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MARIA MAZZARELLO  -  Santa , Fondatrice

 

Memoria liturgica al 13 Maggio

 

 

Maria Domenica Mazzarello, nacque a Mornese, nell’alto Monferrato, il 9 maggio 1837. i suoi genitori erano contadini, e Maria fu la primogenita di sette tra fratelli e sorelle. Ben presto si rivelò una fanciulla sana, di carattere forte, volitiva, tenace. Ad undici anni fece la Prima Comunione e da allora frequentò i sacramenti anche a costo di grandi sacrifici. Sulle soglie dell’adolescenza trovò una guida nel sacerdote Domenico Pestarino. Nel 1854, a diciassette anni, con altre quattro giovani fondò l’Unione delle Figlie di Maria Immacolata. Questa associazione permise alle iscritte di vivere la vita religiosa da laiche occupandosi specialmente della gioventù.

A vent’anni, assistendo una famiglia di congiunti, contrasse il tifo che la portò in fin di vita. Guarita, però non poté più dedicarsi al duro lavoro dei campi. Un giorno, su di un’altura ebbe una visione; “vide” un ampio caseggiato, con molte giovanette e suore. Quel caseggiato non esisteva ancora e Maria non capi perciò che cosa significasse, ma capirà dieci anni dopo, quando si troverà nella nuova istituzione che la Provvidenza le preparava. Intanto con un’amica, Petronilla, si era dedicata al mestiere di sarta, mettendo su un piccolo laboratorio per insegnare quel lavoro ad alcune fanciulle, proteggendole e guidandole nello stesso tempo con principi cristiani. Nell’ottobre del 1864, Don Bosco recatosi a Mornese con dei suoi giovani allievi, si incontrò con don Pestarino e con le Figlie dell’immacolata. Egli decise allora la fondazione di un collegio per fanciulli; la Provvidenza invece preparava la casa per una nuova istituzione, che doveva, nel campo femminile, compiere ciò che i Salesiani facevano per la gioventù maschile. Don Pestarino che intanto si era fatto salesiano, fu da don Bosco trattenuto a Mornese per occuparsi della nuova fondazione. Finalmente al principio del 1872 don Bosco realizzò il suo disegno: prese quella prima famiglia dell’Immacolata, per fondere la congregazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Pratico e concreto come era, impose subito che si formasse il capitolo e il 29 gennaio Maria Domenica Mazzarello venne eletta superiora delle ventisei compagne che il 29 maggio passarono nel nuovo edificio del collegio “La casa della visione”. Il 5 agosto 1872 il vescovo di Acqui, monsignor Sciandra, compì la vestizione religiosa di quindici suore e ricevette i voti triennali di undici di loro. Don Pestarino, riferendo a don Bosco sulle virtù e sul lavoro di Maria, scriveva: “Non sa quasi scrivere e poco leggere, ma parla così fine e delicata in cose di virtù e con tale persuasione e chiarezza che sovente si direbbe ispirata dallo Spirito Santo”. Maria Mazzarello, pose a fondamento del suo governo l’umiltà e la fedeltà a Don Bosco. A trentacinque anni, imparò a scrivere e cominciò a parlare in italiano. Nel 1874 venne eletta superiora generale. Maria, dotata d’un gran talento di governo, saprà guidare le consorelle per la via dell’umiltà e della mortificazione e fondare lo spirito della nuova congregazione. Don Bosco, parlando di lei a don Cagliero dirà: “Tu conosci lo spirito del nostro Oratorio, il nostro sistema preventivo e il segreto di farsi voler bene, ascoltare e obbedire dai giovani: amando tutti e non mortificando nessuno e assistendoli giorno e notte con paterna vigilanza, paziente carità e benignità costante. Questi requisiti la buona Madre Mazzarello li possiede e quindi possiamo stare fidenti nel governo dell’Istituto. Essa non ha da far altro, e altro non fa se non uniformarsi allo spirito, ai sistema e carattere del nostro Oratorio. La loro Congregazione è pari alla nostra: ha lo stesso fine e gli stessi mezzi, che essa inculca con l’esempio e con la parola alle suore, le quali a loro volta sul modello della Madre, più che Superiore, Direttrici e Maestre, sono tenere madri, verso le loro giovani educande”. Non per nulla essa aveva preso come motto: “Viviamo alla presenza di Dio e di don Bosco!” Fu rieletta superiora nel 1880. Nel febbraio 1881 accompagnò le missionarie della terza spedizione a Marsiglia, ma cadde gravemente ammalata a Saint—Cyr. Rientrata in Italia, morì a Nizza Monferrato il 14 Maggio 1881, all’età di soli quarantaquattro anni. Maria Domenica Mazzarello  fu  beatificata  da  Pio  XI il 20 novembre 1938 e canonizzata da Pio XII il 24 giugno 1951.

