"Il marchio della globalizzazione
mette in crisi la democrazia"
Parla Naomi Klein, la giornalista canadese che ha
scritto il "manuale" del popolo di Seattle
FABRIZIO RAVELLI
MILANO - Dicono che il suo
libro "No Logo - Economia globale e nuova contestazione" sia la
Bibbia del movimento antiglobalizzazione, del «popolo di Seattle». Naomi Klein
(31 anni, giornalista canadese) è in Italia per il lancio della traduzione
italiana (Baldini & Castoldi). Più che di Nike, Shell o McDonald's, ha una gran
voglia di parlare di un particolare tipo di marchio commerciale, che in Italia
si vende benissimo: Forza Italia, Silvio Berlusconi. «Nella traduzione italiana
abbiamo sacrificato la parte che riguarda le sinergie e le fusioni nei media.
Argomento che in Italia, vista la situazione politica, mi sembra attuale».
Vuol dire che anche Forza Italia è un marchio invadente?
«Dico che è un logo molto aziendale. In qualche modo sulla linea scelta di Tony
Blair, quella del rebranding del Paese, della vendita di un'immagine basata sul
marketing politico. E' la logica dei marchi. La cosa che più colpisce in questa
vittoria elettorale è che, quando si parla di questo tipo di generalizzazioni,
non ci si rende conto della minaccia che contengono. E credo che il mondo
guardi ora all'Italia, perché sta diventando evidente a tutti qual è la
portata, l'effettivo potere di questo tipo di concentrazioni mediatiche, se uno
degli uomini che guidano queste società si mette in testa di andare al governo.
Murdoch e Bloomberg, per esempio, io non ci metterei la mano sul fuoco sul
fatto che non abbiano aspirazioni politiche. Anche Donald Trump aveva
annunciato di voler correre per la Casa Bianca. I Mogul dei media sono pronti
per entrare sulla scena politica».
Perché nel mondo ci si ribella alla dittatura dei marchi? «Innanzitutto perché
riguarda la privatizzazione della vita pubblica, e la questione dei marchi ha a
che fare con questo. Tanto è vero che le persone che protestano contro
l'invadenza dei marchi sono le stesse che protestano contro il G8 o altre
situazioni più strettamente politiche. Ho deciso di scrivere il libro quando ho
visto come ci fosse un nuovo campo di ribellione dei giovani, che bypassava gli
obiettivi governativi. Le istituzioni politiche sembravano dire: noi non abbiamo
più un potere reale, ce l'hanno le grandi multinazionali. E i giovani hanno
deciso di prendersela con le corporations, con i grandi marchi».
Ma, alla fine, è una rivolta contro la mancanza di democrazia?
«Sì, io vedo la globalizzazione come una crisi della democrazia
rappresentativa. Una mia amica dice: quella che abbiamo oggi è una fotocopia
della fotocopia della fotocopia della democrazia».
Una rivolta solo del mondo occidentale, uno sfizio da ricchi?
«Ho cercato di capire, con il mio libro, da dove viene tutta questa rabbia,
soprattutto nei giovanissimi occidentali. Sentono di non avere più uno spazio
nel quale non siamo bombardati dai marchi e dalla pubblicità, e di non avere
più scelta, quando per anni ci avevano annunciato che avremmo avuto sempre più
possibilità di scelta».
E' quindi una faccenda solo dei paesi più ricchi?
«Credo che il movimento abbia facce diverse nei diversi paesi. Per cui la
nostra battaglia contro i marchi, nei paesi del mondo occidentale, da un certo
punto di vista è come se fosse un lusso che ci possiamo permettere. In altri
paesi, come in certi paesi poveri dell'Africa, può manifestarsi nella battaglia
per avere medicinali che un certo tipo di politiche economiche gli impediscono
di avere».
Nel suo libro lei sostiene l'importanza del lavoro sindacale, ma dice anche che
nei paesi ricchi i sindacati hanno accettato le regole dell'economia vincente.
«Quella sindacale può non essere la soluzione ideale, ma è la migliore che
abbiamo. Abbiamo visto che far monitorare da fuori, da organismi esterni, le
varie situazioni, non è la stessa cosa che avere un'organizzazione sindacale
che assista direttamente i lavoratori e difenda i loro diritti».
Che significato pensa che avranno le proteste contro il G8 di Genova?
«Credo che ci saranno molte persone a manifestare, e che sarà una cosa
importante. Probabilmente non ci sarà una grande opportunità di discutere
alcuni temi in particolare, o di lanciare un particolare messaggio. Il
messaggio principale verrà da una grande manifestazione di massa, e ci saranno
forti istanze contro Berlusconi e contro George Bush per Kyoto. Il tema di
fondo che unisce tutti gli argomenti della protesta è che non c'è in realtà una
globalizzazione, nel senso di un equilibrio in cui tutti hanno gli stessi
diritti. C'è un continuo rafforzamento di regole che conservano enormi
disuguaglianze, da un lato grandi debiti e dall'altro grandi interessi».
E Berlusconi che cosa c'entra?
«Non vedo quale altro tema potrebbe sottolineare meglio lo strapotere delle
corporations meglio di Berlusconi».
FONTE: La Repubblica