, dunque, non vuol dire necessariamente, come credono la maggior parte dei giornalisti e gli autori di sondaggi, prolungare le curve esistenti, dissolversi nel presente, piegarsi ai media e alle loro esigenze. A volte vuol dire preparare un'inflessione delle curve e poi il loro capovolgimento - pazientemente, con tenacia, all'occorrenza combattendo senza esitazione tutti i parolai alla moda. Talvolta, il lavoro ideologico, il volontarismo politico e la militanza fanno nascere una nuova "domanda".
Nel 1964, Barry Goldwater è sonoramente sconfitto dal democratico Lyndon Johnson: ottiene solo il 38% dei voti. Commentatori ed esperti redigono prontamente il suo epitaffio e proclamano il trionfo dell'ideologia democratica, centrista e keynesiana. Il radicalismo conservatore è considerato "finito". "L'estremismo nella difesa della libertà non è un vizio, la moderazione nella ricerca della giustizia non è una virtù", aveva affermato Barry Goldwater. Con questo candidato, il Partito repubblicano si era assunto il rischio di proporre all'elettorato ideologie forti e un discorso di rottura, di controrivoluzione. Avrà imparato la lezione, si diceva. Nel novembre 1964, è ancora il centro a vincere le elezioni, il radicalismo fa paura, il progresso è garantito, il New Deal appare eterno, le ideologie convergono, le tecniche vincono, il pensiero è unico: non c'è alternativa (4).
Il presidente repubblicano Dwight Eisenhower, nel 1958, aveva ammesso che "l'espansione graduale dello stato federale" era "il prezzo da pagare per un rapido aumento dello sviluppo". Nel 1960, la piattaforma del partito democratico aveva annunciato che era in vista "l'eliminazione definitiva" della povertà. Se ne sarebbe occupato Lyndon Johnson, con la certezza che "noi possiamo fare tutto: ne abbiamo i mezzi (5)". Dalla capitale federale, con i soldi delle tasse e il concorso di migliaia di funzionari supplementari, lanciava la "guerra contro la povertà". Un'iniziativa che, socialmente, raggiungerà alcuni dei suoi obiettivi (6). Politicamente, invece, siamo già al canto del cigno dell'era del volontarismo keynesiano: "Una guerra contro i vostri portafogli" aveva osservato, tagliente, Barry Goldwater.
E infatti cominciano a delinearsi alcuni aggiustamenti. Il New Deal non è eterno, il padronato prepara la rivincita, la coalizione democratica implode dalle due parti: i "piccoli bianchi", soprattutto quelli del sud, l'abbandonano sulla questione dei diritti civili concessi ai neri, i radicali si schierano contro Lyndon Johnson a causa della coscrizione e del Vietnam. Il pensiero comincia a non essere più unico. E "l'estremismo" sta per cambiare campo.
Un po' come cambia campo un certo Ronald Reagan. Nel 1964, è repubblicano e fa campagna elettorale per Barry Goldwater (7). Anche lui chiede "una scelta e non un vago assenso". Raggiungerà il suo scopo. Per "salvare" il Partito repubblicano escluso dalla Casa bianca dal 1933, Dwight Eisenhower l'aveva indirizzato sui temi e le politiche del Partito democratico. Quarant'anni dopo, sarà William Clinton a portare a compimento un'impresa analoga. Ma in senso inverso. Questa volta, quando il Partito democratico si schiera sui temi e sulle politiche del Partito repubblicano, quest'ultimo ha ormai adottato un orientamento neoliberista radicale. Nel 1993, Edwin Feulner, presidente della Heritage Foudation, il think tank ("serbatoio di idee") della destra americana che ha formato tanti quadri dell'attuale amministrazione Bush, spiegava: "Quando abbiamo cominciato (nel 1973), eravamo quelli di "ultra destra" o di "estrema destra". Oggi le nostre idee vanno per la maggiore (8)".
