Sa gentarrubia

 

 

 

La gente rossa

Strepita nella laguna.

Presso l’isola del falasco

È un gorgogliare di becchi

Nella fanghiglia,

un torcersi di colli

lunghi flessuosi

in teneri avvolgimenti.

Specchiati nell’ azzurro

Frantumati

In miriadi di forme rosate,

in diamanti di gocce

che cadono

scompaiono

fra i trampoli rossi

rigidi essenziali

come steli di giunchi,

virgulti senza spine.

Danza di piume

Musica senza note

Ritmata da singhiozzi

Da stridi

Da gemiti

Da sibili e ansiti

Tra sponde

Verdi di frumento.

I colli si flettono

Ora

In note di musica

Bianche

Contro la laguna di madreperla.

Musica di danza

Su trampoli rossi

Sotto un tremolio

Di piume biancorosate.

Un malinconico adagio

Che fluttua

S’ insinua

Si contorce

nei lunghi colli.

Note bianche,

su pentagramma di luce.

È  un singhiozzare composto

È un ritmo

È un passo

Una movenza piumata.

Musica e colore

Melodia e pianto

Strepito improvviso

In un tripudio

Di ampie ali di sangue.

Orchestra e spartito

Note

In forme danzanti

Si specchiano nella laguna.

Bellezza triste,

malinconia perenne

della genta rossa.

Alla sinuosa mollezza dei colli

Si oppongono

I trampoli scarlatti

Rigidi a sostenere

Il morbido guanciale di piume

Donde sboccia

Lo stelo del collo.

Fieri dell’orrido rostro

Spaventoso naso

Di un’altra vita

Su un piccolo cranio

Danzare

E nascondono nell’ acqua

La bruttura

Che han trasmesso

In millenni

Ai figli e ai figli dei figli.

Lontano dall’ uomo

Danzano

Al suono di gavotte

Scandite

Dalla tastiera del tempo

Su fogli di madreperla.

Danza triste

Della gente rossa,

eterna e immutabile.

È  orrido,

da presso,

il popolo rosato.

Il becco adunco

I trespoli rigidi

Le membrane scagliose

Di larghi piedi

Sono retaggio di mostri

Grottesca fissità

Del fenicottero imbalsamato:

della danza della laguna

non resta

che il tutù di piume,

squallido ricordo

di un fasto scomparso

triste come le vesti da sposa

scoperte dentro gli armadi

e le case dei morti.

Nulla è più morte

Della falsa vita

Degli uccelli impagliati,

occhi di vetro

e colli torniti e sorretti

con steli metallici.

Spettrali negli angoli

Di oscuri salotti,

requiem senza risposta,

in tombe calde

attendono inchiodati

un’ altra morte

dalle tarme.

Lontano

Sotto i cieli di cenere

Affondano

I becchi gorgoglianti

Nelle acque immobili.

Da un clavicembalo

Nascosto tra i giunchi

Sciamano

Le note della gavotta.

Una dama dai capelli d’argento

La veste violetta,

il collaretto di pizzo,

tra gli accordi

dalla tastiera tarlata

con lunghe diafane dita:

legge le note

sulla pagina

dell’ acqua cinerea

e il filo di perle

trema sul collo scarnito.

Trascolorante laguna,

specchio di tutte le ore,

opale agata cobalto

sangue

oro

tripudio di stelle

merletto di spume

regno della gente rossa.

La gavotta corre

Sulle acque.

La danza sui trampoli rossi

Segna cerchi

Sempre più larghi,

si chiude

in un groviglio di colli,

si dilata

in uno scomposto tumulto.

Due ali

Bianco rosse

Frangiate di nero

Trepidano.

Sbocciano ali,

si innalzano.

Sono mille croci nel cielo.

Un nembo di piume

Si flette sulle acque

E nel silenzio

È un respiro di ali.

Sulle acque

Si diradano cerchi

E cerchi e cerchi.

Piccole onde muoiono

Prima di giungere a riva.

I falaschi protendono

Le foglie lunge

Simili a spade sottili,

a miriadi di dita

contro i taciti cieli.

La canicola di giugno

Si adagia

Sulle acque morte

Sulle arenarie calde,

sulle biade decline

sulle ombrella dei fiori,

sui calici chiusi dei convolvoli,

sugli elicrisi,

sui ginepri del mare,

sui giunchi della riva.

Nel tepore ovattato

Della diffusa chiarità del cielo

I gabbiani volano

Verso i nidi sulle scogliere.

Bianche vele

Ruotano nella conca azzurrina

Sospinte dal brivido

Del loro grido selvaggio.

 

 

Giuseppe  Pau

(poeta oristanese che tanto amava il Sinis)

 

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