Chiesa Ortodossa Russa

I fondamenti della concezione sociale

 

V. Chiesa e politica

 

 

La competizione democratica

            V.1. Nello stato contemporaneo i cittadini partecipano al governo del paese mediante il voto. Una parte notevole di essi appartiene a partiti politici, a movimenti e associazioni, a raggruppamenti politici e ad altre organizzazioni simili basati su diverse dottrine e idee politiche. Queste organizzazioni, aspirando a organizzare la vita della società secondo le convinzioni politiche dei propri membri, hanno tra le loro finalità quella di raggiungere, mantenere o riformare il potere nello stato. Nell'attuazione del mandato ricevuto in virtù del voto popolare nelle elezioni, le organizzazioni politiche possono partecipare all'attività delle strutture del potere legislativo ed esecutivo.

            L'esistenza nella società di convinzioni politiche diverse, e talvolta contrastanti e di interessi antitetici genera una lotta politica, che viene condotta sia con metodi legali e moralmente giustificati, sia a volte con metodi che contrastano con i principi del diritto pubblico e dell'etica cristiana e naturale.

 

La partecipazione della Chiesa alla politica

            V.2. La Chiesa, per comando divino, ha come suo compito quello di essere sollecita per l'unità dei suoi figli, la pace e la concordia nella società, e la partecipazione di tutti i suoi membri al lavoro comune di edificazione della società. La Chiesa è chiamata a predicare e a costruire la pace con tutta la società: «Se è possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti» (Rm 12,18); «cercate di essere in pace con tutti» (Eb 12,14). Ma ancora più importante per essa è l'unità interna nella fede e nell'amore: «fratelli, in nome di Gesù Cristo nostro Signore, vi chiedo che... non vi siano contrasti e divisioni tra voi, ma siate uniti: abbiate gli stessi pensieri e le stesse convinzioni» (1Cor 1,10). Per la Chiesa il valore supremo è la sua unità come corpo mistico di Cristo (Ef 1,23), dalla cui vita incorrotta dipende la salvezza eterna dell'uomo. S. Ignazio Teoforo, rivolgendosi ai membri della Chiesa di Cristo, scrive: «Tutti voi formate di voi stessi l'unico tempio di Dio, l'unico altare, l'unico Gesù».

            Di fronte alle divergenze, ai contrasti e alle lotte della vita politica, la Chiesa predica la pace e la cooperazione fra gli uomini che seguono opinioni politiche diverse. Essa inoltre ammette l'esistenza di convinzioni politiche diverse tra l’episcopato, il clero e i laici, a eccezione di quelle che portino chiaramente ad azioni contrastanti con la dottrina religiosa ortodossa e con i principi morali della tradizione della Chiesa.

            È inammissibile la partecipazione della suprema autorità della Chiesa e dei ministri del culto, e di conseguenza di tutta la gerarchia ecclesiastica, ad attività di carattere politico ed elettorale, quali il sostegno pubblico alle organizzazioni politiche in lizza oppure a singoli candidati, le campagne elettorali ecc. e così via. Non è ammessa la presentazione di candidature di ministri del culto alle elezioni di qualsiasi organo del potere rappresentativo a ogni livello. Nello stesso tempo nulla deve impedire la partecipazione delle autorità ecclesiastiche, dei ministri del culto e dei laici, alla pari degli altri cittadini, all'espressione della volontà popolare mediante il voto.

            Nella storia della Chiesa si ricordano non pochi casi in cui tutta quanta la Chiesa ha offerto il proprio sostegno a diverse dottrine, idee, organizzazioni e personalità politiche. In parecchi tra questi casi tale sostegno era legato alla necessità di difendere gli interessi vitali della Chiesa nelle condizioni estreme delle persecuzioni antireligiose e delle azioni distruttive o restrittive perpetrate dalle autorità non cristiane e non ortodosse. In altri casi un simile sostegno era la conseguenza della pressione del governo o delle strutture politiche, e di solito provocava separazioni e contrasti all'interno della Chiesa e l'allontanamento da essa di alcuni dei fedeli non saldi nella fede.

