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GIUSEPPE BENEDETTO COTTOLENGO
Santo, Sacerdote memoria liturgica al 30 Aprile
Giuseppe
Benedetto Cottolengo nacque il 3 maggio 1786 a Bra, cittadina del Piemonte, da
una famiglia né ricca né povera, ma di solida tradizione cristiana. Fu il
primogenito di dodici figli: con Giuseppe altri due fratelli divennero
sacerdoti, Luigi nel clero diocesano e Alberto nell’Ordine di S. Domenico.
Educato dalla madre alle opere di misericordia verso i poveri e gli ammalati, il
piccolo Giuseppe, di appena cinque anni, spesso era intento a misurare con un
bastoncino le pareti di casa sua “perché — diceva — quando sarò grande,
voglio poi riempirla tutta di poveri ammalati”. Avviato agli studi, trovò
dapprima molte difficoltà nell’apprendimento delle diverse discipline, ma
raccomandandosi a S Tommaso d’Aquino (al quale riservò particolare devozione
per tutta la vita) riuscì brillantemente. Vestito l’abito ecclesiastico nel
1802, continuò gli studi di filosofia e di teologia restando in famiglia,
essendo chiusi i seminari per le vicende di quei tempi e per le guerre. Soltanto
nel 1805 poté entrare nel seminario di Asti, dove fu chierico modello, vincendo
la naturale inclinazione all’ira e plasmandosi un carattere sempre ilare e
modesto. Ordinato sacerdote l’8 giugno 1811, nella cappella del seminario di
Torino, Giuseppe si dedicò con zelo al ministero nella città natale e poi come
viceparroco a Corneliano d’Alba. Giuseppe non aveva altro desiderio che di
lavorare in una parrocchia di campagna per il bene delle anime. La Provvidenza
però lo preparava per la missione di “eroe della carità” con un invito
che, pur sembrando lontano dallo scopo, gli apriva l’ingresso alla città di
Torino, campo della sua futura meravigliosa opera. Accettando il consiglio di
sacerdoti, che ne conoscevano le doti, Giuseppe si recò a Torino e s’iscrisse
alla facoltà di teologia nella Regia Università per conseguirvi la laurea.
Conseguita la laurea, ritornò a Bra, ma due anni dopo nel 1818 fu nominato
canonico della Chiesa del Corpus Domini a Torino. Nella basilica, dedicata a
ricordo del miracolo eucaristico del 1453, Giuseppe attese alla predicazione e
al confessionale, meritandosi l’appellativo di “canonico buono”. I poveri
della parrocchia erano sempre i suoi preferiti e per aiutarli profondeva tutto
quello che possedeva o gli veniva dalla carità dei buoni. La meditazione della
Vita di San Francesco de Paoli riaccese nel suo cuore il desiderio di dedicarsi
totalmente ai poveri. E il caso
pietoso di una povera donna, da lui assistita in punto di morte, venne a
determinare la sua vocazione: nel 1827 giunse a Torino, di passaggio, una
famiglia francese: era composta dal papà, madre e tre figlioletti. La madre
ammalatasi, non poté essere accolta nell’ospedale della città perché
incinta e non nella maternità perché tubercolotica. Venne portata in una
stanza, tenuta a disposizione del comune, per la sistemazione provvisoria degli
ammalati trovati dalle guardie sulla pubblica via. Il “canonico buono”
l’assistette nell’agonia, confortò il marito e i figlioletti piangenti;
ritornato, poi tutto addolorato nella basilica del Corpus Domini, ordinò al
sacrestano di dare un tocco di campana e di accendere i lumi all’altare della
Madonna delle Grazie. Andò quindi con il piccolo gruppo di persone accorse al
suono insolito, a cantare le Litanie della Madonna. Al ritorno il volto di
Giuseppe era sfavillante di gioia: ripeteva quasi estasiato: “La grazia è
fatta, la grazia è fatta. Benedetta la Santa Madonna!” La Madonna gli aveva
suggerito il rimedio: aprire una casa per i poveri e gli ammalati rifiutati da
tutti. L’idea si andò subito concretando con l’affitto di due stanze di
fronte alla basilica del Corpus Domini, nella casa detta “della volta rossa”:
era il granello di senape, che si sarebbe ingrandito nella “cittadella del
miracolo”. Giuseppe non fece piani grandiosi, ma si mise a disposizione della
Provvidenza, “come un manovale”, diceva nella sua umiltà: “La Provvidenza
tutto può e chissà che cosa vorrà”. Altre stanze furono affittate e
si affollarono di ammalati; una giovane vedova, Maria Nasi Pullini, diede la sua
collaborazione formando un gruppo di ragazze che, mettendosi al servizio dei
poveri formarono il primo nucleo delle suore Vincenzine. Intanto quella
moltitudine di malati di ogni genere, mentre si preannunziava in qualche
provincia del Piemonte, il colera allarmò gli abitanti delle case vicine, che
provocarono un provvedimento di chiusura da parte delle autorità governative.
