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ISIDORO
Santo,Vescovo e Dottore della Chiesa memoria liturgica al 4 Aprile
La
tradizione tramandata da antichi breviari afferma che la sua famiglia proveniva
da Cartagena e da origini ispano romane. Suo padre Severiano fuggì verso
Siviglia intorno al 554, davanti agli invasori bizantini, portando con sé la
moglie e i figli: Leandro, Fulgenzio e Fiorentina. Probabilmente Isidoro nacque
nell’esilio Sivigliano tra il 560 e il 570. Alla morte dei genitori, avvenuta
quando Isidoro era ancora bambino, Leandro rimase il capo della famiglia e, da
un suo scritto, alla sorella Fiorentina, si desume che curò paternamente
l’educazione del fratello più piccolo. Si raccontano alcuni fatti riguardanti
l’infanzia di Isidoro. Questi diventano più che racconti, specie di parabole
per indicare la dolcezza, la volontà e lo stile di questo santo scrittore. Una
mattina dell’anno 560, a Cartagena, la nutrice aveva lasciato all’aperto,
sotto il tiepido sole spagnolo, la culla che conteneva l’ultimo figlio di
Severino e di Teodora. Quando tornò, la donna si accorse con spavento che uno
sciame d’api s’era posato sulla bocca del neonato. Prima che la nutrice
avesse il tempo di alzar la mano, lo sciame d’oro si levò contro l’oro del
sole. Sulla bocca del bimbo, non una ferita né un gonfiore. Solo, tra le due
labbruzze rosee, un rivoletto di miele, biondo e zuccherino. Il miele che lo
sciame d’api lasciò sulla bocca di Isidoro, simboleggiava la sapienza che il
fanciullo avrebbe raggiunto, e che dalla sua bocca sarebbe fluita nelle parole
del suo insegnamento, ricche e sostanziose come miele. Messo a scuola, però, il
ragazzo vivace si scoraggiò presto nella fatica severa e paziente dello studio.
Un giorno fuggì e si mise a girare per i campi, lieto della riacquistata libertà.
Per dissetarsi, si fermò ad un pozzo, e sulla pietra del parapetto, notò degli
strani solchi, profondi e regolari. Ad una donna che attingeva acqua, chiese
l’origine di quei segni, e quella spiegò come fossero prodotti dalla corda
del secchio, che, per quanto più tenera della pietra, la vinceva, scavandola,
col suo costante strusciare. Isidoro comprese allora che anche la sua volontà
ribelle avrebbe potuto esser vinta dalla costanza e dalla perseveranza nello
studio. Infatti, procedette tanto innanzi nella sapienza da essere reputato
l’uomo più saggio del suo secolo e il più grande Dottore della Chiesa di
Spagna. E’ anche possibile che abbia frequentato una scuola monastica, ma non
si possiede alcun dato sicuro al riguardo. In ogni caso Isidoro, l’autore più
letto ed ammirato nell’Alto Medioevo, e l’erede di una tradizione
letteraria, fiorita nel Sud della Spagna sin dall’epoca pagana con nomi noti
nella storia delle lettere e nella teologia. Egli perciò è più conosciuto
attraverso i suoi libri che dai fatti della sua vita. Tutti gli studiosi
ammettono che Isidoro fu uno scrittore eccezionale, che tramandò la cultura
antica. Il Medioevo, fino al sec. XII, lo ritenne un oracolo indiscutibile, un
nuovo Salomone, il restauratore della sapienza umana. Non abbiamo dati concreti
sull’attività pastorale di Isidoro, benché nelle sue opere parli spesso dei
doveri di un vescovo. Nel III libro delle Sententiae afferma che il programma di
un vescovo comincia con l’abnegazione di se stesso, con l’umiltà e continua
con l’integrità di vita, l’arte di esporre la verità cristiana, il buon
esempio, la sollecitudine per il suo gregge come il pastore buono che cura le
sue pecorelle o il medico che si occupa dei suoi malati. Isidoro presiedette il
II Concilio provinciale di Siviglia e il IV nazionale di Toledo. Nel primo