            Nel XX secolo i ministri del culto e le autorità della Chiesa ortodossa russa sono entrati a far parte di diversi organi elettivi del potere, in particolare della Duma di stato dell'impero russo, dei soviet supremi dell'URSS e della Federazione russa, e di una serie di consigli locali e di assemblee legislative. In alcuni casi la partecipazione dei ministri del culto all'attività degli organi del potere ha recato un vantaggio alla Chiesa e alla società, tuttavia non di rado tale partecipazione ha provocato confusione e divisioni. Ciò si è verificato in particolare quando fu consentita l'adesione dei ministri del culto solamente a determinati gruppi parlamentari, e quando alcuni sacerdoti presentarono la propria candidatura ad alcune cariche elettive senza il consenso della Chiesa. In complesso questa partecipazione ha dimostrato che in pratica una tal cosa era impossibile senza che ci si assumesse la responsabilità di adottare decisioni che rispondevano agli interessi di una sola parte della popolazione ma contrastavano con gli interessi di un'altra parte. Questa situazione complica seriamente l'attività pastorale e missionaria del ministro del culto, chiamato, secondo le parole dell'apostolo Paolo, a essere «per tutti... per portare a Cristo il più gran numero possibile di persone» (1 Cor 9,19). Nello stesso tempo la storia insegna che la decisione dei ministri del culto di partecipare o meno all'attività politica è stata e deve essere assunta sulla base delle necessità di ciascuna epoca, tenendo conto della condizione interna dell'organismo ecclesiale e della sua posizione nello stato. Tuttavia, dal punto di vista canonico, la questione se il ministro del culto che occupa un posto di governo debba lavorare a livello professionale viene risolta inequivocabilmente in senso negativo.

            L'8 ottobre 1919, s. Tichon si rivolse al clero della Chiesa russa con un messaggio, nel quale invitava i sacerdoti a non interferire con la lotta politica e, in particolare, affermava che i servi della Chiesa «secondo la propria dignità devono stare al di sopra e al di fuori di ogni interesse politico, devono tenere a mente le norme canoniche della santa Chiesa, con le quali essa proibisce ai suoi servi di intromettersi nella vita politica del paese, di appartenere a qualsivoglia partito politico, e a maggior ragione di trasformare riti religiosi e celebrazioni liturgiche in uno strumento di dimostrazioni politiche».

            Alla vigilia delle elezioni dei deputati del popolo dell'URSS, il santo Sinodo, il 27 dicembre 1988, stabilì «di benedire i rappresentanti della nostra Chiesa, nel caso della loro affermazione e della loro elezione come deputati del popolo, per questa attività, esprimendo con questo la nostra fiducia che essa servirà al bene dei credenti e di tutta la nostra società». Oltre a essere eletti come deputati del popolo dell'URSS, una serie di alti prelati e di sacerdoti occuparono posti di deputato nei soviet repubblicani, regionali e locali.

            Le nuove condizioni della vita politica stimolarono il Sinodo dei vescovi della Chiesa ortodossa russa nell'ottobre 1989 a rivolgere una grande attenzione all'esame di due problemi: «in primo luogo, fino a che punto la Chiesa possa assumersi responsabilità in ordine alle decisioni politiche senza compromettere la sua autorità pastorale, e, in secondo luogo, se sia lecito alla Chiesa rinunciare a partecipare alla creazione delle leggi e alla possibilità di esercitare la sua influenza morale sul processo politico, quando dall'assunzione di una decisione dipende la sorte del paese». In seguito a questa riflessione, il Sinodo dei vescovi riconobbe che la definizione del santo Sinodo del 27 dicembre 1988 riguardava solo le elezioni del passato. Per il futuro invece fu assunto un regolamento, secondo il quale il problema dell'opportunità della partecipazione di rappresentanti del clero alle campagne elettorali deve essere decisa preliminarmente caso per caso dalle autorità supreme della Chiesa (il santo Sinodo per l'episcopato, i vescovi per il clero subordinato).

