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IL SABATO DEL TAMARROAnche per i tamarri viene il
sabato. Come per le donzellette che vengon dalla campagna in sul calare del sole
e recano con se un mazzo di rose e di viole… Nel nostro caso, non si tratta di
rose e di viole, ma sempre di erba si tratta… Comunque, diamo tempo al tempo:
non è ancora il momento di ampliare questo punto. Dopo una settimana trascorsa
a far nulla, anzi, nel nulla, il tamarro decide di consacrare il sabato al dio
del divertimento. Oddio, perdonatemi l’errore di fondo: il vero tamarro non
conosce alcuna religione, non perché non ne abbia sufficiente cultura (perché
in effetti non ne ha alcuna), ma semplicemente perché a tutt’oggi non ha
ancora capito a cosa servano quelle strane costruzioni munite in genere di
campanile, ove specie la domenica mattina si radunano grandi folle. Potrebbe
essere un rave per gente elegante? Comunque, al tamarro non interessa, anzi, il
tamarro non ha interessi. Sembra un giorno come un altro: sveglia alle 14.00,
il tamarro non prova neanche ad avvicinarsi al bagno per le abluzioni
quotidiane; tenta invece di guardare i Simpson in tv, ma desiste. La
giustificazione ufficiale è che “i cartoni animati sono roba per
bambini”. La realtà è che non riesce a capire quanto accade in tv. Si veste
(indossando un completino da casa in vera pelle di bufala di Mondragone) e va in
cucina, ove si ricarica di energie facendo colazione e pranzo in un colpo solo.
Menù del giorno: Antipasto:
cornetto e cappuccino (l’avevo detto che faceva colazione e pranzo…) Primo
piatto: zuppa di fagioli Secondo
piatto: cotenne e fagioli Frutta:
una cassetta intera di uva Dolce:
una “guantiera” intera di babà alla crema (ndLkl: guantiera=vassoio) Il
tutto annaffiato da un vinello leggero (15°) fornito dall’enoteca “El
Mbriacone”. E
poi di nuovo a letto, a dormire e qui nasce il paradosso: il tamarro è per
definizione “colui che, nato in stato di acefalia congenita, spende la
propria vita in bilico tra il coma irreversibile e la morte apparente. Come può
uno stato comatoso ambulante svegliarsi e tornare a dormire? Gli studiosi ancora
non comprendono questo eccezionale meccanismo, ma il tamarro riesce comunque a
farlo senza pensarci troppo. Come tutte le altre cose, del resto. Verso le
19.00, il tamarro passa, come detto in precedenza, dallo stato di morte
apparente a quello di coma irreversibile. Inizia a prepararsi, scegliendo gli
abiti adatti alla sua destinazione finale. Aprendo l’armadietto, viene
investito da fasci di luce dai mille colori, anzi dai 4 colori: nero (lucido
come un sacco dell’immondia); grigio (lucido come un sacco dell’immondizia
grigio); arancione (come un’arancia andata a male, oppure come la capigliatura
di It); blu (della tonalità tipica delle esplosioni atomiche). Il tamarro
non ci fa caso: ci ha fatto l’occhio, anzi, si è fatto anche l’occhio.
Abbinare i colori è un’arte e il tamarro questo lo sa: prende una maglia
arancione, pantaloni a sigaretta a sobri quadroni avion su fondo grigio
catarifrangente, calzini fluorescenti con effetto strobo. Poi va in bagno,
per la prima volta nella giornata, apre una confezione di LampadAbbronzante
Sprint©, si abbronza quanto basta e poi si scaraventa un chilo di gel nei
capelli, aiutandosi con una pala da muratore. Quanto la chioma ha assunto le
sembianze di un ammasso di blob nerastro e la consistenza di un muro di Berlino,
il tamarro si guarda nello specchio e pensa: io piaccio. E’ il momento delle
scarpe: dalla sua collezione “38-45”, sceglie un elegante paio di anfibi con
zeppe alte 7 cm, impreziosite da ameni bassorilievi raffiguranti svastiche e
croci celtiche. E poi il tocco di classe: un giubbotto bianco imbottito, maniche
tagliate, riccamente addobbato di frange e finemente abbellito da un tribal di
40 cm sul dorso. Ecco, la Cerimonia di Vestizione è stata finalmente
completata. Adesso non rimane che scegliere un adeguato mezzo di trasporto. Una
bella macchina (così come una moto fiammante) può fare la differenza nella
sottile arte della seduzione e il tamarro questo lo sa. Scende in garage e
