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D’ANNUNZIO

Le città terribili

 

Questi versi sono  tratti da Maia, il primo libro delle Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi. Composto nella primavera del 1903, Maia è un poema di 8.400 versi, diviso in 409 strofe di ventuno versi ciascuna. 11 sottotitolo lo definisce una laus vitae, ovvero una lode (entusiastica e sensuale) della vita eroicamente concepita: al superuomo, in quanto dotato di una sensibilità e di una vitalità eccezionalmente intense, è affidato il messaggio di una vita nuova, legata all’istinto e in comunione con la natura.

Il poema si apre con la celebrazione dell‘eroe greco dei poemi di Omero, Ulisse, corrispettivo mitico del superuomo (egli infatti nell’Odissea sfida, viaggiando, l’ignoto) e con 1 ‘annuncio della risurrezione del dio pagano Pan simbolo della vita cosmica e dell’esistenza attiva, gioiosa e sensuale. Nel corso del poema, secondo il modello allegorico - medievale, vengono descritti tre viaggi: uno nella Grecia antica (viaggio che d ‘Annunzio effettivamente fece nel 1895 in compagnia di alcuni amici), luogo pagano per eccellenza; uno nella michelangiolesca Cappella Sistina (nella basilica di san Pietro, a Roma) e uno nel deserto, dove il poeta ritrova se stesso, solo con gli elementi naturali.

 

Le due strofe qui proposte segnano la conclusione del primo viaggio: il poeta collega il canto di sterminio che viene dai campi di battaglia greci a quello non meno feroce ma assolutamente privo di eroicità che viene dalle città terribili,, cioè le moderne città tentacolari la cui angosciante visione lo riporta alla squallida realtà della vita quotidiana. La città è infatti il luogo nel quale Pan è assente, e dove abitano invece gli uomini qualunque che si affannano come bestie per la sopravvivenza. Il poeta-superuomo è lontano da essi e guarda con sdegno la realtà cittadina, benché in essa sia pur sempre in grado di cogliere l’attimo di gloria.

 

Metrica: due strofe di ventuno versi ognuna (con prevalenza di settenari e ottonari) con rime e assonanze.

                      

                Vesperi di primavera,
                crepuscoli d’estate,
                prime piogge d’autunno
                croscianti su l’immondizia
        5      polverosa che nera
                fermenta sotto le suola
                fendute onde si mostra

                il miserevole piede

                umano come tòrta
      10      radice di dolore
                divelta; rigùrgito crasso
                delle cloache nell’ombra
                della divina Sera,
                tumulto della strada ingombra
      15      ove tutte le fami
                e le seti irrompono a gara
                d’avidità belluina
                per la forza che impera
                e partisce i beni col ferro,
      20      da voi sorgere io vidi
                non so quale orrida gloria.

                Gloria delle città

                terribili, quando a vespro

                s’arrestano le miriadi

      25      possenti dei cavalli

                che per tutto il giorno

                fremettero nelle vaste     

                macchine mai stanchi,

                e s’accendono i bianchi

         30      globi come pendule lune
                    tra le attonite file

                dei platani lung’esse

                le case mostruose

                dalle cento e cento occhiaie,

      35      e i carri su le rotaie
                stridono carichi di scòria
                umana scintillando

                d’una luce più bella

                che la luce degli astri,
       40      e  né cieli rossastri
                 grandeggiano solitarie
                 le cupole e le torri!

 

 

 

 

 

Il Decadentismo

 