 

 

La ragazza che venne dalle colline

I colli del Monferrato sono verdi e bellissimi per chi li guarda. Ma per i contadini che s’arrampicano sulla pancia delle colline con la zappa in spalla, son6 tutta un’altra cosa. Basta che per un mese la pioggia non cada, e la terra dura si screpola e si spacca. Sotto il sole che picchia spietato la fatica si fa penosa e il fiato corto. I contadini sono silenziosi e imbronciati come minatori. Non è vero che cantano. Zappano, sudano, e imprecano a fior di labbra contro i solchi lunghi e le ore che non passano mai . Sulle colline di Mornese, intorno al 1853, c’era una ragazza che faceva imprecare i contadini anche ad alta voce. Si chiamava Maria Mazzarello, aveva 18 anni, e con la zappa in mano lavorava che era una disperazione vederla. Per tenerle dietro (chi si vuole lasciar superare da una donna?), i contadini presi a giornata dovevano lasciare l’anima nei solchi. Da dove viene quella? domandavano mentre masticavano adagio pane e aglio all’ora della prima colazione. Cos’ha? Il fuoco? Si prenderà una bella croce chi la sposa, ridevano. Se è energica di lingua come lo è di braccia, quel povero diavolo dovrà tirare la carretta come un bue.

 

 

La cavezza della Mora

Energica lo era, Maria, ma non prepotente. Veniva dalla cascina di Valponasca, una fattoria a tre quarti d’ora da Mornese, dove i bambini erano tanti, con un appetito che non finiva mai, e papà Giuseppe comandava con energia e sicurezza, come un capo tribù. Perché Dio non ci lasci mancare il pane, bisogna pregare e lavorare — diceva. E per tutti questo era Vangelo. Maria lavorava sodo e pregava sodo. Appena l’alba rischiarava i vetri della stanza, dava di gomito alla sorella Felicina che le dormiva accanto e s’incamminavano svelte verso la chiesa, per la Messa. D’inverno per la strada si battevano i denti, e in chiesa bisognava soffiarsi sulle mani per sentirsi le dita. Eppure Maria e Felicina non pensavano nemmeno a saltare una Messa. Del resto, quasi tutte le altre ragazze del paese arrivavano ogni mattina col velo in testa, come loro. Si credeva sui serio nel Signore, in quel paese. Anche perché il vescovo aveva mandato un prete coi fiocchi, don Pestarino. Faceva il parroco ventiquattro ore su ventiquattro. Maria aveva fatto la prima Comunione a 10 anni, e da quel giorno ogni mattina era tornata alla balaustra a incontrarsi con il Signore. « Senza di lui non saprei più vivere »diceva con semplicità. Intorno agli 11-12 anni, insieme a Felicina, aveva combinato anche qualche stranezza. Per svegliarsi presto al mattino (in tutta la casa non possedevano una sveglia) e non perdere la Messa si stringevano a turno delle corde strette ai fianchi, per svegliarsi sovente di notte. Durante l’inverno (quando dormivano nella paglia della stalla, per scaldarsi

col fiato delle mucche), Maria s’era addirittura attaccata al braccio la cavezza della Mora, la mucca più inquieta, per svegliarsi quando la bestia agitava il collo per scacciare le mosche. Don Pestarino, nel confessionale, le disse che quelle erano stramberie, che il Signore si amava sacrificandosi per gli altri, non legandosi alla corda delle mucche.