s’illumina d’immenso alla vista dei sue due bolidi. Non può che commuoversi
davanti alla vista del suo vespino special 50 (overclockato fino a 1.100) verde
metallizzato. Strisce di fuoco aerografate decorano le fiancate di quel tacito
inno alla velocità. Le manopole dello sterzo luccicano nella loro splendente
cromatura, lucentezza che si pone agli antipodi della terrea opacità delle
frange di cuoio che adornano il faro, sublimi inversi, estremi dello stesso
concetto: l’eleganza. Volta la testa e La vede. E’ Lei. La Uno Turbo gialla,
fedele compagna di tante tamarrate. Scorge, come se fosse la prima volta, le
magiche strisce rosse sulla fiancata e avverte l’irrefrenabile desiderio di
inchinarsi al Suo cospetto. E, senza por tempo in mezzo, si inchina così come
un musulmano si rivolge alla Mecca. La Fiat Uno turbo non è una macchina, è
tempio, una religione, un dio. Poi si rialza e un brivido gli scuote la pelle
quando rivede i dadi di peluche, il cd e il bambolotto appesi allo specchietto
retrovisore interno. Inizia a girargli intorno, una lacrimuccia gli sgorga dagli
abietti occhi quando, soffermandosi sul cofano, vede la sfilata di adesivi
applicatavi. Abbiamo, in ordine: l’asso
di bastone; la
Madonna dell’Arco; il
volto di Jim Morrison; la
papera con scritto sul deretano “non tamponatemi”; Bruce
Lee; Volto
Santo proteggimi tu… Un
misto di sacro e profano che farebbe pensare ad un dissertazione del tamarro
sull’attuale promiscuità di idoli religiosi e idoli profani, ma che in realtà
è solo un’accozzaglia generata casualmente dai pochi chili di pus che
risiedono là ove, nei casi normali, dovrebbero trovarsi circa 1200 g di materia
cerebrale. La
scelta è fatta, questa volta sarà il vespino a rimanere in garage. Con
religioso rispetto, apre la portiera sinistra, entra, la richiude. Inserisce la
chiave nel blocco di accensione (si sente come Tom Cruise in Top Gun) e un
poderoso boato inizia a solleticargli i padiglioni auricolari. Quella è musica
per le sue orecchie. Ma è musica per le sue orecchie anche quella che inizia a
prorompere dal titanico impianto stereo. Il cui valore economico è di alcuni
ordini di grandezza superiore al valore della stessa macchina. Preme “play”
e le pareti del garage iniziano a rimbombare clamorosamente (al suono del remix
del remix del tema di “Profondo rosso”), i colleghi tamarri nelle vicinanze
iniziano a pogare come disperati e gli esseri umani iniziano a dannarsi e a
rimpiangere di essersi svegliati la mattina. Sbuca dal garage a velocità
impossibile sfiorando un mortale impatto col camion dell’immondizia (causa
principale di mortalità nelle popolazioni tamarre). Guidando come un
forsennato, sfreccia nei più angusti passaggi del traffico cittadino, conscio
del fatto che il volume sovrumano dello stereo attira gli astanti ben prima del
colore acido del suo letale veicolo. Il suono si diffonde a 340 m/s, la Fiat Uno
nel traffico può raggiungere a malapena i 50 km/h, quindi la sproporzione è
evidente. Ma cosa sta ascoltando il tamarro? Semplice. Prendete un qualsiasi
campionatore per PC. Non avrete bisogno di molte tracce: ne basta una sola nella
quale inserire, senza cognizione di causa alcuna, tutti (e dico TUTTI) i samples
più bassi e profondi, quelli le cui vibrazioni sono in grado di sgretolare un
diamante grezzo. Poi fate andare il tutto in loop (in modo da creare una
cacofonia lunga almeno 15-20 minuti), salvate in wav e masterizzate poi su un
comodo CD. Sarà il pirata di turno che si preoccuperà di estrapolare la
traccia così ottenuta, per poi inserirla nella sua compilation. Le compilation
pirata vanno di moda nei tamarri. In genere una compilation del genere,
registrata su una cassetta da 60’, costa dalle 2 alle 3000 lire e contiene, in
virtù della lunga durata delle tracce di cui sopra, due brani tamarri e una
reminiscenza degli anni ’80. Non perché il tamarro intenda dar vita ad un
revival, bensì per il semplice fatto che egli (avrei voluto usare “esso”,
essendo un pronome più adatto agli animali. Ma non volevo offenderli con un
