Italiano
Questi versi sono tratti
da Maia, il
primo libro delle Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi. Composto
nella primavera del 1903, Maia è un poema di 8.400 versi, diviso in 409
strofe di ventuno versi ciascuna. 11 sottotitolo lo definisce una laus
vitae, ovvero una lode (entusiastica e sensuale) della vita eroicamente
concepita: al superuomo, in quanto dotato di una sensibilità e di una
vitalità eccezionalmente intense, è affidato il messaggio di una vita nuova,
legata all’istinto e in comunione con la natura.
Il poema si apre con la celebrazione dell‘eroe
greco dei poemi di Omero, Ulisse, corrispettivo mitico del superuomo (egli
infatti nell’Odissea
sfida, viaggiando, l’ignoto) e con 1 ‘annuncio della risurrezione del dio
pagano Pan simbolo della vita cosmica e dell’esistenza attiva, gioiosa e
sensuale. Nel corso del poema, secondo il modello allegorico - medievale,
vengono descritti tre viaggi: uno nella Grecia antica (viaggio che d ‘Annunzio
effettivamente fece nel 1895 in compagnia di alcuni amici), luogo pagano per
eccellenza; uno nella michelangiolesca Cappella Sistina (nella basilica di san
Pietro, a Roma) e uno nel deserto, dove il poeta ritrova se stesso, solo con gli
elementi naturali.
Le due strofe qui proposte segnano la conclusione del
primo viaggio: il poeta collega il canto di sterminio che viene dai campi di
battaglia greci a quello non meno feroce ma assolutamente privo di eroicità che
viene dalle città terribili,, cioè le moderne città tentacolari la cui
angosciante visione lo riporta alla squallida realtà della vita quotidiana. La
città è infatti il luogo nel quale Pan è assente, e dove abitano invece gli
uomini qualunque che si affannano come bestie per la sopravvivenza. Il
poeta-superuomo è lontano da essi e guarda con sdegno la realtà cittadina,
benché in essa sia pur sempre in grado di cogliere l’attimo di gloria.
Metrica: due strofe di ventuno
versi ognuna (con prevalenza di settenari e ottonari) con rime e assonanze.
Vesperi di primavera,
crepuscoli d’estate,
prime piogge d’autunno
croscianti su l’immondizia
5
polverosa che nera
fermenta sotto le suola
fendute onde si mostra
il miserevole piede
umano come tòrta
10
radice di dolore
divelta; rigùrgito crasso
delle cloache nell’ombra
della divina Sera,
tumulto della strada ingombra
15
ove tutte le fami
e le seti irrompono a gara
d’avidità belluina
per la forza che impera
e partisce i beni col ferro,
20 da voi sorgere io vidi
non so quale orrida gloria.
Gloria delle città
terribili, quando a vespro
s’arrestano le miriadi
25
possenti dei cavalli
che per tutto il giorno
fremettero nelle vaste
macchine mai stanchi,
e s’accendono i bianchi
30 globi come pendule lune
tra le attonite file
dei platani lung’esse
le case mostruose
dalle cento e cento occhiaie,
35
e i carri su le rotaie
stridono carichi di scòria
umana scintillando
d’una luce più bella
che la luce degli astri,
40
e né cieli rossastri
grandeggiano solitarie
le cupole e le torri!
