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BASILIO
IL GRANDE
Vescovo
e Dottore della Chiesa
La famiglia in cui nasce
Basilio è ricca di santi riconosciuti dalla Chiesa, ricordiamo ad esempio la
nonna paterna di Basilio: Santa Macrina, i genitori Basilio ed Emmelia, la
sorella Macrina, i fratelli: Gregorio diventato poi vescovo di Nissa e Pietro
diventato vescovo di Sebaste.
“Ho perso un bel po’ di tempo nell’andare
dietro alla vanità; ho speso tutta la mia giovinezza in occupazioni inutili,
in quanto mi ero buttato totalmente ad apprendere delle dottrine proprie di
una sapienza che Dio aveva definito stoltezza.
Quello che manca è l’amore; come è possibile
-
dice - che l’ortodossia possa
trionfare quando tra gli stessi fedeli esistono tanti dissensi e tanta
dispersione di forze?
Basilio morì il 1° gennaio 379, appena cinquantenne, stroncato di forze per l’austerità di vita e l’intenso lavoro apostolico. Per quanto lo si possa chiamare autentico uomo d’azione, al punto da venir considerato un romano fra i greci, la personalità di Basilio si manifesta così completa e armonica da rappresentare come il tipo di perfezione umana maturata attraverso un’esperienza diretta sia nel campo ascetico che in quello mistico. I suoi scritti ascetici attirano proprio per l’esperienza religiosa personale che vi si scopre, e persino le sue opere teologiche sulla Trinità e sullo Spirito Santo, così decisive per la precisione e l’approfondimento del dogma, le si sente come fioritura dottrinale d’una vita evangelica vissuta in profondità. Non è solo a titolo d’amicizia che san Gregorio Nazianzeno, dopo aver detto a certi critici che Basilio è ben al di sopra dei suoi detrattori, e che i suoi scritti teologici sono frutto dello Spirito Santo, oltre che delle circostanze storiche, si fa quest’augurio:
“Magari
potessimo dire, io e tutti quelli che amo, di avere la stessa teologia!”
CUORIOSITA’
CIRCA IL NOME
Basilio
è un nome originariamente greco. Basileus era il re quindi Basilio è colui
che è degno di ragalità. Fu un nome usato anche da granduchi e imperatori
russi. Nel 1816 Rossini usò questo nome per un importante personaggio del
Barbiere di Siviglia.
UN
ANEDDOTO
IL PREDESTINATO
Durante la visita ai monasteri della sua diocesi, san Basilio chiese all'abate di uno di questi monasteri se nella sua comunità c'era qualche fratello che desse chiari segni di essere un predestinato. L'abate gliene presentò uno di grande semplicità e il santo vescovo gli comandò di andare a prendere dell'acqua. Quando il fratello fece ritorno gli comandò di sedersi e si mise a lavargli i piedi: Il fratello non diede alcun segno di meraviglia nel vedere il grande Basilio compiere verso di lui un tale gesto di umiltà, ma lo lasciò fare con semplicità. Allora il santo si rallegrò con l'abate di avere tra i suoi monaci un uomo così morto alla propria volontà e al proprio giudizio, e il giorno dopo, avendolo trovato nella sacrestia della chiesa, senza indugio lo ordinò sacerdote.
COSI’
PREGA LA LITURGIA NELLA FESTA DEI SANTI BASILIO E GREGORIO
O Dio, che hai illuminato la tua Chiesa con l’insegnamento e l’esempio dei santi Basilio e Gregorio Nazianzeno, donaci uno spirito umile e ardente, per conoscere la tua verità e attuarla con un coraggioso programma di vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
ANTOLOGIA DAGLI SCRITTI
Essendo molto il materiale
scritto a nostra disposizione, vi offro due antologie di scritti di san
Basilio. La prima è più semplice, con testi anche un po’ rielaborati, la
seconda cerca di spaziare un po’ su tutti grandi temi che Basilio ha
affrontato nei suoi scritti
PRIMA
ANTOLOGIA
IL
CAMMINO E’ UN ATTIMO
Leggiamo nel Salmo primo: « Beato chi non si ferma nella via dei peccatori ». «Via» è un nome della vita, poiché ogni vivente è in cammino verso la mèta. Chi viaggia su una nave può anche dormire: senza che se n’accorga, il vento e le onde lo sospingono in direzione del porto. Così è di noi, di tutti e del singolo: il tempo della vita scorre, incessantemente e impercettibilmente, e noi ci avviciniamo a grande velocità al punto d’arrivo. Se dormi, il tempo, benché inosservato, passa. Se vegli irrequieto, la vita si consuma egualmente, e anche in questo caso è facile che tu ciò non lo avverta. Noi tutti siamo una specie di corridori, ciascuno va rapidamente verso la meta. Proprio per questo noi viviamo. Ecco il significato del termine «via». Durante questa vita tu sei un viandante. Devi
oltrepassare
tutto, lasciar tutto alle tue spalle. Scorgi lungo la strada un germoglio, una
pianta, una sorgente o qualche altra cosa che vale la pena vedere: ne godi per
un attimo e poi prosegui. T’imbatti in rocce, valli, precipizi, scogli,
tronchi, fiere, rettili, spine: devi tribolare per un poco ma poi li superi e
vai avanti.
Sul
Salmo 1, 4
DAVANTI
AL PECCATO
Una malattia diventata cronica, un’abitudine al male inveterata guariscono
difficilmente. Se poi, come succede spessissimo, l’abitudine si trasforma in
una seconda natura, la guarigione è assolutamente impensabile.
Sul
Salmo 1, 6
Ci
sono due strade: una è larga e facile, l’altra è stretta e ardua. E ci
sono due guide, ciascuna delle quali cerca di attirare il viandante. Sì,
quando diventa adulto l’uomo s’accorge dell’alternativa tra il vizio e
la virtù. Fissa allora lo sguardo dell’anima su entrambe le possibilità e
le valuta. La via dei peccatori gli presenta tutti i piaceri dell’oggi. La
via dei giusti gli prospetta i beni dell’aldilà. Sulla via degli eletti,
quanto più belle sono le promesse future tanto più austere sono le realtà
presenti. Invece la via facile non rimanda la gioia al domani, la offre già
ora. Perciò l’anima soffre le vertigini, si turba. Se guarda l’oggi
preferisce il piacere, se pensa all’eternità allora sceglie la virtù.
Sul
Salmo 1, 5.
UNA BELL'ANIMA
Che
una città è prospera, lo si vede dall’abbondanza delle merci esposte al
mercato; e di una terra diciamo che è ricca se produce molti bei frutti.
Così è prospera l’anima quando trabocca di buone opere d’ogni genere.
Ma
prima di tutto bisogna lavorarla assiduamente. Poi, perché renda trenta,
sessanta, cento volte, deve essere irrigata senza risparmio. L’anima non
raggiunge la bontà e la capacità di assolvere ai propri doveri se non
scende su di essa la grazia di Dio. D’altra parte, cosa c’è di più
deforme, di più sgradevole di un’anima che soccombe alle passioni? Guarda
un iracondo, come sembra una belva. Guarda un uomo triste, com’egli è
abbattuto. Noi dobbiamo procurarci la bellezza affinché lo Sposo, il Verbo,
ci accolga e ci dica: « Tutta bella
tu sei, amore mio, non c’è difetto in te »
Sul
Salmo 29, 5
IL
CONTAGIO DEL PECCATO
I medici parlano di pestilenza quando una malattia viene contratta da un solo
uomo o da un solo animale e poi contagia tutti. Simili sono coloro che
commettono iniquità. S’infettano l’un l’altro, si ammalano insieme e
muoiono insieme. Osserva gli effeminati che bivaccano nelle piazze:
disprezzano gli uomini di buon senso, si raccontano le loro turpitudini come
se fossero cose da ammirare. Esseri pestiferi, vogliono comunicare agli altri
il proprio male. Vogliono che molti altri diventino come loro. Perché quanto
più numerosi sono quelli che soffrono del medesimo male, tanto meno essi si
sentono colpiti dal disonore. Quando una materia è infiammabile, non è
possibile che il fuoco non la infiammi, soprattutto se tira vento. Così è
del peccato: aggredisce uno solo ma poi non può non ammorbare le persone
vicine. Il fascino del male attira molti, se questi non sono ben saldi.
Sul
Salmo 1, 6
VANAGLORIA
INUTILE E DANNOSA
Dice
la Scrittura: « La voce del Signore spezza i cedri »
Sul
Salmo 28, 5
AMARE
E’ UN SEME DEL TUO CUORE
Non
s’insegna l’amore di Dio. Nessuno ci ha insegnato a gustare la luce o ad
essere attaccati alla vita più che a qualsiasi altra cosa. E nessuno ci ha
insegnato ad amare le due persone che ci hanno messi al mondo ed educati. A
maggior ragione, non da un insegnamento esterno abbiamo imparato l’amore di
Dio.
Le
regole maggiori, 2
Se qualcuno sostiene di poter bastare a se stesso, di esser capace d’arrivare
alla perfezione senza qualcuno che l’aiuti, di riuscire da solo ad
approfondire la Scrittura, costui fa esattamente come chi vuole esercitare il
mestiere del falegname senza toccare il legno. L’Apostolo gli direbbe: «
Non quelli che ascoltano la Legge saranno giustificati da Dio, ma quelli che
la osservano » Amando gli uomini fino all’estremo, il Signore non s’è
limitato a insegnarci con le parole: per dare un esempio preciso ed efficace
dell’umiltà nella perfezione dell’amore, s’è messo un grembiule ai
fianchi ed ha lavato i piedi ai discepoli. Tu, tu che vivi tutto solo con te
stesso, a chi laverai i piedi? Dopo di chi ti metterai come ultimo? A chi
offrirai il tuo servizio fraterno? Come gustare nella dimora del solitario la
gioia che s’avverte dove molti fratelli abitano insieme?
Le
regole maggiori, 7
Quelli
che perseguono lo stesso fine, se vivono insieme troveranno in questa
convivenza molti vantaggi.
Prima
di tutto, nessuno di noi è autosufficiente quando si tratta di questioni
materiali: abbiamo bisogno gli uni degli altri per soddisfare le nostre
necessità. Il piede, per esempio, è capace di fare solamente certe cose. Se
venisse privato — per assurdo — delle altre sue membra, l’uomo s’accorgerebbe
che le forze del piede non bastano a conservargli l’esistenza e a
procacciargli ciò di cui abbisogna. Così succede nella vita solitaria: quel
che abbiamo non ci serve e quel che ci manca non possiamo procurarcelo. Sì,
Dio ha voluto che noi siamo indispensabili gli uni agli altri per essere uniti
gli uni con gli altri. Del resto, il precetto di Cristo sull’amore non ci
permette di occuparci soltanto di noi stessi: « L’amore non cerca il proprio interesse
» Invece, la vita solitaria cerca appunto questo: il vantaggio del singolo.
Un fine che è evidentemente l’opposto della legge dell’amore. Basta
pensare a come Paolo ha osservato questa legge: egli ha cercato « non il tornaconto personale ma quello di molti altri uomini, cioè la
loro salvezza » In secondo luogo, difficilmente il solitario conoscerà i
suoi difetti: non avrà chi glieli mostri, non avrà chi lo corregga. Un
rimprovero, anche se viene da un avversario, stimola il desiderio d’un
rimedio quando l’anima è ben disposta. Ma non troverà né rimproveri né
rimedi chi non vive insieme agli altri.
Le
regole maggiori, 7
CHI
AMA DIO AMA IL PROSSIMO, CHI AMA IL PROSSIMO AMA DIO
Chi
non si rende conto che l’uomo è un essere sociale e mansueto, e non è
quindi fatto per la vita solitaria e selvaggia? Nulla è più conforme alla
nostra natura che avere contatti continui, cercarsi a vicenda e amare i propri
simili. Il Signore, dunque, non chiede nient’altro che i frutti del seme
deposto dentro di noi quando dice: «Vi do un comandamento nuovo: amatevi gli
uni gli altri» Per
indurci all’obbedienza a questo precetto, egli non vuole che il segno di
riconoscimento dei suoi discepoli consista nei miracoli, ma afferma: « Riconoscerà la gente che siete miei seguaci dal vostro amore vicendevole
» E tra il comandamento dell’amore di Dio e il comandamento dell’amore
del prossimo stabilisce un legame così intimo che considera fatta a se stesso
ogni azione buona compiuta in favore dei fratelli. Dice: « Avevo sete e mi avete dato da bere », e aggiunge: « Tutto
quello che avete fatto ad uno dei più piccoli dei miei fratelli, l’avete
fatto a me» L’osservanza
del primo comandamento comprende l’osservanza del secondo, ed eseguendo il
secondo si esegue il primo. Chi ama Dio ama il suo prossimo. Dice il Signore: «
Chi mi ama osserva i miei comandamenti, e il mio comandamento è
che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi » Allora, chi ama il suo prossimo ama Dio, e Dio considera unione
con se stesso la nostra unione coi fratelli. Viene in mente Mosè: amò tanto
i fratelli da chiedere d’essere cancellato dal libro dei vivi se il suo
popolo non avesse ricevuto il perdono dei peccati.
Le regole maggiori, 3
I
NEMICI POSSONO SALVARCI
Il
nemico è per definizione uno che ostacola, insidia e danneggia gli altri. È
dunque un peccatore. Noi dobbiamo amare la sua anima, correggendolo e facendo
di tutto per indurlo alla conversione. E amare il suo corpo, soccorrendolo
nelle necessità della vita. Che l’amore per i nemici sia possibile, lo ha
dimostrato il Signore stesso. Egli ha manifestato l’amore del Padre e l’amore
suo facendosi «obbediente fino alla morte » dice l’Apostolo - non per gli amici bensì per i nemici: « Ecco come
Dio ha dato prova di quanto ci ama: proprio mentre noi eravamo ancora
peccatori, Cristo è morto per noi». E Dio ci esorta a fare lo stesso: « Siate imitatori di Dio, come figli diletti, e vivete nell’amore,
seguendo l’esempio di Cristo che vi ha amati e per noi ha sacrificato se
stesso». Dio non ci chiederebbe questo, come cosa giusta e buona, se non
fosse possibile.
Le
regole minori, 176
AUTORITARISMO
Il
superiore non deve rimproverare con passionalità. Un rimprovero collerico o
violento non libera il fratello dal suo difetto ma getta il superiore nel
peccato. E’ per questo che a lui la Bibbia dice: « Il servo di Dio corregga con dolcezza gli ostinati» Non dobbiamo
infiammarci d’ira quando hanno offeso noi, né mostrarci troppo indulgenti
quando hanno offeso un altro. Anzi, è nel secondo caso che il dispiacere deve
essere
più palese.
Le
regole maggiori, 50
COGLIERE
LE TRACCE
Se guardi il cielo — dice la Scrittura — il suo ordine ti sarà guida
verso la fede. Esso infatti rivela l’Artefice. Se guardi poi le bellezze
della terra, queste ti aiuteranno ad aumentare la tua fede. E’ vero: abbiamo
acquistato la fede non perché ci è riuscito vedere Dio con gli occhi del
corpo, ma perché lo abbiamo visto con la mente, che percepisce l’Invisibile
attraverso il visibile. Guardi una pietra e t’accorgi che anch’essa reca
qualche traccia del Creatore. E così una formica, un’ape, una zanzara. La
sapienza del Creatore traspare dalle cose più piccole. Lui che ha
dispiegato i cieli e steso l’immensità dei mari, ed è lui che ha reso cavo
l’esilissimo aculeo dell’ape.
Tutte
le realtà del mondo sono occasione di fede, non d’incredulità.
Sul
Salmo 32, 3
FIGLI
DI DIO
Canta
il Salmista: « Al posto dei tuoi padri ci saranno i tuoi figli, li
costituirai principi su tutta la terra». Chi sono i figli della Chiesa, Sposa
di Cristo? Sono i figli del Vangelo, che hanno raggiunto il dominio del mondo.
Dice di essi la Scrittura: «Per tutta quanta la terra si spande la loro voce
», e ancora: « Siederanno su dodici troni per giudicare le dodici tribù».
Grazie a Cristo, alla Sposa nascono figli. Essi prendono il posto degli
antichi suoi « padri », i patriarchi, che eseguirono le opere di Abramo, e
vengono onorati al pari di loro perché compiono opere identiche alle opere
loro. Principi di tutta la terra sono dunque i credenti, per la familiarità
che hanno col bene. La stessa natura del bene ha conferito ad essi questo
primato. I figli della Sposa di Cristo sono diventati uguali in dignità ai
loro padri, hanno acquistato il primo posta grazie alla pratica delle virtù.
Per questo la Madre li ha costituiti principi di tutta la terra. Guarda quale
potere ha la Regina sulla terra: di costituire principi che regnino in essa.
Sul
Salmo 44, 12
LA
VOCE DI DIO
Leggiamo
nel Salmo: « La voce del Signore è
sopra le acque, il Dio della maestà ecco che tuona, il Signore è sopra le
acque immense, la voce del Signore è potente, la voce del Signore è maestosa
».
sul
Salmo 28, 3
IL
LAVORO
Non
si deve dire: « Ma io prego » per giustificare la propria pigrizia, il
proprio orrore della fatica.
Le
regole maggiori, 37
LAVORARE PER AMARE
Chi
lavora, sappiatelo, deve lavorare non tanto per soddisfare con la sua fatica
le proprie necessità quanto per adempiere il comando del Signore il quale ha
detto: « Avevo fame e m’avete dato da mangiare ». Il pensare a se stessi è assolutamente proibito da queste parole: « Non
angustiatevi dicendo: “Che cosa mangeremo? che cosa berremo? con che ci
vestiremo?” Di tutto ciò sono i pagani
a preoccuparsi» Lo scopo che ognuno deve proporsi col lavoro è, più
che provvedere a se stesso, aiutare gli indigenti. Così eviteremo il
rimprovero di essere attaccati alle nostre persone e riceveremo la benedizione
che dà il Signore a chi ama i fratelli. Il Signore ha detto: «Quello che
avrete fatto a uno dei più piccoli fra i miei fratelli, l’avrete fatto a
me» Si avvicina dunque alla perfezione chi lavora giorno e notte per
soccorrere i bisognosi.
Le
regole maggiori, 42,
PRESTITI
A DIO
Se
aiuti un povero nel nome del Signore, fai un dono e nello stesso tempo concedi
un prestito.
Sul
Salmo
L’avaro,
vedendo un uomo che per bisogno s’inginocchia dinanzi a lui e lo scongiura,
disposto a qualsiasi atto d’umiliazione, pronto a dire qualsiasi cosa, non
ha pietà alcuna del disgraziato ma resta inflessibile nel proprio diniego.
Alle suppliche non s’arrende, alle preghiere non crede, alle lacrime non si
commuove. Continua a sostenere che non possiede denaro, che anche lui deve
cercare qualcuno che gli faccia un prestito, e conferma la sua menzogna con
giuramenti. Quando invece il povero gli parla d’interessi e di pegni, subito
spiana i sopraccigli e sorride, rievoca l’amicizia che legava i loro padri,
lo considera quasi di famiglia, lo tratta da amico. Gli dice: « Vediamo se
per puro caso io abbia un po’ di soldi. Sì, ho il denaro d’un altro
amico: me l’ha imprestato per un certo affare. Purtroppo, vuole un interesse
altissimo. A te farò uno sconto, ti darò il prestito a un interesse minore
». Con queste bugie alletta lo sventurato, lo incatena con un
contratto e se ne va via. Così, proprio
mentre lo libera dal suo bisogno lo priva della sua libertà: chi si
sottomette al pagamento degl’interessi diventa schiavo per tutta la vita.