paragone inadeguato e gratuito) vive in un piano temporale sfalsato di 15-20
anni. Esempio: mettete un tamarro davanti ad un tostapane. Quando vedrà le
fette di pancarrè saltare da sole allo scadere del timer, il suo volto muterà
in un’espressione di stupore tecnologico. “U aneme ‘do priatorio, vide nu
poc che te cumbinano e scienziat…” (trad.: Oh anima del Purgatorio, guarda
un po’ cosa ti combinano gli scienziati…). Una frase semplicemente priva di
qualsiasi senso, anacronistica oltre ogni dire, sprizzante ignoranza da tutti i
pori. Una Ca##ata, quindi, una di quelle con la C maiuscola. Il tamarro ne
proferirebbe 24 ore al giorno se potesse e, visto che lo può, lo fa. La Fiat
Uno gialla sfreccia per le zone più densamente popolate della cittadina, in
modo da attirare quanti più sguardi possibili, alla ricerca costante del record
delle figure di cacca. Quasi ci riesce. Incredibile a dirsi, il passaggio di un
tamarro suscita i sentimenti più disparati: pietà e compassione (sembrerebbero
sinonimi, coglietene la sfumatura!); disgusto e ribrezzo (come prima… ;));
ammirazione (da parte dei tamarri dei gironi inferiori, quelli appiedati). Perché
disgusto? In un recente sondaggio, alla domanda: “Cosa si prova ad osservare
un tamarro?”, il 72% degli intervistati ha risposto “la stessa
sensazione che si prova a calpestare un escremento”; il 21% “devo ricorrere
ad un antiemetico”; il restante 7% “vorrei strapparmi gli occhi con amo da
pesca arrugginito”. La figuraccia prosegue per qualche chilometro, poi
raggiunge il covo dei tamarri, il loro regno incontrastato: la sala giochi. Si
badi bene: l’esterno della sala giochi. Il tamarro raramente entra, in genere
quanto tenta di spillare qualche millino agli avventori. Fuori la discussione
impazza: dove si va stasera? Mentre la discussione impazza, lo stereo pompa.
Tutti sembrano molto felici, non stanno nella pelle all’idea della fantastica
serata che va sempre più materializzandosi… Dove si va? Le possibili
destinazioni finali sono molte. Restare fuori alla sala giochi; andare al
bowling; andare in pizzeria; andare in discoteca; andare in birreria; andare al
cinema. L’incredulità a confronto di quest’ultimo punto è palese, così
come è palese che anche i tamarroni vanno al cinema. Che tipo di film predilige
il tamarro cinefilo? Ha un range molto ampio in fatto di gusti: da “Il
Camorrista” a “Eyes wide shut”; da “Lionheart – Scommessa vincente”
a “Tifosi di Natale ‘99”; da “La donna lupo” a “Tutto su mia
madre”. Perché proprio questi film? Nulla da esplicare su “Il
Camorrista”, il mito del tamarrone per antonomasia. Eyes wide shut viene
scambiato per un film porno, complice il trailer. Lionheart è il film di
Van Damme, tamarro anch’egli, almeno nei film (non è che ne sappia molto
della sua vita reale) che i tamarri amano allo spasimo e continuano a rivedere
ogniqualvolta viene ridato in tv. I film della “premiata” ditta
Vanzina-Oldoini-Parenti non necessitano di commenti… “La donna lupo attrae
perché la protagonista sta col culo di fuori sulla locandina del film. E,
dulcis in fundo, “Tutto su mia madre” viene scambiato per “Tutti sopra tua
madre”… Il tamarro al cinema fa molta presenza, nel senso che occupa 5
(spesso 7-9) posti: quello sul quale si siede; quello a destra ove appoggia il
giubbotto; quello a sinistra dove invece viene posato il telefonino acceso, in
modalità “trillo perenne”. Gli altri 2/4/6 posti non vengono occupati da
nessuno. Perché nessuno vuole stare seduto al fianco di un tamarro, a meno che
non sia tamarro egli stesso. Quando il tamarro lascia il cinema (ossia dopo 10
minuti di proiezione, quando intervengono i gestori armati fino ai denti), un
boato gioioso scuote le fondamenta del locale. Il tamarro, come appurato, va al
bowling. Che ci va a fare? E, soprattutto, che vive a fare? Quesito a cui non
risponderò di certo in questa sede. Il tamarro va al bowling a prendere in giro
quelli che giocano. Si dispone (insieme agli amici-tamarri) in posizioni
strategiche dalle quali tenere sott’occhio tutti i giocatori
contemporaneamente. All’inizio non dice nulla, ma il suo sorriso inanimato non