Il Decadentismo
Il movimento storico letterario del
Decadentismo ha origine in Francia verso il 1880, nei cenacoli dei poeti bohémiens,
che furono definiti decadenti in senso dispregiativo, dalla critica borghese, in
quanto esprimevano la crisi dei valori e la perplessità delle coscienze. Ma in
seguito il termine perdette la sua accezione moralistica e negativa e venne
esteso per definire un movimento culturale e spirituale che segue alla crisi del
Positivismo ed investe, nell'ampiezza e profondità delle sue implicazioni, la
sensibilità ed il pensiero di mezzo secolo, interessando in modo decisivo tutte
le esperienze artistiche del '900. Verso la fine dell'Ottocento aveva avuto
inizio la crisi del Positivismo: la scienza, che dai positivisti era considerata
infallibile mezzo di conoscenza del reale, di una verità cioè oggettiva e
valida assolutamente, non era stata in grado, in realtà, di dare risposte circa
le cause profonde dell'esistenza. Non si erano inoltre avverati né il progresso
preannunciato dai positivisti, né l'affermazione della ragione. Al contrario,
la realtà europea era travagliata da una profonda crisi: sotto la spinta delle
esigenze determinate dallo sviluppo industriale, i maggiori stati europei
conducevano una politica imperialistica di prepotenza e sopraffazione,
alimentando pericolose tendenze nazionalistiche avverse alle istituzioni
parlamentari. Il sentimento diffuso dominante è dunque quello di una crisi
esistenziale che si va via via approfondendo nella prima metà del secolo, in
seguito alle esperienze tragiche di guerre, dittature, rivoluzioni ed anche di
scoperte scientifiche che mettono in crisi una civiltà millenaria e la visione
stessa dell'uomo nella cultura occidentale. Caduta dunque la fede nella libertà
e nella ragione, si verifica un ritorno all'affermazione della volontà, della
spiritualità umana e degli impulsi più segreti dell' animo contro gli aridi
schemi della razionalità. Si abbandona perciò l'osservazione della realtà
esterna, per calarsi nell'animo umano, scandagliandone sentimenti, ansie, dubbi,
passioni, aspirazioni, alla ricerca della più autentica verità interiore. Gli
aspetti fondamentali della concezione decadente sono di conseguenza il senso
della realtà come mistero e la scoperta di una dimensione nuova dello spirito,
quella dell'inconscio e dell'istinto, concepita come superiore alla razionalità.
Si tratta essenzialmente di una rivolta antirealistica, che nega gli aspetti
quotidiani dell'esistenza ed afferma la solitudine dell'individuo, esaltando
l'io soggettivo e l'abbandono alla suggestione dei sensi che ci pongono in
comunione diretta con le radici dell'essere. Sono alcuni motivi che vengono
portati ad estreme conseguenze: il sentimento del mistero, l'irrazionalismo e
l'individualismo. Allo scienziato che si è dimostrato impotente ad aprire la
via della verità, si sostituisce il poeta che, per intuito arazionale, quasi
per virtù magica, sa cogliere un senso, un perché nel mistero indecifrabile
delle cose. Al misticismo romantico succede un desiderio di rifluire nel buio
remoto delle origini; si tratta di un'ansia religiosa destinata a restare
inappagata e che scopre invece la condizione umana come angoscia. La realtà
infatti è inconoscibile, è una selva di simboli che solo il poeta può
decifrare con immediatezza intuitiva; ma la vita non è più sentita come
divenire e creazione progressiva di civiltà: è solo una successione di attimi
e di rivelazioni improvvise in cui si realizza la fusione con l'ignoto, ed il
resto della vita quotidiana è grigiore senza senso. E mentre l'inconscio
romantico è la scoperta dell'integrazione dell'uomo a tutto l'universo, caduto
questo slancio, l'uomo si trova in balia di una solitudine senza rimedio.
L'inconscio spogliato d'ogni illusione sentimentale si presenta nella nuda
funzione di ricettacolo degli istinti, in cui fermentano le energie primigenie
della natura. Così, mentre l'individualismo romantico era giustificato nella
sua realizzazione di valori personali e sociali, l'io decadente non ha nobili
mete da raggiungere: caduta ogni fede nei valori tradizionali ed apertasi una
dissociazione fra l'artista e la società, l'individualismo diventa solitudine,
smarrimento e sgomenta contemplazione degli istinti. Dalla consapevolezza della
vanità di ogni soluzione, dell'abisso in cui è travolto ogni pensiero, deriva
prima di tutto il rifugiarsi del poeta in un colloquio esclusivo con se stesso.
