I fondamenti
della concezione sociale
La
competizione democratica
V.1. Nello stato
contemporaneo i cittadini partecipano al governo del paese mediante il voto.
Una parte notevole di essi appartiene a partiti politici, a movimenti e
associazioni, a raggruppamenti politici e ad altre organizzazioni simili basati
su diverse dottrine e idee politiche. Queste organizzazioni, aspirando a
organizzare la vita della società secondo le convinzioni politiche dei propri
membri, hanno tra le loro finalità quella di raggiungere, mantenere o riformare
il potere nello stato. Nell'attuazione del mandato ricevuto in virtù del voto
popolare nelle elezioni, le organizzazioni politiche possono partecipare
all'attività delle strutture del potere legislativo ed esecutivo.
L'esistenza nella società di
convinzioni politiche diverse, e talvolta contrastanti e di interessi
antitetici genera una lotta politica, che viene condotta sia con metodi legali
e moralmente giustificati, sia a volte con metodi che contrastano con i
principi del diritto pubblico e dell'etica cristiana e naturale.
V.2. La
Chiesa, per comando divino, ha come suo compito quello di essere sollecita per
l'unità dei suoi figli, la pace e la concordia nella società, e la
partecipazione di tutti i suoi membri al lavoro comune di edificazione della
società. La Chiesa è chiamata a predicare e a costruire la pace con tutta la
società: «Se è possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti»
(Rm 12,18); «cercate di essere in pace con tutti» (Eb 12,14). Ma ancora più
importante per essa è l'unità interna nella fede e nell'amore: «fratelli, in
nome di Gesù Cristo nostro Signore, vi chiedo che... non vi siano contrasti e
divisioni tra voi, ma siate uniti: abbiate gli stessi pensieri e le stesse
convinzioni» (1Cor 1,10). Per la Chiesa il valore supremo è la sua unità come
corpo mistico di Cristo (Ef 1,23), dalla cui vita incorrotta dipende la
salvezza eterna dell'uomo. S. Ignazio Teoforo, rivolgendosi ai membri della
Chiesa di Cristo, scrive: «Tutti voi formate di voi stessi l'unico tempio di
Dio, l'unico altare, l'unico Gesù».
Di
fronte alle divergenze, ai contrasti e alle lotte della vita politica, la
Chiesa predica la pace e la cooperazione fra gli uomini che seguono opinioni
politiche diverse. Essa inoltre ammette l'esistenza di convinzioni politiche
diverse tra l’episcopato, il clero e i laici, a eccezione di quelle che portino
chiaramente ad azioni contrastanti con la dottrina religiosa ortodossa e con i
principi morali della tradizione della Chiesa.
È
inammissibile la partecipazione della suprema autorità della Chiesa e dei
ministri del culto, e di conseguenza di tutta la gerarchia ecclesiastica, ad
attività di carattere politico ed elettorale, quali il sostegno pubblico alle
organizzazioni politiche in lizza oppure a singoli candidati, le campagne
elettorali ecc. e così via. Non è ammessa la presentazione di candidature di ministri
del culto alle elezioni di qualsiasi organo del potere rappresentativo a ogni
livello. Nello stesso tempo nulla deve impedire la partecipazione delle
autorità ecclesiastiche, dei ministri del culto e dei laici, alla pari degli
altri cittadini, all'espressione della volontà popolare mediante il voto.
Nella storia della Chiesa si
ricordano non pochi casi in cui tutta quanta la Chiesa ha offerto il proprio
sostegno a diverse dottrine, idee, organizzazioni e personalità politiche. In
parecchi tra questi casi tale sostegno era legato alla necessità di difendere
gli interessi vitali della Chiesa nelle condizioni estreme delle persecuzioni
antireligiose e delle azioni distruttive o restrittive perpetrate dalle
autorità non cristiane e non ortodosse. In altri casi un simile sostegno era la
conseguenza della pressione del governo o delle strutture politiche, e di
solito provocava separazioni e contrasti all'interno della Chiesa e
l'allontanamento da essa di alcuni dei fedeli non saldi nella fede.