Si peccherebbe però di idealismo nell'attribuire un tale capovolgimento al solo lavoro ideologico dei think tank, delle istituzioni economiche internazionali, degli intellettuali e dei giornalisti che tradussero "modernità" in allineamento alle tesi del padronato. Il volontarismo intellettuale di una destra che non ha esitato a invocare le tesi del comunista italiano Antonio Gramsci sulla necessità di conquistare l'egemonia culturale, ha infatti raggiunto i suoi scopi solo grazie al modificarsi dei rapporti di forza sociali e politici a suo favore.
La questione delle "minoranze" aiutò a scompaginare la coalizione democratica. Si dimenticò ciò che lo stato sociale aveva prodotto (New Deal), per sottolineare solo quello che costava (tasse); imposte e inflazione furono progressivamente percepite da alcune categorie popolari come il prezzo di politiche che non le favorivano più. Già nel 1964, la campagna di Goldwater dimostra che si può, giocando la carta razziale e quella dei "valori", fare oscillare a destra un elettorato popolare diventato riluttante ad accettare l'azione ridistributiva dello stato, percepita come intervento coercitivo a vantaggio delle "minoranze" e dei poveri. Ronald Reagan sapeva quello che faceva proponendo l'immagine di un assegnatario-tipo di buoni alimentari, presumibilmente nero, "che davanti a voi alla cassa compra ottime bistecche, mentre voi aspettate con il vostro pacchetto di carne macinata".
Il politologo Benjamin Barber ricorda che, nel gennaio 1995, due mesi dopo la catastrofe elettorale del Partito democratico alle elezioni legislative, il presidente Clinton gli spiegava: "Abbiamo perso la base elettorale nel sud. I nostri hanno votato per Gingrich (il leader repubblicano dell'epoca). Li conosco bene, sono cresciuto fra loro.
Pensano che da sempre pagano per le nostre riforme. Dalla guerra civile in poi, tutte le riforme progressiste sono state fatte sulla loro pelle. Sono loro che hanno pagato il prezzo del progresso. Continuiamo ad accollargli il costo della libertà degli altri (9)".
Una domanda di "legge e ordine" Ma il risentimento "razziale" ha incrinato la solidarietà di classe con estrema facilità anche perché, dopo la svolta a destra della fine degli anni '70, disoccupazione, precarietà, competitività esasperata hanno ridotto la disponibilità dei ceti popolari a "pagare"; fosse pure "il prezzo del progresso" a vantaggio di gruppi ancor più svantaggiati di loro. Paradossalmente, il fallimento sociale del neoliberismo favorisce il suo successo elettorale e politico: un capitalismo selvaggio scatena un populismo reazionario. Da destra o da sinistra, i governi conducono una politica favorevole ai ricchi. Poi, sostenuti dai media padronali, convertono una possibile rabbia operaia, nata da rivendicazioni economiche, in panico identitario. E in una domanda di "legge e ordine" (10).
Nel 1976, Milton Friedman, nel ricevere il premio Nobel per l'economia, concludeva così il suo discorso: "Il cambiamento radicale verificatosi nella teoria economica non è il prodotto di una guerra ideologica.
È dovuto quasi esclusivamente alla forza dei fatti. La realtà ha avuto un effetto dirompente, più incisivo delle volontà ideologiche o politiche (11)". Modesto fino all'eccesso. Senza il paziente lavoro degli "estremisti" come Barry Goldwater e dei think tank conservatori animati da Friedman e Friedrich von Hayek, niente avrebbe potuto garantire che "l'esperienza" della stagflazione degli anni '70 sarebbe stata interpretata nel modo che sappiamo. Una crisi aiuta a rimettere in discussione lo status quo. Ma in quale direzione?
Società del Monte Pellegrino, Heritage Foudation, Cato Institute: questi serbatoi di idee non hanno esitato a "pensare l'impensabile".
In fondo, il nome del partito al potere per loro contava poco: l'importante era che alla fine tutti i partiti fossero costretti a portare avanti una politica economica a servizio dell'"impresa"; che i giocatori si affrontassero, ma sullo stesso terreno. A destra, tutti keynesiani nel 1960: conservatori britannici, repubblicani americani e gollisti francesi. A sinistra, tutti neoliberisti nel 2000: laburisti blairisti, democratici clintoniani e socialisti francesi.