NON
DIVENTARE SCHIAVO DEGLI STROZZINI
I
cani, quando gli dai un osso, s’ammansiscono. L’usuraio, quando gli
restituisci il suo denaro, diventa ancora più feroce. Non smette mai di
latrare, chiede interessi sempre maggiori. Al tuo giuramento non crede. Indaga
su ciò che hai in casa, indaga sui tuoi affari. Se esci di casa, con la forza
ti conduce nel suo ufficio; se rimani nascosto in casa, sta dinanzi alla porta
e bussa, bussa. In presenza di tua moglie ti fa arrossire, in presenza degli
amici ti offende, in pubblico ti aggredisce. Ti rende la vita insopportabile
ripetendoti: « Ho urgenza di denaro e l’unica possibilità di procurarmelo è
ottenere da te gl’interessi sul mio prestito ». Se poi ti concede una dilazione, speri forse di trarne vantaggio?
La povertà è come un corridore di gamba buona: presto ti raggiunge,
ricomincia a perseguitarti, e ti trovi nei guai come prima, anzi più
indebitato di prima. Infatti il prestito non elimina la povertà: la posticipa
soltanto. Di conseguenza, sopporta oggi le asprezze della penuria e non
differirle a domani. Se non chiedi soldi all’usuraio, sei povero oggi e
domani sarai povero come oggi, non di più. Se li chiedi, domani starai peggio
di oggi perché gl’interessi aumenteranno la tua povertà.
Sul
Salmo 14
Si
dice che le lepri, generati i leprottini, già mentre cominciano ad allevarli
ne concepiscono altri. Lo stesso fa il denaro dato in prestito dagli
strozzini: concepisce subito altro denaro ed ha una capacità fecondativa
sempre più intensa. Non lo hai ancora nelle mani e già ti chiedono gl’interessi
del mese corrente. Cosicché a te genera guai a catena, Gli interessi sono la
prole di un’attività, lo strozzinaggio, quanto mai feconda. Sono prole
anche per le sofferenze che causano a chi ha contratto il prestito: come le
doglie colpiscono le donne quando stanno per partorire, così il giorno del
pagamento fa contorcere dall’angoscia il debitore. Interessi sugl’interessi:
questi frutti dell’usura dovrebbero essere chiamati prole di vipera. Si dice
che le vipere, appena nate, divorino il ventre della propria madre:
egualmente, gl’interessi divorano la casa dell’ indebitato. I semi
crescono lentamente, col tempo. E gli animali hanno una gestazione abbastanza
lunga. Invece l’interesse, generato oggi, già comincia a generare altro
interesse. Gli animali, se cominciano presto a procreare, tuttavia altrettanto
presto diventano infecondi. Invece il denaro preso a usura, oltre a cominciare
presto a procreare, ha una fecondità che cresce sempre di più, all’infinito.
Non fare mai esperienza di questa bestia mostruosa.
Sul
Salmo 14
Non sempre è lodevole la
povertà: solo quando viene scelta liberamente secondo il precetto del
Vangelo.
Sul Salmo 33
RENDER
GLORIA
«Nel
suo tempio tutti quanti esclamino: “Gloria!” » Ascoltino
queste parole del Salmo e s’adeguino ad esse coloro che amano i discorsi
molto lunghi. La preghiera di ogni uomo, Dio la conosce. Sa dunque bene chi è
che cerca le realtà eterne solo apparentemente e chi è che le cerca dal
fondo della propria coscienza. Egli vede bene colui che pronuncia le parole
della preghiera solamente con le labbra ed ha il cuore altrove. O quello che
chiede la salute fisica, le ricchezze terrene, la fama presso gli uomini. Non
c’è bisogno, come insegna la Scrittura, di domandare questi beni.
Piuttosto, « nel suo tempio tutti quanti esclamino: “Gloria!“ La
creazione, sia il cielo che la terra, sia parlando che tacendo, continuamente
rende gloria al Creatore. Invece gli uomini, sciagurati, escono di casa e
vanno in chiesa quasi come se pensassero di recarsi a combinare un buon
affare. Non prestano attenzione alla parola di Dio: « Nel tempio tutti quanti esclamino: “Gloria!” Hai la lingua:
inneggia al Signore! Hai l’intelligenza: medita sul significato delle
parole! Inneggia con la voce, ma anche l’intelligenza inneggi. Dio, di per
sé, non ha bisogno di gloria. Ma vuole che tu diventi degno di ricevere la
gloria.
Sul
Salmo 28, 7
CONCLUSIONI
Non è perfetto chi bene comincia: è approvato da Dio chi conclude bene.
FRUTTI
Se ti comporti bene non è sempre detto che tu raccolga bene. Ma se ti comporti male, i frutti del male, nonostante la loro apparente bellezza, si trasformeranno in un lento veleno che appesterà molti dei tuoi giorni.
EREDITA’
Lascia ai tuoi figli un buon ricordo piuttosto che molto denaro .
CONDIVISIONE
Se tutti ci accontentassimo del necessario, e dessimo il superfluo ai bisognosi, non ci sarebbe più né ricco né povero.
DIO
Dio è buono, ma è anche giusto.
DIO
Non cerchiamo nella bontà di Dio un pretesto alla negligenza.
EUCARISTIA
Non vi è progresso nella vita spirituale senza una frequente Comunione.
LODE
Tutta la terra in silenzio e nel canto proclama la gloria del creatore.
PACE
Nulla è così proprio di un cristiano quanto il procurare la pace .
PASSIONI
Le passioni sono flutti : se ti terrai più in alto di loro, sarai un sicuro pilota della vita .
AVARIZIA
Quando userai quello che hai, quando lo godrai, se sei sempre occupato nelle fatiche di acquistare ?
RICCHEZZA
I tuoi granai, se lo vuoi, sono le case dei poveri.
INVIDIA
Anche l'ipocrisia è frutto dell'invidia.
CRISTIANESIMO
Il culmine del cristianesimo è l'imitazione di Cristo nella misura in cui la può raggiungere un uomo, secondo quanto si addice alla vocazione di ciascuno.
VIRTU’
Se guardi l'oggi preferisci il piacere; se pensi all'eternità, allora scegli la virtù.
DISTRAZIONI
Come ottenere di non distrarsi nella preghiera ? Pensando seriamente di trovarsi davanti a Dio.
INVIDIA
La ruggine è la principale malattia del frumento, e l'invidia lo è dell'amicizia.
AVARIZIA
Avaro, tu dici di essere povero! E' vero: sei povero di carità, povero di bontà, povero di confidenza in Dio, povero di speranza eterna.
LACRIME
Là dove sgorgano le lacrime si accende il fuoco spirituale che illumina le profondità dell'anima e riduce in cenere i peccati.
RAGIONE
Governa il tuo corpo con la ragione, come il cavaliere governa il cavallo col freno.
VANGELO
La legge antica fu una lucerna che illuminò un solo popolo. Per questo, Giovanni Battista fu chiamato lucerna ardente e luminosa. Il Vangelo è invece una luce che illumina il mondo intero. Per questo, Cristo è il sole di giustizia e gli apostoli luminari del mondo.
SAGGEZZA
Se siamo saggi, raccogliamo ciò che può esserci utile ed è conforme a verità e lasciamo il resto, così come in un roseto cogliamo i fiori ed evitiamo le spine.
MERITO
Dove dominano la necessità e il destino non c'è posto per il merito.
IMITAZIONE DI CRISTO
E' necessario imitare Cristo non solo nella perfezione della sua vita ma anche in quella della sua morte.
SPIRITO SANTO
Lo Spirito è il luogo dei santi e il santo è il luogo dello Spirito.
TRINITA’
Il Padre è principio di tutto, il Figlio è colui che mette in atto, lo Spirito Santo è colui che porta tutto alla perfezione.
CONDIVISIONE
All'affamato appartiene il pane che metti in serbo; all'uomo nudo il mantello che tu conservi nei tuoi bauli; agli indigenti il denaro che tieni nascosto. Commetti tante ingiustizie quante sono le persone a cui potresti dare tutto ciò.
POVERTA’
Sono poveri in spirito (Mt.5,3) quelli che lo sono a causa dell'insegnamento di Cristo. Tuttavia nemmeno colui che accetta la povertà, da qualsiasi parte essa venga, e la mette al servizio della realizzazione della volontà di Dio, è estraneo alla prima beatitudine.
AMORE DI DIO
Dio non ci avrebbe dato il comandamento di amarlo se non ci avesse anche dato la capacità di amarlo.
BONTA’ DI DIO
Nessuno è escluso dalla bontà di Dio.
TESTIMONIANZA
Se non riusciamo a rinunciare a noi stessi e a portare la nostra croce, troveremo in noi molti ostacoli nel cammino al seguito di Gesù.
AVARO
L'avaro è un cattivo vicino in città come in campagna.
INVIDIA
L'invidia corrode il cuore più che la ruggine il ferro.
INVIDIA
I cani, quando vengono nutriti si ammansiscono; i leoni, quando vengono curati, diventano trattabili; invece, gli invidiosi, dinnanzi agli atti di riguardo, si esasperano ancora di più.
MEMORIA
Per mezzo di una assidua memoria conserviamo in noi la presenza di Dio.
ELEMOSINA
Quando dai ad un povero nel nome del Signore fai insieme un dono e un prestito: un dono perchè non speri di essere rimborsato, un prestito perché... il Signore salderà il debito per lui.
BELLEZZA
La bellezza delle cose visibili ci darà un'idea di Colui che è al di sopra di ogni bellezza.
PAROLA DI DIO
Nelle divine Scritture, come nella migliore farmacia, accessibile a tutti, si trova un rimedio adatto alla malattia di ciascuno.
CARITA’
Cosa risponderai a Dio tu che vesti i muri e non vesti il tuo simile? Tu che ami il tuo cavallo e non hai uno sguardo per il tuo fratello in miseria? Tu che lasci marcire il tuo grano e non nutri chi ha fame?
LADRO
Se uno spoglia chi è vestito si chiama ladro. E chi non veste l'ignudo, quando può farlo, merita forse un altro nome?
PREGHIERA
Chi prega ha le mani sul timone della storia.
Non vi è un nome che, abbracciando tutta la
natura di Dio, basti da solo ad esprimerla. Parecchi nomi differenti, aventi
ciascuno un proprio significato, riuniti insieme, riescono a fornirci di lui
un'idea, molto confusa e piccolissima, se si paragona col complesso delle
perfezioni divine, ma tuttavia sufficiente per noi. Tra i nomi che si
applicano a Dio, alcuni sono nomi di proprietà che appartengono a Dio, altri
invece indicano cose che non sono in lui. Con questi due mezzi noi ci formiamo
una qualche immagine di Dio, negando ciò che non gli conviene, e affermando
ciò che gli appartiene. Così quando noi diciamo che Dio è incorruttibile,
è come se dicessimo a noi stessi o a quelli che ci ascoltano: «Non credere
che Dio soggiaccia a corruzione». E quando diciamo che egli è invisibile:
«Non immaginare che Dio possa essere raggiunto col senso della vista».
Quando diciamo che è immortale, noi vogliamo dire: «Non credere che la morte
possa sopravvenire a Dio». E così quando diciamo che è ingenito, noi
diciamo: «Non pensare che l'esistenza di Dio dipenda da una causa o da un
principio». E, in generale, ciascuno di questi termini ci avverte che non
dobbiamo lasciarci trascinare a pensieri, che non sono convenienti, ogni
qualvolta facciamo qualche supposizione a riguardo di Dio. Quindi, per
conoscere le proprietà caratteristiche di Dio, noi dobbiamo evitare,
ragionando di Dio, di lasciare che il nostro pensiero sia portato a cose che
non sono convenienti a Dio, affinché non accada che gli uomini si immaginino
Dio come uno degli esseri corruttibili, o visibili, o generati. In
conclusione, con tutti questi nomi che vietano, si nega ciò che è estraneo a
Dio; la nostra mente, distinguendo, rifiuta quei concetti che non convengono a
lui. D’altra parte noi diciamo che Dio è buono, giusto, creatore, giudice e
altre cose simili. Come i termini detti sopra, indicavano negazione o
privazione di proprietà estranee a Dio, così questi indicano l'affermazione
e la presenza di attributi che sono propri di Dio e che la riflessione
opportunamente scopre in lui. E così, mediante l'una e l'altra specie di
denominazioni, noi siamo istruiti di ciò che appartiene a Dio. Il termine ingenito indica ciò che in Dio non c'è; vuol dire che Dio non è
generato. Non contestiamo che questo fatto si chiami privazione o proibizione
o negazione o altro simile; ma ci pare d'avere sufficientemente dimostrato,
con quanto abbiamo detto, che il vocabolo ingenito
indica una di quelle qualità che non sono in Dio.
La persona del Creatore
Come il vasaio, con la medesima arte, ha
plasmato una quantità innumerevole di vasi, senza con ciò esaurire le
proprie risorse e capacità, allo stesso modo anche l'artefice di questo
universo, la cui potenza non si limita a un solo mondo ma si espande all'infinito,
ha chiamato all'esistenza, con il solo cenno della volontà, la grandiosità
di tutto ciò che vediamo. E allora, se il mondo ha un principio, ed è stato
creato, provati a ricercare chi mai sia stato l'autore di questo principio e
di questa creazione. Anzi, affinché, cercandolo con l'ausilio dell'umana
speculazione, non deviassimo in qualche modo dalla verità, egli ci ha
prevenuti insegnando: «In principio Dio creò», come per imprimere nelle
anime nostre, a guisa di sigillo e di difesa, il nome santissimo di Dio.
Beatitudine, bontà immensa, oggetto d'amore per tutti gli esseri razionali,
bellezza ambitissima, principio d'esistenza e fonte di vita, luce spirituale,
sapienza inaccessibile: tale è colui che in principio ha creato il cielo e la
terra.
La lode conveniente al Creatore
Dio, che ha creato cose tanto grandi, vi
conceda in tutto la comprensione della sua verità affinché, attraverso la
realtà visibile, conosciate l'invisibile, nutrendo così, grazie alla
grandezza e bellezza delle creature, un'adeguata concezione del nostro
Creatore. Infatti, le cose invisibili di
lui, essendo riconoscibili nelle sue opere, possono essere contemplate dalle
creature del mondo: sia la sua eterna potenza che la divinità (Rm 1,20).
Accadrà così che, nell'osservare la terra, l'aria, il cielo, l'acqua, la
notte, il giorno e ogni altra cosa visibile, distintamente ci rammenteremo di
colui che ci ha beneficato. Soltanto se Dio abiterà dentro di noi attraverso
il nostro costante ricordo di lui, non daremo esca al peccato né faremo posto
al nemico nei nostri cuori. A lui ogni gloria e adorazione, ora e sempre, nei
secoli dei secoli.
Sia la materia che la forma furono
create dal nulla
Presso di noi qualsiasi arte viene praticata
per un unico particolare genere di materia: la metallurgia per il ferro, la
falegnameria per il legno, e così via. In queste, poi, uno è il materiale,
un'altra la forma, un terzo, infine, ciò che della forma si riveste. Ora,
mentre la materia si ricava dall'esterno, dall'arte invece viene provvista di
una forma in modo che il prodotto che ne risulta è costituito, evidentemente,
sia di materia che di forma; allo stesso modo, si ritiene da parte di taluni
che, mentre nella creazione divina la forma del mondo sarebbe stata concepita
dalla sapienza del Creatore, la materia, al contrario, si sia originata al di
fuori di lui e gli sia stata messa a disposizione senza il suo intervento. In
questo modo il mondo avrebbe tratto dall'esterno la sua sostanza costitutiva,
per ricevere invece da Dio l'aspetto esteriore e la forma.
Utilità di ciò che sembra nocivo
Insieme con le piante commestibili, crescono
anche quelle velenose: insieme con il frumento cresce la cicuta, con gli altri
frutti mangerecci l'elleboro, l'aconito, la mandragola, il succo di papavero.
E allora? Non rendendo grazie al Creatore per le cose utili, lo accuseremo
forse per via di quelle esiziali per la nostra vita? Non sarebbe più giusto,
invece, ritenere che non tutto è stato creato per il nostro ventre? A noi, d'altronde,
sono stati destinati alimenti a portata di mano e ben noti a tutti.
Grandiosità e bellezza della luce
E Dio disse: «Sia la luce»
(Gen 1,3)! La prima parola di Dio creò la luce, dissipò le tenebre,
allontanò la tristezza, illuminò il cosmo, rivestì ogni cosa di un aspetto
gradevole e giocondo. Apparve, infatti anche il cielo, prima nascosto nelle
tenebre; apparve la sua bellezza, tanto grande come anche adesso gli occhi
possono testimoniare. L'aria stessa brillava, o meglio tratteneva in sé tutta
la luce, inviandone grandiose inondazioni per tutta la sua estensione.
Attraverso l'aria, infatti, la luce giunse, in alto, sino all'etere e al
cielo; in latitudine, illuminò tutte le regioni del mondo: da quella boreale
a quella australe, dall'oriente all'occidente; tutto nel breve spazio di un
momento. L'atmosfera, infatti, è così sottile e trasparente che la luce, per
attraversarla non ha bisogno di alcun intervallo di tempo. Come il nostro
sguardo percepisce immediatamente gli oggetti sui quali si posa, con
altrettanta rapidità, in un tempo che nessuno potrebbe immaginarsi più
breve, l'atmosfera accoglie dappertutto i raggi della luce.
E Dio vide che la luce era bella
(Gen 1,4). Quali lodi potremmo noi mai pronunciare, che siano degne della
luce, dal momento che il Creatore stesso l'ha riconosciuta bella fin dal
principio?
Basilio il Grande, Esamerone, 2,7
L'ordinata
crescita dei semi
Quando il seme cade su una terra
sufficientemente calda e umida, esso diviene flaccido e assai poroso e,
dilatandosi attraverso la terra che lo circonda, attira a sé sostanze
appropriate e affini. I granelli di terra, entrando attraverso i pori nel
seme, ne dilatano e ingrandiscono la mole fino a fargli spingere le radici
verso il basso, mentre tanti steli quante sono le radici si protendono verso l'alto.
Mentre il germoglio continua a riscaldarsi, l'umidità contratta attraverso le
radici, grazie all'attrazione esercitata dal calore, reca una giusta dose di
alimenti dalla terra. Questi si distribuiscono, poi, allo stelo, alla
corteccia e alle guaine del grano, quindi al grano stesso e alle spighe.
Qualunque sia il vegetale che nasce (frumento o fagiolo o qualche ortaggio o
un semplice cespuglio), esso perviene alle sue giuste dimensioni dopo una
crescita così graduale.
Bellezza del mare
«E
Dio vide che era bello». La Scrittura non intende affermare che il mare
abbia offerto agli occhi di Dio uno spettacolo affascinante. Il Creatore,
infatti, non contempla con gli occhi la bellezza della creazione, ma osserva i
fenomeni con la sua ineffabile sapienza. E’ davvero uno spettacolo magnifico
quello offerto dalla distesa del mare biancheggiante di spuma, mentre vi regna
una calma sovrana; ovvero quando la superficie delle acque, increspata da un
venticello leggero, mostra a chi guarda un colore purpureo o azzurro.