Nella vanità di ogni costruzione, l'Io si dispiega orgogliosamente nella
dispiegazione dei propri istinti, oppure si abbandona all'ombra
dell'inconoscibile, in ascolto di sensazioni e vibrazioni ineffabili. La
letteratura decadente, protesa verso le zone dell'inconscio, produce una
completa rivoluzione sia nei contenuti sia nelle tecniche. Anzitutto, negata
all'esperienza, alle scienze ed alla ragione la possibilità di far conoscere la
realtà, il decadente ritiene che solo la poesia, per il suo carattere di
intuizione immediata, possa attingere al mistero. La poesia quindi diventa la
forma più alta di conoscenza. Caduta l'illusione positivistica di una realtà a
sé stante, interpretabile progressivamente dalla ragione, è la poesia a godere
il privilegio di una maggiore possibilità di penetrare nel mistero delle cose:
il poeta, attraverso la sua sensibilità, è in grado di penetrare nelle zone al
di là della realtà dove non possono giungere le categorie razionali. Ma egli
non rappresenta più immagini e sentimenti concreti, non racconta, non diffonde
ideali: la sua parola sarà solo illuminazione momentanea del mistero,
rivelazione attraverso la sua capacità evocativa e suggestiva. La parola non è
più usata come elemento del discorso logico, ma assume la funzione di
avvicinamento all'essenza misteriosa delle cose. Non si tratta quindi più del
linguaggio come mimesi della realtà: realtà e linguaggio coincidono, sono la
stessa cosa. La parola è come una musica che suggerisce, evoca, senza far
ragionare, suscitando vibrazioni indefinite. Così è infranta ogni struttura
intellettuale e sintattica e la poesia si fa frammento rapido, carico di
significati simbolici che promuovono un'immediata partecipazione del mistero. Il
poeta non è più il vate romantico, coscienza e guida dei popoli, ma il
veggente. La caratteristica di fondo dello stile di questa poesia, pur nella
varietà delle correnti e delle esperienze personali, è il ricorso
all'analogia, che consiste in un accostamento delle immagini, non tanto per
somiglianza naturalistica, quanto per comune appartenenza a nascoste
significazioni simboliche. E' il linguaggio del sogno che viene utilizzato, non
solo nella poesia decadente fa riferimento alle pulsioni della vita inconscia,
ma anche nella narrativa. A livello di macrostrutture narrative (trama,
personaggi, situazioni) il sogno ha insegnato ad utilizzare le condizioni di
mancanza di spazio, tempo e casualità che gli sono peculiari. La poesia come
illuminazione dunque ed il simbolismo (poesia che suggerisce, attraverso i
simboli, il senso arcano della realtà), sono i caratteri fondamentali della
lirica decadente. La narrativa, in conseguenza della crisi del rapporto
io-mondo, segna la fine del romanzo d'impianto naturalistico, con il conseguente
scardinamento di tutte le strutture tradizionali.
ORIGINE DEL TERMINE
Il termine «decadente» ebbe in
origine senso negativo. Fu infatti rivolto polemicamente contro alcuni poeti che
esprimevano lo smarrimento delle coscienze e la crisi di valori del tempo,
avvertendo, di là dall'ottimismo ufficiale e spesso ipocrita della società, il
fallimento del sogno positivistico.
Ma quegli scrittori fecero della
definizione una polemica insegna di lotta, in cui si gettavano, di fatto, i
fondamenti d'una nuova visione del mondo e d'una nuova realtà. Essi ebbero
insomma la coscienza di vivere un'età di trasformazioni e di trapasso, si
sentirono insomma gli scrittori della crisi, e avvertirono che il loro compito
non era quello di proporre nuove certezze, ma di approfondire i termini
esistenziali di questa crisi sul piano conoscitivo.
MOVIMENTI LETTERARI LEGATI AL DECADENTISMO
Il Decadentismo è un fenomeno
complesso, polivalente nella sua multiforme tematica, nei suoi esiti artistici,
nei suoi valori e disvalori, pertanto non c'è, come nel Romanticismo o nel
Naturalismo, una poetica che faccia da punto di riferimento comune al variare
delle singole esperienze. Abbiamo piuttosto varie direzioni di ricerca, una
proliferazione di poetiche, che possono in parte legarsi a due movimenti
culturali della letteratura europea: il simbolismo e l'estetismo. Anche in
Italia non è possibile ritrovare una corrente letteraria unificante, ma
piuttosto poetiche individuali che si rifanno ai miti italiani: quella del «superuomo»
in D'Annunzio, del «fanciullino» in Pascoli, del «santo» in Fogazzaro. Una
reazione a questi miti, all'affermazione eroica dell'io, è rappresentata dalla
poesia dei crepuscolari italiani che si rifanno ai temi del decadentismo
francese.