Il movimento storico letterario del Decadentismo ha origine in Francia verso il 1880, nei cenacoli dei poeti bohémiens, che furono definiti decadenti in senso dispregiativo, dalla critica borghese, in quanto esprimevano la crisi dei valori e la perplessità delle coscienze. Ma in seguito il termine perdette la sua accezione moralistica e negativa e venne esteso per definire un movimento culturale e spirituale che segue alla crisi del Positivismo ed investe, nell'ampiezza e profondità delle sue implicazioni, la sensibilità ed il pensiero di mezzo secolo, interessando in modo decisivo tutte le esperienze artistiche del '900. Verso la fine dell'Ottocento aveva avuto inizio la crisi del Positivismo: la scienza, che dai positivisti era considerata infallibile mezzo di conoscenza del reale, di una verità cioè oggettiva e valida assolutamente, non era stata in grado, in realtà, di dare risposte circa le cause profonde dell'esistenza. Non si erano inoltre avverati né il progresso preannunciato dai positivisti, né l'affermazione della ragione. Al contrario, la realtà europea era travagliata da una profonda crisi: sotto la spinta delle esigenze determinate dallo sviluppo industriale, i maggiori stati europei conducevano una politica imperialistica di prepotenza e sopraffazione, alimentando pericolose tendenze nazionalistiche avverse alle istituzioni parlamentari. Il sentimento diffuso dominante è dunque quello di una crisi esistenziale che si va via via approfondendo nella prima metà del secolo, in seguito alle esperienze tragiche di guerre, dittature, rivoluzioni ed anche di scoperte scientifiche che mettono in crisi una civiltà millenaria e la visione stessa dell'uomo nella cultura occidentale. Caduta dunque la fede nella libertà e nella ragione, si verifica un ritorno all'affermazione della volontà, della spiritualità umana e degli impulsi più segreti dell' animo contro gli aridi schemi della razionalità. Si abbandona perciò l'osservazione della realtà esterna, per calarsi nell'animo umano, scandagliandone sentimenti, ansie, dubbi, passioni, aspirazioni, alla ricerca della più autentica verità interiore. Gli aspetti fondamentali della concezione decadente sono di conseguenza il senso della realtà come mistero e la scoperta di una dimensione nuova dello spirito, quella dell'inconscio e dell'istinto, concepita come superiore alla razionalità. Si tratta essenzialmente di una rivolta antirealistica, che nega gli aspetti quotidiani dell'esistenza ed afferma la solitudine dell'individuo, esaltando l'io soggettivo e l'abbandono alla suggestione dei sensi che ci pongono in comunione diretta con le radici dell'essere. Sono alcuni motivi che vengono portati ad estreme conseguenze: il sentimento del mistero, l'irrazionalismo e l'individualismo. Allo scienziato che si è dimostrato impotente ad aprire la via della verità, si sostituisce il poeta che, per intuito arazionale, quasi per virtù magica, sa cogliere un senso, un perché nel mistero indecifrabile delle cose. Al misticismo romantico succede un desiderio di rifluire nel buio remoto delle origini; si tratta di un'ansia religiosa destinata a restare inappagata e che scopre invece la condizione umana come angoscia. La realtà infatti è inconoscibile, è una selva di simboli che solo il poeta può decifrare con immediatezza intuitiva; ma la vita non è più sentita come divenire e creazione progressiva di civiltà: è solo una successione di attimi e di rivelazioni improvvise in cui si realizza la fusione con l'ignoto, ed il resto della vita quotidiana è grigiore senza senso. E mentre l'inconscio romantico è la scoperta dell'integrazione dell'uomo a tutto l'universo, caduto questo slancio, l'uomo si trova in balia di una solitudine senza rimedio. L'inconscio spogliato d'ogni illusione sentimentale si presenta nella nuda funzione di ricettacolo degli istinti, in cui fermentano le energie primigenie della natura. Così, mentre l'individualismo romantico era giustificato nella sua realizzazione di valori personali e sociali, l'io decadente non ha nobili mete da raggiungere: caduta ogni fede nei valori tradizionali ed apertasi una dissociazione fra l'artista e la società, l'individualismo diventa solitudine, smarrimento e sgomenta contemplazione degli istinti. Dalla consapevolezza della vanità di ogni soluzione, dell'abisso in cui è travolto ogni pensiero, deriva prima di tutto il rifugiarsi del poeta in un colloquio esclusivo con se stesso. Nella vanità di ogni costruzione, l'Io si dispiega orgogliosamente nella dispiegazione dei propri istinti, oppure si abbandona all'ombra dell'inconoscibile, in ascolto di sensazioni e vibrazioni ineffabili. La letteratura decadente, protesa verso le zone dell'inconscio, produce una completa rivoluzione sia nei contenuti sia nelle tecniche. Anzitutto, negata all'esperienza, alle scienze ed alla ragione la possibilità di far conoscere la realtà, il decadente ritiene che solo la poesia, per il suo carattere di intuizione immediata, possa attingere al mistero. La poesia quindi diventa la forma più alta di conoscenza. Caduta l'illusione positivistica di una realtà a sé stante, interpretabile progressivamente dalla ragione, è la poesia a godere il privilegio di una maggiore possibilità di penetrare nel mistero delle cose: il poeta, attraverso la sua sensibilità, è in grado di penetrare nelle zone al di là della realtà dove non possono giungere le categorie razionali. Ma egli non rappresenta più immagini e sentimenti concreti, non racconta, non diffonde ideali: la sua parola sarà solo illuminazione momentanea del mistero, rivelazione attraverso la sua capacità evocativa e suggestiva. La parola non è più usata come elemento del discorso logico, ma assume la funzione di avvicinamento all'essenza misteriosa delle cose. Non si tratta quindi più del linguaggio come mimesi della realtà: realtà e linguaggio coincidono, sono la stessa cosa. La parola è come una musica che suggerisce, evoca, senza far ragionare, suscitando vibrazioni indefinite. Così è infranta ogni struttura intellettuale e sintattica e la poesia si fa frammento rapido, carico di significati simbolici che promuovono un'immediata partecipazione del mistero. Il poeta non è più il vate romantico, coscienza e guida dei popoli, ma il veggente. La caratteristica di fondo dello stile di questa poesia, pur nella varietà delle correnti e delle esperienze personali, è il ricorso all'analogia, che consiste in un accostamento delle immagini, non tanto per somiglianza naturalistica, quanto per comune appartenenza a nascoste significazioni simboliche. E' il linguaggio del sogno che viene utilizzato, non solo nella poesia decadente fa riferimento alle pulsioni della vita inconscia, ma anche nella narrativa. A livello di macrostrutture narrative (trama, personaggi, situazioni) il sogno ha insegnato ad utilizzare le condizioni di mancanza di spazio, tempo e casualità che gli sono peculiari. La poesia come illuminazione dunque  ed il simbolismo (poesia che suggerisce, attraverso i simboli, il senso arcano della realtà), sono i caratteri fondamentali della lirica decadente. La narrativa, in conseguenza della crisi del rapporto io-mondo, segna la fine del romanzo d'impianto naturalistico, con il conseguente scardinamento di tutte le strutture tradizionali.