Gradevole è anche contemplare il mare, non quando flagella con violenza la
terra vicina, ma quando l'abbraccia con pacifici amplessi. Ciò nondimeno, non
è da ritenersi, secondo quanto afferma la Scrittura, che la vista del mare fu
per Dio bella e gradevole: lì, invece, il mare è giudicato bello in rapporto
all'insieme della creazione. Anzitutto perché l'acqua del mare costituisce la
fonte e l'origine di tutta l'umidità della terra... Essa, infatti, riscaldata
dai raggi del sole, si trasforma in vapore acqueo che, levandosi sempre più
in alto e raffreddandosi quando manchi la rifrazione dei raggi dal suolo,
producendo nello stesso tempo la fresca ombra delle nubi, genera la pioggia e
rende più fertile la terra. Di ciò, nessuno che abbia visto riscaldare dei
recipienti, può dubitare. Questi infatti, in origine pieni di liquido, spesso
rimangono vuoti quando tutto ciò che veniva riscaldato si sia dissolto sotto
forma di vapore. Anzi, si può anche vedere come l'acqua del mare venga
bollita dai marinai che, raccogliendone il vapore a mezzo di spugne,
provvedono in qualche modo, ove fosse necessario, alla carenza d'acqua. Il
mare è anche bello (ma in modo diverso secondo il punto di vista di Dio)
perché circonda le isole, offrendo loro ornamento e sicurezza; e perché
congiunge terre assai distanti fornendo ai naviganti spostamenti veloci. Dalla
loro bocca ci fa conoscere storie di avvenimenti, prima ignorati, procura
ricchezze ai mercanti, facilmente rimedia alle necessità della vita: infatti,
a coloro che posseggono in sovrabbondanza una quantità di cose, offre la
possibilità di esportare quelle superflue in un altro luogo; per coloro che,
invece, ne scarseggiano, fa sì che possano procurarsi ciò che manca loro.
Donde proviene a me la possibilità di ammirare attentamente tutta la bellezza
del mare, quale si manifestò in origine all'occhio del Creatore? D'altronde,
se al cospetto di Dio il mare è bello e gradevole quanto gli apparirà più
bella questa assemblea in cui la voce confusa di uomini, di donne e di
fanciulli, simile a quella dell'onda che s'infrange sulla riva, si rivolge a
Dio nelle nostre preghiere? Una tranquillità profonda la conserva nella pace
non potendo gli spiriti della malizia turbarlo con le loro dottrine eretiche.
Diventate dunque, degni della approvazione del Signore, osservando
rigorosamente questa disciplina, nel nostro Signore Gesù Cristo.
La bellezza visibile rimanda a
quella invisibile
Come coloro che conducono per mano
attraverso la città coloro che non la conoscono; non diversamente, anch'io
guiderò voi, come forestieri, attraverso le segrete meraviglie di questa
grandiosa città... Sappi, anzi, che anche tu, fatto di terra come il resto
della natura, sei nondimeno opera delle mani di Dio; e che, se sei di gran
lunga superato quanto a forza fisica dalle creature prive di ragione, sei
tuttavia il re eletto degli esseri senza anima, né ragione, e che, sebbene
inferiore nel fisico, puoi sollevarti fino al cielo con la superiorità della
tua ragione.
Se imparassimo queste cose, conosceremmo noi
stessi, conosceremmo Dio, adoreremmo il Creatore, serviremmo il Signore,
glorificheremmo il Padre, ameremmo colui che ci nutre, onoreremmo il nostro
benefattore, adoreremmo senza posa colui che ci dona la vita presente e
futura. Egli, attraverso le ricchezze già elargite, si rende garante anche
dei beni promessi, e attraverso i beni che ci ha già elargito, ci conferma
quelli futuri. Se tali, infatti, sono le cose temporali, quali mai saranno
quelle eterne? Se la realtà visibile è così bella, come si dovrà ritenere
che sia quella invisibile? Se la grandezza del cielo supera le capacità dell'umana
intelligenza, quale intelligenza potrebbe mai scrutare la natura delle cose
eterne? Se il sole, che è anch'esso una creatura corruttibile, è così
bello, così grande, così veloce nel suo movimento, così preciso nel suo
movimento di rotazione, così proporzionato nelle sue dimensioni in rapporto
all'universo tutto, mentre, come fosse l'occhio luminoso della natura, adorna
del suo splendore le cose create; se non siamo mai sazi di guardare questo
sole, di quale bellezza sarà mai il sole della giustizia? Se il non poter
guardare questo sole costituisce un danno per il cieco, quale sarà il danno
del peccatore nel sentirsi privato della vera luce?
Basilio il Grande, Esamerone, 6,1
L’uomo è naturalmente orientato
verso Dio
L’amore di Dio non è
qualcosa che si insegni. Infatti noi non abbiamo imparato da nessuno a godere
della luce, né ad essere attaccati alla vita; e nessuno ci ha insegnato ad
amare i nostri genitori o coloro che ci hanno educato. Allo stesso modo, e a
maggior ragione, la scienza dell’amore di Dio non può venirci dall’esterno.
Ma, nella formazione di quell’essere vivente che è l’uomo, viene deposto
in noi, come un seme, un principio spirituale che ha in sé la forza che ci
spinge ad amare. Quando la scuola dei divini precetti riceve tale seme, è lei
che lo coltiva con cura, che lo nutre sapientemente, che lo porta a maturità
con la grazia di Dio... E ora, mentre voi ci aiutate con le vostre preghiere,
cercheremo, secondo il potere che ci è stato dato dallo Spirito Santo, di
ridestare la scintilla dell’amore divino nascosto in voi... Diciamo
prima di tutto che abbiamo ricevuto in precedenza da Dio le forze necessarie
per osservare tutti i comandamenti datici da lui; perciò non dobbiamo
angustiarci come se ci venisse richiesto qualcosa di straordinario, né
inorgoglirci come se contribuissimo con uno sforzo superiore all’aiuto che
ci è stato dato. Se, grazie a tali forze insite in noi, agiamo con
rettitudine e come si conviene, conduciamo santamente una vita virtuosa; se,
al contrario, usiamo male del loro potere, cadiamo nel vizio. Questa appunto
è la definizione del vizio: l’uso cattivo e contrario ai precetti del
Signore, dei doni che Dio ci ha fatto per compiere il bene; esattamente come
la virtù richiesta da Dio consiste nell’usare queste energie con buona
coscienza e secondo i precetti del Signore. Stando così le cose, possiamo
dire lo stesso anche della carità. Noi infatti, che abbiamo ricevuto il
precetto di amare Dio, possediamo una forza, immessa in noi fin dalla prima
strutturazione del nostro essere, che ci inclina ad amare. E la prova non va
cercata all’esterno, ma chiunque può constatarla personalmente da ciò che
prova in sé. Infatti, noi siamo portati per natura a desiderare le cose
belle, anche se il bello appare diverso all’uno e all’altro; e, senza
averlo appreso, proviamo affetto per tutto ciò che ci è familiare o affine.
Ora, che cosa c’é da ammirare più della divina bellezza? Quale desiderio
spirituale è così ardente e quasi irresistibile come quello che Dio fa
nascere nell’anima purificata da tutti i vizi e che afferma con cuore
sincero: languisco d’amore (Ct 2,5) Del tutto ineffabile e inesprimibile è lo splendore della divina
bellezza.
«Che cosa renderò al Signore per
tutto il bene che mi ha fatto?» (Sal 115,12)
Che linguaggio potrà esporre degnamente i
doni che Dio ci ha fatto? Tale è la loro abbondanza che il numero ce ne
sfugge; essi sono così grandi e di tale natura che uno solo ci costringe a
offrire tutta la nostra gratitudine a colui che ce li ha elargiti. Ma c’è
un dono che non si può tralasciare neppure volendolo e che, se siamo dotati
di intelligenza e di mente sana, è assolutamente impossibile passare sotto
silenzio, anche se ci troviamo più che mai incapaci di parlarne degnamente:
Dio ha fatto l'uomo a sua immagine e somiglianza, e lo ha reso degno di fargli
conoscere se stesso. Con il dono dell'intelligenza lo ha posto al di sopra di
tutti gli esseri viventi, gli ha offerto di godere gli incomparabili poteri
del paradiso, e lo ha costituito padrone di tutto ciò che si trova sulla
terra. Quando poi l'uomo fu ingannato dal serpente, quando cadde nel peccato
e, con il peccato, nella morte con tutto ciò che essa comporta, Dio non lo
abbandonò. Al contrario, gli diede anzitutto il soccorso della Legge, gli
pose accanto degli angeli che lo difendessero e si prendessero cura di lui,
inviò dei profeti per rimproverargli le sue malvagità e insegnargli la
virtù. Spezzò con le minacce la sua inclinazione al male e con le promesse
destò il suo desiderio del bene; e spesso mostrò in figura, con esempi
salutari che servissero di ammonimento per gli altri, a che cosa terminano
bene e male. E sebbene gli uomini, dinanzi a tutti questi doni e ad altri
simili, si ostinassero nella disobbedienza, Dio non si allontanò da loro.
Ha preso su di sé le nostre debolezze, ha
portato le nostre sofferenze, è stato trafitto per noi, perché noi fossimo
guariti grazie alle sue ferite (cfr. Is 53,4-5). Ci ha riscattati dalla
maledizione facendosi maledizione per noi (cfr. Gal 3,13); ha sofferto la
morte più infamante, per condurci alla vita della gloria.
Come
intendere la sapienza del Creatore
Se fai attenzione a te stesso, non hai
bisogno di rintracciare il Creatore dalla costruzione dell'universo; molto di
più vedrai in te stesso, come in un microcosmo, la grande sapienza di questo
Creatore. Dall'anima incorporea che è in te, riconosci l'incorporeo e
illimitato Dio. Anche il tuo spirito, infatti, in principio non possiede
alcuna precisa residenza; soltanto in collegamento con la carne, esso viene
fissato da uno spazio. Quando pensi alla tua anima, credi che Dio è
invisibile; anch'essa infatti, non può essere percepita con gli occhi della
carne. Non ha né colore né forma né alcun segno distintivo corporeo sopra
di sé: essa viene riconosciuta unicamente dalle sue manifestazioni. Ricerca
dunque Dio non con una conoscenza mediata attraverso gli occhi, ma abbi invece
fede nella ragione e cerca di comprenderlo spiritualmente. Ammira l'opera del
Creatore, osservando come l'anima sia talmente unita con la carne da
raggiungere fin le parti più estreme, unendo insieme le membra più lontane
in un'armoniosa unità. Considera quale forza dell'anima venga trasmessa alla
carne, quale vincolo d'unione rifluisca dalla carne verso l'anima; come
altresì la carne riceva la vita dall'anima e l'anima il dolore dalla carne.
Rifletti ancora sul modo con il quale l'anima conservi nella memoria ciò che
ha imparato e sulla ragione per cui l'incremento verso nuove conoscenze non
oscuri il sapere intorno alle cose prima apprese, ma il ricordo di queste,
anzi, rimanga chiaro e distinto come se esse fossero scavate nella parte
migliore dell'anima come in una colonna di bronzo. Considera infine come l'anima,
abbandonatasi alle passioni della carne, perda la sua naturale bellezza, per
ritornare poi nuovamente, purificata dall'ignominia del peccato con l'ausilio
della virtù, alla somiglianza con il Creatore.
Basilio il Grande, Omelia «Fa'
attenzione a te stesso», 7-8
Il
dominio del corpo e dei suoi sensi
Non dobbiamo servire il corpo più di quanto
non sia assolutamente necessario. Dobbiamo invece compiere del nostro meglio a
favore dell'anima in maniera da liberarla, per mezzo di una saggia vita, da
quei vincoli che essa ha con le passioni del corpo, come da un carcere, e, al
tempo stesso, rendere il corpo stesso inespugnabile da parte dei vizi e delle
passioni. Al ventre vanno somministrate le cose necessarie, non quelle che
sono assai piacevoli, come accade a coloro che vanno in cerca di certi
direttori di mense e di certi cuochi, ricercandoli in ogni dove per terra e
per mare, come per pagare dei tributi a un padrone capriccioso... Prendersi
soverchia cura, oltre il necessario, per il taglio dei capelli e la foggia
degli abiti, è proprio degli sciagurati, come dice Diogene, o di coloro che
agiscono scioccamente. Perciò ritengo che sia da giudicarsi ugualmente
vergognoso l'essere amanti dell'eleganza e il farsi chiamare «drudi» o l'insidiare
i matrimoni altrui. Che cosa, infatti, sta a cuore a una persona intelligente:
rivestirsi di una veste fine e sontuosa oppure indossare un pallio sufficiente
a proteggerla dal freddo e dal caldo? Allo stesso modo, anche le altre cose
non sono da coltivarsi oltre il necessario, né si deve avere per il corpo una
cura maggiore di quella utile all'anima. Per un uomo degno di questo nome,
infatti, sarebbe non meno vergognoso avere il comportamento di un raffinato
damerino, che il servire da schiavo una passione. Quaggiù, infatti, prodigare
ogni cura affinché il proprio aspetto fisico si presenti il meglio possibile,
non è proprio di un uomo che conosca se stesso e faccia tesoro di quella
saggia sentenza secondo cui l'uomo non è quello che si vede ma che è
necessaria una sapienza superiore, grazie alla quale ciascuno di noi conosca
se stesso e le proprie qualità. Il che, tuttavia, è più difficile per
coloro che hanno una mente impura, che non il guardare il sole quando si hanno
gli occhi cisposi. La purezza dell'anima, poi, per dirlo una volta per tutte e
in modo chiaro a voi, consiste nel disprezzare i piaceri sensuali, nell'allontanare
gli occhi dalle insulse ostentazioni dei ciarlatani o dalla visione dei corpi
che eccitano la sensualità, nel non infondere nell'anima attraverso l'ascolto,
corrotte melodie. Infatti, le passioni sogliono essere prodotte da questo
genere di musica. Noi amiamo però un altro tipo di musica, quella migliore e
che migliora, usata da Davide, autore dei sacri carmi per sedare, come dicono,
il furore e la follia del re (cf. 1Sam 16,23). Riferiscono, altresì, che
Pitagora, imbattutosi in crapuloni ubriachi, ordinò al flautista, presente al
banchetto, di mutare la musica e di cantar loro motivi dorici. Quelli, nell'udire
quel canto, si riebbero a tal punto che, toltesi le corone, ritornarono a casa
pieni di vergogna. Altri, invece, alla maniera dei Coribanti e Baccanti, al
suono del flauto, impazziscono e si scatenano. Tale è la differenza delle
reazioni a seconda che si ascolti della buona o della cattiva musica! Perciò
dovete considerare la musica, che adesso va di moda, peggio della più turpe
delle cose. Non ho bisogno di aggiungere come sia anche da proibire che
profumi di ogni genere, recanti piacere all'olfatto, si mescolino per l'aria e
che, altresì, voi vi imbrattiate con unguenti. E che cosa dire del fatto che
non si devono ricercare i piaceri del tatto e del gusto, se non ricordare come
essi costringano coloro che si dedicano a procurarsene a vivere come bestie
proni e piegati verso il ventre e verso quelle cose che si trovano al di sotto
di esso.
Fa' attenzione a te stesso
(Gal 6,1): non preoccuparti, cioè, di ciò che possiedi né delle cose che
sono intorno a te, ma proprio di te soltanto. Altro siamo noi medesimi,
infatti, altro le nostre cose, altro, infine, quanto si trova intorno a noi.
Noi siamo anima e spirito, essendo stati fatti a immagine del Creatore; ciò
nonostante, esiste il nostro corpo con i suoi sensi; attorno a noi, poi, c'è
il denaro, ci sono le arti e i mestieri, assieme con tutti gli altri aspetti
della nostra vita. Che cosa ci dice dunque la Scrittura? Non prenderti cura
del corpo e non ricercare in alcun modo i suoi beni: la salute, la bellezza, i
piaceri, la longevità; non aspirare ai soldi né alla gloria né al potere;
non sopravvalutare, insomma, a tal punto tutto ciò che annerisce alla tua
vita temporale, da sacrificare, per consacrarti ad esso, la tua esistenza
primaria. Al contrario, «fa' attenzione a te stesso», cioè all'anima tua.
Adornala e sii sollecito verso di essa, sì da rimuoverne tutto il sudiciume
proveniente dall'iniquità e purificarla accuratamente da ogni vergogna
provocata dal vizio, decorandola e illustrandola d'ogni ornamento di virtù.
Scruta te stesso, chi tu sia; fa' in modo di conoscere la tua autentica
natura: che il tuo corpo, cioè, è mortale, mentre l'anima, invece,
immortale. Devi conoscere, altresì, che la nostra vita è duplice: una
carnale, cioè che passa presto; una seconda propria dell'anima, che è senza
fine.
Utilità
e limiti della medicina
Tutti i mestieri e le attività dell'uomo ci
sono stati dati da Dio onde colmare le lacune della natura. Così l'agricoltura,
ad esempio, poiché i frutti che nascono spontaneamente dalla terra non sono
bastevoli a soddisfare i bisogni; così l'arte della tessitura, essendo quanto
mai necessario servirsi degli indumenti sia per motivi di decenza che per
ripararsi dalle pericolose correnti d'aria; così ancora, l'edilizia e anche
la scienza medica. Quando, infatti, il nostro corpo giace infermo, afflitto
dalle malattie o da inconvenienti di varia natura, ora per motivi provenienti
dall'esterno, ora invece dall'interno a causa dei cibi e soffre ora a causa di
un loro eccesso ora a causa di una loro mancanza, allora Iddio, moderatore di
tutta la nostra esistenza, ci ha concesso, a dimostrazione di quella sua
medicina destinata a curare le anime, la scienza medica, grazie alla quale
viene ridimensionato il superfluo e accresciuto ciò che si trova in misura
troppo ridotta. Infatti, allo stesso modo che, se ci trovassimo in paradiso,
non avremmo bisogno in alcun modo né di conoscere né di praticare l'agricoltura,
non diversamente, se fossimo immuni dalle malattie, come prima della caduta,
non vi sarebbe bisogno dell'aiuto di nessuna medicina per guarirci. Invece
dopo esser stati espulsi da quel luogo e dopo aver udito: Con
il sudore della tua fronte ti procurerai il tuo pane (Gen 3,19), avendo
impiegato molta fatica per coltivare la terra, abbiamo inventato l'arte dell'agricoltura
onde lenire i dannosi effetti della maledizione divina, mentre Dio stesso
favoriva in noi l'intelligenza e l'apprendimento di quell'arte. Ebbene, allo
stesso modo, poiché ci è stato ordinato di tornare alla terra dalla quale
eravamo stati tratti e siamo stati legati alla dolorosa carne, destinata alla
morte a causa del peccato e soggetta per questo alle malattie, ci è stato
allora offerto anche l'aiuto della medicina, affinché talora, in una certa
misura, i malati potessero guarire.
Esiste, tuttavia, il non trascurabile
pericolo di cadere nella presunzione che ogni malattia abbia bisogno dell'intervento
della medicina. Al contrario, non tutte le malattie vanno attribuite alla
natura né ci provengono da un'errata alimentazione o da altre cause fisiche:
vediamo infatti come, per curarle, non occorra medicina alcuna. Spesso invece
le malattie sono punizioni dei peccati, mandateci per convertirci. Il
Signore infatti, sta scritto, castiga
chi ama (Pr 3,12). E ancora: Per
questo tra voi ci sono molti ammalati e invalidi e molti muoiono. Che se ci
esaminassimo attentamente, non saremmo condannati. Ma quando noi siamo
giudicati dal Signore, veniamo corretti per non essere condannati insieme col
mondo (1Cor 11,30-32). Se ci troviamo in simili condizioni, perciò,
avendo conosciuto i nostri delitti e tralasciato l'uso della medicina,
dobbiamo sopportare in silenzio quelle pene, conformemente a colui che disse: Sopporterò
l'ira
del Signore, poiché ho peccato contro di lui (Mi 7,9); e dobbiamo
altresì emendarci, sì da mangiare i degni frutti della penitenza, ricordando
ancora il Signore che disse: Ecco, sei
stato sanato; non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio (Gv
5,14). A me sembra, inoltre, che la medicina contribuisca non poco alla
continenza. Constato, infatti, che essa ripudia i piaceri, condanna la
sazietà, la ricchezza del vitto e l'eccessiva abbondanza di condimenti;
viceversa, essa considera l'astinenza come madre della salute: da questo punto
di vista i suoi consigli non ci sono inutili. Pertanto, sia che ci conformiamo
talora ai precetti della medicina, sia che li respingiamo per i motivi dianzi
ricordati, occorre in ogni caso tener presente ciò che piace a Dio, ciò che
serve all'utilità dell'anima e adempie al mandato dell'Apostolo che
raccomanda: Sia dunque che mangiate, sia
che beviate, sia che facciate qualsiasi cosa, tutto fate a gloria di Dio
(1Cor 10,31).