Nel XX secolo i ministri del culto e
le autorità della Chiesa ortodossa russa sono entrati a far parte di diversi
organi elettivi del potere, in particolare della Duma di stato dell'impero
russo, dei soviet supremi dell'URSS e della Federazione russa, e di una serie di
consigli locali e di assemblee legislative. In alcuni casi la partecipazione
dei ministri del culto all'attività degli organi del potere ha recato un
vantaggio alla Chiesa e alla società, tuttavia non di rado tale partecipazione
ha provocato confusione e divisioni. Ciò si è verificato in particolare quando
fu consentita l'adesione dei ministri del culto solamente a determinati gruppi
parlamentari, e quando alcuni sacerdoti presentarono la propria candidatura ad
alcune cariche elettive senza il consenso della Chiesa. In complesso questa
partecipazione ha dimostrato che in pratica una tal cosa era impossibile senza
che ci si assumesse la responsabilità di adottare decisioni che rispondevano
agli interessi di una sola parte della popolazione ma contrastavano con gli
interessi di un'altra parte. Questa situazione complica seriamente l'attività
pastorale e missionaria del ministro del culto, chiamato, secondo le parole
dell'apostolo Paolo, a essere «per tutti... per portare a Cristo il più gran
numero possibile di persone» (1 Cor 9,19). Nello stesso tempo la storia insegna
che la decisione dei ministri del culto di partecipare o meno all'attività
politica è stata e deve essere assunta sulla base delle necessità di ciascuna
epoca, tenendo conto della condizione interna dell'organismo ecclesiale e della
sua posizione nello stato. Tuttavia, dal punto di vista canonico, la questione
se il ministro del culto che occupa un posto di governo debba lavorare a
livello professionale viene risolta inequivocabilmente in senso negativo.
L'8 ottobre 1919, s. Tichon si
rivolse al clero della Chiesa russa con un messaggio, nel quale invitava i
sacerdoti a non interferire con la lotta politica e, in particolare, affermava
che i servi della Chiesa «secondo la propria dignità devono stare al di sopra e
al di fuori di ogni interesse politico, devono tenere a mente le norme
canoniche della santa Chiesa, con le quali essa proibisce ai suoi servi di
intromettersi nella vita politica del paese, di appartenere a qualsivoglia
partito politico, e a maggior ragione di trasformare riti religiosi e
celebrazioni liturgiche in uno strumento di dimostrazioni politiche».
Alla vigilia delle elezioni dei
deputati del popolo dell'URSS, il santo Sinodo, il 27 dicembre 1988, stabilì
«di benedire i rappresentanti della nostra Chiesa, nel caso della loro
affermazione e della loro elezione come deputati del popolo, per questa
attività, esprimendo con questo la nostra fiducia che essa servirà al bene dei
credenti e di tutta la nostra società». Oltre a essere eletti come deputati del
popolo dell'URSS, una serie di alti prelati e di sacerdoti occuparono posti di
deputato nei soviet repubblicani, regionali e locali.
Le nuove condizioni della vita
politica stimolarono il Sinodo dei vescovi della Chiesa ortodossa russa
nell'ottobre 1989 a rivolgere una grande attenzione all'esame di due problemi:
«in primo luogo, fino a che punto la Chiesa possa assumersi responsabilità in
ordine alle decisioni politiche senza compromettere la sua autorità pastorale,
e, in secondo luogo, se sia lecito alla Chiesa rinunciare a partecipare alla
creazione delle leggi e alla possibilità di esercitare la sua influenza morale
sul processo politico, quando dall'assunzione di una decisione dipende la sorte
del paese». In seguito a questa riflessione, il Sinodo dei vescovi riconobbe
che la definizione del santo Sinodo del 27 dicembre 1988 riguardava solo le
elezioni del passato. Per il futuro invece fu assunto un regolamento, secondo
il quale il problema dell'opportunità della partecipazione di rappresentanti
del clero alle campagne elettorali deve essere decisa preliminarmente caso per
caso dalle autorità supreme della Chiesa (il santo Sinodo per l'episcopato, i
vescovi per il clero subordinato).