Accomuna queste esperienze la
ricerca di nuovi strumenti espressivi, il rigetto della cultura positivista e il
rifiuto spesso aristocratico della società contemporanea in ciò che essa ha di
abitudinario, di etica comune, di valori diffusi a livello di massa.
Riconducibile al decadentismo è
anche il nascere delle avanguardie, cioè di movimenti che pur con grande
diversità di poetiche, mirano alla sperimentazione di nuove tecniche espressive
che, muovendo tutte da premesse irrazionalistiche, segnino una radicale frattura
col passato e siano voce e testimonianza della consapevolezza della crisi. E'
un'esplosione che dura suppergiù fino agli anni '30 e comprende le cosiddette
"avanguardie storiche": il futurismo, l'espressionismo, il dadaismo,
il surrealismo.
DOVE E QUANDO
E' difficile stabilire i limiti
cronologici del decadentismo letterario. Il decadentismo nacque in Francia
contemporaneamente al realismo-positivismo, costituendo di fatto l'altra faccia
della cultura degli anni 1850-60, una cultura di minore importanza all'epoca ma
già grandiosa nelle sue realizzazioni. Raggiunse il suo culmine attorno agli
anni 1885-90 ma non è facile stabilire un momento di chiusura poiché il
malessere sociale che ne costituiva l'humus verrà riscontrato anche nel
novecento, fino ai nostri giorni.
CARATTERISTICHE
Per attribuire all'arte i fini
conoscitivi tipici decadentisti, era innanzitutto necessario ridare autonomia
creativa all'artista (che si fa ora «superuomo» ora «fanciullino» o «veggente»)
affinché non fosse ridotto a impersonale e freddo registratore della realtà,
come avveniva nel Naturalismo; erano altresì necessarie nuove tecniche
espressive per definire l'inesprimibile (non più l'obbligo dell'uso logico
della parola, della sintassi, della punteggiatura).
LA POETICA
·
uso della sinestesia
associazione inedita e analogica di due parole appartenenti a due campi
sensoriali diversi: è utilizzata per cogliere la realtà non più solo
attraverso i canali percettivi pubblici (vista e udito) ma anche attraverso
quelli privati (olfatto, tatto, gusto), in un reciproco gioco di corrispondenze;
·
la parola
perde la sua funzione logica, strettamente denotativa ed è impiegata più per
le sue valenze connotative; essa è liberata delle sue energie, nelle sue
capacità di sprigionare sensi multipli, perché solo se lasciata vibrare nei
suoi contenuti affettivi la parola potrà penetrare nelle zone oscure e
misteriose dell'inconscio, fino a cogliere le sfumature della realtà e delle
emozioni;
·
la sintassi
è liberata di tutte le intelaiature che condizionano la parola; in tal modo
essa può sprigionare tutte le sue energie;
·
l'aggettivo deve tendere a cogliere l'emozione: deve essere scelto per suggerire il
mistero che avvolge gli oggetti e la vita;
·
la poesia
deve tendere alla fusione tra tutte le arti, accogliendo di ognuna le
suggestioni più produttive;
·
la poesia deve ricorrere al simbolo
affinché possa andare oltre i dati dell'esperienza quotidiana e ritrovare
l'unità di fondo dell'esistenza. Gli oggetti, le parole stesse, le immagini
divengono simboli evocatori di sentimenti, di stati d'animo, di idee, attraverso
un misterioso legame di analogie.
LE PAROLE DELL'ANIMO DECADENTE
Superomismo
L’analisi esasperata del proprio
io, il desiderio di dominare, il conflitto con la società portano alla
concezione del superuomo: specie di eroe asociale, irreale, eroe perfetto.
