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Elisa : colori
e sensazioni
Quale immensa
tristezza provava Elisa ogniqualvolta
si ritrovava al cospetto del grande dipinto, unico ricordo di sua nonna
e della grande casa di famiglia. Come sua
nonna, Elisa si soffermava spesso ad osservare quella vecchia tela, rammentava
ancora quando le venne recapitata, anni prima, insieme ad una enigmatica
lettera in cui era scritto : Mia carissima Elisa, mi sto
avvicinando irrimediabilmente verso la fine dei miei giorni, sei la mia
unica sensibilissima nipote e non voglio che tu debba soffrire per
la nostra (purtroppo) inevitabile separazione. Ben poco è rimasto del nostro
patrimonio di famiglia, come già sai, ma tra le poche cose che mi appartengono
desidero che tu conservi con grande amore, come feci anch’io ai miei
tempi, questo carissimo quadro, perché per me ha significato molto. Noi
non sempre siamo dove siamo e come sembriamo, ricordalo! La vita è piena di
emozioni da vivere, vivile sempre intensamente, non fuggire mai
di fronte ad un dolore e sappi che la nostra mente non conosce confini. Esiste
un modo per vivere oltre la vita, fatti trascinare dalle correnti dell’anima
e potrai dire di aver vissuto mille vite! Addio mia piccola adorata Elisa. Tua
nonna Brunilde Quante e quante volte aveva
riletto quelle righe tra le lacrime, l’ultimo pensiero sua
nonna lo aveva dedicato a lei, difatti,
la sera dello stesso giorno in cui aveva scritto la lettera, Brunilde moriva. L’avevano
ritrovata il mattino seguente rannicchiata sulla grande poltrona di velluto
rosso, lo sguardo trasognato rivolto al
quadro posto sopra il camino di pietra grigia. Elisa si chiedeva cosa
rappresentasse veramente quel dipinto per la
nonna? Un suo amico esperto di anticaglie, non gli aveva
attribuito alcun valore, un olio qualunque di un pittore sconosciuto della
fine del secolo scorso, questa la sua lapidaria
definizione. Ma Elisa sapeva in cuor suo che, anche se anonimo, quel
paesaggio descritto con tinte così cupe e
tormentate, nascondeva uno strano segreto e sua nonna
forse ne aveva posseduto la chiave. A suggerirle tutto ciò era la
convinzione che il quadro si presentava alquanto diverso da quello posseduto
dalla nonna. Inizialmente aveva pensato che in realtà non le fosse stato
consegnato l’originale, bensì una copia somigliante e di minor valore.
Ipotesi che scartò subito perché pensò che
effettuare questa sostituzione in un solo
giorno, non era un’impresa facile, considerando che le dimensioni della
tela con tutta la cornice erano davvero imponenti. Sulla cornice, poi, non
nutriva dubbi, era certa al cento per cento, che si
trattava della stessa cornice recante gli
stessi graffi ed ammaccature negli stessi punti. Eppure qualcosa
era avvenuto con la morte di nonna Brunilde, il quadro si era modificato,
doveva ancora individuare bene come, ma ci sarebbe arrivata scandagliando
nei ricordi e sfogliando le foto di famiglia in cui certamente era stato
ritratto. Inoltre c’era la lettera scritta in punto di morte, che sicuramente
poteva celare un significato ben superiore a qualsiasi umana aspettativa.
Ma forse le sue erano solo delle sciocche fantasticherie, la nonna
era una donna talmente vitale che era difficile immaginarla alle prese
con teorie metafisiche sui poteri reconditi della mente. Nella sua famiglia
non si erano mai discussi argomenti che sfiorassero minimamente
il paranormale, tutti erano estremamente razionali e concreti. Vite come
tante altre, previste e prevedibili in ogni piccolo particolare, persone che
si erano fatte clonare da una società
ipocrita ed opportunista. Ma Elisa
era diversa dai suoi familiari, per questo la nonna aveva sempre cercato di
proteggerla e ricoprirla di affettuose attenzioni, perché lei, diceva, era
una bambina davvero speciale. Nei
momenti in cui la nostalgia si faceva
insostenibile, Elisa era solita
fermarsi in religioso silenzio ad osservare quel caro oggetto, perché riteneva
che fosse il modo migliore per accostarsi al ricordo di nonna Brunilde. Rammentava
di averla sorpresa parecchie volte con quei suoi grandi occhi scuri persi
nei riflessi e nei giochi di luce riprodotti nel
dipinto. Come per poter ristabilire un qualsiasi contatto con la sua cara
nonna, Elisa trascorreva sempre più tempo a
studiare ogni immagine, ogni particolare del quadro,
che sembrava mostrarle giorno per giorno aspetti sempre diversi. Divorata
come da una delirante ossessione, andava ripetendo a se stessa che,