 

ORIGINE DEL TERMINE

Il termine «decadente» ebbe in origine senso negativo. Fu infatti rivolto polemicamente contro alcuni poeti che esprimevano lo smarrimento delle coscienze e la crisi di valori del tempo, avvertendo, di là dall'ottimismo ufficiale e spesso ipocrita della società, il fallimento del sogno positivistico.

Ma quegli scrittori fecero della definizione una polemica insegna di lotta, in cui si gettavano, di fatto, i fondamenti d'una nuova visione del mondo e d'una nuova realtà. Essi ebbero insomma la coscienza di vivere un'età di trasformazioni e di trapasso, si sentirono insomma gli scrittori della crisi, e avvertirono che il loro compito non era quello di proporre nuove certezze, ma di approfondire i termini esistenziali di questa crisi sul piano conoscitivo.

 

MOVIMENTI LETTERARI LEGATI AL DECADENTISMO

Il Decadentismo è un fenomeno complesso, polivalente nella sua multiforme tematica, nei suoi esiti artistici, nei suoi valori e disvalori, pertanto non c'è, come nel Romanticismo o nel Naturalismo, una poetica che faccia da punto di riferimento comune al variare delle singole esperienze. Abbiamo piuttosto varie direzioni di ricerca, una proliferazione di poetiche, che possono in parte legarsi a due movimenti culturali della letteratura europea: il simbolismo e l'estetismo. Anche in Italia non è possibile ritrovare una corrente letteraria unificante, ma piuttosto poetiche individuali che si rifanno ai miti italiani: quella del «superuomo» in D'Annunzio, del «fanciullino» in Pascoli, del «santo» in Fogazzaro. Una reazione a questi miti, all'affermazione eroica dell'io, è rappresentata dalla poesia dei crepuscolari italiani che si rifanno ai temi del decadentismo francese.