Imperturbabilità nelle tempeste
esteriori e interiori
Alle persone incostanti risulta difficile
perseverare in una vita ordinata; viceversa, coloro i quali posseggono uno
spirito fermo, equilibrato e coerente conducono senza sforzo una vita come si
conviene. Il Signore ci ha concesso una vita tranquilla, e assolutamente
facile persino, se noi ci mostriamo capaci di frenare i tumulti che nascono in
noi dal di dentro, suscitati dai vizi, e manteniamo il nostro animo al di
sopra delle cose che accadono esteriormente. Né le sventure né le malattie,
infatti, né gli altri inconvenienti della vita toccano l'uomo probo, finché
egli abbia la propria anima che cammina in Dio, mira alle realtà future e
supera con facilità e disinvoltura le tempeste terrene. Coloro i quali,
invece, sono troppo presi dalle preoccupazioni della vita, strisciano per
terra con gli altri animali come degli uccelli grassi provvisti inutilmente
delle ali.
Dominio dello spirito sulle passioni
Sappi che mentre una parte dell'anima è
fornita della facoltà di ragionare e di comprendere, l'altra parte, invece,
è soggetta alle passioni ed è irrazionale. La proprietà della prima
consiste nel dominare; caratteristico della seconda, invece, è di obbedire e
di conformarsi alle norme della ragione. Non permettere mai, perciò, che la
tua mente sia ridotta in schiavitù e diventi serva delle passioni e dei vizi;
e non permettere, altresì, che le passioni insorgano contro la ragione e si
accaparrino l'impero dell'anima. La contemplazione diligente di te stesso,
alla fine, sarà sufficiente per condurti alla conoscenza di Dio.
La cupidigia di ricchezze è
insaziabile
Tu chiami te stesso povero, e io sono d'accordo.
Povero, infatti, è colui che ha bisogno di molte cose. Tuttavia, non è altro
che l'insaziabile cupidigia a rendervi tali. A dieci talenti cerchi di
aggiungerne altri dieci; diventati venti, ne vuoi altrettanti e ciò che tu
ammassi, lungi dal calmare il tuo appetito, lo stimola ancora di più.
Infatti, come per gli ubriaconi il continuare a ingerire vino costituisce uno
stimolo al bere, parimenti le persone che si arricchiscono, dopo aver messo
insieme delle ricchezze, ne desiderano ardentemente delle altre ancora; in tal
modo, continuando sempre a nutrirsi, aggravano la loro malattia e il loro
desiderio ottiene l'effetto contrario a quello auspicato. Le ricchezze
materiali, infatti, anche quando siano abbondanti, non rallegrano tanto i loro
detentori quanto invece li rattristano le cose di cui sono privi, quelle,
cioè, di cui essi ritengono di avere bisogno. Così il loro animo è
costantemente tormentato dalle preoccupazioni, poiché si danno da fare per
raccogliere profitti sempre maggiori. E al posto di essere lieti e di pensare
che sono meglio piazzati rispetto a molti altri, sono abbattuti e tristi
poiché sono messi in ombra da questa o da quest'altra persona più ricca. Una
volta però che abbiano raggiunto anche quest'ultima, subito si danno da fare
per diventare pari a un'altra più ricca ancora; salvo poi, eguagliata questa,
puntare su di un'altra la loro cupidigia. Come coloro che salgono delle scale,
con il piede sempre proteso verso il gradino superiore, non trovano pace prima
di aver guadagnato la cima; similmente anche costoro non cessano di aspirare
alla potenza, fino a quando, pervenuti alla vetta, non precipitino con una
lunga caduta. A beneficio degli uomini il Creatore di tutte le cose stabilì
che l'uccello seleucide fosse
insaziabile; tu, invece, è a danno di molti che hai reso insaziabile l'anima
tua. Tutto ciò che l'occhio vede, l'avaro lo desidera grandemente. L'occhio
non si sazierà di vedere (Qo 1,8), né l'avaro si sazierà di arraffare.
L'inferno non ha mai detto: Basta; e l'avaro neppure ha mai detto: Basta (cf.
Pr 27,20; Pr 30,16). Quando dunque potrai servirti delle ricchezze presenti?
Quando potrai goderne tu, che sempre ti affanni a procurartene ancora? Guai
a coloro che uniscono casa a casa e congiungono campo a campo, togliendo
qualcosa al vicino (Is 5,8). E tu cosa fai?
Bisogna
evitare l'ira
Bandisci dal tuo animo queste due cose: non
giudicarti degno di grandi cose e non ritenere che nessun uomo sia inferiore a
te nella dignità. Così, infatti, anche quando ci insulteranno, non ci
accenderemo d'ira. E' grave che un uomo, che ha ricevuto da noi benefici e che
sarebbe obbligato alla più grande gratitudine, commetta ingratitudine,
insolenza e ingiuria. Si tratta di un atto assolutamente grave; ciò
nondimeno, quel male è maggiore per chi lo compie che non per colui che lo
subisce. Quello ti ingiuria; tu, però, non ingiuriarlo. Le sue parole ti
servano per esercitarti nella saggezza. Se non ti adirerai, non riceverai
ferita alcuna; se, invece, soffrirai qualcosa nell'animo, tieni la tristezza
dentro di te. Dice, infatti, il salmista: Il mio cuore è turbato in me (Sal 142,4); il che significa che egli
non ha espresso i suoi sentimenti, ma li ha repressi come delle onde che s'infrangono
sulle sponde. Calma il tuo animo che scaglia ingiurie ed è esacerbato. I tuoi
sentimenti abbiano soggezione della ragione non diversamente da come hanno i
fanciulli indisciplinati della presenza di un uomo anziano.
Rimedio
contro la malattia dell'invidia
Fuggiamo questo intollerabile vizio. Esso è
insegnamento del serpente, parto dei demoni, seme del nemico, garanzia del
supplizio, ostacolo alla pietà, strada verso la geenna,
privazione del regno.
Donde proviene il male nel mondo?
Donde provengono le malattie? Donde le morti
premature? Donde gli stermini d'intere città, i naufragi, le guerre, le
epidemie? Tutte queste cose sono cattive, eppure, si dice, sono opera di Dio.
In chi altri, infatti, se non in Dio possiamo far risalire la causa delle cose
che accadono? Orsù dunque, quando c'imbattiamo in questo notissimo problema,
noi, dopo aver ricondotto il discorso a un principio riconosciuto e aver
considerato la questione con maggior sollecitudine, tentiamo di spiegarla
chiaramente e senza confusione.
Pertanto, ciò che costituisce realmente un
male, cioè il peccato e tutto ciò che è veramente degno del nome di
«male», non dipende da altro che dalla nostra volontà, giacché in noi
risiede la facoltà di astenercene o di perpetrarlo. Gli altri mali, quali, ad
esempio, le guerre, sono stati inflitti in parte per mettere alla prova la
nostra fortezza, come per Giobbe la privazione dei figli, la perdita in un
solo momento di tutte le ricchezze, le piaghe ulcerose (cf. Gb 1,14-15; Gb
2,7); in parte, poi, a espiazione dei peccati, come la vergogna familiare e il
disonore per Davide, costretto a pagare il fio della sua scellerata passione (cf.
2Sam 13,11-14). E conosciamo altresì come un altro genere di orribili mali
sia recato dal giusto giudizio di Dio, onde rendere più moderati e cauti
coloro i quali siano corrotti e inclini al peccato, come nella circostanza in
cui Datan e Abiran furono inghiottiti dalla terra attraverso il baratro
apertosi per accoglierli (cf. Nm 16,31). In questo caso, d'altronde, non
furono loro stessi ad essere resi migliori da un tal supplizio (come sarebbe
stato possibile, infatti, dal momento che essi sprofondarono nell'inferno?),
ma ciò nondimeno, per mezzo del proprio esempio, resero gli altri più cauti
e prudenti.
L’origine
del male va ricercata negli uomini
Non potrebbe dirsi senza empietà che il
male ha la sua origine in Dio, poiché nessun contrario proviene dal suo
contrario. Né la vita, in effetti, genera la morte; né le tenebre sono una
fonte di luce; né la malattia, una causa di salute; ma, nonostante il fatto
che le disposizioni si mutino passando dal contrario al loro contrario, nelle
generazioni tuttavia, ciascun essere procede non dal suo contrario, ma dal suo
simile.
La trave nel proprio occhio
Dal momento che per ciascuno di noi è più
facile curiosare nelle cose altrui, piuttosto che valutare quelle proprie,
Iddio, affinché questo non accada a noi, ci dice: «Smetti di scrutare il
male di chiunque altro; guardati dal perder tempo a considerare e a ricercare
il male altrui, ma bada, invece, a te stesso; rivolgi, cioè, gli occhi della
tua anima a scrutare te stesso». Non pochi, infatti, in conformità alle
parole del Signore (cf. Mt 7,3), notano la pagliuzza nell'occhio del fratello,
ma non vedono la trave nel loro stesso occhio. Non smettere, dunque, di
scrutare te stesso, affinché la tua vita proceda in maniera adeguata e
conveniente. Non osservare, poi, quanto accade intorno a te, onde rinvenire
qualche occasione di rimprovero in qualcuno, imitando quell'arrogante fariseo
che, standosene in piedi, giustificava se stesso e aveva in disprezzo il
pubblicano (cf. Lc 18,11). Non tralasciare di investigare te stesso, onde
scoprire se tu abbia peccato con il pensiero o con la lingua o se con le opere
delle mani sia stato da te commesso qualcosa di temerario. Se troverai,
infatti, che nella tua vita ti sei discostato molte volte dalla giusta via (e
lo troverai, giacché sei uomo), pronuncia allora le parole del pubblicano: O
Dio, sii propizio a me peccatore (Lc 18,13).
La
comunicazione delle qualità
Quando Dio discese sulla terra, in mezzo
agli uomini, non impose la propria legge servendosi del fuoco e delle trombe e
di montagne che fumassero o di tenebre o di tempeste che atterrissero l'animo
degli ascoltatori; al contrario, instaurò un rapporto di dialogo, dolce e
pacifico, con coloro dei quali condivideva egli stesso la natura. Quel Dio che
si fece carne, non condusse a termine la sua opera rimanendo trascendente,
come aveva fatto con i profeti, ma, divenuto intimamente e profondamente uomo,
per il tramite della propria carne, consanguinea alla nostra, ricondusse a sé
l'intera specie umana.
Attenzione
a non lasciarti sfuggire l'occasione di convertirti
Impara dall'esempio
delle vergini (cf. Mt 25,1-13). Queste, infatti, non avendo più olio nei vasi
e dovendo, d'altronde, entrare nella sala delle nozze assieme allo sposo, si
accorsero, quand'era ormai troppo tardi, d'esser rimaste prive di ciò che
era, invece, indispensabile. Ebbene, per questo motivo la Scrittura le
definisce «stolte» giacché, sciupando il tempo in cui sarebbe stato
necessario servirsi dell'olio per andare in giro ad acquistarlo, si videro
escluse, a causa della loro distratta imprudenza, dalla gioia del letto
nuziale. Sta' attento anche tu che, rimandando anno dopo anno, mese dopo mese,
giorno dopo giorno, di procurarti l'olio per alimentare la lampada, alla fine,
inaspettatamente, sentirai ormai la tua vita venir meno e non vi sarà che
sofferenza e afflizione senza alcun rimedio, mentre si dispereranno medici e
parenti; ti sentirai oppresso da un respiro rauco e pesante, una febbre
altissima infiammerà tutto il tuo corpo, fin nelle parti più interne, mentre
ti lamenterai dal più profondo del tuo petto, sentendoti assolutamente solo
nel tuo dolore. Se cercherai di sussurrare qualche parola, sarà giudicata
priva di significato e non vi sarà nessuno che ti ascolti: qualsiasi cosa
tenterai di dire, non sarà tenuta in alcun conto, ma giudicata, anzi, come il
frutto del tuo delirio. Chi, in quel momento, penserà a impartirti il
battesimo? Chi si preoccuperà di farti in qualche modo rinvenire, mentre
sarai ormai stordito e addormentato dalla sofferenza e dalla malattia? I tuoi
parenti piangeranno, altri malediranno il tuo male; l'amico non penserà,
certo, ad ammonirti, per non recare disturbo, mentre il medico, forse, ti
esorterà addirittura, ingannandoti, a non disperarti sotto la spinta dell'istintivo
attaccamento alla vita. Discende la notte: non c'è nessuno ad aiutarti,
nessuno ad amministrarti il battesimo. Ecco la morte, mentre si affrettano
coloro che devono portarti via. Chi mai ti salverà? Dio, forse, che è stato
così disprezzato? Sì, egli in quel momento ti esaudirà, poiché adesso tu
gli dai ascolto. Prolungherà, forse, il tempo che ti è stato assegnato? Lo
farà, se tu hai fatto un buon uso di quello che già hai trascorso.
Lo
Spirito secondo l’insegnamento delle Scritture
Verso lo Spirito sono rivolti tutti coloro
che hanno bisogno di santificazione; lo desiderano ardentemente tutti coloro
che vivono secondo la virtù. Dal suo soffio essi vengono ristorati e
sostenuti per il conseguimento del loro fine specifico. Lo Spirito, che
perfeziona ogni cosa, in se stesso non manca di nulla. Egli non è un vivente
bisognoso di essere continuamente rinnovato, ma è il vivente dispensatore di
vita. Non cresce per addizioni esterne a lui, ma è compiuto fin dall'eterno;
ha il proprio fondamento in se stesso, ed è in ogni luogo.
L'opera dello Spirito Santo
Un'anima la quale voglia liberarsi dall'attaccamento
alle cose terrene e abbandonare l'intera creazione conoscibile e voglia
affiorare in alto come un pesce emerge in superficie dalle profondità, vedrà
colà, nella regione della creazione purissima, lo Spirito Santo, ove sono il
Padre e il Figlio, lo Spirito il quale della medesima natura e sostanza
possiede anche ogni cosa: la bontà, la giustizia, la santità, la vita.
Invero la Scrittura lo chiama il buono
Spirito (Sal 142,10) e ancora il
giusto Spirito (Sal 50,12), e un'altra volta il
santo Spirito (Sal 50,13). Costui non ha acquistato nessuna di queste
qualità né le ha ricevute in seguito, ma come il calore non può essere
separato dal fuoco, né la luce dalla lampada, altrettanto non possono essere
separati dallo Spirito la santificazione, la dispensazione della vita, la
bontà e la giustizia. Là dunque è lo Spirito nella divina sostanza, non
considerato una pluralità, ma visto nella Trinità, annunciato quale unità,
non concepito come un insieme composito. Come il Padre è uno e il Figlio è
uno, così pure è uno lo Spirito Santo. Invece i ministri celesti ci si
presentano in ogni grado gerarchico come una incalcolabile schiera. Per questo
non investigare nella creazione quanto è superiore alla creazione. Non
mettere insieme colui che santifica con quelli che vengono santificati!
Perseveranza
nel bene
Molti sono stati, forse, ad abbracciare la
vita solitaria; pochi tuttavia, com'è naturale, si sono mostrati in grado di
mantenersi coerenti sino in fondo. Ora, non certo nei soli propositi risiedono
i buoni risultati; i frutti delle fatiche, al contrario, si verificano nell'esito
finale. Nessun vantaggio, dunque, per quanti non si diano da fare per condurre
ad effetto il proposito formulato, ma si mantengano fedeli soltanto nei primi
tempi alla vita monastica; anzi, offrendo il destro all'accusa d'ignavia e di
leggerezza da parte di chi li osserva dal di fuori, i proponimenti di costoro
finiscono col diventare persino ridicoli. E' a loro, infatti, che si rivolge
il Signore, allorché dice: Chi di voi,
avendo intenzione di costruire una casa, prima non si siede e calcola
scrupolosamente la spesa, per vedere se possa condurla a termine? Altrimenti
se, una volta gettate le fondamenta, non riesce a finirla, tutti quelli che se
ne accorgono, si mettono a deriderlo, dicendo: Costui ha incominciato a
costruire, ma non ha potuto portare a compimento (Lc 14,28-30).
Umiltà
cristiana in ogni cosa
La tua foggia esteriore, il tuo abito, il
tuo stesso atteggiamento e la casa dove abiti, la tua sedia, il tenore del tuo
vitto e l'aspetto del tuo letto: ogni oggetto domestico, insomma, sia
improntato alla modestia. Quando discorri ovvero canti in compagnia del
prossimo, anche questi atti dovranno apparire come governati dall'umiltà
piuttosto che da una pretesa d'ostentazione. Mentre parli, poi, non far mostra
di sofistica iattanza sentenziando con superbia e gravità né, cantando,
dovrai porre soverchia dolcezza nella tua voce.
La
lettura dei libri pagani
Sono molti i motivi che mi invitano, o
ragazzi, a consigliarvi ciò che giudico il meglio e che ritengo veramente
utile a voi, se lo abbraccerete. Aver già la mia età, aver subito il
travaglio di tanti eventi, aver provato la buona sorte e quella cattiva -
fatto questo che veramente educa , tutto ciò mi ha reso esperto della realtà
umana, tanto che mi è ben possibile additare a voi, che entrate ora nella
vita, la strada più sicura. Dopo i vostri genitori, vi sono per natura tanto
vicino, da ritenere che né il mio affetto per voi sia inferiore a quello dei
vostri padri, né voi sentiate la mancanza dei vostri genitori, se non sbaglio
a giudicare il vostro animo, quando vedete me. Se dunque accogliete di buon
animo le mie parole, vi troverete nella seconda delle situazioni di cui tanto
bene parla Esiodo; se non è così, perché io non debba dire qualcosa di
molesto, voi stessi richiamate alla memoria i suoi carmi, in cui dice che il
migliore è colui che sa abbracciare da sé con lo sguardo quello che deve
eleggere; ma è buono anche chi segue le indicazioni altrui; invece chi non è
capace né dell'uno né dell'altro, è completamente inutile.
Non meravigliatevi se asserisco che anche
per voi - che pur ogni giorno frequentate maestri e, tramite gli scritti da
loro lasciati, siete in contatto con gli uomini antichi più famosi - io vi ho
trovato da me qualcosa di utile. Questo dunque vengo a consigliarvi: non
bisogna che voi, una volta per tutte, consegnate a questi uomini quasi il
timone e la vela della vostra anima, quasi fosse una barca, seguendoli ovunque
vi conducano; dovete invece sia accettare da loro ciò che è utile, sia
notare ciò che si deve scartare. Tanto questo che quello, e come poterlo
giudicare: ecco ciò che vi insegnerò.
A questa vita ci conducono le sacre pagine
ammaestrandoci con i loro misteri; ma fino a quando per la giovane età non ci
è possibile comprenderne la profondità di significato, esercitiamo gli occhi
della nostra anima in altri scritti, che non sono completamente estranei a
quelle, ma le riflettono quasi come ombre e specchi; e in ciò imitiamo le
esercitazioni tattiche: i soldati che hanno acquistato destrezza nel giusto
movimento delle mani e nel salto, colgono il frutto di tale allenamento nella
battaglia. Ora, dobbiamo esser convinti che anche noi abbiamo da sostenere una
battaglia, e più grande di tutte le altre; e dobbiamo fare di tutto, dobbiamo
sostenere tutto con ogni sforzo per prepararci; dobbiamo perciò approfittare
dei poeti, degli storici, degli oratori e di tutti gli uomini, da cui può
provenirci qualche utilità per la cura della nostra anima. Come dunque i
tintori prima assoggettano a una preparazione ciò che intendono tingere e poi
lo immergono nel bagno o di porpora o di altro, allo stesso modo anche a noi,
se vogliamo che la gloria del bene resti in noi indelebile in ogni tempo,
conviene incominciare da questi autori estranei, e poi prestare la nostra
attenzione alle dottrine sacre e misteriose: abituatici così a vedere quasi
il sole nell'acqua, potremo poi fissare nella sua luce i nostri occhi.