furono furono risolti problemi relativi alle circoscrizioni ecclesiastiche e
alla disciplina sacramentaria. Si riuscì anche a convertire e fare abiurare
l’eresia ad un vescovo, di provenienza siriaca il quale insegnava che la
divinità era possibile e negava la distinzione delle due nature. Sulla morte di
Isidoro abbiamo la relazione di un testimone, Redento, suo discepolo e diacono
della Chiesa Sivigliana. E’ un prezioso testo biografico la cui autenticità
nessuno mette in dubbio, sugli ultimi giorni e il transito del santo, scritto
con la calda venerazione di una persona a lui molto vicina. Isidoro morì
intorno agli ottant’anni, poiché secondo le notizie fornite da S. Ildefonso,
esercitò l’episcopato per circa quarant’anni, ed altrettanti dovettero
trascorrere secondo i canoni prima che fesse consacrato vescovo. Egli ebbe il
presentimento della morte vicina, e cercò di prepararsi ad essa con opere di
carità, specialmente distribuendo in elemosina tutti i suoi averi e chiedendo
la pubblica penitenza. Accompagnato dal suo clero e dal popolo, presenti i
vescovi suffraganei, si fece portare, poco prima dell’alba del 31 marzo
(Pasqua) 636, alla Chiesa di Siviglia, dedicata al martire S. Vincenzo ed in
mezzo al coro, ricevette la penitenza pubblica, in extremis, secondo il rito
visigoto, ben conosciuto dagli storici di questa liturgia. Uno dei vescovi lo
rivestì col cilicio, un altro cosparse la sua testa di cenere e in mezzo al
pianto generale dei presenti, specialmente della moltitudine dei poveri, cominciò
a dichiarare umilmente le sue colpe, versando copiose lacrime. Chiese perdono e
preghiere, ricevette la Comunione del corpo e del sangue del Signore e il bacio
della pace di quanti lo circondavano, poi fu di nuovo portato nella sua cella,
dove mori dopo quattro giorni il 4 aprile. La scienza di Isidoro superò per
fama la sua santità. Fu così straordinario, senza uguale ai suoi tempi, lo
splendore della sua dottrina, che quasi tutte le lodi a lui dedicate per secoli
sottolineano più la gloria del sapiente che l’aureola del santo. Dalla fine
del 1603 le spoglie di Isidoro furono trasferite da Siviglia a Leon, capitale
allora, del più importante regno della Spagna del Nord, dove ancora oggi
riposano. Con l’arrivo delle spoglie a Leon, comincia ad incrementarsi il
culto liturgico al santo. Durante il Medioevo, Isidoro fu venerato come un
grande taumaturgo che ogni giorno compiva dei miracoli presso il suo sepolcro a
Leon, dove affluivano fedeli e pellegrini giunti da tutta l’Europa,
per il pellegrinaggio a Compostella; era considerato inoltre come un
eroe, che proteggeva ed aiutava le truppe di Leon nella guerra contro i
mussulmani.
PREGHIERA SI S. ISIDORO
(Questa
antica preghiera fu recitata all’inizio di ogni sessione del Concilio Vaticano
II).
Siamo
qui dinanzi a te, o Spirito Santo Signore nostro: siamo qui coscienti dei nostri
innumerevoli peccati, ma uniti in modo particolare nel tuo nome santo. Vieni a
noi e resta con noi, degnati di penetrare nei nostri cuori. Sii guida delle
nostre azioni, indicaci dove dobbiamo andare e mostraci quello che dobbiamo
fare, affinché col tuo aiuto possa in ogni cosa esserti gradita la nostra
opera. Sii tu solo il nostro ispiratore e dirigi le nostre
intenzioni, poiché tu solo possiedi un nome glorioso insieme col Padre e col
Figlio. Non permettere mai che noi siamo perturbatori della giustizia, tu che
sei equità infinita. Non permettere che l’ignoranza ci induca al male, che le
lusinghe ci pieghino, che gli interessi morali e materiali ci corrompano. Unisci
a te solo i nostri cuori, fortemente, col dono della tua grazia, affinché
possiamo essere in te una cosa sola e in nulla ci allontaniamo dalla verità.