Accomuna queste esperienze la ricerca di nuovi strumenti espressivi, il rigetto della cultura positivista e il rifiuto spesso aristocratico della società contemporanea in ciò che essa ha di abitudinario, di etica comune, di valori diffusi a livello di massa.

Riconducibile al decadentismo è anche il nascere delle avanguardie, cioè di movimenti che pur con grande diversità di poetiche, mirano alla sperimentazione di nuove tecniche espressive che, muovendo tutte da premesse irrazionalistiche, segnino una radicale frattura col passato e siano voce e testimonianza della consapevolezza della crisi. E' un'esplosione che dura suppergiù fino agli anni '30 e comprende le cosiddette "avanguardie storiche": il futurismo, l'espressionismo, il dadaismo, il surrealismo.

 

DOVE E QUANDO

E' difficile stabilire i limiti cronologici del decadentismo letterario. Il decadentismo nacque in Francia contemporaneamente al realismo-positivismo, costituendo di fatto l'altra faccia della cultura degli anni 1850-60, una cultura di minore importanza all'epoca ma già grandiosa nelle sue realizzazioni. Raggiunse il suo culmine attorno agli anni 1885-90 ma non è facile stabilire un momento di chiusura poiché il malessere sociale che ne costituiva l'humus verrà riscontrato anche nel novecento, fino ai nostri giorni.

 

CARATTERISTICHE

Per attribuire all'arte i fini conoscitivi tipici decadentisti, era innanzitutto necessario ridare autonomia creativa all'artista (che si fa ora «superuomo» ora «fanciullino» o «veggente») affinché non fosse ridotto a impersonale e freddo registratore della realtà, come avveniva nel Naturalismo; erano altresì necessarie nuove tecniche espressive per definire l'inesprimibile (non più l'obbligo dell'uso logico della parola, della sintassi, della punteggiatura).

 

LA POETICA

·  uso della sinestesia associazione inedita e analogica di due parole appartenenti a due campi sensoriali diversi: è utilizzata per cogliere la realtà non più solo attraverso i canali percettivi pubblici (vista e udito) ma anche attraverso quelli privati (olfatto, tatto, gusto), in un reciproco gioco di corrispondenze;

·  la parola perde la sua funzione logica, strettamente denotativa ed è impiegata più per le sue valenze connotative; essa è liberata delle sue energie, nelle sue capacità di sprigionare sensi multipli, perché solo se lasciata vibrare nei suoi contenuti affettivi la parola potrà penetrare nelle zone oscure e misteriose dell'inconscio, fino a cogliere le sfumature della realtà e delle emozioni;

·  la sintassi è liberata di tutte le intelaiature che condizionano la parola; in tal modo essa può sprigionare tutte le sue energie;

·  l'aggettivo deve tendere a cogliere l'emozione: deve essere scelto per suggerire il mistero che avvolge gli oggetti e la vita;

·  la poesia deve tendere alla fusione tra tutte le arti, accogliendo di ognuna le suggestioni più produttive;

·  la poesia deve ricorrere al simbolo affinché possa andare oltre i dati dell'esperienza quotidiana e ritrovare l'unità di fondo dell'esistenza. Gli oggetti, le parole stesse, le immagini divengono simboli evocatori di sentimenti, di stati d'animo, di idee, attraverso un misterioso legame di analogie.

 

LE PAROLE DELL'ANIMO DECADENTE

 

Superomismo

L’analisi esasperata del proprio io, il desiderio di dominare, il conflitto con la società portano alla concezione del superuomo: specie di eroe asociale, irreale, eroe perfetto.

