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CATERINA DA SIENA
Santa,
Vergine e Dottore della Chiesa patrona
d’Italia memoria liturgica al 29 Aprile
Nacque
il 25 marzo 1347 a Siena da Jacopo Benincasa, tintore di pelli e da Lapa. Fu la
ventiquattresima e penultima figlia della feconda coppia. Caterina manifestò
fin dai primi anni una spiccata tendenza alla vita religiosa. A sei anni ebbe
una prima visione che ne segnò chiaramente il luminoso destino: mentre con il
fratello Stefano percorreva Valle Piatta per tornare a casa, le apparve, librato
sopra la basilica di San Domenico, Cristo, rivestito dei paludamenti pontificali
che la guardava sorridendo dall’interno di una loggia risplendente, circondato
da una folla di personaggi bianco vestiti, fra cui ella ebbe modo di riconoscere
S. Paolo, S. Pietro e S. Giovanni. A dodici anni ebbe i primi contrasti con la
famiglia, soprattutto con la madre, la quale, tutta intenta a progetti terreni,
non comprendeva le alte mire della precoce figliola. Dopo vari diverbi, Caterina
troncò ogni discussione tagliandosi i capelli per dimostrare con un atto, in
quei tempi di indubbio significato, la sua irrevocabile scelta. Cominciò da
quel giorno la vita sempre più austera della fanciulla che si chiuse volontariamente
nella sua cameretta per dedicarsi tutta al colloquio con Gesù. I suoi
familiari, però, con una durezza inspiegabile nel loro animo fondamentalmente
buono, la strapparono dal suo rifugio, la obbligarono alla vita in comune,
addossandole i più faticosi e più umili lavori e impedendole il raccoglimento,
la preghiera e, soprattutto, le penitenze corporali. Ella non si ribellò, anzi
obbedì docilmente sostituendo alla cella materiale una cella spirituale che,
con l’aiuto dello Spirito Santo, riuscì a fabbricare nell’intimo della
propria mente. “Fatevi una cella nella mente dalla quale non possiate mai
uscire”, consiglierà più tardi ai suoi discepoli. Raccolta in essa, la sua
conversazione con lo Sposo Divino continuò: in questo periodo sorse in lei il
desiderio di vestire l’abito di s. Domenico, apparsole in una visione che dovrà
più tardi ispirare molti artisti. Cessarono finalmente le persecuzioni
familiari per l’intervento decisivo di Jacopo, illuminato dall’apparizione
di una colomba posatasi sulla testa della figlia in preghiera. Nel 1363 Caterina
fece domanda di entrare nel Terz’Ordine dei Predicatori, fra le Mantellate,
chiamate così per il lungo mantello nero che ne ricopriva l’abito bianco.
Vinte le resistenze oppostele a causa dell’età, fu accolta tra le postulanti.