Alcuni rappresentanti del clero,
senza aver ricevuto la debita autorizzazione, parteciparono tuttavia alle
elezioni. Il santo Sinodo del 20 marzo 1990 con rammarico dichiarò che «la
Chiesa ortodossa russa respinge la responsabilità morale e religiosa della
partecipazione di queste persone agli organi elettivi del potere». Per ragioni
di oikonomia il Sinodo si astenne
dall'applicare ai trasgressori della disciplina le sanzioni dovute «constatando
che tale comportamento ricade sulla loro coscienza».
L'8 ottobre 1993, in vista della
creazione in Russia di un parlamento di politici di professione, durante la
sessione allargata del santo Sinodo fu presa la decisione di ordinare ai
ministri del culto di astenersi dal partecipare alle elezioni parlamentari
russe in qualità di candidati deputati. Dalla corrispondente ordinanza sinodale
fu stabilito che i ministri del culto che l'avessero violata sarebbero stati
destituiti dalla dignità ecclesiastica. Il Sinodo dei vescovi della Chiesa
ortodossa russa del 1994 approvò questa ordinanza del santo Sinodo «come
tempestiva a saggia», ed estese la sua validità «alla partecipazione anche in
futuro dei ministri del culto della Chiesa ortodossa russa alle elezioni di
tutti gli organi del potere elettivo dei paesi della CSI e del Baltico a
livello sia nazionale che locale».
Lo stesso Sinodo dei vescovi, in
fedeltà ai santi canoni, rispondendo alle sfide della realtà contemporanea,
stabilì una serie di norme importantissime, riguardanti il tema in esame. Così,
in una delle deliberazioni del Sinodo dei vescovi si dice: «Si conferma
l'inammissibilità per tutta la gerarchia ecclesiastica di appoggiare un
qualsivoglia partito politico, movimento, coalizione, associazione e
organizzazione politica analoga, e anche loro singoli attivisti, in primo luogo
durante le campagne elettorali... Si ritiene pure estremamente disdicevole
l'appartenenza dei ministri del culto a partiti politici, movimenti,
associazioni, coalizioni politiche e organizzazioni simili che conducono in
primo luogo a una battaglia elettorale».
Il Sinodo dei vescovi che si tenne
nel 1997 sviluppò i principi dei rapporti tra la Chiesa e le organizzazioni
politiche e ribadì una delle deliberazioni del precedente Sinodo che non aveva
acconsentito a che i ministri del culto entrassero a far parte di associazioni
politiche. Nella definizione del Sinodo «Sulle relazioni con lo stato e la
società laica», in particolare, si dice: «Si incoraggiano il dialogo e i
rapporti della Chiesa con le organizzazioni politiche nel caso in cui tali
rapporti non abbiano carattere di sostegno politico. Si ritiene ammissibile la
collaborazione con tali organizzazioni per scopi utili alla Chiesa e al popolo,
escludendo di interpretare tale collaborazione come sostegno politico... Si
ritiene inammissibile la partecipazione dei dignitari ecclesiastici e dei
ministri del culto a qualsivoglia campagna elettorale così come la loro
appartenenza ad associazioni politiche, i cui statuti prevedano la designazione
dei propri candidati a posti pubblici elettivi di tutti i livelli».
Il
fatto che tutta la gerarchia ecclesiastica si astenga dal partecipare alla
lotta politica, all'attività dei partiti politici e alle procedure elettorali
non significa la sua rinuncia a esprimere pubblicamente le sue posizioni su
questioni socialmente rilevanti e a presentare queste posizioni agli organi di
potere di qualsiasi paese a qualunque livello. Tali posizioni sono espresse
esclusivamente dai Sinodi della Chiesa, dalle supreme autorità ecclesiastiche e
da coloro che ne hanno ricevuto l'autorizzazione. In ogni caso il loro diritto
di espressione non può essere delegato a istituzioni dello stato, alle
organizzazioni politiche o ad altre associazioni laiche.
La partecipazione dei laici ortodossi
alla politica
V.3. Nulla
impedisce la partecipazione dei laici ortodossi all'attività degli organi del
potere legislativo, esecutivo e giudiziario e delle organizzazioni politiche. Anzi, tale
partecipazione, se si compie in conformità con la dottrina della Chiesa, con i
suoi principi morali e con la sua posizione ufficiale sulle questioni sociali,
è una delle forme della missione della Chiesa nella società. I laici possono
anche essere chiamati, compiendo il proprio dovere civile, a partecipare ai
processi connessi con le elezioni delle autorità di tutti i livelli, e a dare
il proprio contributo per ogni iniziativa moralmente giusta dello stato.