 

Senso del mistero

I decadentisti non hanno l’orgogliosa fiducia dei positivisti nella possibilità di conoscere la natura e di penetrarne i segreti. Essi la vedono piena di forze ignote, piena di mistero e perciò impenetrabile. Sentono che c’è un abisso tra sé e l’universo e sentono la necessità di congiungersi ad esso. Ed è un abisso che la ragione non riesce a colmare; soltanto l’intuizione del subcosciente li congiunge al mondo esterno col linguaggio della poesia.

 

Asocialità

Il poeta, l’individuo, vive nel suo soggettivismo, si isola volutamente dalla società e si compiace del suo isolamento spirituale.

 

Libertà

Il poeta decadentista rivendica la massima libertà nell’esprimere il proprio io e non accetta nessun freno o costrizione, neppure di carattere morale.

 

Soggettivismo

L’uomo si chiude in se stesso, si analizza e si scruta, e ci dà una poesia dei suoi stati d’animo e della sua personale analisi psicologica. Il centro della poesia non sono gli altri, non è la società, bensì il poeta stesso. Egli analizza i suoi istinti, di qualsiasi natura.

 

LA VISIONE DELL'ARTE

·  L'arte è l'organo di conoscenza per eccellenza, per non dire l'unico; ammessa l'impossibilità di conoscere la realtà più profonda mediante l'esperienza, la ragione, la scienza, il decadente pensa che soltanto la poesia, per il suo carattere di immediata intuizione, possa attingere al mistero della vita, esprimere le rivelazioni dell'ignoto. Per questo essa è considerata come pura illuminazione, messaggio che giunge da una zona remota, opposta all'esperienza usuale, come espressione simbolica.

·  La poesia deve inoltre tendere alla fusione di tutte le arti perché di ognuna deve accoglierne le suggestioni più produttive.

·  Paul Verlaine: Arte poetica

 

L'EROE DECADENTE

Anche il decadentismo incarna la nuova sensibilità in personaggi esemplari, in miti umani che sono l'espressione del periodo storico europeo. I testi di cui mi occupo sono quelli che più aiutano ad identificare le caratteristiche dell'eroe decadente.

Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde

Dorian Gray è un giovane bellissimo; quando un suo amico pittore gli regala un ritratto che gli ha fatto, egli stesso rimane affascinato e turbato dalla propria bellezza, e formula un augurio: che la vita e le sue vicende non lascino alcuna impronta sul suo volto, ma vadano a segnare semmai quello del ritratto. Ed è quello che succede: Dorian si da a una vita di piaceri senza scrupoli, si disfa di tutti coloro che ritiene importuni: della giovane innamorata Sibilla, che abbandona, e dell'amico pittore che uccide per il disappunto di sentirsi rimproverato. Ma quello del ritratto su cui, per una sorta di magia, si sono impressi i segni della dissolutezza e del male, è l'eloquente e la più fedele immagine che egli non sopporta e su cui si avventa: ma colpire il ritratto è colpire se stesso. Morendo egli acquisterà la vera fisionomia: quella di un uomo avvizzito dalla dissipazione.

Dorian Gray concepisce la vita solo se realizzata in forma estetica, in culto della bellezza, in moduli rarefatti ed inimitabili di preziosa ricercatezza: ...l'artista è il creatore di cose belle... non esistono libri morali o immorali. I libri sono scritti bene o male: questo è tutto... il vizio e la virtù sono per l'artista materiale di un'arte....

Il piacere di Gabriele D'Annunzio

Ultimo rampollo di un'antica famiglia nobile, Andrea Sperelli ne continua anche la tradizione: è un raffinato, predilige gli studi insoliti, è un esteta. Tutta la sua vita è improntata su questi criteri come pure la vita amorosa. Abbandonato però dall'amante, inutilmente Andrea cerca di sostituire la passione per lei con altri piaceri ed avventure. Rimane ferito in duello e ospitato nella villa della cugina, ritrova le risorse nella natura e nell'arte e nella spirituale bellezza di una giovane donna che qui conosce e di cui si innamora. Corrisposto, non riesce però a liberarsi dall'influsso delle esperienza passate. Andrea confuso rivive così con la nuova amante l'amore per la prima. Ma il rapporto ambiguo viene troncato quando Andrea, in un momento di trasporto si lascia sfuggire il nome Elena, e Maria scopre il fondo di quel legame.