            Alcuni rappresentanti del clero, senza aver ricevuto la debita autorizzazione, parteciparono tuttavia alle elezioni. Il santo Sinodo del 20 marzo 1990 con rammarico dichiarò che «la Chiesa ortodossa russa respinge la responsabilità morale e religiosa della partecipazione di queste persone agli organi elettivi del potere». Per ragioni di oikonomia il Sinodo si astenne dall'applicare ai trasgressori della disciplina le sanzioni dovute «constatando che tale comportamento ricade sulla loro coscienza».

            L'8 ottobre 1993, in vista della creazione in Russia di un parlamento di politici di professione, durante la sessione allargata del santo Sinodo fu presa la decisione di ordinare ai ministri del culto di astenersi dal partecipare alle elezioni parlamentari russe in qualità di candidati deputati. Dalla corrispondente ordinanza sinodale fu stabilito che i ministri del culto che l'avessero violata sarebbero stati destituiti dalla dignità ecclesiastica. Il Sinodo dei vescovi della Chiesa ortodossa russa del 1994 approvò questa ordinanza del santo Sinodo «come tempestiva a saggia», ed estese la sua validità «alla partecipazione anche in futuro dei ministri del culto della Chiesa ortodossa russa alle elezioni di tutti gli organi del potere elettivo dei paesi della CSI e del Baltico a livello sia nazionale che locale».

            Lo stesso Sinodo dei vescovi, in fedeltà ai santi canoni, rispondendo alle sfide della realtà contemporanea, stabilì una serie di norme importantissime, riguardanti il tema in esame. Così, in una delle deliberazioni del Sinodo dei vescovi si dice: «Si conferma l'inammissibilità per tutta la gerarchia ecclesiastica di appoggiare un qualsivoglia partito politico, movimento, coalizione, associazione e organizzazione politica analoga, e anche loro singoli attivisti, in primo luogo durante le campagne elettorali... Si ritiene pure estremamente disdicevole l'appartenenza dei ministri del culto a partiti politici, movimenti, associazioni, coalizioni politiche e organizzazioni simili che conducono in primo luogo a una battaglia elettorale».

            Il Sinodo dei vescovi che si tenne nel 1997 sviluppò i principi dei rapporti tra la Chiesa e le organizzazioni politiche e ribadì una delle deliberazioni del precedente Sinodo che non aveva acconsentito a che i ministri del culto entrassero a far parte di associazioni politiche. Nella definizione del Sinodo «Sulle relazioni con lo stato e la società laica», in particolare, si dice: «Si incoraggiano il dialogo e i rapporti della Chiesa con le organizzazioni politiche nel caso in cui tali rapporti non abbiano carattere di sostegno politico. Si ritiene ammissibile la collaborazione con tali organizzazioni per scopi utili alla Chiesa e al popolo, escludendo di interpretare tale collaborazione come sostegno politico... Si ritiene inammissibile la partecipazione dei dignitari ecclesiastici e dei ministri del culto a qualsivoglia campagna elettorale così come la loro appartenenza ad associazioni politiche, i cui statuti prevedano la designazione dei propri candidati a posti pubblici elettivi di tutti i livelli».

            Il fatto che tutta la gerarchia ecclesiastica si astenga dal partecipare alla lotta politica, all'attività dei partiti politici e alle procedure elettorali non significa la sua rinuncia a esprimere pubblicamente le sue posizioni su questioni socialmente rilevanti e a presentare queste posizioni agli organi di potere di qualsiasi paese a qualunque livello. Tali posizioni sono espresse esclusivamente dai Sinodi della Chiesa, dalle supreme autorità ecclesiastiche e da coloro che ne hanno ricevuto l'autorizzazione. In ogni caso il loro diritto di espressione non può essere delegato a istituzioni dello stato, alle organizzazioni politiche o ad altre associazioni laiche.

 

La partecipazione dei laici ortodossi
alla politica

            V.3. Nulla impedisce la partecipazione dei laici ortodossi all'attività degli organi del potere legislativo, esecutivo e giudiziario e delle organizzazioni politiche. Anzi, tale partecipazione, se si compie in conformità con la dottrina della Chiesa, con i suoi principi morali e con la sua posizione ufficiale sulle questioni sociali, è una delle forme della missione della Chiesa nella società. I laici possono anche essere chiamati, compiendo il proprio dovere civile, a partecipare ai processi connessi con le elezioni delle autorità di tutti i livelli, e a dare il proprio contributo per ogni iniziativa moralmente giusta dello stato.

