GIOVENTU' BIRBANTE

Quel pomeriggio era veramente brutto. Sarà che i ragazzi si trovavano sulla strada tra il comando di polizia e la caserma dei carabinieri, ma quella zona brulicava di sbirri. Marco, il capo assoluto della banda, non aveva paura della polizia. Lui aveva vissuto sin dall'infanzia il dramma della violenza. Sua madre si prostituiva, suo padre spacciava droga, e chiaramente ogni sera le botte si sprecavano. Marco, infatti, picchiava sempre i genitori, perché non gli piaceva la gente che frequentavano, anche se poi, crescendo, si era abituato ed era diventato come loro. Per questo non temeva le forze dell'ordine. Soltanto, aveva paura che quella fosse la volta buona per la galera.
Aveva iniziato a rubare quando aveva 11 anni. D'altronde, quando aveva fregato le figurine a quel dannato giornalaio, era solo perché gli serviva uno Zenga da scambiare con un Baggio. Ma gli sbirri lo avevano beccato con le mani nel sacco, o meglio, nel pacchetto, e da allora li odiava: li odiava perché quelli cercavano sempre di bloccare la sua libertà, come quella volta che aveva pestato la vecchietta per scipparla. Lui si sentiva libero di farlo, e quelli l'avevano arrestato. Forse ce l'avevano con lui, ma non riusciva a spiegarsi il motivo.
Comunque, lui e gli altri erano contenti, perché quella sera sarebbe arrivato Carlos, lo spacciatore: era andato in Bulgaria a prendere un carico di cocaina purissima. Tutti gli avevano detto che era molto più semplice andare in Colombia, per la droga, ma lui non voleva destare sospetti. 
Erano usciti un'ora prima dallo stadio. Non seguivano affatto il calcio, ma gli avevano detto che lì ci si picchiava, per cui c'erano andati. Se non fosse stato che, per la ressa, si erano presi a botte tra di loro, sarebbe stato un pomeriggio memorabile.
Marco, il cui stomaco, essendo quello del capo, decideva anche per quelli degli altri, disse che aveva fame, e che sarebbero andati a cena. Alla pizzeria Da Ciro trovavano sempre posto, anche se non pagavano mai. Ma non perché erano amici, e andavano sempre lì a prendere la pizza: perché erano carogne, e andavano sempre lì a prendere il pizzo. Anche quella sera, dopo che avevano finito di mangiare, il cameriere non aveva osato portar loro il conto, ricordando quella volta che lo avevano bruciato con l'accendino: non il conto, il cameriere. Ormai, comunque, si stava facendo tardi: era ora di andare in piazza Grande all'appuntamento con Carlos.
Come al solito, Carlos era puntualissimo. E, secondo il solito trucco, aveva nascosto la roba in un sacchetto nel serbatoio. Marco, per mostrare agli altri di essere il più duro, infilo una cannuccia nel serbatoio, cercando di mirare il sacchetto, e tirò su a tutta forza.
Era la prima volta che sniffava del gasolio, e non faceva un gran bell'effetto. Mentre stava per svenire, sentì gli amici che, come al solito, scappavano tutti per paura che arrivasse la polizia, con svariate scuse: "Ho lasciato i cannelloni sul fuoco", "Cavoli, devo andare a seminare l'orto", "Ho dimenticato a casa le scarpe". E per l'ennesima volta, si sentì di gran lunga superiore a tutti gli altri: in fin dei conti, farsi una dose di gasolio non era mica roba da tutti.
Gli altri lo ritrovarono il mattino dopo, sempre lì. Adesso capiva cosa provava il serbatoio, ogni volta che qualcuno gli sbatte dentro il carburante: era stata una sensazione stranamente eccitante, ma che ti faceva sentire anche vagamente idiota. Comunque, era di nuovo ora di andare in giro a far danni, perché quella era la loro vita. Ora dopo ora. Giorno dopo giorno. Un pieno di carburante dopo l'altro: di qualsiasi genere fosse...