fa una grinza. I giocatori iniziano ad innervosirsi. Il tamarro inizia a ridere
più sguaiatamente (il disagio degli ipotetici avversari è pane per i suoi
denti). I tiri si fanno sempre meno precisi, il tamarro inizia a sparare
frecciatine (veramente sarebbero ca°°ate) indirizzandole ai sempre più
spazientiti giocatori. Poi inizia a millantare le sue epiche imprese legate al
mondo del bowling (come se avesse mai toccato una palla in vita sua…) e… ed
è la goccia che fa traboccare il vaso. I giocatori si voltano verso di lui
rivelando un ghigno assassino e, con una precisione e una forza che nulla ha di
umano, colpiscono il tamarro alle parti basse, tutti contemporaneamente. E’ in
pratica una variante dell’usuale bowling: invece di abbattere 10 birilli con
una sola palla, ne usano 10 per abbattere un solo birillo. E’ questo il primo
contatto che il tamarro ha con la palla: l’esperienza è cruda ma
significativa. Mai più la ripeterà. Gli altri tamarri fuggono, lasciando il
loro simpatico amico in balia delle palle… ehm ^__^””… E via, alla
discoteca! Oddio, discoteca: uno squallido e putrido locale di 10x10 m. Ingresso
£. 5.000 e consumazione impossibile: non c’è un bar. Ai piatti c’è Tony
Elvis (un incrocio tra Little Tony e Elvis Presley), colui che i tamarri credono
sia il dio della musica. La musica è molto varia: Elvis mette, come al solito,
un disco con incisa sempre la stessa solfa, poi se ne va in bagno a fare il
bisogno grosso. Dopo aver finito, monta in macchina e va via, lasciando i
tamarri a dimenarsi come tarantolati nel tugurio fatiscente. Veniamo ai tamarri
più golosi, ossia quelli che trascorrono il sabato in pizzeria. Si presentano
quando il locale sta per chiudere, tra gli improperi dei gestori. Nel forno la
legna non ardeva più da parecchi minuti… Come cuocere la pizza? La domanda è
ovvia, molto più ovvia la risposta. Non cuocerla. Il pizzaiolo inforna la
pasta di pane sporca di pomodoro nel forno ormai tiepido. A tavola i tamarri
sono già ubriachi, dediti ai loro discorsi che definire inutili sarebbe un
complimento. Gli inservienti non si curano neanche di portare la pasta cruda in
tavola, piuttosto scodellano gli aborti di pizza direttamente sulle facce
abbronzate (ndSherlock Holmes: trattasi di lampada? Elementare Watson!)
servendosi della pala. I tamarri non si danno per vinti e continuano nel
loro tour de force di scemenze. Finchè il proprietario non si decide a
lapidarli con gli stessi mattoni del forno (mattoni fatti con la lava del
Vesuvio, fatti venire appositamente da Napoli). Certo, nessuno lo ripagherà
delle birre e delle pizze, ma vuoi mettere la soddisfazione? Il tamarro-birillo
di alcune righe fa, fugge dal bowling appena le gambe gli consentono un sostegno
affidabile unito ad una sufficiente capacità deambulatoria. E va in birreria,
dove potrà bere per dimenticare… Ma davvero un tamarro ha una memoria che
possa definirsi tale? Ne dubito… Allora va in birreria, dove potrà bere per
ubriacarsi. Questo si che è un nobile proponimento. E beve, beve, beve e beve
ancora… Quando il barman lo invita a sgombrare la zona (si era appisolato sul
bancone) e a pagare il conto, il tamarro ricorda. Allora il tamarro beve per
ricordare? Possibile. Di preciso ricorda di non aver addosso neanche uno
spicciolo. E il barman ricorda che in questi casi in genere si picchia
l’avventore. E ricorda anche alcuni letali colpi di Jet-kune-do, così come
alcune mosse di kickboxing, nonché la fine che Bruce Lee riservò a Chuck
Norris nel film “L’ultimo combattimento di Chen”. Prima di morire, rivede
sé stesso mentre si abbronza… sé stesso mentre si veste… sé stesso mentre
si pettina… sé stesso mentre incontra gli amici… sé stesso mentre va al
bowling… sé stesso mentre ride come un demente… sé stesso mentre urla come
un ossesso… sé stesso mentre beve… sé stesso mentre viene menato… E poi
il tunnel, la luce e poi ancora il buio… Pensierino
poetico: Il senso unico “Corre
la vespa, stretta
è la via, in
senso avverso c’è la Polizia…” |
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