Castelli in aria
Sii prudente e accetta i consigli! Bada al
presente e prevedi il futuro. Non lasciarti sfuggire per leggerezza ciò che
hai né supporre di poterti impossessare di ciò che non è e che forse mai
sarà. Non è forse una malattia degli adolescenti ritenere, per leggerezza di
mente, di possedere già ciò che si spera? Quando infatti hanno un'ora libera
o prendono il riposo notturno, si costruiscono castelli in aria e vi si
lasciano prender tutti, per l'instabilità della loro mente: si ripromettono
una vita splendida: nozze famose, prole numerosa, grande longevità e onore da
tutti. Inoltre, pur non potendo fermare su di nulla la loro speranza, si
lasciano gonfiare da ciò che tra gli uomini è il massimo. Acquistano case
magnifiche e immense, le arredano con ogni tipo di suppellettile preziosa, le
circondano di tanto terreno quanto il loro vano fantasticare è lontano dalla
realtà del creato. Poi se chiudono il raccolto in grandi magazzini, a ciò
aggiungono greggi, una schiera enorme di schiavi, e incarichi politici, e
dominio sulla massa, autorità militare, guerre, trofei, e persino il titolo
di re. A tutto questo giungono col vano fantasticare della loro mente e per la
loro immensa stoltezza credono di godere ciò che sperano, come fosse già
presente e giacesse ai loro piedi.
Tentazione
d'ateismo
Nel salmo dodici Davide ci espone una lunga
tentazione. Con le parole: Sino a
quando, Signore, ti dimenticherai di me fino in fondo? (Sal 12,1), e per
tutto il salmo ci insegna di non scoraggiarci nelle tribolazioni, ma confidare
nella bontà di Dio ed essere convinti che egli ci dà la sofferenza secondo
un ordine provvidenziale, misurando la prova secondo il metro della fede di
ciascuno. Dopo aver dunque chiesto: «Sino a quando, Signore, ti dimenticherai
di me fino in fondo?», e ancora: «Sino a quando terrai il tuo volto distolto
da me?», passa subito a parlare della malvagità degli empi, i quali, se non
debbono soffrire nessun contrasto nella vita e non debbono sopportare
situazioni rovinose, subito dubitano nei loro pensieri che esista un Dio che
si prenda cura delle realtà di quaggiù, osservando la situazione di ciascuno
e misurando per ciascuno la retribuzione. Poi, se si vedono a lungo costretti
da situazioni sgradevoli, rafforzano in se stessi quella cattiva convinzione e
asseriscono nei loro cuori: «Non c'è Dio». Dice
lo stolto in cuor suo: Non c'è
Dio (Sal 13,1). E chi ha accettato ciò nelle sue convinzioni, se ne passa
senza ritegno di peccato in peccato. Infatti se non c'è chi osserva, se non c'è
chi retribuisce a ciascuno secondo i meriti della vita, cosa mai impedisce di
opprimere il povero, di uccidere gli orfani, di ammazzare la vedova e lo
straniero, di osare ogni azione scellerata, di macchiarsi di ogni vizio impuro
e abominevole, e d'ogni desiderio belluino? Per questo il salmista alle
parole: «Non c'è Dio» fa seguire queste: Sono
corrotti, si sono resi abominevoli nel loro agire (Sal 13,1). Ma non
possono invece allontanarsi dalla retta via coloro che in cuore loro non
dimenticano Dio.
Le
costellazioni e la nostra sorte
Alcuni dicono che la nostra vita dipende dai
movimenti dei cieli, e per questo gli astrologi Caldei giungono a pronosticare
i nostri eventi basandosi sulle stelle. La parola della Scrittura, tanto
semplice: Siano in segno (Gen 1,14), la riferiscono non agli sconvolgimenti
dell'atmosfera né ai mutamenti delle stagioni, ma, come piace loro, alle
sorti della vita. E che cosa dicono? Che la disposizione dei pianeti, formanti
con l'intreccio dello zodiaco una particolare figura, produce una data sorte;
mentre una loro disposizione diversa dà luogo a un destino contrario... Gli
inventori degli oroscopi, resisi conto che nell'estensione del tempo molte
figure stellari loro sfuggivano, ridussero la misura del tempo stesso a tratti
brevissimi, ritenendo che in un intervallo minutissimo, minimo - come dice l'Apostolo:
In un istante, in un batter d'occhio
(1Cor 15,52) - vi sia una differenza tra sorte e sorte. Così chi è nato in
questo istante dominerà città, governerà popoli, sarà ricchissimo e
potentissimo; chi è nato in un'altra frazione di tempo, sarà mendicante e
vagabondo, passerà di porta in porta per procurarsi il vitto quotidiano. Per
questo divisero il cosiddetto circolo zodiacale in dodici parti, e poiché il
sole percorre in trenta giorni un dodicesimo della cosiddetta sfera immobile,
suddivisero ancora ciascun dodicesimo in trenta parti; e poi divisero ciascuna
di queste parti in sessanta, e ogni sessantesimo ancora in sessanta. Ma
vediamo ora se, calcolando la sorte dei neonati, si possa salvare tanta
esattezza di suddivisione del tempo. Infatti, appena il bimbo è nato, la
levatrice osserva se è maschio o femmina, poi aspetta il vagito, segno che il
neonato è vivo. E quanti sessantesimi vuoi che passino in questo frattempo?
Poi riferisce la nascita all'astrologo. Quanti istanti vuoi che calcoliamo
finché la levatrice parla, soprattutto se colui che studia il momento della
nascita sta al di fuori del gineceo? Ed è necessario che chi vuole rilevare l'oroscopo
noti con somma fedeltà questo momento, sia che si tratti di ore diurne, sia
notturne. E di nuovo, che sciame di sessantesimi trascorrono in questo tempo?
E' necessario trovare la costellazione di nascita, e non solo in che
dodicesimo è posta, ma in che parte del dodicesimo, e in che sessantesimo -
in cui, come abbiamo detto, viene suddiviso questo intervallo e, per
pronosticare con più precisione, in quale sessantesimo del precedente
sessantesimo. E dicono che sia necessario precisare con tanta esattezza
addirittura impercettibile il tempo di tutti i pianeti, per stabilire quale
figura formino con le stelle fisse, quale figura formino tra di loro nell'oroscopo
del neonato in questione. Ma se è impossibile precisare così l'ora della
nascita, e tuttavia la minima alterazione fa rovinare tutto il calcolo, sono
ben ridicoli coloro che si sono dedicati a quest'arte immaginaria, e coloro
che li ascoltano a bocca aperta, come se essi potessero davvero conoscere il
loro destino.
Basilio il Grande,
Esamerone,
6,5-7
La
tua vita sia una preghiera incessante
La preghiera è la domanda di un bene
rivolta dai fedeli a Dio. Questa domanda non è limitata, secondo noi, alle
parole. Non riteniamo infatti che Dio abbia bisogno di parole per ricordarsi,
perché egli sa, anche se non lo preghiamo, ciò di cui abbiamo bisogno. Ma
che intendiamo con ciò dire? Che non si deve far consistere la preghiera solo
nelle sillabe, ma se ne deve riporre la forza piuttosto nelle scelte dell'anima,
e nella pratica delle virtù estesa a tutta la vita. Sia
che mangiate, dice l'Apostolo, sia
che beviate, sia che facciate qualsiasi cosa, fate tutto a gloria di Dio!
(1Cor 10,13). Sedendo a tavola, prega; prendendo il pane ringrazia chi te lo
dona; rinfrancando col vino il corpo estenuato, ricorda chi ti porge questo
dono per rallegrare il tuo cuore e rinfrancare la tua debolezza. E' finito il
pranzo? Non cessi il ricordo del tuo benefattore. Se indossi l'abito,
ringrazia chi te lo ha dato; se ti getti sulle spalle il mantello, cresci nell'amore
di Dio il quale ci provvede d'estate e d'inverno degli abiti adatti per
proteggere la nostra vita e nascondere le nostre vergogne.
Il
cristiano di fronte al lavoro
Si deve peraltro sapere che chi lavora deve
farlo non per sovvenire alle proprie necessità, ma per adempiere al comando
del Signore che dice: Ebbi fame e mi
deste da mangiare (Mt 25,35), ecc. Preoccuparsi infatti di sé è
assolutamente proibito dal Signore, che dice: Non
vi affannate per la vostra vita, di quel che mangerete, né per il vostro
corpo, di che vi vestirete, soggiungendo poi: Tutte
cose di cui vanno in cerca i pagani (Mt 6,25.32). Ciascuno dunque nel
lavoro deve proporsi lo scopo di sollevare i bisognosi, non di sovvenire alle
proprie necessità. In questo modo fuggirà l'accusa di amor proprio e
riceverà lode di amor fraterno dal Signore che ha detto: Ciò
che avete fatto a uno di questi miei fratelli minimi, lo avete fatto a me
(Mt 25,40).
Nessuno pensi che questa nostra asserzione
si opponga alle parole dell'Apostolo: Affinché
lavorando mangino il pane da loro guadagnato (2Ts 3,12). Sono parole
rivolte ai neghittosi, ai dissoluti: è certo meglio, di una vita trascorsa
nell'inattività, che ognuno si guadagni il proprio sostentamento e non sia di
gravame agli altri. Abbiamo infatti
sentito, dice, che alcuni di voi
menano vita neghittosa e, invece di lavorare, si occupano solo in vane
curiosità. Ora a questi tali, soggiunge, noi
ordiniamo, e li scongiuriamo nel Signore Gesù Cristo, che lavorino in pace,
per poter così mangiare il pane da loro guadagnato (2Ts 3,11-12). Anche
le parole: Con fatica e stento abbiamo lavorato notte e giorno per non essere di
peso a nessuno (2Ts 3,8), hanno lo stesso senso: per amore dei fratelli l'Apostolo
si distanziava dagli scioperati e si assoggettava alla fatica più di quanto
gli fosse prescritto. Del resto, chi tende alla perfezione deve lavorare
giorno e notte per avere di che dare a chi ne ha bisogno. Chi pone la propria
speranza in se stesso o in colui cui è stata affidata la cura delle sue
necessità e chi ritiene che il lavoro proprio o quello del compagno sia
sufficiente sostegno per la vita, precisamente poiché pone la propria
speranza in un uomo, corre il pericolo di soggiacere alla maledizione così
espressa: Maledetto l'uomo
che pone la propria speranza nell'uomo
o che fa della carne il proprio braccio (difensivo); la sua anima ha
apostatato da Dio (Ger 17,5). Con le parole: «Chi pone la propria
speranza nell'uomo» la Scrittura proibisce di collocare la propria fiducia in
un altro; con le parole invece: «E fa della carne il proprio braccio»,
proibisce di confidare in se stessi. E definisce apostasia sia questo, sia
quello; e dell'uno e dell'altro espone la fine: Sarà come un albero nel deserto e non vedrà tempi buoni
(Ger
17,6). Dichiara dunque che confidare o in sé o negli altri è apostatare da
Dio.
Lavorare,
non farsi prestar soldi!
Ma come potrò campare?, mi si chiede. Hai
le mani, hai un mestiere: lavora per guadagnare, servi! Ci sono molte strade,
molte possibilità di guadagnarsi il pane. Lo ritieni impossibile? Chiedi l'elemosina
ai ricchi, allora! Ma elemosinare è vergogna? E' più vergogna ancora
ingannare i creditori chiedendo prestiti. Certo, non intendo dettar leggi, ma
solamente mostrare che tutto è più sopportabile piuttosto che far debiti. La
formica sa mantenersi senza mendicare e senza chiedere soldi, l'ape offre il
superfluo del suo vitto ai re. Eppure la natura non ha dato a queste bestiole
né mano né mestiere. Ma tu, un uomo, una creatura ragionevole, non troverai
tra tutte le arti una sola con cui sostentare la tua vita?
I colerosi vomitano sempre ciò che hanno
mangiato e con violenta evacuazione, tra dolori e convulsioni, si liberano da
ogni nuovo cibo; così si comportano anche quelli che cambiano interessi con
nuovi interessi e prima di estinguere un debito ne contraggono un altro, e
facendosi grandi per un po' di tempo col denaro altrui, alla fine piangono la
perdita di ogni loro avere. Molti uomini sono stati rovinati dal denaro degli
altri! Quanti sognavano di essere ricchi e sono caduti in grande miseria! Ma,
si dice, molti si sono anche arricchiti con i prestiti. Ma molti di più, io
credo, si sono ridotti alla corda. Tu guardi solo quelli che sono diventati
ricchi, e non conti quelli che si sono addirittura impiccati, perché sotto l'oppressione
della vergogna o dell'impossibilità di soddisfare, hanno preferito la morte a
una vita disonorata.
Il lavoro è un dovere
Nostro Signore Gesù Cristo dice:
Chi
lavora ha diritto al suo sostentamento (Mt 10,10); non è dunque un
diritto semplicemente e indiscriminatamente di tutti, ma di chi lavora. Anche
l'Apostolo ci comanda di lavorare e di procurarci con le nostre mani di che
elargire ai bisognosi (cf. Ef 4,28): è chiaro dunque che si deve lavorare, e
con diligenza. Non dobbiamo ritenere perciò che scopo della vita di pietà
sia la neghittosità pretestuosa o la fuga dal lavoro: è invece motivo di un
maggior impegno di un maggior lavoro, di una maggior pazienza nelle
tribolazioni, perché ci sia dato di dire: Con
fatica e con travaglio, con veglie estenuanti, sopportando la fame e la sete
(2Cor 11,27). Genere di vita, questo, che ci è utile non solo per mortificare
il nostro corpo, ma anche per dimostrare amore al prossimo, affinché anche ai
fratelli deboli Dio porga, per opera nostra, il necessario, secondo l'esempio
dell'Apostolo che negli Atti dice: In
tutto vi ho dimostrato che faticando così bisogna sovvenire i deboli (At
20,35); e ancora: Perché abbiate di che
dare a chi ha bisogno (Ef 4,28). In questo modo saremo degni di udire un
giorno: Venite, benedetti del Padre mio, ereditate il regno per voi preparato
sin dalla creazione del mondo. Ebbi fame, infatti, e mi deste da mangiare;
ebbi sete, e mi deste da bere (Mt 25,34-35). E' necessario dire, dunque,
che male sia l'ozio, se l'Apostolo comanda apertamente che chi non lavora non
mangi! Come per ciascuno è necessario il cibo quotidiano, così è necessario
il lavoro quotidiano. Non invano Salomone ha scritto, in lode (della donna
laboriosa): Il pane che mangia non è
frutto di pigrizia (Pr 31,27), e di se stesso ancora l'Apostolo dice: Non
abbiamo mangiato a spese altrui il pane di nessuno, ma con fatica e stento
abbiamo lavorato giorno e notte (2Ts 3,8) quantunque, come annunciatore
del Vangelo, avesse diritto di vivere del Vangelo. E il Signore ha unito la
malvagità alla pigrizia, dicendo: Servo
pigro e malvagio (Mt 25,26). Anche il saggio Salomone non solo loda chi
lavora, come abbiamo detto, ma anche condanna il pigro, mettendolo al
confronto con l'animale più piccolo; dice infatti: Va'
dalla formica, o pigro! (Pr 6,6). Dobbiamo dunque temere che, nel giorno
del giudizio, queste parole non vengano rivolte a noi, perché chi ci ha dato
la forza di lavorare esigerà da noi delle opere proporzionate a tale forza.
Infatti: A chi molto è stato dato, più sarà richiesto (Lc 12,48).
Dato che alcuni con il pretesto di pregare e
di cantare i salmi ricusano il lavoro, si sappia che per le altre opere
ciascuno ha il proprio tempo, secondo quanto dice l'Ecclesiaste: Per
ogni azione c'è
il suo tempo (Qo 3,1); ma per la preghiera e il canto dei salmi, come per
altre attività simili, ogni tempo è adatto. Così, mentre muoviamo le mani
nel lavoro, anche con la lingua, se ci è possibile o utile all'edificazione
della fede, o in ogni modo con il cuore, dobbiamo inneggiare a Dio con salmi,
inni e cantici spirituali e così elevare la nostra preghiera anche nel
lavoro; ringraziando in tal modo colui che ha dato alle nostre mani la forza
di lavorare e alla nostra mente la capacità di conoscere, elargendoci anche
la materia, sia degli strumenti, sia degli oggetti che con la nostra arte
fabbrichiamo. E supplicando anche che le nostre opere siano dirette allo scopo
di piacere a Dio.
Basilio il Grande,
Regole
lunghe, 37,1-2
La
vita solitaria e la vita comune
La vita in comune di molti che tendono allo
stesso fine, so che è molto utile. Anzitutto perché nessuno è sufficiente a
se stesso per ciò che necessita al corpo, ma abbiamo bisogno degli altri per
procurarci il necessario. Il piede ha una capacità propria, ma è privo di
altre; senza l'aiuto delle altre membra, né la sua propria capacità sola gli
è sempre sufficiente, né può surrogare alle altre: così nella vita
solitaria: quel che abbiamo ci è inutile, e quel che ci manca non possiamo
procurarcelo; e questo perché Iddio creatore ha stabilito che avessimo
bisogno l'uno degli altri, come sta scritto, e fossimo così uniti a vicenda.
Oltre a ciò, l'amore di Cristo non ammette che ciascuno riguardi qualcosa
come proprio: L'amore,
sta scritto infatti, non ricerca il suo
interesse (1Cor 13,5). Ma la vita solitaria ha come scopo unico la
sollecitudine per le proprie necessità individuali. Ciò si oppone
chiaramente alla legge dell'amore, legge che l'Apostolo adempì non cercando
il proprio tornaconto, ma quello di molti, perché raggiungessero la salvezza
(cf. 1Cor 10,33). Nella solitudine, inoltre, non è facile per nessuno
riconoscere le proprie colpe, non avendo chi lo ammonisca, chi lo corregga con
soavità e clemenza; il rimprovero, infatti, spesso perfino se viene da un
nemico, genera nel saggio il desiderio di correggersi e il peccato viene
saggiamente curato da colui che ama sinceramente. Chi
ama, è detto infatti, ammaestra con
diligenza (Pr 13,24). Ma nella solitudine è assai difficile trovare chi
si comporti così, se prima non si è unito in vita comune. Perciò avviene
ciò che sta scritto: Guai a chi è
solo: se cade non vi è chi lo rialzi (Qo 4,10). E le leggi vengono per lo
più facilmente osservate da molti uniti insieme, non invece da uno solo: nell'effettuazione,
infatti, l'una impedisce l'altra. Per esempio visitare gli infermi impedisce
di accogliere i forestieri, la beneficenza e la partecipazione all'amministrazione
(soprattutto se si tratta di servizi che occupano lungo tempo) impediscono le
opere buone; si tralascia così il comandamento grande, tanto possente a
salvarci: cioè non si dà da mangiare a chi ha fame, né si veste chi è
nudo. Chi vorrebbe dunque anteporre una vita inerte e infruttuosa a una vita
ricca di frutti e ossequiente al precetto del Signore? Ora, se noi tutti,
assunti nell'unica speranza della nostra vocazione, siamo un unico corpo,
abbiamo per capo Cristo; e ciascuno è membro degli altri solamente se per la
concordia siamo uniti a formare nello Spirito Santo la struttura di un solo
corpo. Invece, se ciascuno di noi sceglie la vita solitaria non per piacere a
Dio servendo al bene comune nell'economia della salvezza, ma seguendo, nell'indipendenza
assoluta, le proprie inclinazioni: come ci è possibile conservare, così
divisi e disuniti, il rapporto mutuo tra le membra e l'obbedienza, la
subordinazione al nostro capo, che è Cristo? Non possiamo rallegrarci con lui
glorificato né possiamo soffrire, con lui sofferente, se siamo separati nella
vita e, com'è naturale, nessuno sa conoscere la situazione altrui. Inoltre,
poiché nessuno è in grado di ricevere tutti i carismi spirituali, ma l'elargizione
dello Spirito è proporzionata alla fede che è in ciascuno, con la vita in
comune il carisma proprio di ciascuno diventa comune a tutti i compagni. A uno è concesso il linguaggio della sapienza, all'altro il linguaggio della scienza, a un altro la fede, a un altro la
profezia, a un altro il dono di curare, eccetera (1Cor 12,8-10): e
chiunque ha ricevuto ciascuno di questi doni, lo ha ricevuto non tanto per
sé, quanto per gli altri. Perciò necessariamente nella vita comune la forza
e l'efficacia dello Spirito Santo concessa a uno passa insieme a tutti gli
altri. Chi dunque vive da solo, può avere forse un carisma, ma seppellendolo
in se stesso lo rende inutile e inattivo: e quanto ciò sia pericoloso, lo
sapete bene voi che avete letto i Vangeli. Invece, nella convivenza con molti,
ciascuno gode del suo dono particolare e lo moltiplica comunicandolo agli
altri, e inoltre ricava dai doni degli altri tanto frutto come dal suo.