            La storia della Chiesa ortodossa ha conservato una grande quantità di esempi della più attiva partecipazione di laici alla gestione dello stato, all'attività delle associazioni politiche o di altre associazioni civili. Tale partecipazione è avvenuta nel contesto di diversi sistemi di ordinamento statale: autocrazia, monarchia costituzionale e varie forme del sistema repubblicano. La partecipazione dei laici ortodossi alle attività civili e politiche è stata ostacolata solo sotto il dominio delle ideologie non cristiane e sotto il regime dell'ateismo di stato.

            Partecipando al governo dello stato e ai processi politici, il laico ortodosso è chiamato a fondare la propria attività sui principi della morale evangelica, sull'unità di giustizia e carità (Sal 85,11), sulla sollecitudine per il bene spirituale e materiale delle persone, sull'amore per la patria e sull'aspirazione a trasfigurare il mondo secondo la parola di Cristo.

            Nello stesso tempo, il cristiano – politico o uomo di stato – deve avere chiara coscienza che nella realtà storica, e tanto più nel contesto della società odierna divisa e piena di contraddizioni, la maggior parte delle decisioni prese e delle azioni politiche compiute tende a giovare a una sola parte della società e nello stesso tempo limita o danneggia gli interessi e i desideri di altri. Molte delle menzionate decisioni e azioni sono inevitabilmente connesse col peccato o con la connivenza col peccato. Proprio per questo da un politico o un uomo di stato ortodossi si richiede la massima sensibilità spirituale e morale.

            Il cristiano che lavora nel campo dell'edificazione della vita pubblica e politica è chiamato ad acquisire il dono di un particolare spirito di sacrificio e di una particolare abnegazione. A lui è assolutamente indispensabile essere attento alla propria condizione spirituale, per non consentire che la sua attività pubblica o politica si trasformi, da servizio qual è, in un'attività fine a se stessa, che alimenta la superbia, l'avidità e altri vizi. È opportuno ricordare che «Troni, Dominazioni, Principati e Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui» (Col 1,16-17). S. Gregorio il Teologo (Nazianzeno), rivolgendosi ai governanti, scriveva: «Con Cristo tu comandi, con Cristo governi: da lui infatti hai ricevuto la spada». S. Giovanni Crisostomo dice: «Vero sovrano è colui che vince l'ira e l'invidia e la sensualità, sottomette tutto alle leggi di Dio, mantiene libera la sua mente e non permette che la passione per i piaceri abbia il sopravvento sulla sua anima. Un tale uomo desidererei vederlo governare sui popoli, sulla terra e sul mare, e sulle città e sulle regioni, e sugli eserciti; perché colui che ha sottomesso le passioni dell'anima alla ragione, costui governerebbe facilmente anche gli uomini secondo le leggi di Dio...  Colui invece che in apparenza governa gli uomini, ma è schiavo dell'ira e dell'ambizione e dei piaceri, costui... non saprà come gestire il potere».

 

La posizione distinta
di laici e gerarchia

            V.4. La partecipazione dei laici ortodossi all'attività degli organi del potere e ai processi politici può essere sia individuale che inserita nel contesto di particolari organizzazioni politiche cristiane (ortodosse) o di settori cristiani (ortodossi) di associazioni politiche più ampie. In entrambi i casi i figli della Chiesa hanno la libertà di scegliere e di esprimere le proprie opinioni politiche, di prendere decisioni e di collaborare per attuarle. Nello stesso tempo, i laici che partecipano all'attività pubblica o politica individualmente o nel contesto di diverse organizzazioni, lo fanno in maniera autonoma, senza identificare la propria attività politica con la posizione di tutta la gerarchia ecclesiastica o di una qualsivoglia istituzione ecclesiastica canonica, e senza esprimersi pubblicamente a loro nome. Con questo, la suprema autorità della Chiesa non concede alcuna speciale autorizzazione per l'attività politica dei laici.