Come noi siamo uniti nel tuo nome, così possiamo sempre seguire i dettami della
tua pietà e della tua giustizia, affinché oggi e sempre il nostro giudizio non
si scosti dal tuo e nel secolo futuro possiamo conseguire il premio eterno del
nostro agire. Amen.
PREGHIAMO CON LA LITURGIA NELLA FESTA DEL SANTO
Guarda,
Signore, la tua Chiesa riunita nel devoto ricordo del vescovo Sant’Isidoro,
egli la edificò con la santità e la dottrina, l’aiuti con la sua
intercessione presso di te. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
LETTURA E PREGHIERA
Dai
« Libri delle sentenze » di sant’Isidoro, vescovo
La
preghiera ci purifica, la lettura ci istruisce. Usiamo dell’una e
dell’altra, se è possibile, perché tutte o due sono cose buone. Se ciò
tuttavia non fosse possibile, è meglio pregare che leggere. Chi vuoi stare
sempre con Dio, deve pregare e leggere continuamente. Quando preghiamo, parliamo
con Dio stesso; quando invece leggiamo è Dio che parla a noi. Ogni progresso
viene dalla lettura e dalla meditazione. Con la lettura impariamo quello che non
sappiamo, con la meditazione noi conserviamo nella memoria ciò che abbiamo
imparato. Doppio è il vantaggio che ricaviamo dalla lettura della Sacra
Scrittura. Essa illumina il nostro intelletto, e conduce l’uomo all’amore di
Dio, dopo di averlo strappato alle vanità del mondo. Doppio è anche il fine
che dobbiamo prefiggerci nella lettura: innanzi tutto cercar di capire il senso
della Scrittura, in secondo luogo adoperarci per proclamarla con la maggiore
dignità ed efficacia possibile. Chi legge infatti cerca prima di tutto di
capire quello che legge. Quindi procura di esprimere nel modo più conveniente
quello che ha imparato. Il bravo lettore non si preoccupa tanto di conoscere
quello che legge, quanto piuttosto di metterlo in pratica. C’è minor pena
nell’ignorare del tutto un ideale che, conosciutolo, lasciarlo inattuato. Come
infatti col leggere dimostriamo il nostro desiderio di conoscere, così dopo
aver conosciuto dobbiamo sentire il dovere di mettere in pratica le cose buone
che abbiamo imparato. Nessuno può penetrare il senso della Sacra Scrittura, se
non la legge con assiduità, secondo quanto sta scritto: « Amala e ti porterà
in alto; quando l’avrai abbracciata, essa sarà la tua gloria » (Pro 4, 8).
Quanto più si è assidui nel leggere la Scrittura, tanto più ricca è
l’intelligenza che se ne ha, come avviene per la terra che, quanto più si
coltiva, tanto più produce. Vi sono alcuni che hanno una buona intelligenza, ma
trascurano la lettura dei testi sacri, sicché con la loro negligenza dimostrano
di disprezzare quello che potrebbero imparare con la lettura. Altri invece
avrebbero desiderio di sapere, ma sono impediti dalla loro impreparazione.
Questi però con una intelligente e assidua lettura riescono a sapere ciò che
ignorano altri più intelligenti, ma pigri e indifferenti. Come chi è tardo di
intelletto riesce col suo impegno a raccogliere il frutto della sua diligenza
nello studio, così chi trascura il dono dell’intelletto che Dio gli ha dato,
si rende reo di condanna, perché disprezza un dono ricevuto e lo lascia
infruttuoso. Se la dottrina non è sostenuta dalla grazia non giunge sino al
cuore anche se entra nelle orecchie. Fa strepito al di fuori, ma nulla giova
alla nostra anima. Allora soltanto la parola di Dio scende dalle orecchie al
fondo del cuore, quando interviene la grazia, opera intimamente e porta alla
comprensione.
DUE SCHEGGE DI PENSIERO
AMICIZIA
Nella
prosperità l'amicizia è incerta: non si sa infatti se si ama l'amico o la sua
prosperità.
FORTUNA
Molti,
che agli uomini appaiono fortunati, non lo sono affatto agli occhi di Dio, e
viceversa. Nessuno si creda mai a posto, soprattutto davanti a Dio.
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