Basilio il Grande,
Regole
lunghe, 7
Quando ti si presentano questi pensieri
cattivi: Che utilità c'è a vivere in questo posto? Che guadagno ti arreca
tenerti lontano dall'umana società?... quando dunque la tentazione vuole
infrangere la tua resistenza, contrapponile, con santi ragionamenti, la tua
pratica esperienza, e dille: «Tu mi dici che le cose del mondo sono buone; ma
io mi sono allontanato dal mondo perché mi ritengo indegno dei suoi beni. I
beni mondani sono mescolati ai mali, e anzi i mali prevalgono, e di molto... E'
questa la causa per cui mi sono ritirato su un monte, come un passero: sono
infatti un passero liberato dal laccio dei cacciatori. E vivo nel deserto, o
pensiero cattivo, in cui visse il Signore. Qui c'è la quercia di Mamre; qui c'è
la scala del cielo e le schiere angeliche che Giacobbe vide; questo è il
deserto in cui il popolo purificato ricevette la legge e, entrato poi nella
terra promessa, vide Dio. Questo è il monte Carmelo su cui Elia visse e
piacque a Dio. Questo è il campo in cui si ritirò Esdra e per incarico di
Dio esaminò tutti i libri da lui ispirati. Questo è il deserto in cui san
Giovanni, nutrendosi di locuste, annunciò la penitenza agli uomini. Questo è
il monte degli ulivi, in cui Cristo ascese per pregare e ci insegnò a
pregare. Qui è Cristo, amico della solitudine; dice infatti: Dove
due o tre sono uniti nel mio nome, ivi sono io, in mezzo a loro (Mt
18,20). Qui è la via stretta e angusta che conduce alla vita (Mt 7,14). Qui sono i
maestri e i profeti, che vagarono nei
deserti, tra i monti le grotte e le cavità del suolo (Eb 11,38). Qui ci
sono gli apostoli e gli evangelisti, qui i monaci conducono la loro vita,
lontano dalle città. Tutto ciò ho scelto liberamente per ottenere ciò che
è stato promesso ai martiri di Cristo e a tutti gli altri santi, per poter
affermare, senza mentire: Per le parole
delle tue labbra io mi sono mantenuto sulle vie dure (Sal 16,4).
Assomiglio a quelli che, per la poca
abitudine a navigare, sul mare si sentono male e sono presi dalla nausea: non
sopportando la grandezza della nave col suo forte rollio, trasbordano su un
canotto o una scialuppa, ma anche ivi soffrono il mal di mare, perché la
nausea e la bile viaggia con loro. Tale è dunque la nostra situazione.
Portiamo con noi i nostri mali interni e ovunque siamo tribolati allo stesso
modo; perciò questa solitudine non ci è di molto guadagno. Ecco dunque ciò
che si deve fare e come ci è possibile seguire le orme di colui che ci è
guida alla salvezza: Se qualcuno vuol
venire dietro a me, dice, rinneghi
se stesso, prenda la sua croce e mi segua (Mt 16,24). Dobbiamo sforzarci
di mantenere l'animo nella pace. L'occhio che si muove continuamente, che ora
si volge di fianco, che ora si dirige in alto o in basso, non può distinguere
chiaramente un oggetto, ma bisogna che fissi lo sguardo in ciò che vede,
perché la visione sia chiara: così la mente umana, distratta dalle mille
preoccupazioni del mondo, è incapace di fissare con chiarezza la verità.
Ora, chi è ancora libero dal vincolo matrimoniale, viene sconvolto da
passioni violente, da impeti difficili da superare, da amori ardenti; chi
invece è già legato in matrimonio, ha accettato un mucchio di
preoccupazioni: il desiderio di prole, se non ne ha; la preoccupazione di
allevare i figli, se ne ha; e poi custodire la moglie, governare la casa,
comandare ai servi; e poi gli affari andati a male, e le cause in tribunale, e
il rischio nel commercio, e la fatica nell'agricoltura. Ogni giorno viene
portando le sue tenebre all'anima, e le notti, accogliendo le preoccupazioni
del giorno, ingannano l'anima con identici sogni. Vi è una sola possibilità
di fuga da tutto ciò: ritirarsi completamente dal mondo. Ma la fuga dal mondo
non consiste solo nello starsene lontano col corpo; è liberare l'anima dalle
sue inclinazioni corporee e rinunciare alla città, alla casa, alle cose
proprie, agli amici, al possesso, al sostentamento, agli affari, alle
relazioni, alla sapienza umana; ed essere pronti ad accettare nel cuore gli
ammaestramenti della divina dottrina. Questa prontezza di cuore consiste nel
dimenticare le idee che prima, frutto della cattiva abitudine, lo hanno
aggravato. Difatti, non si può scrivere sulla cera se non si cancellano le
lettere prima impressevi; così non si possono imprimere nell'anima gli
insegnamenti divini senza toglierne prima le opinioni impressevi dalla
consuetudine. E proprio a questo è di grande utilità la solitudine, che
assopisce le nostre passioni e dà alla mente la possibilità di escluderle
addirittura dall'anima. Come è facile domare le belve se prima si
ammansiscono, così le voglie perverse e l'ira, i sentimenti di paura e
insofferenza, che sono un veleno per l'anima, se sono assopiti dalla
tranquillità e non eccitati da continue provocazioni, vengono facilmente
superati dalla forza della ragione. Ogni eremo dunque sia come è il nostro:
libero da ogni contatto con gli uomini, in modo che gli esercizi ascetici non
vengano interrotti da nessuna preoccupazione estranea e l'esercizio della
pietà nutra l'anima di pensieri divini. E cosa mai è più beato che imitare
sulla terra gli inni angelici? Subito, all'inizio del giorno, sorgere per
pregare, per glorificare con inni e canti il Creatore; poi, quando il sole è
già splendente, recarsi al lavoro, accompagnandolo sempre con la preghiera, e
condire le azioni con i sacri inni, come con sale. La consolazione che i
cantici sacri arrecano rendono l'anima ilare e gioconda. La tranquillità è
pertanto il fondamento per la purificazione dell'anima: la lingua non parla di
cose umane, gli occhi non contemplano i colori splendidi e le forme dei corpi;
le orecchie non sfibrano il vigore dell'anima ascoltando canzoni composte per
eccitare il piacere, e i discorsi e le facezie degli uomini superficiali: cosa
questa che particolarmente fiacca il vigore dell'anima. E la mente che non si
dissipa nelle cose esteriori né si disperde, attraverso i sensi, nel mondo,
rientra in se stessa e da se stessa si eleva al pensiero di Dio; e, illuminata
dalla sua bellezza, giunge a dimenticare la propria stessa natura; non è più
distratta dalle preoccupazioni del cibo o dal pensiero del vestito, ma, libera
da ogni cura terrena, trasferisce tutto il suo impegno nell'ottenere i beni
eterni. Ella cerca i mezzi e le vie per acquisire la temperanza e la fortezza,
la giustizia, la prudenza e le altre virtù, le quali, ciascuna nel suo
genere, indicano all'uomo di buona volontà come comportarsi convenientemente
nella vita.
Dio che ci ha creati, ci ha dato l'uso della
parola affinché manifestassimo agli altri i nostri intimi disegni e, grazie
alla natura a tutti comune, comunicassimo con gli altri, porgendo i nostri
pensieri dal cuore, come da un magazzino. Se fossimo stati composti solamente
di anima, avremmo potuto trattare direttamente solo con il pensiero; ma la
nostra anima elabora i suoi pensieri nascosta sotto il velo della carne; ha
bisogno perciò di parole e nomi per palesare ciò che giace nel suo profondo.
Quando il nostro spirito ha trovato un'espressione significativa, subito
viaggia nella parola come in una barca; attraversa l'aria e passa da chi parla
a chi ascolta. Se trova grande tranquillità e quiete, il discorso entra nelle
orecchie dei discepoli come in un porto sicuro; ma se gli si fa incontro,
quasi come una tempesta violenta, il chiasso degli uditori, si dissolve nell'aria
e fa naufragio. Create, dunque, col silenzio, questa tranquillità per la
parola: vi apparirà forse qualcosa di prezioso di cui potrete impossessarvi.
Il digiuno ilare
Dice il Signore:
Non
mostratevi tristi... ma lavati la faccia e ungiti la testa (Mt 6,16-17).
Disponiamoci come ci è stato insegnato alle feste che si avvicinano: non con
il volto arcigno, ma con ilarità, come si addice ai santi. Chi è abbattuto,
non viene incoronato; chi piange, non ottiene il trofeo. Non essere triste
mentre vieni curato. Sarebbe sciocco non rallegrarsi per la salute della
propria anima, ma dolersi per la sottrazione dei cibi, mostrando così di dar
più importanza ai piaceri del ventre che alla guarigione dell'anima. La
sazietà è un godimento del ventre; il digiuno è un guadagno per l'anima.
Rallegrati che il medico ti dà una medicina atta a cancellare il peccato.
Come i vermi che germinano nell'intestino dei bimbi si cacciano con
medicamenti molto aspri, così il peccato che dimora nel profondo dell'anima
viene ucciso dal digiuno - che sia veramente degno di questo nome - appena
sopraggiunge nell'anima. «Ungiti la testa e lavati la faccia». La parola
divina ti chiama a un mistero: chi è unto, si unga, chi ha ricevuto il
lavacro, si lavi. Applica il precetto anche alle membra interne: lava la tua
anima dai peccati; ungiti la testa con il sacro crisma, perché tu sia
partecipe delle membra di Cristo, accedendo così al digiuno. Non oscurarti in
volto come i commedianti. Il volto si oscura quando il sentimento interno
viene artificiosamente celato, quasi ricoperto da un velo di menzogna. Il
commediante poi sul teatro rappresenta una persona altrui: a volte recita la
parte di padrone, pur essendo schiavo; o di re, pur essendo cittadino privato.
Così, in questa vita, i più recitano la loro parte come su di una scena: una
cosa portano in cuore, e un'altra mostrano agli occhi della gente. Non
oscurare dunque il tuo volto: tale sei, tale mostrati: non trasformarti in una
maschera triste e tetra, per ottenere da queste parvenze la fama di
temperante. Un'opera buona pubblicata a suon di tromba non è di utilità
alcuna; un digiuno annunciato al popolo non è di guadagno alcuno. Ciò
infatti che si fa per ostentazione non reca frutto per la vita futura, ma si
esaurisce tutto nella lode degli uomini. Accorri lieto, perciò, al digiuno!
La temperanza è rinuncia al corpo e
adesione a Dio: essa rigetta tutto ciò che è mortale e ha, quasi, per corpo
lo Spirito di Dio: a Dio ci unisce senza invidia alcuna o gelosia. Infatti chi
ama il corpo invidia gli altri, ma chi non accetta in cuor suo questa malattia
dissolvitrice, è sicuro contro ogni male; e per quanto muoia nel corpo, vive
nell'immortalità. E se considero a fondo l'argomento, mi sembra che Dio sia
temperanza, perché egli nulla brama ma tutto ha in se stesso; nulla
appetisce, e non è mosso né dagli occhi né dalle orecchie, ma è libero da
ogni necessità ed è la pienezza di tutto. Il desiderio è una malattia dell'anima;
la temperanza ne è la salute.
Il digiuno giova alla salute
Non scusarti con l'infermità o la debolezza
del corpo. Non raccontarlo a me, questo pretesto, ma a chi sa bene le cose.
Dimmi: non puoi digiunare? E invece riempirti per tutta la vita, aggravare il
corpo col peso dei cibi, lo puoi? Ma agli ammalati so che i medici prescrivono
non cibi vari, bensì astinenza e digiuno. Perché dunque se puoi fare tanto,
per quali motivi ti scusi di non poter digiunare? Che è più facile per il
ventre? Trascorrere la notte con un cibo leggero, o giacere aggravato dalla
quantità di cibo? O meglio, non giacere, ma rigirarsi di qua e di là, gonfio
da scoppiare? A meno che tu non voglia dire che per i marinai è più facile
salvare una nave appesantita dal carico, piuttosto che un vascello maneggevole
e leggero. La nave molto carica affonda anche per una mareggiata molto lieve;
quella invece il cui carico è moderato, supera facilmente i flutti, perché
nulla le impedisce di galleggiarvi sopra. Così anche il corpo umano
continuamente aggravato dalla sazietà diventa facilmente preda delle
malattie; se invece si accontenta d'un cibo semplice e leggero, non solo
sfuggirà i guai delle malattie che sovrastano come una tempesta, ma darà di
cozzo contro l'indisposizione già presente, come i flutti contro uno scoglio.
Certo, secondo te è più pesante riposare che correre, e starsene in ozio
più che combattere: quindi per gli ammalati ritieni più opportuno
gozzovigliare che seguire una dieta semplice. L'energia fisiologica del
vivente invece, assimila con facilità un vitto parco e moderato, e lo rende
carne di colui che se ne nutre; ma se è sopraffatta dalla varietà e dalla
sontuosità delle vivande e non è in grado di sopportarle, dà luogo a una
quantità di malattie.
Il digiuno accentua il gusto dei
cibi
Il digiuno è occasione di letizia. Come
infatti la sete rende dolce la bevanda e la fame rende appetitosa la mensa,
così il digiuno condisce il piacere dei cibi. Si pone in mezzo, interrompe la
continuità nel piacere del cibo, e fa che la sua degustazione, perché
interrotta, ti appaia più desiderabile. Perciò, se vuoi prepararti una mensa
gustosa, accetta di intervallarla col digiuno. Ma tu, dandoti troppo al
piacere, te lo rendi, senza avvedertene, insipido, e per troppo gusto sopprimi
il gusto. Nulla infatti è tanto desiderabile da non diventar mai nauseante
per la continua degustazione. Ma ciò che si ha raramente, lo gustiamo con
avidità. Così colui che ci ha creati ha provveduto che i suoi doni ci
fossero sempre grati per il loro continuo variare nella vita. Non vedi che il
sole è più raggiante dopo la notte? Che la veglia è più serena dopo il
sonno? E la salute è più apprezzata dopo che si è sperimentato il
contrario? E così la mensa è più lieta dopo il digiuno: sia per i ricchi
che mangiano bene, sia per coloro il cui cibo è semplice e frugale.
«Siate sempre allegri!»
Avete udito le parole che l'Apostolo rivolge
ai Tessalonicesi, dettando una legge per tutto il vivere umano. Dava questo
insegnamento, infatti, anzitutto a quelli che si trovavano a lui d'intorno; ma
l'utilità che ne deriva trapassa in tutta la vita degli uomini. Siate
sempre allegri, dice, non cessate di
pregare, in ogni occasione rendete grazie (1Ts 5,16). Che significa quest'allegria
e qual è l'utilità che ne deriva, come sia possibile dedicarsi a una
preghiera incessante e in ogni circostanza ringraziare Dio, lo spiegheremo tra
un po', come ci sarà possibile. E' necessario infatti premettere ciò che ci
obiettano i nostri avversari, cioè che è impossibile osservare quest'imposizione.
Che sorta di virtù è trascorrere la notte e il giorno effondendo l'animo
nella letizia e nell'ilarità? E anche se ciò risultasse possibile, ci
circondano mille mali imprevedibili che gettano necessariamente l'anima nella
tristezza. Per questi, rallegrarsi e esser lieti è impossibile, più ancora
che non sentire dolore se si viene arsi e non soffrire se si viene trafitti.
Come mi è possibile stare sempre allegro, si dice, dato che la causa della
gioia non è in mia mano? Ciò che dà la gioia, viene dall'esterno, non è in
noi: per esempio l'arrivo di un amico, un lungo soggiorno con i genitori, la
scoperta di tesori, l'onore presso gli uomini, la guarigione da una grave
malattia e tutto ciò che rende la vita felice: una casa cui nulla manchi, una
tavola riccamente imbandita, una lieta compagnia nel godimento, dolci melodie
e spettacoli, la salute dei propri intimi e in genere un corso felice della
loro vita. Ci fanno infatti soffrire non solo i dolori nostri, ma anche quelli
che colpiscono gli amici e i parenti. Da tutto ciò risulta la gioia e l'allegria
dell'anima. Oltre a ciò, si deve vedere il crollo dei nemici, la sconfitta
dei persecutori, la ricompensa delle nostre beneficenze, e, in breve, quando
proprio nulla ci crea dispiacere o inquietudine nella vita né per il presente
né per il futuro, solo allora nell'anima vi può essere l'allegria. Perché
dunque ci è stato dato un comando, la cui attuazione non dipende dalla nostra
libera volontà, ma è il risultato di tutte queste circostanze? E mi è
imposto perfino di essere riconoscente in ogni circostanza. Devo ringraziare
quando mi martirizzano, mi flagellano, mi stendono sulla ruota, mi cavano gli
occhi? E devo ringraziare se uno schiaffo di chi mi odia mi oltraggia e
disonora? Se sono intirizzito per il freddo, esausto per la fame, se vengo
legato al cavalletto per la tortura, o in un momento solo vengo privato di
tutti i figli e perfino della moglie? E ringraziare se un naufragio mi priva
improvvisamente di tutte le mie sostanze, se cado in mano dei pirati, in mare,
o dei ladroni, in terra? E ringraziare se vengo ferito, se vengo calunniato,
se sono costretto a vagabondare in miseria, o a languire in carcere? Questo e
più ancora mettono insieme gli accusatori del Legislatore e si illudono di
poter scusare i loro peccati dichiarando che la sua legge è qualcosa di
impossibile. Che risponderemo? L'Apostolo ha qualcosa di diverso davanti agli
occhi: egli cerca di innalzare la nostra anima dalla terra al cielo, di
convertirla a una vita celestiale. Per questo egli non invita chiunque ad
essere sempre allegro, ma solamente colui che gli è simile: che cioè non
vive più nella carne, ma ha in sé Cristo vivente; infatti l'unione al sommo
Bene rende completamente insensibile alle molestie della carne. Un'anima che
è tutta presa dal desiderio del Creatore, che ha trovato la propria gioia
nella sua beltà, non cambierà mai questa letizia e questa allegrezza con
mille piaceri sensibili; piuttosto, ciò che rende tristi gli altri aumenterà
la sua letizia. Ne è un esempio vivente l'Apostolo, che si è compiaciuto
della sua debolezza, dei suoi disagi, persecuzioni, bisogni e che si è
gloriato della sua povertà. Nella fame e nella sete, nel freddo e nella
nudità, nelle persecuzioni e nelle angosce, quando gli altri sospirano e sono
disgustati della vita, egli si rallegrava. Quelli che non conoscono il suo
animo e non comprendono come egli inviti a una vita evangelica, hanno il
coraggio di accusarlo come se ci imponesse obblighi impossibili. Ma si lascino
dire! Quante occasioni di giusta allegria ci dona la liberalità di Dio! Siamo
stati chiamati all'essere quando non eravamo; e lo siamo stati a immagine del
Creatore. Abbiamo la mente, la ragione, che costituiscono la nostra essenza e
ci permettono di conoscere Dio. E se consideriamo con attenzione la bellezza
del creato, vi leggiamo quasi scolpite in lettere la somma provvidenza di Dio
riguardo a tutto, e la sua sapienza. Sappiamo distinguere il bene e il male;
abbiamo appreso dalla natura stessa a scegliere ciò che ci giova e a scartare
ciò che ci nuoce. Allontanatici da Dio per i nostri peccati, siamo stati
nuovamente chiamati alla sua intimità, redenti, per il sangue dell'Unigenito,
da una vergognosa schiavitù. E poi la speranza della risurrezione, il
possesso dei beni angelici, il regno dei cieli, i beni promessi, che superano
ogni possibilità della parola e dello stesso pensiero.