La
storia della Chiesa ortodossa ha conservato una grande quantità di esempi della
più attiva partecipazione di laici alla gestione dello stato, all'attività
delle associazioni politiche o di altre associazioni civili. Tale
partecipazione è avvenuta nel contesto di diversi sistemi di ordinamento
statale: autocrazia, monarchia costituzionale e varie forme del sistema
repubblicano. La partecipazione dei laici ortodossi alle attività civili e
politiche è stata ostacolata solo sotto il dominio delle ideologie non
cristiane e sotto il regime dell'ateismo di stato.
Partecipando
al governo dello stato e ai processi politici, il laico ortodosso è chiamato a
fondare la propria attività sui principi della morale evangelica, sull'unità di
giustizia e carità (Sal 85,11), sulla sollecitudine per il bene spirituale e
materiale delle persone, sull'amore per la patria e sull'aspirazione a
trasfigurare il mondo secondo la parola di Cristo.
Nello stesso
tempo, il cristiano – politico o uomo di stato – deve avere chiara coscienza
che nella realtà storica, e tanto più nel contesto della società odierna divisa
e piena di contraddizioni, la maggior parte delle decisioni prese e delle
azioni politiche compiute tende a giovare a una sola parte della società e
nello stesso tempo limita o danneggia gli interessi e i desideri di altri. Molte delle menzionate decisioni e azioni
sono inevitabilmente connesse col peccato o con la connivenza col peccato.
Proprio per questo da un politico o un uomo di stato ortodossi si richiede la
massima sensibilità spirituale e morale.
Il
cristiano che lavora nel campo dell'edificazione della vita pubblica e politica
è chiamato ad acquisire il dono di un particolare spirito di sacrificio e
di una particolare abnegazione. A lui è assolutamente indispensabile essere
attento alla propria condizione spirituale, per non consentire che la sua attività pubblica o politica si trasformi, da
servizio qual è, in un'attività fine a se stessa, che alimenta la superbia,
l'avidità e altri vizi. È opportuno ricordare che «Troni, Dominazioni,
Principati e Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in
vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui» (Col
1,16-17). S. Gregorio il Teologo (Nazianzeno), rivolgendosi ai governanti,
scriveva: «Con Cristo tu comandi, con Cristo governi: da lui infatti hai
ricevuto la spada». S. Giovanni Crisostomo dice: «Vero sovrano è colui che
vince l'ira e l'invidia e la sensualità, sottomette tutto alle leggi di Dio,
mantiene libera la sua mente e non permette che la passione per i piaceri abbia
il sopravvento sulla sua anima. Un tale uomo desidererei vederlo governare sui
popoli, sulla terra e sul mare, e sulle città e sulle regioni, e sugli
eserciti; perché colui che ha sottomesso le passioni dell'anima alla ragione,
costui governerebbe facilmente anche gli uomini secondo le leggi di Dio... Colui invece che in apparenza governa gli
uomini, ma è schiavo dell'ira e dell'ambizione e dei piaceri, costui... non
saprà come gestire il potere».
La posizione distinta
di laici e gerarchia
V.4. La
partecipazione dei laici ortodossi all'attività degli organi del potere e ai
processi politici può essere sia individuale che inserita nel contesto di
particolari organizzazioni politiche cristiane (ortodosse) o di settori
cristiani (ortodossi) di associazioni politiche più ampie. In entrambi i casi i
figli della Chiesa hanno la libertà di scegliere e di esprimere le proprie
opinioni politiche, di prendere decisioni e di collaborare per attuarle. Nello
stesso tempo, i laici che partecipano
all'attività pubblica o politica individualmente o nel contesto di diverse
organizzazioni, lo fanno in maniera autonoma, senza identificare la propria
attività politica con la posizione di tutta la gerarchia ecclesiastica o di una
qualsivoglia istituzione ecclesiastica canonica, e senza esprimersi
pubblicamente a loro nome. Con questo, la suprema autorità della Chiesa non
concede alcuna speciale autorizzazione per l'attività politica dei laici.