Vestita dell’abito religioso, la giovane continuò con maggior fervore la sua
ascensione verso la santità: le sue giornate erano divise fra la chiesa di san
Domenico, la sua casa, l’ospedale della Scala e il lebbrosario di S. Lazzaro,
dove si prodigava a curare amorevolmente gli infermi anche più ripugnanti,
Immergendosi nella contemplazione del suo modello Gesù, riuscì con ferrea
volontà a domare il corpo, cui concedeva poco sonno e poco cibo e che puniva
con flagellazioni cruente, ripetute tre volte al giorno. Eccezionali favori
celesti la premiavano e confortavano nella difficile ma rapida ascesa: le
visioni e le estasi, unite alla vita di straordinaria penitenza, alla eroica
carità verso i poveri, gli infermi e i condannati, da un lato suscitavano una
grande popolarità intorno a lei, dall’altro, come era inevitabile, invidie e
contrasti anche negli ambienti religiosi. Alcune volte gli stessi frati
predicatori la trascinarono, resa insensibile dall’estasi fuori della chiesa e
la lasciarono inanimata sul sagrato. Altre volte le consorelle, esacerbate dalla
sua santità, la colpirono con calunnie atroci e persino i malati da lei curati
talora l’accusarono ingenerosamente. Il 1374 fu l’anno in cui la peste
infuriò anche in Siena e Caterina, al suo ritorno da Firenze, si dedicò
completamente alla cura di coloro che ne erano stati colpiti. iniziarono in
quello stesso anno i suoi rapporti con (successore di Urbano V) Gregorio XI,
intento a promuovere la crociata verso i Turchi alleatisi coi Tartari. Caterina,
in obbedienza al pontefice e ai suoi superiori, esercitò la sua influenza, già
notevole, per spingere i cristiani al “santo passaggio”. Gli eventi politici
italiani, nel frattempo, precipitavano: Firenze, messasi a capo di tutti i
nemici della Santa Sede, aveva formato una lega alla quale ben presto aderì un
numero sempre maggiore di città. Allora Gregorio XI lanciò contro la città e
i suoi alleati la scomunica e l’interdetto. Firenze, allarmata per le
conseguenze si affidò a Caterina sapendo quanto fosse gradita al pontefice e la
mandò quale sua ambasciatrice ad Avignone per trattare la pace. Giunta ad
Avignone con un gruppo di discepoli, fu ospitata insieme con essi a spese del
pontefice, che la ricevette benignamente, accogliendo le sue richieste. Ma il
mutato governo fiorentino doveva ben presto disconoscere l’opera mediatrice
della santa, riprendendo le ostilità contro la curia avignonese. Le buone
disposizioni del pontefice permisero a Caterina di occuparsi della missione che
più le stava a cuore e che l’aveva decisa ad accettare il. viaggio ad
Avignone: il ritorno del vicario di Cristo alla sua sede naturale. Gregorio Xl,
fino a quel momento indeciso, per le opposizioni della curia e della sua stessa
famiglia, ad effettuare un ritorno che pur vedeva opportuno, riconobbe nelle
parole della santa, che gli svelò un voto da lui fatto nel giorno della sua
elezione e a tutti segreto, la manifestazione della divina volontà. Il 16
settembre 1376, superando ogni ostacolo, il pontefice partiva con la sua corte
alla volta dell’Italia. Il giorno dopo, anche Caterina con i suoi discepoli
lasciava Avignone dirigendosi a Genova: a Varazze liberò la città dalla peste
lasciandovi un ricordo indelebile. Giunta a Genova e ospitata nella casa di
Orietta Scotti, incontrò il pontefice che, pressato dai suoi, stava per
ritornare sulle sue decisioni e lo esortò a proseguire per Roma. Ella, invece,
si diresse a Siena e non assistette alle entusiastiche dimostrazioni di affetto
tributate dai romani al papa che era finalmente ritornato. Ritornata a Firenze
per incarico del papa che desiderava la pace con quella città, rischiò di
essere uccisa da alcuni facinorosi durante il tumulto degli “ammoniti”; ma
la sua ardente brama di martirio non fu soddisfatta, perché quegli uomini
violenti rimasero soggiogati dal suo aspetto e se ne andarono senza nulla osare.
Era stato indetto frattanto un congresso a Sarzana per definire la pace; ma nel
marzo 1378 Gregorio XI moriva, li nuovo eletto, Bartolomeo del Prignano,
arcivescovo di Bari (Urbano VI), primo papa italiano dopo sette francesi,
continuando la politica del predecessore, riprendeva le trattative con Firenze.
Il 18 luglio Caterina aveva la gioia di assistere, nella città del Fiore, a
quella pace per la quale aveva tanto lavorato. Tornata nella sua Siena, si dedicò
completamente ai colloqui con Dio: immersa nell’estasi, dettò ai suoi
segretari il Dialogo della Divina Provvidenza, al quale affidava il suo
messaggio di amore per le creature. Sfinita dal lavoro e dalla passione
divorante per la Chiesa, Caterina, tormentata da acuti dolori fisici, si
spegneva (29 aprile 1380) nella sua casetta di via del Papa (oggi Via S.