Non sei nobile né famoso, sei povero, nato
da poveri, senza casa, senza patria, privo del pane quotidiano, timoroso delle
autorità, da tutto angosciato per l'umiltà della tua vita? Infatti
il povero, è scritto, non sostiene
la minaccia (Pr 13,8). Non disperare, per questo, di te, e se non hai ciò
che in questa vita tutti desiderano, non far getto di ogni buona speranza;
piuttosto solleva la tua anima alla considerazione dei beni che da Dio ti sono
già stati elargiti e di quelli che, per la sua promessa, ti sono riservati
per il futuro.
Il Signore ci ha dato una chiara
disposizione quando disse: A chi vuole
da te un prestito, non voltare le spalle (Mt 5,42). Ma l'avaro, quando
vede un uomo che per il bisogno gli si getta in ginocchio, lo supplica - e a
quale abiezione non si assoggetta con le opere e con le parole! - non ha
pietà di chi soffre senza colpa, non ne considera la comune natura, non si
lascia smuovere dalle preghiere, ma resta inflessibile e implacabile: non cede
alle suppliche, non si piega alle lacrime, ma persiste nel diniego. Giurando e
augurandosi del male, afferma di non avere assolutamente denaro, anzi di
andare in cerca egli stesso di chi gliene presti, e sforzandosi di rendere
credibile la sua menzogna coi giuramenti, si guadagna così lo spergiuro,
quale funesta aggiunta alla sua disumanità. Ma non appena colui che chiede il
prestito menziona gli interessi e parla di pegni, allora solleva le ciglia,
sorride e forse ricorda addirittura l'amicizia tra i loro padri, chiamandolo
compagno e amico: «Guarderemo - gli dice - se mai abbiamo da parte un po' di
denaro. In effetti, c'è un deposito di un amico: ce l'ha affidato a
interesse. Egli però ha stabilito un tasso gravoso, ma noi ti condoneremo
certamente qualcosa e te lo daremo a un tasso minore». Con questa messa in
scena, con tali parole blandisce e alletta il misero, e, dopo averlo legato
con un contratto scritto, se ne va, privandolo, pur nella sua gravosa
indigenza, anche della libertà. Assoggettandosi infatti all'obbligo di
interessi che non è in grado di pagare, ha accettato una schiavitù
volontaria per tutta la vita.
«Non attaccare il cuore alle
ricchezze!»
Vedi solo l'oro, pensi solo all'oro; è il
tuo sogno quando dormi, è la tua occupazione quando sei sveglio. Come chi
vaneggia non vede oggetti reali, ma il frutto delle sue passioni, così la tua
anima, ossessa dal demone dell'oro, vede solo e ovunque oro e argento.
Preferisci veder l'oro che il sole; vorresti che tutto si tramutasse in oro, e
ogni tuo pensiero, e ogni tuo affetto è orientato ad esso. Cosa non escogiti
e non intraprendi per l'oro? Il frumento diventa per te oro, il vino si
trasforma in oro, la lana la muti in oro; ogni occupazione, ogni affare ti
procura oro. L'oro produce se stesso, perché si accresce con l'usura. Eppure
non sarai mai sazio e le tue brame non cesseranno mai. Ai bambini golosi
ordiniamo spesso di non saziarsi con le loro leccornie, perché l'uso
smoderato non rechi loro la nausea. Ma per chi è avido di ricchezze ciò non
avviene mai: più ne riceve, più ne brama. Se la ricchezza affluisce, non
attaccarci il cuore (Sal 61,11). Tu invece imprigioni questo flusso, e sbarri
le uscite. Esso diventa come il mare, che fa poi? Fracassa gli sbarramenti e,
pieno da traboccare, distrugge i granai del ricco, ne abbatte al suolo i
magazzini. Egli ne costruirà di più grandi? Non è certo neppure che egli
non debba lasciarne i resti abbattuti al suo erede; presto infatti può essere
rapito, prima ancora che i nuovi granai siano costruiti, secondo i suoi avidi
progetti. Il ricco ha trovato la fine che corrisponde al suo animo perverso.
Ma voi, se mi seguite, aprirete tutte le
porte dei vostri magazzini e baderete che la ricchezza ne esca il più
possibile. Un gran fiume si riversa, in mille canali, sul terreno fertile:
così per mille vie tu fa' giungere la ricchezza nelle abitazioni dei poveri.
Come una fontana dà acqua sempre più pura se da essa si attinge, mentre l'acqua
imputridisce se non la si usa, così è la ricchezza che giace inutile; ma se
si muove e corre, diventa fruttuosa, utile alla comunità. Che lode a te si
innalza da parte di quelli che soccorri, una lode che tu neppure sospetti! E
che lode avrai dal giusto giudice, di cui non puoi dubitare!
Basilio il Grande, Omelia contro l'avidità,
4-5
Sta' ben attento che a te non capiti la
stessa fine del ricco stolto. Questa parabola è stata scritta perché
cerchiamo di non diventare simili a lui. Prendi esempio, uomo, dalla terra e,
come lei, porta il tuo frutto, per non apparire inferiore a lei che è
inanimata. La terra produce i frutti, alimentandoli con i suoi succhi, non per
il proprio vantaggio, ma per servire te.
Che il termine della tua mietitura sia per
te l'inizio della semina celeste, come dice la Scrittura: Seminate
per voi secondo giustizia (Os 10,12).
«Non attaccare il cuore alle
ricchezze!»
Vedi solo l'oro, pensi solo all'oro; è il
tuo sogno quando dormi, è la tua occupazione quando sei sveglio. Come chi
vaneggia non vede oggetti reali, ma il frutto delle sue passioni, così la tua
anima, ossessa dal demone dell'oro, vede solo e ovunque oro e argento.
Preferisci veder l'oro che il sole; vorresti che tutto si tramutasse in oro, e
ogni tuo pensiero, e ogni tuo affetto è orientato ad esso. Cosa non escogiti
e non intraprendi per l'oro? Il frumento diventa per te oro, il vino si
trasforma in oro, la lana la muti in oro; ogni occupazione, ogni affare ti
procura oro. L'oro produce se stesso, perché si accresce con l'usura. Eppure
non sarai mai sazio e le tue brame non cesseranno mai. Ai bambini golosi
ordiniamo spesso di non saziarsi con le loro leccornie, perché l'uso
smoderato non rechi loro la nausea. Ma per chi è avido di ricchezze ciò non
avviene mai: più ne riceve, più ne brama. Se la ricchezza affluisce, non
attaccarci il cuore (Sal 61,11). Tu invece imprigioni questo flusso, e sbarri
le uscite. Esso diventa come il mare, che fa poi? Fracassa gli sbarramenti e,
pieno da traboccare, distrugge i granai del ricco, ne abbatte al suolo i
magazzini. Egli ne costruirà di più grandi? Non è certo neppure che egli
non debba lasciarne i resti abbattuti al suo erede; presto infatti può essere
rapito, prima ancora che i nuovi granai siano costruiti, secondo i suoi avidi
progetti. Il ricco ha trovato la fine che corrisponde al suo animo perverso.
Rinvio
delle opere di misericordia a dopo la fine della vita
Quale scusa plausibile della loro tirchieria
tirano in ballo coloro che non hanno figli? «Non vendo i miei beni e non li
do ai poveri, perché ne ho bisogno io per vivere». Così dunque il Signore
non è tuo maestro, né il Vangelo indirizza la tua vita, ma tu poni legge a
te stesso. Osserva in che pericolo cadi pensando così. Se, infatti, ciò che
il Signore ci ha comandato come necessario tu lo sopprimi come impossibile,
non fai altro che proclamarti più intelligente del legislatore. «Godrò dei
miei beni finché vivrò, e dopo la fine della vita farò eredi delle mie
sostanze i poveri; per iscritto, per testamento li indicherò padroni del mio
avere». Quando non sarai più tra gli uomini, allora amerai gli uomini;
quando ti vedrò morto, dirò che amerai il prossimo! Grande sarà il merito
della tua liberalità, perché giacendo nel sepolcro, dissolvendoti in terra,
sarai magnanimo, sarai largo nello spendere! Ma dimmi: la ricompensa che tu
esigi, a che tempo si riferisce: a quello della vita o a quello dopo la morte?
Eppure nel tempo in cui vivevi, abbandonandoti alle passioni e ai piaceri
della vita, non potevi neppure sopportare la vista dei poveri; e quando sarai
morto, cosa farai? Quale ricompensa sarà dovuta alle tue opere? Mostra le
opere, ed esigi la mercede! Nessuno si mette a contrattare quando il mercato
è finito; nessuno è premiato se giunge quando la gara è terminata, e
nessuno è ritenuto un eroe se arriva quando la guerra è cessata. Ed è
chiaro che dopo la fine della vita non è più possibile compiere opere di
pietà.
Ciascuno di noi, discepoli del Verbo, deve
compiere uno degli uffici stabilitoci dal Vangelo. In questa grande casa che
è la Chiesa, non solo vi sono vasi d'ogni genere, d'oro e d'argento, di legno
e di coccio, ma anche molte professioni. La casa di Dio, che è la Chiesa del
Dio vivente, accoglie cacciatori, viandanti, architetti, muratori,
agricoltori, pastori, atleti e soldati. Questa breve frase: Fa'
attenzione a te stesso (1Tm 4,16), si addice a tutti, perché a ciascuno
dà coscienza della sua opera e dà diligenza nel proprio ufficio. Se
cacciatore, sei mandato dal Signore che ha detto: Ecco,
invio molti cacciatori che daranno loro la caccia su tutti i monti (Ger
16,16). Bada dunque con cura che non ti sfugga la selvaggina: cioè cattura
con la parola della verità quelli che si sono rinselvatichiti nei vizi e
portali al Salvatore. Se viandante, sei simile a colui che pregava: Dirigi i miei passi
(Sal 118,133). Bada a te, di non deviare sulla
strada, di non volgerti a destra o a sinistra: procedi sulla via maestra. L'architetto
getti il fondamento incrollabile della fede, che è Gesù il Cristo. Il
muratore badi a come edifica: non legno, fieno o paglia, ma oro, argento,
pietre preziose. Se sei pastore, bada di non trascurare nulla di ciò che ti
impone la tua arte pastorale: Di che si tratta? Ricondurre la pecora errante,
fasciare la ferita, curare l'ammalata. Se agricoltore, scava intorno al fico
infruttuoso e getta dentro ciò che aiuta la feracità. Se soldato, prendi
parte al travaglio del Vangelo (2Tm 1,8), combatti la buona battaglia
contro gli spiriti del male, contro le passioni della carne, e rivestiti di
tutta l'armatura di Dio: non lasciarti coinvolgere dalle faccende mondane, per
piacere a colui che ti ha scelto per la sua milizia. Se sei atleta, bada a te
stesso, di non trasgredire qualche legge sportiva. Infatti: Nessuno
è premiato se non gareggia lealmente (2Tm 2,5). Imita Paolo e corri e
lotta e attacca; tu, come un bravo pugile, abbi saldo lo sguardo della fede;
proteggi con le mani le parti vulnerabili e tieni l'occhio fisso sull'avversario.
Nelle corse, slanciati in avanti: gareggia in modo da raggiungere il premio;
nella lotta, attacca gli avversari invisibili. Questa frase vuole che per
tutta la vita tu sia così: non abbattuto, non assonnato, ma sobrio e vigile,
padrone di te.
Ogni
stato ha la sua pena
Per i contadini le fatiche dell'agricoltura
non sono una novità, per i marinai la burrasca in mare non giunge
inaspettata, per i braccianti non è insolito il sudore d'estate; così per
coloro che hanno scelto di vivere piamente, le tribolazioni di questo mondo
non sono impreviste. A ogni stato di cui ho parlato va unita la sua pena, che
ogni professione ben conosce; pena che non va eletta per se stessa, ma per
fruire dei beni aspettati. Le speranze infatti, che mantengono e accompagnano
tutta la vita degli uomini, alleviano la difficoltà a ciascuno insita. Tra
quelli che faticano per raccogliere i frutti della terra, o per i beni
mondani, alcuni restano completamente ingannati nelle loro speranze: costoro
godono dei beni sperati solo nell'immaginazione. Ma anche quelli che hanno
visto i fatti avverarsi secondo il loro volere, è necessaria una nuova
speranza, poiché la prima trascorre e appassisce ben presto. Solo a quelli
che si affaticano per la pietà, l'inganno non annulla la speranza, la
conclusione non rovina le fatiche, poiché, certo e immutabile li accoglie il
regno dei cieli.
L'aborto equivale all'omicidio
Alla donna che deliberatamente si procura un
aborto sia imposta la pena dell'omicidio. Non si sottilizzi tra di noi se il
feto è formato o no. In questo modo si fa giustizia non solo della creatura
non nata, ma anche della medesima donna che ha insidiato se stessa, perché
per lo più quelle che perpetrano tali cose, ci rimettono la vita. All'uccisione
del feto, perciò, si aggiunge un altro omicidio, almeno secondo il
divisamento di quelli che osano compiere tali azioni. Non si deve tuttavia
farli restare in stato di penitenza fino alla morte, ma tenersi dentro la
misura dei dieci anni: la loro guarigione interiore si stabilisca non per il
tempo, ma per la qualità della penitenza.
Pensieri di conforto nella perdita
della compagna della vita
Avevi ottenuto come compagna della vita una
donna che ti dava ogni piacere nel vivere, ti creava letizia, ti procurava
diletto, aumentava i tuoi beni e, nei dolori, ti sollevava per la massima
parte dall'afflizione: ma all'improvviso ti è stata rapita e se n'è andata.
Non infuriarti per il dolore e non dire che esiste un fato cieco, come se il
mondo non fosse retto da una Guida; non andare a pensare a un demiurgo
cattivo, creando a te stesso, per lo smisurato dolore, dottrine malvagie; non
uscire dai confini della fede.
Non desiderare dunque che le disposizioni
riguardo alle anime si accomodino ai tuoi gusti! Considera piuttosto quelli
che nella vita sono stati uniti e poi separati dalla morte, come viandanti che
procedono per la stessa via e per la convivenza continua tra loro per
necessità e abitudine si sono saldamente legati. Quando però hanno percorso
la strada comune e arrivano dove questa si divide, sono necessitati a
separarsi; ed essi non trascurano certo i loro propositi per mantenersi uniti,
ma, ricordando il motivo che dall'inizio li aveva mossi, ciascuno si dirige
alla propria meta. Ciascuno di costoro, dunque, aveva uno scopo diverso nel
viaggio, ma nel tragitto, stando insieme, tra di loro si è creata una
familiarità; così anche per quelli che sono uniti nel matrimonio o in
qualsiasi altro legame, è stato prefissato un termine particolare nella vita
e di necessità la fine del vivere li separa, e scioglie così la loro unione
reciproca. Chi ha buon senso, dunque, non si mostra intollerante della
separazione, ma per la convivenza trascorsa è riconoscente a colui che li
aveva uniti in una sorte. Tu, invece, anche quando ancora viveva tua moglie, o
l'amico, o il figlio, o chiunque ora tu piangi, non ne eri affatto grato al
Datore di tutti i beni, ma ti lamentavi per ciò che ti mancava. Se vivevi con
la moglie sola, perché non avevi figli, come avresti voluto; se avevi figli,
perché non eri ricco o perché vedevi la prosperità dei tuoi nemici. Badiamo
dunque di non essere noi stessi a rendere necessaria la perdita dei nostri
cari, non badando loro fino a quando sono in vita, e dando loro tanta
importanza invece quando se ne sono andati: se non siamo grati per i beni
presenti ricevuti da Dio, dobbiamo esserne privati, perché impariamo ad
apprezzarli. Come gli occhi, che non vedono gli oggetti troppo vicini, ma
hanno bisogno di una certa distanza, così anche le anime ingrate mostrano di
rendersi conto della grazia goduta, solo quando perdono i beni. Finché ne
godono, non pensano a ringraziare; dopo la perdita, stimano i beni scomparsi.
Ai carissimi fratelli che veramente amano
Dio, ai nostri colleghi di ministero che nutrono gli stessi nostri sentimenti,
ai vescovi della Gallia e dell'Italia, Basilio, vescovo di Cesarea di
Cappadocia.
Il Signore nostro Gesù Cristo, che si è
degnato di chiamare suo corpo la Chiesa universale e ha reso ciascuno di noi
membra gli uni degli altri, ha concesso a noi tutti di aver stretti rapporti
reciproci alla stregua dell'armonia che stringe le membra. Perciò, anche se
siamo tanto lontani per dimora, siamo vicini gli uni agli altri a motivo della
nostra stretta unione. Il capo non può dire ai piedi: Non ho bisogno di voi;
e certamente neppure voi ammetterete di respingerci ma soffrirete con noi per
le tribolazioni cui siamo stati abbandonati per i nostri peccati; e
precisamente quanto noi ci rallegriamo per la pace di cui vi gloriate, a voi
concessa dal Signore. Già altre volte abbiamo innalzato alla vostra carità
il nostro grido, per ottenere da voi aiuto e commiserazione; ma, certo perché
non era completo il nostro castigo, non vi fu concesso di sorgere a nostro
aiuto. Bramiamo soprattutto che lo sconvolgimento da noi vissuto venga, per la
vostra pietà, portato a conoscenza di colui che governa i vostri territori (l'imperatore
Graziano); ma se ciò fosse troppo difficile, vengano almeno alcuni di voi a
visitare e consolare gli afflitti e possano così contemplare coi propri occhi
le tribolazioni dell'Anatolia, perché con le orecchie non possono essere
comprese, dato che non si possono trovare parole adatte ad esprimervi la
nostra situazione.
Ci ha colpito la persecuzione, o fratelli
stimatissimi, anzi una persecuzione pesantissima. Vengono perseguitati i
pastori perché siano dispersi i greggi. E ciò che è più grave, né i
perseguitati accettano le tribolazioni con la coscienza fiduciosa del
martirio, né il popolo venera questi eroi nella schiera dei martiri, perché
i persecutori si ornano del nome di cristiani. Uno solo è il delitto che ora
viene violentemente castigato: l'osservanza accurata delle tradizioni dei
padri. Per questo motivo uomini religiosi vengono allontanati dalla patria,
vengono cacciati nei deserti. Né le canizie suscitano reverenza ai giudici di
iniquità, né l'esercizio della pietà, né una vita condotta secondo il
Vangelo dalla giovinezza alla vecchiaia. Nessuno scellerato viene condannato
senza prove, mentre i vescovi vengono giudicati e abbandonati ai supplizi per
una semplice delazione, senza l'aggiunta di nessun indizio. Anzi, alcuni
neppure hanno conosciuto accusatori né visto tribunali, né sono stati
oggetto di calunnie, ma durante la notte sono stati rapiti violentemente,
cacciati in regioni lontane, abbandonati a morire di privazioni nel deserto.