Il Sinodo dei
vescovi della Chiesa ortodossa russa del 1994 deliberò di considerare
ammissibile l'appartenenza a organizzazioni politiche «dei laici e la creazione
da parte loro di tali organizzazioni, che, qualora si definiscano cristiane e
ortodosse, sono chiamate a una stretta cooperazione con la suprema autorità
ecclesiastica. È inoltre ammesso che i ministri del culto, compresi coloro che
rappresentano strutture ecclesiastiche canoniche e la suprema autorità della Chiesa,
partecipino a singole iniziative di organizzazioni politiche e che cooperino
con esse in attività utili per la Chiesa e per la società, nel caso in cui
questa partecipazione e questa collaborazione non abbiano il carattere di un
sostegno a organizzazioni politiche e servano all'edificazione della pace e
della concordia nel popolo e nella comunità ecclesiale».
In un’analoga risoluzione del Sinodo
dei vescovi del 1997, in particolare, si dice: «Si ritiene ammissibile la
partecipazione dei laici ad attività di organizzazioni politiche e la creazione
da parte loro di tali organizzazioni nel caso in cui queste ultime non abbiano
tra i propri componenti dei ministri del culto e tengano un collegamento di
tipo consultivo con la suprema autorità della Chiesa. Si delibera che simili
organizzazioni, come quelle che partecipano al processo politico, non possono
avere l'autorizzazione della suprema autorità della Chiesa né possono parlare a
nome della Chiesa. Non possono ricevere l'autorizzazione ecclesiastica, ma, ove
concessa, la perdono, quelle organizzazioni di natura socio-ecclesiale
interessate alla lotta politica e alla propaganda elettorale che spacciano la
propria opinione per il giudizio della Chiesa, giudizio che invece viene
espresso di fronte allo stato e alla società esclusivamente dai Concili
ecclesiastici, da sua santità il Patriarca e dal santo Sinodo. Le medesime
considerazioni valgono per i mass media ecclesiali ufficiali e per gli organi
di informazione di carattere socio-ecclesiale».
L'esistenza
di organizzazioni politiche cristiane (ortodosse), e di settori cristiani
(ortodossi) all'interno di più ampie associazioni politiche, è accolta dalla
Chiesa come un fatto positivo, che aiuta i laici a realizzare in armonia e
concordia un'attività politica e pubblica sulla base dei principi spirituali e
morali cristiani. Le menzionate organizzazioni, essendo libere nella propria
attività, nello stesso tempo sono invitate a consigliarsi con la suprema
autorità della Chiesa e a coordinare le azioni nell’attuare le direttive della
Chiesa sulle questioni sociali.
Nelle
relazioni tra la gerarchia ecclesiastica e le organizzazioni politiche
cristiane (ortodosse), alla cui attività partecipano laici ortodossi, e
particolarmente politici e uomini di stato ortodossi, possono nascere
situazioni in cui le dichiarazioni o le azioni di queste organizzazioni e di
queste persone divergono sostanzialmente dalla posizione di tutta la Chiesa sui
problemi sociali o impediscono la realizzazione pratica di tale posizione. In casi
simili la suprema autorità della Chiesa accerta la divergenza delle posizioni e
la dichiara pubblicamente per evitare turbamento e malintesi tra i credenti e
nella società nel suo complesso. La
dichiarazione della Chiesa riguardo a tale divergenza deve indurre il laico
ortodosso, che partecipa all'attività politica, a riflettere sull’opportunità
di continuare ad appartenere all’organizzazione politica in questione.
Le organizzazioni dei cristiani
ortodossi non devono avere il carattere di società segrete, che presuppongono
l'esclusiva subordinazione ai propri leader e il rifiuto consapevole e
accettato di rivelare la sostanza dell'attività dell'organizzazione nel corso
di consultazioni con le autorità della Chiesa e persino in confessione. La
Chiesa non può approvare la partecipazione di laici ortodossi, e a maggior
ragione di ministri del culto, a società non ortodosse di tale genere, in
quanto esse, per loro stessa natura, allontanano l'uomo dalla fedeltà totale
alla Chiesa di Dio e al suo ordinamento canonico.