Chiara), attorniata dai prediletti discepoli ai quali non si stancava di
raccomandare lo scambievole amore, testimoniando, davanti ad essi, di dare la
vita per la Chiesa: “Tenete per fermo, o dolcissimi figlioli, che partendomi
dal corpo io in verità ho consumata e data la vita nella Chiesa e per la Chiesa
santa, la qual cosa mi è singolarissima grazia. “lo sono Colui che è: tu sei
quella che non è” Quando si ricorda santa Caterina da Siena è in primo luogo
la dichiarazione di Gesù che viene alla mente. C’è tanto da cogliere nella
vita di Santa Caterina da Siena nonostante il trascorrere dei secoli che si
rimane un po’ storditi. Vita consacrata nel mondo figlia della Chiesa al più
alto grado madre spirituale di un gran numero di persone che la chiamavano “la
dolce mamma”, Caterina ha di che soddisfare tutte le nostre ambizioni di una
vita d’intimità con Dio ed anche di testimonianza e d’apostolato... essendo
ovviamente questo nient’altro che effusione della prima.
SCHEGGE DAI PENSIERI DI SANTA CATERINA
AMARE
L'uomo
è stato fatto per amare ed è per questo che è così portato ad amare.
AMORE
Niente
attrae il cuore di un uomo quanto l'amore! Come potrebbe essere altrimenti? Per
amore Dio lo ha creato, per amore suo padre e sua madre gli hanno dato la
propria sostanza, egli stesso è fatto per amare.
AMICIZIA
L'amicizia
che ha la sua fonte in Dio non si estingue mai.
ANIMA
Poiché
l'anima non può vivere senza amore, conviengli amare o Dio o il mondo.
E
l'anima sempre si unisce in quella cosa che ama e vi si trasforma, chè sempre
piglia di quello che è nella casa che ama.
CRISTO
Cristo
è il ponte. L'unico ponte che va dalla terra al cielo. fuori di lui è
l'abisso.
CUORE
Niente
attrae il cuore dell'uomo quanto l'amore.
PROSSIMO
Il
prossimo ci è stato dato per mostrare l'amore che nutriamo per Iddio.
MOMENTO
PRESENTE
L'ora
di fare il bene è subito.
PERSEVERANZA
Alla
virtù della perseveranza sono date la gloria e la corona della vittoria.
ANIMA
L'anima
non può vivere senza amore, ha sempre bisogno di un oggetto d'amore, poiché è
per amore che Dio l'ha creata.
AMORE
DI DIO
Non
amate Dio per voi stessi, per il vostro tornaconto, ma amate Dio per Dio, perché
Egli è la suprema bontà degna di essere amata.
COLLABORAZIONE
Dice
Dio: vi ho creati senza di voi, ma senza di voi non vi salverò.
AMORE
DI DIO
Ovunque
mi volga trovo solo l'abisso di fuoco del tuo amore.
INCARNAZIONE
Dio
eterno, folle d'amore, hai dunque bisogno della tua creatura, tu che agisci come
se non potessi vivere senza di lei? Come avresti potuto avvicinarti di più a
lei, se non rivestendoti della sua umanità ?
DALLE
«LETTERE»
«Che
voi non siete fatti d’altro che d’amore».
«Dunque
carissima suora, aprite l’occhio dell’intelletto ed amate il vostro Creatore
e ciò che Lui ama, cioè la virtù, possedendo le cose del mondo e marito e
figlioli e ricchezze ed ogni altro diletto, come cosa prestata e non come cosa
vostra. Pero, come già detto, vengono meno, e non le potete tenere né
possedere a vostro modo, se non quanto piace alla divina Bontà di prestarvele.
Facendo così, non vi farete Dio de' figlioli né di alcuna altra cosa».
«A
Dio date amore; al prossimo fadiga».