quello, doveva essere il mezzo destinato a ridare pace alla sua anima
tormentata. L’istinto aveva sempre
guidato ogni sua azione e, da quando quel dipinto era entrato a far parte
della sua vita, era fermamente convinta che in
esso si nascondesse uno specchio proiettato
su un’altra dimensione d’esistenza e che sua nonna lo
aveva offerto a lei con l’intenzione di
farle varcare la soglia di questo mondo, per consentirle di viaggiare oltre
gli schemi che la razionalità impone. Nessuno immaginava che non erano lo
stress né la depressione i mali da cui
era afflitta. Elisa si stava consumando nell’inutile corsa dietro ad un
sogno impossibile. Che fosse una donna
romantica e ricca di immaginazione era ormai noto
in famiglia, ma da un po’ di tempo Elisa faceva discorsi strani, parlava
di un certo terzo occhio, di energie, auree e via
dicendo. Credendo che si fosse fatta plagiare
da qualche setta non ben identificata, i suoi fratelli decisero di comune
accordo di rivolgersi ad uno psicanalista. Furono consigliati di persuadere
Elisa a sottoporsi ad una terapia di psicanalisi ed usarono tutte le tecniche
di convinzione possibili, ma fallirono in pieno. Elisa si trincerò ancora di più
dietro quel muro di silenzi che aveva eretto intorno a sé e loro, sconfitti,
dopo averla ricoperta di ultimatum, la lasciarono sola e finalmente
in pace. La vita di Elisa si era come rallentata, le sue uscite diventavano
sempre meno frequenti. Quando non ne poteva proprio fare a meno si tuffava
di malavoglia nella confusione di uno dei tanti centri commerciali e questo
accadeva una volta al mese, allorché nel frigo e nella dispensa restava
soltanto la polvere. Riempiva il carrello al punto di non riuscire più nemmeno
a sospingerlo, caricava tutto nella sua
vecchia utilitaria e si precipitava a casa. Giunta nel suo rifugio, si
distendeva sul sofà, metteva un sottofondo musicale
che l’aiutava a rilassarsi e si lasciava andare alla meditazione, la sua
palestra dei pensieri. Dopo qualche minuto di concentrazione scivolava in
una specie di limbo dal quale si risvegliava
sempre con lo stesso desiderio, riuscire a capire cosa vedeva sua nonna in
quel paesaggio autunnale. Soggiogata come da
una sottile melodia, accarezzava con gli occhi la figura femminile
che si intravedeva sola tra gli alberi, ne
subiva il suo fascino, in lei c’era un qualcosa di inquietante e nel contempo
di particolarmente familiare. Quel volto appena accennato chi doveva
ritrarre? Viaggiare con la mente non le era servito a saperne di più,
forse doveva ancora perfezionarsi oppure la
soluzione era ancora troppo lontana. E pensare che
tutte queste sue smanie di conoscenza avevano avuto
origine un giorno di marzo, per caso. Ricordava che era un sabato
pomeriggio, pioveva a dirotto ed Elisa era stata
costretta a ripararsi in una libreria del
centro. Si inoltrò nella semi-penombra
del locale e fu subito accolta da uno
strano odore di polvere mista ad un aroma intenso, che doveva
essere l’essenza del legno lucidato a nuovo. Ispezionò velocemente la sala
e si accorse che era interamente rivestita
di scaffali di legno massiccio che si innalzavano sino al soffitto, lavorato
a cassettoni. L’atmosfera era densa, quasi palpabile, gli unici
rumori che perforavano questa coltre
fuliginosa erano il ticchettio della pioggia sull’asfalto ed i continui
colpettini di tosse intonati dall’anziano libraio,
il quale probabilmente aveva i polmoni
intrisi di polvere. Ad Elisa, che non amava i luoghi chiusi, parve quasi
di soffocare, per cui decise che era molto meglio tornare fuori e magari
affrontare l’acquazzone piuttosto che restare lì in apnea. Uscì
velocemente come era entrata e cercò in
qualche modo di scusarsi per aver infranto quel religioso silenzio con il
“cik-ciak” delle sue scarpe di gomma sul parquet, acquistando il primo libro
che le capitò tra le mani. Dopodiché corse
via. Giunta a casa si preoccupò di scoprire ciò che
aveva comprato così alla cieca e constatò che si trattava di un volumetto
intitolato “I grandi iniziati”, dalla copertina
arabescata e mezza scolorita. Passarono
diverse settimane prima che Elisa si ricordò
di averlo depositato sulla mensola dei libri
“in attesa”, ma una mattina, mentre
era impegnata nelle sue pulizie periodiche si ritrovò ancora una
volta il libro tra le mani ed incuriosita iniziò a leggerlo. Fu il primo
gesto verso quel processo di introspezione che la
allontanò dal suo modo di vivere abituale.