Andrea Sperelli è raffinato e gelido; cultore solo di un bello aristocratico; spregiatore del grigio diluvio democratico odierno che tante belle cose e rare sommerge miseramente

 

I TEMI PIU' FREQUENTI

·  individualità: viene esasperata in rapporto a tutto ciò che può essere popolare e quotidiano, in nome di un individuo superiore slegato dalla morale comune dalla massa anonima (Nietzche sarà il teorico di questo nuovo modo di sentire); l'individuo decadente vivrà infatti nella sua solitudine distaccato in modo sprezzante e sdegnoso dalla morale del popolo...

·  amore: tende a degenerare in passione, nel gusto del proibito, del morboso, dell'ambiguo, o a intorbidirsi nel vizio, nella corruzione e nella depravazione; è anche il tempo dell'omosessualità e del sadismo («i fiori del male»)

·  rifiuto della società contemporanea e sogno di evasione in un mondo di purezza incontaminata: Mallarmé, Brezza marina

 

 

 

GABRIELE D’ANNUNZIO

 La vita

  La vita di D’Annunzio può essere considerata una delle sue opere più interessanti, e D’Annunzio fu costantemente teso alla ricerca di questo obiettivo. Nato nel 1863 a Pescara da agiata famiglia borghese, esordì nel 1879 con un libretto di versi, Primo vere. Raggiunta la licenza liceale, si trasferì a Roma per frequentare l’università, in realtà abbandonò presto gli studi. Acquistò subito notorietà, sia attraverso una copiosa produzione di versi che spesso suscitavano scandalo, sia attraverso una vita altrettanto scandalosa, per i principi morali dell’epoca, fatta di continue avventure galanti. Sono gli anni in cui D’Annunzio si crea la maschera dell’esteta, accettando come regola di vita solo il bello. Questa fase estetizzante della vita di D’Annunzio attraversò una crisi alla svolta degli anni Novanta, riflettendosi anche nella tematica della produzione letteraria; lo scrittore cercò così nuove soluzioni e le trovò in un nuovo mito, quello del superuomo, ispirato approssimativamente alle teorie del filosofo tedesco Nietzsche, un mito non solo più di bellezza, ma di energia eroica, attivistica. D’Annunzio puntava a creare l’immagine di una vita eccezionale, sottratta alle norme del vivere comune. D’Annunzio conduceva una vita da principe rinascimentale, tra oggetti d’arte, stoffe preziose, cavalli e levrieri di razza. D’Annunzio era strettamente legato alle esigenze del sistema economico del suo tempo: con le sue esibizioni clamorose ed i suoi scandali lo scrittore voleva mettersi in primo piano nell’attenzione pubblica, per vendere meglio la sua immagine. Il culto della bellezza ed il <<vivere inimitabile>>, superomistico, risultavano essere finalizzati al loro contrario, a ciò che D’Annunzio ostentava di disprezzare, il denaro e le esigenze del mercato: proprio lo scrittore più ostile al mondo borghese era in realtà il più legato alle sue leggi; proprio lo scrittore che spregiava la massa era costretto a solleticarla e a lusingarla. D’Annunzio non si accontentava più dell’eccezio ovamente su di sé l’attenzione con imprese clamorose. Anche la guerra di D’Annunzio fu una guerra eccezionale, non combattuta nel fango e nella sporcizia delle trincee, ma nei cieli, attraverso la nuovissima arma: l’aereo.