«Noi
non fummo fatti per nutricarci di terra».
«La
verità tace quando è tempo di tacere e, tacendo, grida col grido della
pazienza».
“Ogni
gran peso diventa leggero, sotto questo santissimo giogo della volontà di
Dio”
ANEDDOTI SULLA VITA DI SANTA CATERINA
IL MANTELLO D'ORO
Una
volta, santa Caterina da Siena, da una finestrelle vide un mendicante steso
all'angolo della via. Mentre recitava le preghiere, l'immagine di quel poveretto
esposto al freddo, non la lasciò un istante. Infine, non potendo più
resistere, corse in cucina a prendere del pane per deporlo presso il dormiente.
IL POSTO DI DIO
In
un periodo in cui era afflitta da una marea di tentazioni della carne, santa
Caterina da Siena ricevette la visita del suo Sposo celeste: “Signore mio —
gli gridò —, dove eri quando il
mio cuore era tribolato da tante tentazioni?”. E il Signore: “Stavo nel tuo
cuore”. E lei: “Sia salva sempre la tua verità, o Signore, e ogni riverenza
verso la tua Maestà; ma come posso credere che tu abitavi nel mio cuore, mentre
era ripieno di immondi e brutti pensieri?”. E il Signore: “Quei pensieri e
quelle tentazioni causavano al tuo cuore gioia o dolore? Piacere o
dispiacere?”. E lei: “Dolore grande e grande dispiacere!”. E il Signore:
“Chi era che ti faceva provare dispiacere se non io, che stavo nascosto nel
centro del tuo cuore?”.
PICCOLA EREMITA
Ancora
bambina, dopo aver ascoltato, nelle prediche di fra Tommaso delle Fonti, le
austerità degli eremiti ed il loro ideale di vita ascetica nel deserto,
Caterina di Siena intraprese una rigorosa ascesi di stile eremitico: cercava
luoghi nascosti, si disciplinava con una funicella, pregava ininterrottamente,
scopriva il valore del silenzio e riduceva progressivamente l’alimentazione.
Scrive il Del Corno a proposito del richiamo della Tebaide nel Trecento, che la
piccola Benincasa “provvista di un pane, esce per la porta di Sant’Ansano,
alla ricerca del deserto, che le pare di trovare in una spelonca, sotto una
rupe, poco lontano dalle ultime case (di Siena). Ella si raccoglie in
un’intensa preghiera e si leva nell’aria fino a toccare la volta della
spelonca; ma all’ora nona, in cui il Figlio di Dio posto in croce consumò il
sacrificio di salvezza, cessano i fenomeni di levitazione: Caterina si dà conto
d’essere vittima di una tentazione e che il suo deserto è la casa paterna.
Trasportata da una forza prodigiosa, quasi novella Maria Egiziaca, rientra in
città prima che i suoi genitori si accorgano della sua assenza".
FARSI
MONACO PUR DI PREDICARE IL VANGELO?
Poco
prima d’entrare fra le Mantellate, cioè le Domenicane dell’Ordine della
Penitenza, Caterina di Siena fu oggetto di molte insistenze da parte di sua
madre Lapa perché, dopo la morte del padre, si decidesse per il matrimonio: la
giovanetta «meditò a lungo di imitare Eufrosina, scrive Raimondo da Capua, la
quale, fuggendo lontano da dove era conosciuta, si finse maschio e visse murata
in un cenobio di religiosi: così pensò di fare la fanciulla per entrare
nell’ordine dei Predicatori dove potesse sollevare le anime di coloro che
perissero»
LA CELLETTA INTERIORE
Lo
stesso beato Raimondo di Capua, scrisse che Caterina, privata di un luogo dove
potesse isolarsi, «si costruì un eremo mentale, una cella tutta interiore,
dalla quale stabilì di non uscire, benché fosse impegnata in qualsiasi negozio
esterno” (cf Vita di S. C. I, p. 49). Effettivamente la Santa di Fontebranda
si era costruita una celletta nel cuore, come confidava in varie lettere,
erigendola sulle fondamenta dell’umiltà, con le pareti di speranza,
imbiancata di purezza, con lo zoccolo della fede, col soffitto di prudenza, con
la finestra dell’obbedienza, la porta della carità, la chiave della povertà,
l’ornamento di un crocifisso e come unico mobile un inginocchiatoio. Così poté
viaggiare per il mondo, assistere gli infermi, aiutare continuamente i vivi ed i
morti.