Preparando, fin dal febbraio 1947, la grande alternativa al "socialismo", Hayek dichiarava: "Il nostro sforzo è diverso da un compito politico.
Guarda soprattutto al lungo periodo e non a ciò che potrebbe essere immediatamente praticabile (12)". Il che vuol dire che l'idea neoliberale non avrebbe perso tempo a ricercare vittorie effimere. Per uomini d'assalto di questo tipo non si tratta di sedurre l'elettorato centrista, i parlamentari e i media, che in genere seguono la corrente; ma di invertire la rotta. Leninisti del mercato, i neoliberisti credevano nel ruolo delle avanguardie. A loro non interessavano i ministeri, ma il potere.
Goldwater, Reagan, Thatcher, Havek, Friedman: il nostro mondo somiglia ogni giorno un po' di più ai loro sogni. Disponevano di armi sulle quali gli avversari della globalizzazione neoliberista non possono contare: le grandi imprese non andranno a finanziare le ricerche di quelli che intendono distruggere il loro potere; la stampa, ormai in mano alle multinazionali, getterà discredito su di loro non appena lo si riterrà necessario. I contestatori dispongono comunque di un asso nella manica: l'idea di trasformare il mondo in merce è folle.
Quando le idee folli dei dominatori diventano "cerchio della ragione", si riaprono alcune speranze per quelli che vogliono raddrizzare il mondo in difesa degli interessi della maggior parte della popolazione del pianeta. Non sarebbe forse il caso che costoro si imponessero, a loro volta, quella stessa determinazione e pazienza di quei crociati del mercato che in altri tempi, fuori dai giochi politici e dalle seduzioni mediatiche, hanno saputo pensare l'impensabile?
note:
(1) Robert Samuelson, Newsweek, 14 settembre 1998. Business Week, 14 settembre 1998.
(2) International Herald Tribune, 9 settembre 1998.
(3) Rick Perlstein, Before the Storm: Barry Goldwater and the Unmaking of the American Consensus, Hill and Wang, New York, 2001.
(4) In inglese "There is no Alternative". Alcuni anni dopo, questa formula sarà talmente usata da Margaret Thatcher, per proclamare il carattere insuperabile di una filosofia ancora più a destra di quella di Barry Goldwater, da essere conosciuta con l'acronimo: Tina.
(5) Per queste citazioni, si veda Rick Perlstein op. cit., pagine 13, 327 e 304.
(6) Il numero di americani che vive al di sotto della soglia di povertà è passato dal 22% nel 1959 all'11% nel 1979. Sono soprattutto gli anziani che hanno beneficiato dei programmi dall'amministrazione Johnson.
(7) Nel 1960 è in quanto "democratico per Nixon" che Ronald Reagan aveva sostenuto il candidato repubblicano contro John Kennedy.
(8) Si legga Serge Halimi, "Dove nascono le idee della destra americana", Le Monde diplomatique/il manifesto, maggio 1995. Sul ruolo dei think tank nell'amministrazione di George W. Bush, si veda Robin Toner, "Conservatives Savor Their Role as Insiders in the White House", The New York Times, 19 marzo 2001.
(9) Benjamin Barber, The Truth of Power: Intellectual Affairs in the Clinton White House, Norton, New York, 2001, p.97.
(10) Si legga Thomas e Mary Edsall. Chain Reaction: The Impact of Race. Rights and Taxes on American Politics, Norton, New York, 1991.
(11) Citato da Richard Cockett, Thinking the Unthinkable: Think Tanks and the Economic Counter-Revolution, 1931-1983, Fontana Press, Londra, 1955, p. 198. Si legga anche Keith Dixon, Les Évangélistes du marché, Raisons d'agir, Parigi,1998.
(12) Richard Cockett, op. cit., p. 104.
(Traduzione di G. P.)
Fonte: Monde Diplomatique 01/2002