 

L’estetismo e la sua crisi

  L’esordio

  L’esordio letterario di D’Annunzio avviene sotto il segno dei due scrittori che in Italia suscitano maggior eco, Carducci e Verga. Le prime due raccolte liriche, Primo vere e Canto novo si rifanno al Carducci delle Odi barbare. Se si esclude Primo vere, che è poco più di un esercizio di apprendistato, il Canto novo offre già indicazioni molto interessanti. Oltre alla metrica barbara, D’Annunzio ricava da Carducci il senso tutto “pagano” delle cose sane e forti. Ma questi temi sono portati al limite estremo, e toccano i vertici di una fusione ebbra tra io e natura che fa già presentire il futuro panismo superomistico. Terra vergine è il corrispettivo in prosa del Canto novo. Il modello è il Verga, anche D’Annunzio presenta figure e paesaggi della sua terra, l’Abruzzo. Ma non vi è nulla della lucida indagine condotta dal Verga sui meccanismi della <<lotta per la vita>> nelle <<basse sfere>>, e soprattutto nulla dell’impersonalità verghiana, risultante dall’<<eclisse>> dell’autore e dall’immersione del punto di vista narrativo dentro la realtà rappresentata. Il mondo di Terra vergine è un mondo sostanzialmente idillico, esplodono passioni primordiali, soprattutto sottoforma di un erotismo vorace, irrefrenabile.

 

I versi degli anni Ottanta e l’estetismo

  La stessa matrice è evidente nella copiosa produzione in versi degli anni Ottanta, che abbandona la linea del vitalismo “pagano” del Canto novo e rivela l’influenza profonda dei poeti decadenti francesi ed inglesi. Queste opere poetiche sono il frutto della fase dell’estetismo dannunziano, che si esprime nella formula <<il Verso è tutto >>. L’arte è il valore supremo, e ad essa devono essere subordinati tutti gli altri valori. La vita si sottrae alle leggi del bene e del male e si sottopone solo alla legge del bello, trasformandosi in opera d’arte. Sul piano letterario, tutto ciò dà vita ad un vero e proprio culto religioso dell’arte e della bellezza. La poesia non sembra nascere dall’esperienza vissuta, ma da altra letteratura. I versi dannunziani pertanto sono fitti di echi letterari, che provengono dai poeti classici, dai contemporanei poeti francesi ed inglesi. Questo personaggio dell’esteta, che si isola dalla realtà meschina della società borghese contemporanea in un mondo rarefatto e sublimato di pura arte e bellezza, e la cui maschera D’Annunzio indossa nella vita come nella produzione letteraria, è a ben vedere una risposta ideologica ai processi sociali in atto nell’Italia dopo l’unità. Il personaggio dell’esteta, costruito nell’opera letteraria, è una forma di risarcimento immaginario da una condizione reale di degradazione dell’artista. Però D’Annunzio non si accontenta di sognare rifugiandosi nella letteratura: vuole vivere quel personaggio anche nella realtà. Sa utilizzare economicamente la pubblicità che gli deriva dalle sue pose, dagli scandali e dagli amori eleganti. Sfruttando abilmente i meccanismi della produzione capitalistica, propone un’immagine nuova di intellettuale, che si pone fuori della società borghese, e fa rivivere una condizione di privilegio dell’artista che era propria di epoche passate.

 

Il “piacere” e la crisi dell’estetismo

  Ben presto però D’Annunzio si rende conto dell’intima debolezza di questa figura e della costruzione ideologica che essa presuppone: l’esteta non ha la forza di opporsi realmente alla borghesia in ascesa. Egli avverte tutta la fragilità dell’esteta in un mondo lacerato da forze e conflitti così brutali: il suo isolamento sdegnoso non può che divenire sterilità ed impotenza, il culto della bellezza si trasforma in menzogna. La costruzione dell’estetismo entra allora in crisi. Il primo romanzo scritto da D’Annunzio, il piacere, in cui confluisce tutta l’esperienza mondana e letteraria, ne è testimonianza più esplicita. Al centro del romanzo è la figura di un esteta, Andrea Sperelli, il quale non è che un “doppio” di D’Annunzio stesso, in cui l’autore obiettiva la sua crisi e la sua insoddisfazione. Andrea è un giovane aristocratico, artista <<tutto impregnato d’arte>>. Il principio <<fare la propria vita, come si fa un’opera d’arte>> diviene una forza distruttiva che lo priva di ogni energia morale e creativa, lo svuota e lo isterilisce. La crisi trova la sua cartina di tornasole nel rapporto con la donna. L’eroe è diviso tra due immagini femminili, Elena Muti, la donna fatale che incarna l’erotismo lussurioso, e Maria Ferres, la donna pura, che rappresenta l’occasione di un riscatto e di un’elevazione spirituale. Ma in realtà ’esteta mente a se stesso: la figura della donna angelo è solo oggetto di un gioco erotico più sottile e perverso, che Andrea continua a desiderare e che lo rifiuta. Andrea finisce per tradire la sua menzogna con Maria, ed è abbandonato da lei. Nei confronti di questo suo “doppio” letterario D’Annunzio ostenta un atteggiamento impietosamente critico, facendo pronunciare dalla voce narrante duri giudizi nei suoi confronti. In realtà il romanzo è percorso da una sottile ambiguità, poiché Andrea non cessa di esercitare un sottile fascino sullo scrittore, con il suo gusto raffinato. Quindi, il piacere non rappresenta il definitivo distacco di D’Annunzio dalla figura dell’esteta. Al Piacere succede un periodo di incerte sperimentazioni.