Da quel momento il suo obiettivo divenne ampliare la panoramica sulla
spiritualità umana. A quel primo libro
ne seguirono tanti altri, parecchi dei
quali furono acquistati proprio in quella libreria del centro. Smise di frequentare
gli amici di sempre per rintanarsi in casa e sprofondarsi nella lettura.
Fortunatamente il suo lavoro non le creava problemi, fare la decoratrice
nella piccola fabbrica di ceramiche di sua cognata le consentiva
di estraniarsi senza che nessuno se ne accorgesse più di tanto. Ormai
gli ornamenti e le volute le riuscivano automaticamente e senza sbavature.
I problemi sorgevano quanto giungeva l’ora di
staccare e tornare a casa, i suoi colleghi,
spesso, erano costretti a chiamarla più volte, perché ad Elisa, con
il walkman a tutto volume, era difficile sentire la sirena. Le risultava molto
complicato spiegare a chi la conosceva ciò che provava da un po’ di tempo.
Aveva la sensazione che un qualcosa le stesse
crescendo dentro, stava interiorizzandosi troppo, percepiva il
flusso della sua linfa vitale, i canali di energia che le attraversavano il
corpo durante lo stato di concentrazione. Bisognava
ammetterlo, non era più la stessa, la sua
visione del mondo era totalmente mutata. La verità, forse, era che
nella sua famiglia aleggiava il gene della
follia, ma era difficile ammetterlo a se stessa. Figurarsi pazza e priva di
coscienza, la terrorizzava, cosa le sarebbe
capitato? Ogni giorno che passava sentiva quel malefico seme germogliare in
lei, solleticarle l’anima, appropriarsi
della sua volontà tanto da lasciarla indifesa
e confusa. L’allegria ed il buon umore dell’Elisa di un tempo erano svanite
lentamente. Tutto il suo essere si era frantumato in tante piccole tessere
e lei non aveva più la facoltà di ricostruirsi.
La parte vigile della sua coscienza le chiedeva aiuto, cercava una via
di scampo per non affondare nell’alienazione, per non azzerare quel briciolo
di razionalità che le restava. Ma il
tempo passava e per Elisa era sempre più
difficile sottrarsi al richiamo del quadro di nonna Brunilde, il dipinto
era lì, appeso davanti a lei,
occupava gran parte della parete principale della sala da pranzo e sembrava
chiamarla, desiderava la sua attenzione,
esisteva per un suo sguardo! E venne un giorno in cui Elisa
fu assalita da una strana sensazione,
nell’analizzare l’immagine ormai protagonista di ogni suo pensiero,
provò un leggero sbandamento, le mancò l’equilibrio e decise che era
molto meglio distendersi sul divano. Non le
servì chiudere gli occhi ed abbandonarsi alle tecniche di rilassamento. Il
malessere aumentava, si faceva strada nel suo corpo
travolgendo ogni resistenza, Elisa temeva che questo strano fuoco
le potesse divorarle l’anima. Si fece forza per cercare di non perdere i
sensi e nonostante fosse scossa da ondate di brividi
e tremori, come in preda alla febbre alta,
continuò tenacemente a fissare l’oggetto del suo tormento. Stava
lottando contro un ignoto avversario, non sapeva se ne sarebbe uscita,
ma lei non mollava la presa, ora no, ora che era giunta alla risoluzione di
questa enigma. Pensava di essersi
preparata abbastanza per affrontare una simile circostanza, così spalancò
gli occhi ricordando ciò che le aveva
raccomandato sua nonna. No, non sarebbe mai fuggita di fronte a nulla!
Sotto l’intensità del suo sguardo la
materia di cui era composto il quadro iniziò a contorcersi, deformandosi
in un qualcosa di indefinito. La possente cornice dorata si mise a scricchiolare
minacciando di rompersi in mille pezzi, anche il resto della tela sembrava
che stesse quasi per esplodere animata da una potenza invisibile. Il
contatto si era stabilito, Elisa ed il
quadro erano un tutto unico e non era più possibile tornare indietro. Se fosse
sopravvissuta a quell’esperienza, di certo non avrebbe più osservato quadri
in vita sua, maledicendo la sua ostinazione Elisa cercava di prepararsi al
peggio. Mentre restava galvanizzata sul divano, tutta la stanza sembrò
essere stata presa d’assedio da un ciclone di suoni
e colori. Quanto tempo trascorse in quello stato, Elisa non lo seppe mai,
ma giunse finalmente il momento in cui quel
brulicare di forme cessò. Contemporaneamente la stanza fu invasa da una ventata
di aria fredda ed un penetrante odore di
muschio, Elisa, con gli occhi ancora
spalancati e quasi paralizzati dalla tensione, avvertì una presenza,
ma impiegò qualche secondo per focalizzare bene
le immagini. Non si sbagliava, nella stanza non era più sola e chi le era
dinanzi le sorrideva amorevolmente. Ora Elisa sapeva
che un tempo sua nonna Brunilde era
stata Alina. Il quadro era
sparito.
FINE
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