À REBOURS
(LO STRUTTURALE CINISMO DELLA SINISTRA SINISTRA ITALIANA)
di Stefano Rosato
Si dice che il Diavolo, Satana, l’Avversario, ami utilizzare gli stessi simboli e ragionamenti del Bene, soltanto mutandone il segno, rovesciandone il significato, così che l’ingenuità e la purezza possano essere meglio tratte in inganno, non accorgendosi della trappola se non al momento dell’inversione finale, quando c’è ormai il rischio che sia troppo tardi per potersi salvare. Questo meccanismo intrinseco alla logica diabolica e al suo porsi come liaison dangereuse presenta parallelismi straordinari con quello proprio alla cultura politica comunista, come ha, e con la massima precisione, fatto notare Raymond Aron ne L’oppio degli intellettuali. Sembra, tuttavia, che le sue finissime analisi sulla struttura del pensiero totalitario siano state o non viste o interamente rimosse dalla sinistra italiana, il cui bizantinismo si è altamente compiaciuto di sé stesso proprio in questi giorni a Roma, in occasione del convegno della componente massimalista dei DS, "Aprile".
Giovanni Berlinguer, uno dei due presidenti del Correntone e avversario di Piero Fassino per la nomina alla segreteria del partito alla fine del 2001, il 29 marzo 2003, all’assise di "Aprile", ha dichiarato: "Non auguriamoci che il conflitto finisca velocemente, perché vorrebbe dire la vittoria della superpotenza Usa e il popolo iracheno passerebbe da un'oppressione a un'altra". Non può che far piacere l’evidente identificazione del regime di Saddam Hussein come oppressivo: importante, ma tardivo, riconoscimento della dittatura irachena che ancora non ha prodotto marce di indignati, fiaccolate o veglioni, ma che presenta almeno il pregio di non confondere un totalitarismo con una democrazia, cosa che, per gli eredi del Partito Comunista Italiano, è una relativamente recente novità. Trent’anni or sono, infatti, il PCI scendeva quotidianamente (e giustamente) in piazza per denunciare le nefandezze del regime dispotico di Pinochet in Cile, ma quando, quasi ventiquattro anni fa, l’Unione Sovietica invase l’Afghanistan la mobilitazione di massa di quei sinceri democratici non fu, stranamente, altrettanto pronta. Anzi, a dire il vero, uno degli esponenti più illustri dell’intellettualità comunista, Ludovico Geymonat, fra l’altro tra i fondatori del partito della Rifondazione Comunista, sostenne che i sovietici, in Afghanistan, portavano la civiltà. Ma l’idea che la "superpotenza Usa", una volta abbattuto il regime dittatoriale di Saddam Hussein, possa instaurare in Iraq un regime oppressivo, peraltro uguale o simile a quello precedente, è un’idea invero bizzarra, sulla cui opportunità politica vi sarebbe da discutere a lungo. "Questo o quello per me pari sono", sembra dunque asserire Giovanni Berlinguer, evidentemente memore dell’oppressione imposta in Italia e negli altri paesi dell’Europa occidentale dalla superpotenza americana dopo la Seconda Guerra Mondiale, cui, logicamente, si sarebbe tentati di contrapporre lo splendido senso della libertà cui è stata, invece, improntata, oltre cortina, l’azione della superpotenza sovietica nel suo complesso.
Ma quindi, se non ci si deve augurare che questa guerra finisca presto, quale dev’essere la posizione politica di un vero democratico? La risposta a questa domanda, strategica per il destino della sinistra italiana, viene dal suo vero nuovo leader, Sergio Cofferati: "Una sola: chiedere la cessazione del conflitto e che torni in piazza la politica". Come si vede, una risposta davvero pragmatica, ispirata alla più sana Realpolitik comunista: una bella richiesta da girotondini, che, per le sue intrinseche qualità taumaturgiche, dovrebbe costringere Bush e Blair a cessare immediatamente l’azione contro l’Iraq. A quest’altezza si registra tutta la potenza di quell’ideologismo diabolico cui accennavo all’inizio: a un problema pratico si fornisce una soluzione totalmente astratta. Anche ipotizzando, quia absurdum, che la protesta di piazza sia così solida da mettere in crisi i governi americano e inglese, facendoli recedere dal proposito bellico, dovremmo ammettere che, per la dinamica del gioco politico a questo livello, un tale esito non possa che accadere in un arco temporale assai lungo. Non sarebbe allora, secondo ragione, preferibile augurarsi che americani e inglesi abbiano rapidamente ragione di Saddam Hussein, così ripristinando una situazione di pace? No, anzi, secondo Cofferati questa speranza sarebbe cinica. Naturalmente questa posizione politica prescinde completamente dalla valutazione dei danni umani ed economici, immensamente maggiori, che sarebbero comunque prodotti durante quel lungo arco temporale e, dunque, antepone agli interessi della pace quelli del movimento per la pace, tramite appunto un’inversione diabolica della realtà.
A questo stesso stile di pensiero appartengono le posizioni di Flavio Lotti, della Tavola della Pace, e di Vittorio Agnoletto. Per il primo "Bush, Blair e Saddam Hussein devono essere giudicati davanti a un tribunale internazionale come criminali di guerra", mentre per il secondo, sulla base di una visione di stampo apocalittico, addirittura tutti noi occidentali siamo in qualche modo criminali di guerra e "dobbiamo interrogarci sui nostri modelli di consumo, essere disposti a cambiare i nostri modelli di vita". Due proposte delle quali si apprezza l’immediata, semplice applicabilità.
Tuttavia, se si presta attenzione al fatto che l’opinione pubblica europea, ad eccezione della saggia Inghilterra (che, peraltro, dall’Europa si allontana sempre più), è decisamente contraria alla guerra, non sembra legittimo parlare, anche sull’onda dei risultati delle recenti elezioni politiche in Germania, per lo meno di opportunismo politico? O, se si preferisce chiamarlo con il suo vero nome, di cinismo?
[Per gentile concessione dell'autore]