Ciò che ne segue è noto a tutti, anche se lo tacciamo: fuggono i presbiteri,
fuggono i diaconi e tutto il clero viene depredato. E' giocoforza o adorare la
statua o essere abbandonati alla fiamma malvagia dei flagelli (cf. Dn 3,10).
Gemiti di popoli, lacrime continue nelle case e in pubblico, un reciproco
lamentare le proprie sofferenze. Nessuno ha tanto il cuore di pietra che,
privato del padre, ne sopporta lietamente la separazione. Si odono lamenti
nella città, lamenti nelle campagne, nelle vie, nei deserti. Solo un'unica
voce di cordoglio, di lamento delle proprie tristezze. Ci è stata tolta la
gioia, la serenità spirituale; le nostre feste si sono tramutate in lutto,
sono chiuse le chiese, gli altari sono privi del culto spirituale. Non vi sono
più adunanze di cristiani, né maestri che presiedono l'assemblea; non più
insegnamento di salvezza, celebrazione di solennità, canto notturno di inni,
né beata esultanza delle anime che, nelle assemblee liturgiche e nella
partecipazione ai beni spirituali, si eleva nelle anime di coloro che credono
nel Signore. Possiamo dire giustamente che: In
questo tempo non abbiamo né principe né profeta né condottiero né
oblazione né sacro incenso e neppure luogo per sacrificare davanti al Signore
e ottenere così misericordia (Dn 3,38-39).
Le
Chiese di Oriente possono salvarsi solo unendosi con i vescovi d'Occidente
Penso
che nessuno soffra tanto per la presente situazione delle Chiese - o meglio
confusione, per parlare con più verità - quanto ne soffre la tua eccellenza
[Atanasio di Alessandria]. Sai mettere a confronto il presente con il passato,
ne giudichi tutta la differenza e comprendi che, se tutto protende al male con
lo stesso impeto, nulla impedirà che entro poco tempo le Chiese cambino
completamente nel loro aspetto. Mi sono fermato spesso a pensare che, se
questo traviamento della Chiesa sembra a noi tanto miserabile, cosa avrà mai
nell'animo colui che ha esperimentato l'antica tranquillità e concordia nella
fede delle Chiese del Signore? Ma come per la tua perfezione sai assumerti la
maggior parte di dolore, così riteniamo conveniente rimettere alla tua
saggezza la parte maggiore della sollecitudine per la Chiesa. Anch'io sono da
molto tempo ormai convinto, pur nella mia limitata comprensione della realtà,
e riconosco che una sola è la strada di salvezza per le nostre Chiese: l'unione
attiva con i vescovi dell'Occidente. Se essi volessero mostrare anche per le
comunità della nostra regione lo zelo che ebbero contro uno o due che in
Occidente furono sorpresi nell'errore [Aussenzio di Milano e i suoi seguaci],
forse non piccola sarebbe l'utilità per il bene comune, perché i governanti
[l'imperatore Valente] avrebbero rispetto del loro numero imponente e i popoli
di ogni regione li seguirebbero senza difficoltà. Per ottenere ciò, cosa mai
è più adatto della tua saggezza? Chi è più acuto nel prevedere ciò che è
necessario? Chi è più pratico nel mettere in opera ciò che è utile? Chi
partecipa più di te ai dolori dei fratelli? Cosa mai in tutto l'Occidente è
più stimato della tua venerabile canizie? Lascia ai viventi un monumento
degno della tua condotta, o padre sommamente venerando! Corona le tue mille
altre fatiche per la fede con questa sola buona opera: manda dalla tua Chiesa
ai vescovi di Occidente alcuni uomini ben versati nella dottrina sana: esponi
loro le sventure che ci travagliano, suggerisci loro il modo di aiutarci. Sii
per le Chiese un Samuele, abbi pietà dei popoli travagliati dalla guerra,
offri preghiere di pace, chiedi al Signore la grazia che mandi alle Chiese un
segno di pace! So che lo scritto vale poco per persuaderti a questa impresa;
ma tu non hai bisogno delle esortazioni altrui, come i lottatori più generosi
non hanno bisogno dell'applauso dei fanciulli, e noi non istruiamo un
ignorante, ma eccitiamo il fervore di un fervoroso [scritta nel 371, questa
lettera oltre a invocare l'aiuto del vescovi d'Occidente contro l'eresia
ariana, contiene un elogio di Atanasio, l'uomo e il vescovo che difese con
vigore la fede di Nicea].Per tutte le
altre situazioni dell'Oriente forse hai bisogno dell'aiuto di molti e ti è
necessario attendere gli occidentali; tuttavia il buono stato della Chiesa di
Antiochia pende chiaramente dalla tua pietà: che tu cioè con alcuni scenda a
trattative e altri convinca a star calmi, restituendo così alla Chiesa, per
mezzo della concordia, la sua forza. Che la cura debba incominciare dalle
parti più vitali, tu, come medico sapiente, lo sai meglio d'ogni altro.
E per la Chiesa universale, cosa è mai più importante di Antiochia? Se viene
ricondotta alla concordia, nulla impedirà che, come un capo rinvigorito, essa
diffonda la salute in tutto il corpo. Ma la debolezza di questa città ha
effettivamente bisogno della tua saggezza e della tua compassione evangelica.
Essa non solo è lacerata dagli eretici [ariani], ma anche da taluni che
dicono di avere le stesse nostre idee. Riunire queste membra e innestarle nell'armonia
di un solo corpo è possibile solo a colui che con la sua indicibile potenza
concede anche alle ossa aride di ritornare tra i nervi e la carne (cf. Ez 37).
Certo, Dio compie grandi opere per mezzo di quelli che sono degni di lui.
Speriamo dunque che il disbrigo di queste faccende tanto importanti renda
illustre la tua grandezza d'animo e che tu possa appianare lo scompiglio del
popolo, far cessare il dominio delle fazioni, unire tutti nell'amore e
restituire alla Chiesa la forza di prima.
Prepararsi
all'ascolto della parola di Dio
Anche lo spettatore deve in qualche modo
partecipare allo sforzo degli atleti: può rendersene conto dalle regole
sportive che impongono al pubblico di sedere nello stadio a capo scoperto,
perché così, mi sembra, lo spettatore non solo contempli gli atleti, ma
partecipi in parte alla loro competizione. Così è bene che anche chi viene a
contemplare spettacoli tanto alti e portentosi, chi viene ad ascoltare la
sapienza somma e ineffabile, porti fin da casa lo stimolo a contemplare le
realtà propostegli e prenda parte, con ogni suo potere, ai miei sforzi e
resti qui non come un giudice, ma come un collaboratore, affinché non succeda
che ci sfugga la scoperta della verità e il mio errore non diventi male
comune dei miei ascoltatori.
Basilio il Grande, Esamerone, 6,1
La Scrittura come insegnamento
morale
La via migliore per conoscere i nostri
doveri è la meditazione delle Scritture ispirate da Dio. Si trovano in esse
le regole di condotta nell'agire e l'esposizione della vita degli uomini
beati, proposte all'imitazione del buon operare, come immagini vive del
comportamento voluto da Dio. Perciò, per quanto uno si senta difettoso,
applicandosi continuamente a tale imitazione può trovare, come in una
farmacia universale, la medicina adatta al proprio male.
Chi ama la castità rilegge continuamente la
storia di Giuseppe e impara da lui l'agire virtuoso, trovando come non solo si
astenga dal piacere, ma anche quanto sia saldo nella virtù. Impara la
fortezza invece da Giobbe: crollato tutto nella sua vita, diventato in un
momento povero da ricco che era, solo da padre di molti figli, non solamente
rimane uguale a se stesso, restando incrollabile nel proprio spirito, ma
neppure si lascia smuovere dagli insulti degli amici, venuti per consolarlo,
che esasperano invece il suo dolore. Chi cerca il modo di essere insieme
clemente e magnanimo, e usare così forza contro il peccato e clemenza verso
gli uomini, troverà Davide: generoso nelle imprese di guerra, mite e calmo
nel punire i nemici. Così anche Mosè: insorge con grande sdegno contro
quelli che hanno peccato contro Dio, ma sopporta con animo mite le calunnie
mosse contro di lui. Come i pittori, che eseguono copie di quadri, guardano
spesso all'originale cercando di trasferirne i tratti nella propria opera;
così chi cerca di diventare perfetto in ogni virtù, deve sempre guardare la
vita dei santi, come modelli vivi ed efficaci, e per imitazione, fare proprio
il bene che in essa vi è.
La vita è un viaggio dal seno
materno alla tomba
Quelli che intraprendono un viaggio, muovono
continuamente, nel percorso, un piede avanti all'altro, tanto che il piede
fisso al suolo da primo diventa immediatamente secondo per il movimento veloce
dell'altro, ed essi giungono così facilmente al termine della strada. Allo
stesso modo, quelli che dal Creatore sono stati introdotti nella vita, subito,
sin dall'inizio, ad ogni istante di tempo che toccano, lasciano dietro di sé
come ultimo quello che era primo, e giungono così al termine della vita.
Anche la vita presente, dunque, non sembra a voi una via intrapresa, un
viaggio suddiviso nelle tappe dalle varie età? Un viaggio che all'inizio per
tutti presenta il travaglio della madre e come termine del percorso mostra il
luogo del sepolcro. Un viaggio che conduce tutti proprio al sepolcro, alcuni
prima, altri poi, alcuni dopo che sono passati per tutte le fasi del tempo,
altri senza che neppure abbiano indugiato nelle prime tappe della vita. Dalle
altre strade, quelle cioè che conducono da città in città, ci si può
allontanare e chi non vuole può far a meno di viaggiare su di esse; ma questa
strada, anche se noi volessimo differire il viaggio, ci prende con forza e ci
trascina da sé alla meta prefissataci dal Signore. Non è possibile, o
carissimi, che qualcuno sia entrato dalla porta che conduce a questa vita
intraprendendone il viaggio, e non ne giunga al termine. Ciascuno di noi,
appena uscito dal seno materno, viene subito afferrato dalla corrente del
tempo e travolto, lascia continuamente dietro a sé il giorno vissuto e non
può mai tornare a ieri, anche se lo volesse.
Ricordati che sei mortale!
Fa' attenzione a te stesso (1Tm 4,16).
Questo detto - anche se la tua fortuna è splendida e tutto nella vita va per
il suo verso - ti sarà utile e come un buon consigliere ti ricorderà la tua
realtà umana. Ma anche quando sarai oppresso dall'avversità risuonerà
opportuna al tuo cuore, perché non ti gonfi di superbia e di alterigia, né
per la disperazione tu non cada in un abbattimento meschino. Ti fai bello per
la ricchezza, ti vanti per la nobiltà dei tuoi, ti glori per la tua patria,
per la bellezza del tuo corpo e per gli onori a te attribuiti? Fa' attenzione
a te stesso, al fatto che sei mortale, che sei terra e in terra ritornerai (Gen
3,19). Guarda quelli che prima di te vissero in tale splendore. Dove sono i
politici una volta tanto potenti? Gli oratori imbattibili? I dominatori delle
pubbliche assemblee? Dove sono gli insigni allevatori di cavalli, i
condottieri, i satrapi, i tiranni? Non è tutto cenere? Non è tutto una
favola? Non resta in poche ossa il ricordo della loro vita? Guarda nelle
tombe, se puoi distinguere chi è lo schiavo e chi il padrone, chi il povero e
chi il ricco! Distingui, se ne hai il potere, il prigioniero dal re, il forte
dal debole, il bello dal brutto. Tenendo presente la tua natura, mai ti
gonfierai; e terrai presente te stesso, se farai attenzione a te stesso.
Le lacrime rappresentano un certo sollievo
per gli afflitti, perché quello che li aggrava, senza che se ne avvedano, se
ne esce, in un certo senso, con le lacrime. Questo fatto è attestato dall'esperienza
pratica. Abbiamo conosciuto molti che in terribili afflizioni si sforzarono di
allontanare con violenza le lacrime; alcuni di essi caddero in mali
incurabili: apoplessia e paralisi; altri invece addirittura morirono, perché
il debole sostegno delle loro forze fu schiantato dal peso del dolore. Lo si
può vedere nel fuoco: viene soffocato dal suo stesso fumo, se questo non sale
ma si ammassa intorno; e questo si dice che avvenga della potenza vitale che
sorregge il vivente: si consuma e si estingue per il dolore, se esso non trova
sfogo all'esterno.
L'Apostolo dice anche:
In
ogni circostanza rendete grazie (1Ts 5,18). Ma come è possibile, si
obietta, che un'anima straziata dalle sventure, quasi trafitta dall'intensità
del dolore, non scoppi in lamenti e lacrime, ma ringrazi, come se fosse un
bene ciò che in realtà è detestabile? Soffro appunto i mali che mi ha
augurato il mio nemico, e come posso ringraziare per essi? E' stato rapito
dalla morte il tenero fanciullo e dolori più atroci di quelli del parto
straziano la madre dolente per il suo diletto: come cesserà i lamenti e
innalzerà parole di ringraziamento? Come? Se penserà che del fanciullo da
lei generato Dio è il padre più vero, il tutore più avveduto, il sostegno
della vita. Perché non lasciamo che il Signore, tanto saggio, dispensi i suoi
beni come gli pare, ma ci turbiamo come se ci spogliasse di beni nostri?
Perché compatiamo i defunti come se avessero subito un'ingiustizia? Tu pensa
invece che il fanciullo non è morto, ma è stato restituito; che il tuo caro
non è defunto, ma ha traslocato, e per breve tempo ti ha preceduto sulla via
che tutti noi necessariamente dobbiamo percorrere. Tua compagna inseparabile
sia la legge di Dio, che è una luce e uno splendore da cui procede sempre il
retto giudizio sulle cose! Se essa ti è sempre avanti e impone alla tua anima
la retta direzione e ti suggerisce le idee esatte su ogni realtà, non
permetterà che tu ti muti per i vari eventi, ma farà sì che, con l'animo
sempre preparato, tu sopporti come uno scoglio in riva al mare la veemenza dei
venti e l'impeto dei flutti. Perché dunque non ti sei abituato a ritenere
mortali le cose mortali, e perché invece la morte del fanciullo ti è giunta
così inaspettata? Quando ti fu annunziata per la prima volta la nascita del
figlio, se qualcuno avesse chiesto cosa fosse nato, che gli avresti risposto?
Non gli avresti detto forse che il nato era un uomo? Ma se è un uomo, è
chiaro che è mortale. Che vi è dunque di straordinario se chi è mortale
muore? Non vedi il sole sorgere e tramontare? Non vedi la luna crescere e
calare? Non vedi la terra rinverdire e rinsecchirsi? Cosa mai intorno a noi è
stabile? Cosa mai è per sua natura immobile e immutabile? Guarda lassù il
cielo e osserva la terra: neppure essi rimangono: Il
cielo e la terra passeranno - è detto - cadranno
le stelle dal cielo, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce
(Mt 24,35.29). Che meraviglia dunque se anche noi, che siamo parte del mondo,
subiamo la sorte del mondo? Considerando ciò, quando ti colpisce la tua parte
della sorte comune, sopportala in silenzio, non con insensibilità e apatia,
ma con fatica, tra molte sofferenze. Sopporta come un lottatore generoso, che
rivela la sua forza e il suo coraggio non solo colpendo l'avversario, ma anche
sapendo incassare i suoi duri colpi; sopporta come un bravo pilota,
imperturbabile per la sua lunga esperienza di mare, che mantiene sempre la
mente lucida, elevata, mai travolta da nessuna burrasca. La privazione del
figlio carissimo, della moglie affettuosa o di qualsiasi altro fra i più
intimi e fra i più amati, non è qualcosa di tremendo per l'uomo provvido,
che ha posto la retta ragione a guida della vita e non procede così, solo per
abitudine.
Basilio il Grande, Omelia sulla martire
Giulitta, 4
Per la tua dignità, avrei voluto star
zitto, pensando che come per un occhio infiammato anche il rimedio più
delicato è causa di dolore, così per l'anima afflitta dal peso del dolore,
la parola, anche se di gran consolazione, può sembrare inopportuna se rivolta
nel momento della sofferenza. Ma poi mi è venuto in mente che avrei parlato a
una cristiana, già da tempo ammaestrata nelle realtà divine e preparata agli
eventi umani, e perciò non ho ritenuto giusto trascurare il mio dovere.
Conosco com'è il cuore di una madre e quando penso in particolare al tuo
cuore, per tutti tanto mite e buono, ne so misurare il dolore nelle presenti
circostanze. Hai perso un figlio che, quando era vivo, tutte le madri
stimavano beato, desiderando che i loro figli fossero come lui; morto, tutte
lo piangono come se i loro propri figli fossero sepolti sotterra. La sua morte
è stata una sventura per due patrie, la nostra e quella dei cieli. Con lui è
crollata una stirpe grande e illustre, privata quasi del suo sostegno. O
incontro col demone malvagio: quanto male ha potuto fare! O terra, costretta
ad accogliere tanto dolore! Il sole stesso è rabbrividito, se c'è un po' di
senso in lui, a questo triste spettacolo! Chi potrebbe tradurre in parole ciò
che l'anima impotente suggerisce?
Beata l'anima che giorno e notte non si
lascia prendere da altra preoccupazione che quella di sapere come rendere
conto senza angoscia della propria vita in quel grande giorno, in cui tutte le
creature si presenteranno al giudice per rendere conto delle loro azioni. Chi,
infatti, ha sempre davanti agli occhi quel giorno e quell'ora, chi sempre
pensa alla propria difesa davanti a quell'incorruttibile tribunale, costui o
non peccherà mai, o peccherà solo lievemente, poiché, se a noi capita di
peccare, è a causa della mancanza di timore di Dio. A coloro per i quali l'aspettativa
delle minacce è efficiente, il timore di cui sono penetrati non permette loro
in nessun momento di cadere in azioni o pensieri non voluti. Ricordati dunque
sempre di Dio, serba nel tuo cuore il suo timore, e invita tutti perché si
uniscano alla tua preghiera. Grande è infatti l'aiuto di coloro che possono
placare Dio. E non smettere mai di fare ciò. Mentre viviamo in questa carne,
la preghiera sarà un buon aiuto per noi; e quando ce ne dipartiremo da qua,
sarà un viatico sufficiente per la vita futura.
1^
Lettura 1 Cor 2, 10-16
Dalla prima lettera di San Paolo ai Corinti
Fratelli, lo Spirito scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio. Chi conosce i segreti dell'uomo se non lo spirito dell'uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo Spirito di Dio. Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato. Di queste cose noi parliamo, non con un linguaggio suggerito dalla sapienza umana, ma insegnato dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali. L'uomo naturale però non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui, e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito. L'uomo spirituale invece giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno. Chi infatti ha conosciuto il pensiero del Signore in modo da poterlo dirigere? Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo. Parola di Dio
Salmo
36 “Risplende nei giusti la sapienza del Signore”
Confida nel Signore e fa il bene,abita la terra e vivi con fede.
Cerca la gioia nel Signore, esaudirà i desideri del tuo cuore. R
Manifesta al Signore la tua via, confida in lui: compirà la sua opera;
farà brillare come luce la tua giustizia, quale meriggio il tuo diritto. R
La bocca del giusto proclama la sapienza, e la sua lingua esprime la giustizia;
la legge del suo Dio è nel suo cuore, i suoi passi non vacilleranno. R
Vangelo
Mt 5, 13-16
Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli”. Parola del Signore
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