Di fronte ai rimproveri dei colleghi canonici, per quella che veniva chiamata
imprudenza e di fronte ai mormorii dell’opinione pubblica, Giuseppe reagì con
il suo stile faceto e con ferma fede nella Provvidenza disse: “Si vede che non
siete di Bra. Al mio paese i cavoli per crescere devono essere trapiantati”. Giuseppe
rivolse allora il suo sguardo alla regione di Valdocco, dove erano prati e
sterpaglie con qualche casupola; là, affittò una casetta, trasportandovi
subito con un carrettino, tirato da un asinello, un giovane malato; era il
giorno 27 aprile 1872, sabato. In pochi giorni gli ammalati erano quattro: dopo
alcuni mesi veniva comperata una seconda casetta dove subito trovarono rifugio
molti ospiti. Iniziava così l’opera che il santo, dopo aver pregato,
intitolava: “Piccola Casa della Divina Provvidenza” sotto gli auspici di S.
Vincenzo de Paoli, scegliendo per motto e programma la frase Paolina:
“Charitas Christi urget nos : è la carità di Cristo che ci spinge”. Il
granello di senape cresceva in albero ed allargava i suoi rami. Giuseppe guidato
da soprannaturale equilibrio, apriva nuove sezioni della Piccola Casa quando si
presentavano nuovi ospiti: malati rifiutati da tutti, vecchi inabili, sordomuti,
epilettici. Per ognuna di queste categorie, egli istituiva una “famiglia” e
ripeteva: “ Tutti i poveri sono i nostri padroni, ma questi che all’occhio
materiale sono così riluttanti e così brutti sono i nostri padronissimi, sono
le nostre vere gemme”. Oltre a questi infelici nel corpo, Giuseppe pensò
anche al altre necessità morali: accolse orfani e orfanelle, ragazze in
pericolo, invalidi e tutti affidò alla Provvidenza. La Piccola Casa si poteva
e si può paragonare ad una città, dove accanto agli infermi ed ai ricoverati
vivono “famiglie”, dove viene compiuta l’educazione dei giovani e la
qualificazione al lavoro di menomati fisici. Ogni povero nell’anima o nel
corpo — viene soccorso. Per il reperimento dei mezzi finanziari il fondatore
fidava sempre nella Provvidenza. “Il canonico Cottolengo, diceva il suo
confessore, ha più fede lui, che tutta Torino”. La Provvidenza rispose con
divina munificenza; non mancarono i momenti difficili, quando non c’era più
un pezzo di pane nella Piccola Casa, le casse erano vuote e i creditori
incalzavano, ma in quelle ore angosciose il santo pregava e faceva pregare,
senza perdere neppure per un attimo la confidenza in Dio. E fiorivano autentici
miracoli: aiuti insperati, denaro che arrivava da ignoti benefattori o si
ritrovava in modo misterioso. Nella Piccola Casa della Divina Provvidenza si
respirava la presenza del soprannaturale e il padre e vi educava tutti i
ricoverati, esortandoli a ringraziare sempre di ogni cosa il Signore, con
l’esclamazione divenuta tradizionale, per ogni beneficio: Deo gratias! in
questa dimensione spirituale si muoveva la carità del Cottolengo che
soccorrendo le necessità materiali, mirava soprattutto al bene delle anime. La
Piccola Casa doveva essere una città cristiana, nella quale i poveri e gli
ammalati potevano essere avviati a capire il valore morale della sofferenza e
del dolore, dove i traviati e i delusi della vita potevano ritrovare la pace e
la serenità del perdono, dove i giovani potevano comprendere la bellezza del
servizio reso con il lavoro e con la preghiera ai fratelli infelici. Nacquero
allora anche i Preti della Santissima Trinità, le diverse “famiglie” di
suore (di clausura penitenti, ecc.) Nella dimora dei poveri, la casa di Dio è
al centro di tutto: il culto si esercita con solennità; la vita sacramentaria
è intensa (Giuseppe consigliava la comunione quotidiana: pensate che cosa
voleva dire per quei tempi!) La preghiera è continua per la “Lode perenne”
giorno e notte, alla quale partecipano ricoverati e religiose. Si comprendono
così le esortazioni del santo: “La preghiera è il primo e più importante
nostro lavoro”. “La preghiera
fa vivere la Piccola Casa”. Una nota caratteristica della sua spiritualità è
data dalla devozione alla Madonna, collocata all’entrata della pia Istituzione
come vera “Padrona di casa” e onorata da Giuseppe e dai suoi figli con una
intensità ed una confidenza eccezionali. In mezzo al crescere della pia
istituzione, che formava l’ammirazione di quanti ne venivano a conoscenza,
Giuseppe, favorito da carismi soprannaturali, riconosciuto legislatore e
formatore di vita religiosa, precursore nel campo dell’assistenza ospedaliera
e sociale, si manteneva nella sua sorridente umiltà, manifestata con gesti e
parole che ricordano S. Filippo Neri. Non si riteneva che un povero fra i poveri
e come tale si regolava nel vitto e nel vestire. Godeva della stima e della
fiducia del re Carlo Alberto, che lo fece cavaliere dei santi Maurizio e
Lazzaro, e dal sovrano chiese e ottenne il riconoscimento giuridico della
Piccola Casa.