            Il Sinodo dei vescovi della Chiesa ortodossa russa del 1994 deliberò di considerare ammissibile l'appartenenza a organizzazioni politiche «dei laici e la creazione da parte loro di tali organizzazioni, che, qualora si definiscano cristiane e ortodosse, sono chiamate a una stretta cooperazione con la suprema autorità ecclesiastica. È inoltre ammesso che i ministri del culto, compresi coloro che rappresentano strutture ecclesiastiche canoniche e la suprema autorità della Chiesa, partecipino a singole iniziative di organizzazioni politiche e che cooperino con esse in attività utili per la Chiesa e per la società, nel caso in cui questa partecipazione e questa collaborazione non abbiano il carattere di un sostegno a organizzazioni politiche e servano all'edificazione della pace e della concordia nel popolo e nella comunità ecclesiale».

            In un’analoga risoluzione del Sinodo dei vescovi del 1997, in particolare, si dice: «Si ritiene ammissibile la partecipazione dei laici ad attività di organizzazioni politiche e la creazione da parte loro di tali organizzazioni nel caso in cui queste ultime non abbiano tra i propri componenti dei ministri del culto e tengano un collegamento di tipo consultivo con la suprema autorità della Chiesa. Si delibera che simili organizzazioni, come quelle che partecipano al processo politico, non possono avere l'autorizzazione della suprema autorità della Chiesa né possono parlare a nome della Chiesa. Non possono ricevere l'autorizzazione ecclesiastica, ma, ove concessa, la perdono, quelle organizzazioni di natura socio-ecclesiale interessate alla lotta politica e alla propaganda elettorale che spacciano la propria opinione per il giudizio della Chiesa, giudizio che invece viene espresso di fronte allo stato e alla società esclusivamente dai Concili ecclesiastici, da sua santità il Patriarca e dal santo Sinodo. Le medesime considerazioni valgono per i mass media ecclesiali ufficiali e per gli organi di informazione di carattere socio-ecclesiale».

            L'esistenza di organizzazioni politiche cristiane (ortodosse), e di settori cristiani (ortodossi) all'interno di più ampie associazioni politiche, è accolta dalla Chiesa come un fatto positivo, che aiuta i laici a realizzare in armonia e concordia un'attività politica e pubblica sulla base dei principi spirituali e morali cristiani. Le menzionate organizzazioni, essendo libere nella propria attività, nello stesso tempo sono invitate a consigliarsi con la suprema autorità della Chiesa e a coordinare le azioni nell’attuare le direttive della Chiesa sulle questioni sociali.

            Nelle relazioni tra la gerarchia ecclesiastica e le organizzazioni politiche cristiane (ortodosse), alla cui attività partecipano laici ortodossi, e particolarmente politici e uomini di stato ortodossi, possono nascere situazioni in cui le dichiarazioni o le azioni di queste organizzazioni e di queste persone divergono sostanzialmente dalla posizione di tutta la Chiesa sui problemi sociali o impediscono la realizzazione pratica di tale posizione. In casi simili la suprema autorità della Chiesa accerta la divergenza delle posizioni e la dichiara pubblicamente per evitare turbamento e malintesi tra i credenti e nella società nel suo complesso. La dichiarazione della Chiesa riguardo a tale divergenza deve indurre il laico ortodosso, che partecipa all'attività politica, a riflettere sull’opportunità di continuare ad appartenere all’organizzazione politica in questione.

            Le organizzazioni dei cristiani ortodossi non devono avere il carattere di società segrete, che presuppongono l'esclusiva subordinazione ai propri leader e il rifiuto consapevole e accettato di rivelare la sostanza dell'attività dell'organizzazione nel corso di consultazioni con le autorità della Chiesa e persino in confessione. La Chiesa non può approvare la partecipazione di laici ortodossi, e a maggior ragione di ministri del culto, a società non ortodosse di tale genere, in quanto esse, per loro stessa natura, allontanano l'uomo dalla fedeltà totale alla Chiesa di Dio e al suo ordinamento canonico.

 

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