Senso
del mistero
I decadentisti non hanno
l’orgogliosa fiducia dei positivisti nella possibilità di conoscere la natura
e di penetrarne i segreti. Essi la vedono piena di forze ignote, piena di
mistero e perciò impenetrabile. Sentono che c’è un abisso tra sé e
l’universo e sentono la necessità di congiungersi ad esso. Ed è un abisso
che la ragione non riesce a colmare; soltanto l’intuizione del subcosciente li
congiunge al mondo esterno col linguaggio della poesia.
Asocialità
Il poeta, l’individuo, vive nel
suo soggettivismo, si isola volutamente dalla società e si compiace del suo
isolamento spirituale.
Libertà
Il poeta decadentista rivendica la
massima libertà nell’esprimere il proprio io e non accetta nessun freno o
costrizione, neppure di carattere morale.
Soggettivismo
L’uomo si chiude in se stesso, si
analizza e si scruta, e ci dà una poesia dei suoi stati d’animo e della sua
personale analisi psicologica. Il centro della poesia non sono gli altri, non è
la società, bensì il poeta stesso. Egli analizza i suoi istinti, di qualsiasi
natura.
LA VISIONE DELL'ARTE
·
L'arte è l'organo di conoscenza per eccellenza, per non dire l'unico;
ammessa l'impossibilità di conoscere la realtà più profonda mediante
l'esperienza, la ragione, la scienza, il decadente pensa che soltanto la poesia,
per il suo carattere di immediata intuizione, possa attingere al mistero della
vita, esprimere le rivelazioni dell'ignoto. Per questo essa è considerata come
pura illuminazione, messaggio che giunge da una zona remota, opposta
all'esperienza usuale, come espressione simbolica.
·
La poesia deve inoltre tendere alla fusione di tutte le arti perché di
ognuna deve accoglierne le suggestioni più produttive.
·
Paul Verlaine: Arte poetica
L'EROE DECADENTE
Anche il decadentismo incarna la
nuova sensibilità in personaggi esemplari, in miti umani che sono l'espressione
del periodo storico europeo. I testi di cui mi occupo sono quelli che più
aiutano ad identificare le caratteristiche dell'eroe decadente.
Il
ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde
Dorian Gray è un giovane
bellissimo; quando un suo amico pittore gli regala un ritratto che gli ha fatto,
egli stesso rimane affascinato e turbato dalla propria bellezza, e formula un
augurio: che la vita e le sue vicende non lascino alcuna impronta sul suo volto,
ma vadano a segnare semmai quello del ritratto. Ed è quello che succede: Dorian
si da a una vita di piaceri senza scrupoli, si disfa di tutti coloro che ritiene
importuni: della giovane innamorata Sibilla, che abbandona, e dell'amico pittore
che uccide per il disappunto di sentirsi rimproverato. Ma quello del ritratto su
cui, per una sorta di magia, si sono impressi i segni della dissolutezza e del
male, è l'eloquente e la più fedele immagine che egli non sopporta e su cui si
avventa: ma colpire il ritratto è colpire se stesso. Morendo egli acquisterà
la vera fisionomia: quella di un uomo avvizzito dalla dissipazione.
Dorian Gray concepisce la vita solo
se realizzata in forma estetica, in culto della bellezza, in moduli rarefatti ed
inimitabili di preziosa ricercatezza: ...l'artista è il creatore di cose
belle... non esistono libri morali o immorali. I libri sono scritti bene o male:
questo è tutto... il vizio e la virtù sono per l'artista materiale di
un'arte....
Il
piacere di Gabriele D'Annunzio
Ultimo rampollo di un'antica
famiglia nobile, Andrea Sperelli ne continua anche la tradizione: è un
raffinato, predilige gli studi insoliti, è un esteta. Tutta la sua vita è
improntata su questi criteri come pure la vita amorosa. Abbandonato però
dall'amante, inutilmente Andrea cerca di sostituire la passione per lei con
altri piaceri ed avventure. Rimane ferito in duello e ospitato nella villa della
cugina, ritrova le risorse nella natura e nell'arte e nella spirituale bellezza
di una giovane donna che qui conosce e di cui si innamora. Corrisposto, non
riesce però a liberarsi dall'influsso delle esperienza passate. Andrea confuso
rivive così con la nuova amante l'amore per la prima. Ma il rapporto ambiguo
viene troncato quando Andrea, in un momento di trasporto si lascia sfuggire il
nome Elena, e Maria scopre il fondo di quel legame.