SCHEGGE DAGLI SCRITTI DEL COTTOLENGO
ELEMOSINA
Fate
la carità in modo che i poveri ve la possano perdonare.
GUIDA
Il
cieco si lascia condurre da chi ci vede, e anche se gli sembra di cadere in un
precipizio sta dritto e cammina bene .
BINOMIO
Croce
e Divina Provvidenza; Provvidenza e croce, sono due cose che non cambiano.
CROCE
Tutto
si impara ai piedi della croce.
CROCIFISSO
Il
più bel libro è il crocifisso e chi non sa leggerlo è il più sventurato di
tutti gli analfabeti.
CIELO
E'
lassù, al cielo, che dobbiamo tenere rivolti gli occhi e il cuore.
ALLEGRIA
Voglio
che siate allegri, che siate contenti... L'allegria non ha mai guastato la
santità.
CARITA’
Esercitate
la carità, ma esercitatela con entusiasmo.
EUCARISTIA
Oh,
se sapessimo e volessimo sapere quale tesoro è la Messa! La chiesa sarebbe di
continuo piena di gente!
MARIA
Che
vale chiamare "Madre" Maria Santissima, se anche noi non ci mostriamo
suoi figli, principalmente con l'imitarla nelle sue virtù ?
MARIA
Per
me, dopo Dio, so chi devo amare: E' la mia Madre, è la vostra Madre, è la
Madre di tutti gli uomini.
POVERI
Gesù
dimentica niente di quanto fate a Lui nella persona dei suoi poveri.
POVERI
Se
voi pensaste e comprendeste bene quale personaggio rappresentano i poveri, di
continuo li servireste in ginocchio.
POVERTA’
Mi
sta a cuore sollevare i poveri dalle miserie corporali, ma molto più liberarli
dalle miserie dell'anima.
SANTITA’
La
carità, lo zelo per il bene dei vostri simili sono il fondamento di ogni santità.
LA PROVVIDENZA NON DELUDE
Un
giorno San Giuseppe Benedetto Cottolengo ricevette la visita di un importante
personaggio, mandato da Re Carlo Alberto a ispezionare le sue opere di carità.
Costui restò molto impressionato vedendone la vastità e non nascose al
reverendo la sua preoccupazione che le forze di cui disponeva il sacerdote non
fossero sufficienti a sostenere il grave carico che s'era addossato. "Ma
non vedete, signor canonico - gli disse - che voi avete un paese intero di
poveri da mantenere? Ci vorrebbero rendite e fondi che voi non avete…" E
don Cottolengo serenamente: "Eccellenza, chi ha non sono io, ma la Divina
Provvidenza, la quale, che io sappia, non ha mai lasciato nessuno negli impicci.".
GIOCAVA
A BOCCE
Un
giorno a Torino si presentò alla porta della Piccola Casa della Divina
Provvidenza l’Arcivescovo di Vercelli. Don Giuseppe Cottolengo, avvertito,
fece comunicare all’eminente visitatore, scusandosi, di non poter
presentarsi a riceverlo, perché intento al gioco delle bocce con uno degli
ospiti della casa: un infelice handiccappato, che si sarebbe forse offeso per
l’interruzione della partita. L’arcivescovo, dinanzi a simile lezione
d’umanità, restò commosso e volle avere l’onore di fare l’arbitro e
contare i punti nella gara di quei due bocciofili così accaniti.
A
S. GIUSEPPE BENEDETTO COTTOLENGO
O
Dio nostro Padre, nella tua Provvidenza tu soccorri quelli che si affidano a Te.
Concedi a noi, per la preghiera di S. Giuseppe Benedetto Cottolengo, di
dedicarci al servizio dei poveri e di ottenere il regno che hai promesso a chi
spende la vita facendo del bene. Per Cristo nostro Signore. Amen.
Triduo
a S. Giuseppe Cottolengo
I.
O San Giuseppe Cottolengo, che durante la tua vita ti mostrasti tanto pietoso
verso gli sventurati, abbi pietà di me e ottienimi la grazia... di Cui ho tanto
bisogno. Pater, Ave, Gloria
II.
O San Giuseppe Cottolengo, che durante la vita terrena ti dedicasti con tanta
sollecitudine al sollievo di ogni miseria, abbi pietà di me e ottienimi la
grazia... di cui ho tanto bisogno. Pater, Ave, Gloria
III.
O San Giuseppe Cottolengo, volgi su di me uno sguardo di misericordia: vedi come
sono gravi le mie necessità e com'è grande il mio dolore. Oh! perora tu la mia
causa, guarda la mia fiducia in te e ottienimi la grazia... di cui ho tanto
bisogno. Pater, Ave, Gloria
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