L'AGRO, PRIMA SEDE UMANA

LA PREISTORIA

Il litorale adriatico pugliese, grazie alla mitezza del clima e alla feracità del suolo, fu antichissima sede umana.

In un'epoca lontanissima, circa 80 mila anni fa, quando gli uomini non avevano ancora imparato a levigare le pietre per i loro usi, ma si limitavano a scheggiarle (età paleolitica), abitò le grotte del territorio una popolazione di stirpe mediterranea, rozza, selvaggia, che si nutriva di erbe e selvaggina. Ne provano la presenza e l'attività le pietre scheggiate, che furono le prime armi e i primi utensili.

A 7 Km. dal paese, lungo la via per Corato, il suolo cede rapidamente a formare un'ampia lama su cui scorre d'inverno il torrente delle Lame che provenendo da Corato si versava un tempo nel porto. Qui, nelle contrade S. Croce e Matina degli Staffi, si aprono, per un tratto di m. 500, alcune grotte, tra cui quella di S. Croce, la più grande, a m. 120 sul livello del mare. Sull'arco della bocca dell'antro si rinvennero alcune croci, attribuite ai primi cristiani o, più probabilmente, opera di monaci bizantini.

La grotta offre un quadro completo del periodo medio del paleolitico (musteriano) in Puglia. Da un ingresso, largo m. 12 e alto m. 11 circa, si avanza per circa m. 100 su un terreno sconvolto da varie cause (tane di volpi, tassi, ecc.).

Al primo camerone segue uno più piccolo, diviso da un arco che gira a gomito verso sinistra. Nella grotta si trovarono ossa bruciacchiate di animali e oggetti di creta scheggiata del paleolitico medio, cuspidi e cocci di ceramica neolitica nonché resti di animali di specie scomparsa (leone cavernicolo, orso delle caverne, buoi e cavalli primigeni) e di specie recente (rinoceronte, iena, cervo). I cocci sono diversi tra loro per impasto e decorazione. Circa la cottura, se ne distingue una più antica e imperfetta e una più recente, accurata e finemente incisa. Circa la decorazione, il motivo più frequente è l'incisione sulla creta ancor molle, eseguita a piccoli tratti che solcano profondamente la superficie liscia.

I reperti di S. Croce e di altre zone dell'agro permisero di allestire il piccolo Museo preistorico comunale, realizzato dalla passione di Saverio Majellaro, un modesto impiegato daziario, autodidatta, studioso di archeologia, cui si devono la scoperta e la valorizzazione delle zone preistoriche dell'agro.

Alla collezione del Museo manca il pezzo di maggior rilievo della grotta, un femore destro umano curvo, attribuito a un uomo del tipo di Neanderthal, uno dei tipi primigeni della razza umana. Il fossile, che è mutilo di alcune parti, è il primo esemplare di osso lungo di paleantropo trovato in Italia. La scoperta, dovuta al Majellaro e al prof. Luigi Cardini, membro dell'Istituto Ital. di Paleontologia umana, ebbe il riconoscimento ufficiale in Germania, a Düsseldorf, nel Convegno scientifico internazionale ivi tenuto, nel centenario della scoperta della calotta di Neanderthal (agosto 1956).

Altre stazioni preistoriche dell'agro sono: la contrada di Navarrino (da un termine del '700 indicante un tipo di vitigno), sita al confine con i territori di Molfetta e Terlizzi, dove venne scoperta dal Samarelli nel 1908 una grotta coli reperti neolitici: all'8° Km. della via di Ruvo s'imbocca a sinistra un viale privato che si percorre per circa Km.1; sorpassata la lama che è in fondo al viale, un poco più a S, sulla destra, si vede la grotta; la grotta delle due crocette, che s'incontra a m. 300 da S. Croce, percorrendo verso E il torrente delle Lame; la grotta del Finestrino, nei paraggi della precedente; la grotta dello Zembro (da zembre, capro), sul letto della Lama Paterno, tra le zone di Crosta e S. Marco, dove si rinvennero tracce di ceramica neolitica; le cave Mastrodonato, sulla Statale per Trani (contrada Le Coppe), dove fu scoperto un deposito di ceramica e oggetti d'età neolitica; la zona del Pantano, dove sono stati scoperti nel 1962, in località Le Difese, resti di un villaggio eneolitico, costituiti da cocci di vasi, selci, ossidiane di provenienza garganica, del tipo dei reperti delle cave Mastrodonato.

La maggior parte del materiale preistorico dello agro si conserva nei Musei Archeologici di Taranto e Bari e nell'Istit. di Paleontologia umana di Roma. Il piccolo Museo preistorico comunale conserva reperti della grotta di S. Croce e delle cave Mastrodonato e ospita una Mostra fotografica di Bisceglie archeologica e artistica, allestita da Pietro Ferrara, in occasione della Mostra dei Cimeli tenutasi nel 1961.

I PRIMORDI DELLA STORIA: I DOLMEN

Nel periodo che va dal 3000 al 1000 a. Cristo (età del bronzo) occupa la regione pugliese una popolazione nordica, di razza indoeuropea, la quale soppianta del tutto i primitivi popoli indigeni. Mutano profondamente costumi, lingua e riti, e i più elaborati prodotti dell'arte umana testimoniano di una civiltà più elevata e sapiente.