 

 

I romanzi del superuomo

 L’ideologia superomistica

D’Annunzio coglie alcuni aspetti del pensiero di Nietzsche: innanzitutto il rifiuto del conformismo borghese, dei principi egualitari che schiacciano e livellano la personalità; l’esaltazione dello spirito <<dionisiaco>>, un vitalismo gioioso, pieno, libero dagli impacci della morale comune; il rifiuto dell’etica della pietà, dell’altruismo, eredità della tradizione cristiana, che mascherano solo l’incapacità  di godere la gioia dionisiaca del vivere. D’Annunzio dà a questi motivi un’accentuata coloritura antiborghese. Egli si scaglia violentemente contro la realtà borghese del nuovo stato unitario, in cui il trionfo dei principi democratici ed egualitari, il parlamentarismo, lo spirito affaristico e speculativo contaminano il senso della bellezza, l’energia violenta, il gusto dell’azione eroica e del dominio. Vagheggia perciò l’affermazione di una nuova aristocrazia, che sappia tenere schiava la moltitudine degli esseri comuni ed elevarsi a superiori forme di vita attraverso il culto del bello e l’esercizio della vita attiva ed eroica. Il motiva nietzschiano del superuomo è quindi interpretato da D’Annunzio nel senso del diritto di pochi esseri eccezionali ad affermare se stessi, sprezzando le leggi comuni del bene e del male. Il dominio di questi esseri privilegiati al di sopra della massa deve tendere ad una nuova politica aggressiva dello stato italiano, come l’antica Roma. Il nuovo personaggio non nega la precedente immagine dell’esteta, ma la ingloba in sé. Il culto della bellezza è essenziale nel processo di elevazione della stirpe nelle persone di pochi eletti. L’eroe dannunziano non si accontenta più di vagheggiare la bellezza in una dimensione appartata, ma si adopera per imporre, attraverso di essa, il dominio di un’elite, violenta e raffinata insieme, su un mondo meschino e vile, come quell9o borghese. A ben vedere, il mito del superuomo è sempre un tentativo di reagire alle tendenze, in atto nella società capitalistica moderna, ad emarginare e a degradare l’intellettuale; ma è un tentativo che va in direzione opposta rispetto a quella che proponeva il mito dell’esteta, poiché affida all’artista-superuomo una funzione di “vate”, di guida in questa realtà, ed anche compiti più pratici, attivi, una missione politica, seppur per ora alquanto vaga. E mentre la figura dell’esteta era in netta opposizione rispetto alla realtà dominante, la figura del superuomo, offre soluzioni che possono sostanzialmente accordarsi con le tendenze profonde dell’età dell’imperialismo. E poiché l’offerta non gli viene dalla società stessa, egli si autodelega tale ruolo, attribuendosi il compito di profeta di un ordine nuovo: l’artista, proprio mediante la sua attività intellettuale, deve aprire la strada al dominio delle nuove elites, e di tali elites deve egli stesso entrare a far parte.