CATERINA,
DONNA FORTE E DELICATA
Siena,
seconda metà del XIV secolo.
All’Ospedale
S. Lazzaro non si aveva memoria di un malato più impaziente e ingrato della
Tecca. Ha la lebbra! E’ intrattabile, smaniosa, per un nulla si adira
con i medici e gli infermieri. Vagherà per la campagna, secondo l’uso dei
tempi, suonando un campanello, per annunciare il suo passaggio. La
voce giunge fino a Caterina, una giovane religiosa, appartenente alle Mantellate
di S. Domenico, della quale tutti hanno grande venerazione. Caterina si reca a
S. Lazzaro e chiede di accudire lei alla povera Tecca.
Conosco
la tua generosità; le risponde il cappellano dell’ospedale, ma temo che
questa volta non ce la farai. Caterina non si scoraggia. Va dalla Tecca. Buon
giorno, Tecca, il Signore ti aiuti! E a te venga una lebbra peggiore della mia!
Le urla la terribile malata, graffiandola a sangue. Ma Caterina non si arrende e
comincia a occuparsi di quella povera lebbrosa, con lo stesso delicato amore con
cui Maria unse e profumò i piedi di Gesù. In cambio non ne ha che sgarbi e
male parole. Un giorno Caterina arriva in ospedale in ritardo: ha le mani
fasciate, la lebbra ha colpito anche lei. Quando la Tecca la vede e se ne rende
conto, scoppia in singhiozzi. Non piangere per me, la consola Caterina; quando
il Signore permette che il male ci colpisca, lo fa per prepararci un posto più
bello in cielo. Qualche giorno più tardi, dopo essersi riappacificata con Dio e
con gli uomini, la povera Tecca, va in cielo. Caterina, con l’amore forte e
delicato di Patrona d’Italia, ne lava per l’ultima volta le piaghe e
l’accompagna nel suo ultimo viaggio. Al ritorno si guarda le mani: non un
segno, non un’ulcera: sono miracolosamente guarite, forse per le preghiere
della sua amica Tecca in cielo.
CATERINA
E NICCOLÒ SUL PATIBOLO
Da
una lettera di S. Caterina da Siena al suo Padre Spirituale, Fra Raimondo da
Capua: «…Andai dunque a far visita al giovane condannato a morte, Niccolò
Toldo. Ne fu confortato a tal punto che dalla disperazione passò alla
Confessione e si dispose molto bene alla morte. Mi fece promettere che sarei
salita con lui sul patibolo. Così feci. La mattina, innanzi alla campana, andai
da lui. Ne fu tanto Contento. Lo accornpagnai a Messa e ricevette la S.
Comunione, che non aveva più ricevuta da quando era in carcere. Era sereno;
solo gli era rimasto il timore di non essere forte durante l’esecuzione.
Andava dicendomi: Stammi vicina; non abbandonarmi. Solo con te morirò contento.
Così dicendo, appoggiò il suo capo sulle mie spalle. Io lo consolavo:
Coraggio, mio dolce fratello: ben presto giungeremo alle nozze. Tu v’andrai
purificato dal sangue dolce di Gesù: il cui nome non deve uscirti dalla
memoria. Coraggio! T’aspetto la! Queste parole lo fecero oltremodo contento.
Giunse sul patibolo, come un agnello mansueto. Quando mi vide, sorrise e volle
che gli facessi il segno della Croce.