I dolmen, importanti sepolcri-altari di quest'età, spuntano qua e là in Puglia, dove se ne contano una ventina: alcuni notevoli vengono costruiti nel territorio biscegliese, tutti in luoghi elevati. Essi sono i dolmen della Chianca, di Albarosa, della masseria Frisari, dei Paladini e di Giano.

Fai clic per vedere ingrandite le immagini del dolmen della Chianca Il dolmen della Chianca è il più perfetto e il più noto tra i monumenti preistorici d'Italia e il più interessante dolmen d'Europa.

Fu scoperto nell'agosto del 1909 da Gervasio, Mosso e Samarelli nella zona della Chianca.

Lo si raggiunge percorrendo la via per Corato: al 4° Km. si imbocca sulla sinistra una strada rurale, che si percorre per oltre Km. 1, indi si volta a destra raggiungendo dopo circa m. 200 la zona dove sorge il dolmen.

Esso consta di una cella quadrangolare, alta al centro m. 1,80, formata da tre lastroni verticali, due per le pareti laterali, una per quella di fondo; su di essi poggia orizzontalmente un quarto lastrone più grande che forma il tetto, lungo m. 3,85, largo m. 2,40. I lastroni verticali poggiano sulla roccia viva ed uno di essi, quello di sinistra, lascia in alto due piccole aperture, tipiche dei dolmen, praticate per far colare allo interno il sangue delle vittime sacrificate: secondo altri, esse hanno un significato mistico, collegandosi alla credenza che nel sepolcro dovesse lasciarsi un passaggio, per il quale lo spirito del morto potesse raggiungere il corpo esanime. La cella continua in un corridoio allo scoperto (dromos) di m. 7,60 di lunghezza, cinto da piccole lastre di pietra poste verticalmente. Il dolmen misura, tra corridoio e cella, m. 9,60.

Nella cella si rinvennero ossa d'animali in parte bruciate, che sono avanzi di banchetti funebri, e frammenti di piccoli vasi, alcuni coltelli di pietra, scheletri di adulti e di ragazzi alla rinfusa e due scheletri in posizione rannicchiato.

Nel dromos si trovarono stoviglie nerastre, una brocca e un pendaglio di bronzo. Il monumento è orientato a E, secondo la tipica collocazione dei dolmen.

Lo stesso popolo costruttore del dolmen della Chianca eresse, a breve distanza, il dolmen di Albarosa, nella contrada omonima. Si tratta di un tipico tumulo-dolmen, cioè di una tomba megalitica, posta in un cumulo di pietre, dove i primitivi solevano celare le tombe quando trasmigravano.

Si percorre via Ruvo per Km. 6, prendendo poi a destra una carraia, che porta dopo 1 Km. proprio davanti al monumento. Esso fu scoperto nel 1909 da Mosso, Samarelli e Gervasio. Formato di sette lastroni verticali, tutti costituenti le pareti del sepolcro, vi si rinvennero una discreta quantità di ceramica lavorata, ossa umane, schegge di selci e 5 bollitoi di pietra calcarea di varia dimensione, lavorati da mano umana.

Il dolmen della masseria Frisari è sito in zona Lama d'Aglio, a Km. 5 e mezzo lungo via Ruvo, all'altezza della Stradella: imboccata questa sulla sinistra, dopo m. 1400 si giunge a pochi metri dal dolmen, posto in un viottolo a mano destra. Esso si presenta assai demolito, il che non impedisce di farne intravvedere l'imponenza.

Possono ritenersi anche appartenenti alla nostra preistoria il dolmen dei Paladini, sito al confine dello agro, in zona Colonnelle (Corato), e il dolmen di Giano, recentemente scoperto, al confine con l'agro tranese.

Fai clic per ingrandire l'immagine Il dolmen dei Paladini è il meglio conservato  dei nostri dolmen.

Di esso restavano in piedi, al tempo della scoperta, quasi intatti, i quattro lastroni del dromos e tre della cella, su cui poggiava un'enorme lastra di copertura.

Misura in lunghezza m. 2,75. Unico reperto fu un pezzo di piccolo vaso che doveva contenere materia colorante, usata nei riti funebri delle genti dolmeniche. Lo si raggiunge percorrendo la via per Corato fino all'altezza della masseria Cimadomo (a Km. 9 circa dal paese). Dopo m. 150 si incontra a destra un viottolo in pendenza e lo si percorre per circa m. 250 fino a raggiungere una parete campestre: si procede lungo questa a mano sinistra per m. 100 fino a imbatterci nel monumento.

Il dolmen di Giano, assai mutilo, si trova in luogo di difficile accesso (zona Santeramo). Lo si incontra 2 Km. oltre la chiesetta di S. Maria di Giano, proseguendo lungo la via Andria e dopo avere imboccato sulla sinistra un viottolo e averlo percorso per circa m. 500. Del dolmen resta ben poco: un lastrone, un frammento di lastra e, intorno, resti dello specchione di copertura.

(da "Bisceglie nella storia e nell’arte" di Mario Cosmai – Ed. De Il Palazzuolo 1968)

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