Andrea Sperelli è raffinato e
gelido; cultore solo di un bello aristocratico; spregiatore del grigio diluvio
democratico odierno che tante belle cose e rare sommerge miseramente
I TEMI PIU' FREQUENTI
·
individualità: viene esasperata in rapporto a tutto ciò che può essere
popolare e quotidiano, in nome di un individuo superiore slegato dalla morale
comune dalla massa anonima (Nietzche sarà il teorico di questo nuovo modo di
sentire); l'individuo decadente vivrà infatti nella sua solitudine distaccato
in modo sprezzante e sdegnoso dalla morale del popolo...
·
amore: tende a degenerare in passione, nel gusto del proibito, del
morboso, dell'ambiguo, o a intorbidirsi nel vizio, nella corruzione e nella
depravazione; è anche il tempo dell'omosessualità e del sadismo («i fiori del
male»)
·
rifiuto della società contemporanea e sogno di evasione in un mondo di
purezza incontaminata: Mallarmé, Brezza marina
L’estetismo e la sua crisi
D’Annunzio coglie alcuni
aspetti del pensiero di Nietzsche: innanzitutto il rifiuto del conformismo
borghese, dei principi egualitari che schiacciano e livellano la personalità;
l’esaltazione dello spirito <<dionisiaco>>, un vitalismo gioioso,
pieno, libero dagli impacci della morale comune; il rifiuto dell’etica della
pietà, dell’altruismo, eredità della tradizione cristiana, che mascherano
solo l’incapacità di godere la
gioia dionisiaca del vivere. D’Annunzio dà a questi motivi un’accentuata
coloritura antiborghese. Egli si scaglia violentemente contro la realtà
borghese del nuovo stato unitario, in cui il trionfo dei principi democratici ed
egualitari, il parlamentarismo, lo spirito affaristico e speculativo contaminano
il senso della bellezza, l’energia violenta, il gusto dell’azione eroica e
del dominio. Vagheggia perciò l’affermazione di una nuova aristocrazia, che
sappia tenere schiava la moltitudine degli esseri comuni ed elevarsi a superiori
forme di vita attraverso il culto del bello e l’esercizio della vita attiva ed
eroica. Il motiva nietzschiano del superuomo è quindi interpretato da
D’Annunzio nel senso del diritto di pochi esseri eccezionali ad affermare se
stessi, sprezzando le leggi comuni del bene e del male. Il dominio di questi
esseri privilegiati al di sopra della massa deve tendere ad una nuova politica
aggressiva dello stato italiano, come l’antica Roma. Il nuovo personaggio non
nega la precedente immagine dell’esteta, ma la ingloba in sé. Il culto della
bellezza è essenziale nel processo di elevazione della stirpe nelle persone di
pochi eletti. L’eroe dannunziano non si accontenta più di vagheggiare la
bellezza in una dimensione appartata, ma si adopera per imporre, attraverso di
essa, il dominio di un’elite, violenta e raffinata insieme, su un mondo
meschino e vile, come quell9o borghese. A ben vedere, il mito del superuomo è
sempre un tentativo di reagire alle tendenze, in atto nella società
capitalistica moderna, ad emarginare e a degradare l’intellettuale; ma è un
tentativo che va in direzione opposta rispetto a quella che proponeva il mito
dell’esteta, poiché affida all’artista-superuomo una funzione di
“vate”, di guida in questa realtà, ed anche compiti più pratici, attivi,
una missione politica, seppur per ora alquanto vaga. E mentre la figura
dell’esteta era in netta opposizione rispetto alla realtà dominante, la
figura del superuomo, offre soluzioni che possono sostanzialmente accordarsi con
le tendenze profonde dell’età dell’imperialismo. E poiché l’offerta non
gli viene dalla società stessa, egli si autodelega tale ruolo, attribuendosi il
compito di profeta di un ordine nuovo: l’artista, proprio mediante la sua
attività intellettuale, deve aprire la strada al dominio delle nuove elites, e
di tali elites deve egli stesso entrare a far parte.