MANTELLO
E CARITÀ
Per
strada S. Caterina incontra un povero. Non avendo nulla da dargli, gli dà il
suo mantello nero di domenicana. Le consorelle terziarie la rimproverano. AI che
la Santa: Meglio senza il mantello che senza la carità. Una
strada difficile. Quando ci si innalza tanto al di sopra della gente
comune, si suscita sempre o grande ammirazione, o altrettanto grande invidia e
rabbia. Caterina è circondata da uno stuolo di discepoli fedelissimi, gode di
fama di santità presso il popolo, ma ha anche acerrimi nemici.
(ROSSANA GUARNIERI Caterina da Siena, Edizioni Messaggero – Padova).
VADO
A RIPOSARMI IN UN OCEANO DI PACE
È
il 29 aprile del 1380, domenica. Caterina è in preda a sofferenze indicibili,
che sopporta con eroica pazienza: Figlioli carissimi, non dovete rattristarvi se
io muoio, ma piuttosto dovete gioire con me e con me rallegrarvi, perché lascio
un luogo di pene per andare a riposarmi in un oceano di pace, in Dio eterno. Vi
do la mia parola: dopo la mia morte, vi sarò più utile... Dopo la confessione
generale e grandi segni di contrizione perfetta, gli astanti si accorgono che la
sua anima sostiene una dura lotta coi potere delle tenebre: La vanagloria, no
sussurra, ma la vera gloria e la lode di Dio sì!
PREGHIAMO CON LA LITURGIA DELLA FESTA
O
Dio che in Santa Caterina da Siena, ardente del tuo spirito di amore, hai unito
la contemplazione di Cristo crocifisso e il servizio della Chiesa, per sua
intercessione concedi a noi tuoi fedeli, partecipi del mistero di Cristo, di
esultare nella rivelazione della sua gloria. Per il nostro Signore Gesù
Cristo….
PAROLA
DI DIO PROPOSTA NELLA FESTA DELLA SANTA
1^
Lettura 1 Gv 1,5 - 2,2
Dalla
prima lettera di Giovanni
Carissimi,
questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che ora vi annunziamo: Dio è
luce e in lui non ci sono tenebre. Se diciamo che siamo in comunione con lui e
camminiamo nelle tenebre, mentiamo e non mettiamo in pratica la verità. Ma se
camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con
gli altri, e il sangue di Gesù, suo Figlio, ci purifica da ogni peccato. Se
diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in
noi. Se riconosciamo i nostri peccati, egli che è fedele e giusto ci perdonerà
i peccati e ci purificherà da ogni colpa. Se diciamo che non abbiamo peccato,
facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi. Figlioli miei, vi
scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un
avvocato presso il Padre: Gesù Cristo giusto. Egli è vittima di espiazione per
i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il
mondo. Parola di Dio
Salmo
44 “In te, Signore, ho posto la mia gioia”
Ascolta,
figlia, guarda, porgi l'orecchio, dimentica il tuo popolo e la casa di tuo
padre;
al
re piacerà la tua bellezza. Egli è il tuo Signore: prostrati a lui. R
La
figlia del re è tutta splendore, gemme e tessuto d'oro è il suo vestito;
è
presentata al re in preziosi ricami. R
Con
lei le vergini compagne a te sono condotte; guidate in gioia ed esultanza
entrano
insieme nel palazzo del re. R
Vangelo
Mt 25, 1-13
Dal
Vangelo secondo Matteo
In
quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: “Il regno dei cieli
è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo
sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le lampade,
ma non presero con sé olio; le sagge invece, insieme alle lampade, presero
anche dell'olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e
dormirono. A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro!
Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. E le
stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si
spengono. Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi;
andate piuttosto dai venditori e compratevene. Ora, mentre quelle andavano per
comprare l'olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con
lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre
vergini e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici! Ma egli rispose: In
verità vi dico: non vi conosco. Vegliate dunque, perché non sapete né il
giorno né l'ora”. Parola del Signore
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