 

 

Tifo, streghe e malocchio

L’occasione di sacrificarsi per gli altri, e in una maniera molto seria, arrivò nel 1860. In piena estate scoppiò il tifo. La seconda guerra d’indipendenza, l’anno prima, s’era già portato via parecchi padri di famiglia. Ora il tifo,spuntato fuori da uno di quei pozzi dove d’estate l’acqua stagnava e imputridiva, mise il terrore nella zona. Ogni forestiero che entrava in un paese, correva il rischio di essere ricevuto coi forconi. Come ogni volta che tornava il contagio, si tornava a parlare di streghe e di malocchio. Microbi, igiene, disinfezione, erano parole ancora sconosciute in Italia. Le case dove si èra sani si sprangavano, e guai a chi voleva entrare. Le famiglie dove il tifo arrivava, erano abbandonate da tutti. Don Pestarino si faceva in quattro. Ma si sa che la paura in certe ore non conosce ragione: rende egoisti e crudeli. La famiglia di Oreste Mazzarello, uno zio di Maria, fu tra le prime ad essere colpite. Prima lo zio, poi la zia e tutti i figli. Dopo alcuni giorni, la zia e il figlio maggiore erano in fin di vita. Don Pestarino va a trovare quella povera gente, e s’accorge che hanno assoluto bisogno di una persona che li aiuti. Va dritto alla cascina dei Mazzarello e chiama Maria. A casa di tuo zio Oreste due stanno morendo. Ti senti di andare laggiù a dare una mano? Una lunga pausa. Maria Mazzarello ha paura come tutti. E sente, non sa come, che se andrà in quella casa, il tifo prenderà anche lei. Eppure è questa l’ora di « sacrificarsi per gli altri », di dimostrare il proprio amore al Signore. Don Pestarino la guarda tranquillo e aspetta. Maria mormora: Se mio papà non ha niente in contrario, ci vado. A tuo papà ci penso io. Tu va a preparare un fagotto di biancheria che ti basti per una settimana. Rimane più di sette giorni. Passa silenziosa dalla cucina alle camere dei malati, lavora sodo. Il disordine e la sporcizia che s’erano accumulati scompaiono velocemente. Le medicine e il cibo caldo sono pronti alle ore stabilite. La malattia sembra calmarsi. Anche i malati più gravi possono già scendere dal letto e permetterle qualche pausa di riposo. Ma ecco che, con violenza improvvisa, il tifo si abbatte su di lei. Non fa nemmeno in tempo a tornare alla sua casa: sarebbe da matti mettersi in strada con la febbre che fa battere i denti con brividi lunghi e dolorosi. La sua bella faccia ovale si riduce in pochi giorni ad un triangolo di pelle pallida e tirata. Il medico, venuto a darle uno sguardo, scuote la testa. Gli pare proprio che non ci sia più niente da fare. La morte è già lì. Cosa strana, mentre il tifo faceva una gran paura a questa ragazza, ora la morte la lascia tranquilla. A un parente che è venuto a portarle una dozzina di uova « perché si riprenda in fretta », dice sorridendo: Vi ringrazio del regalo, ma non so se riuscirò a bere, quelle uova. Si muore, sapete. Si muore quando meno ci si pensa.

Quell’uomo è tanti anni che non mette più piede in chiesa. In settimana ci andrà. Si andrà anche a confessare.

Il medico ha ordinato altre medicine. Maria, sfinita, gli dice: Grazie, ma per favore non mi faccia prendere altre pillole. Non ho più bisogno di niente. Soltanto che Dio mi venga a prendere per portarmi in Paradiso. La sua ora però non è ancora arrivata. Dovrà lavorare tanto su questa terra, prima che Dio venga a prenderla...

 

 

Voci misteriose

Così, senza pillole, Maria si trova improvvisamente sfebbrata e comincia ad alzarsi. Sul volto tornano i colori della salute. Nelle membra però rimane un torpore, una debolezza diffusa. Passerà — dice ridendo Maria ai contadini, — e tornerò a zappare lasciandovi con una spanna di lingua. Ma i mesi passano, e la robustezza di un tempo non torna. La febbre altissima ha rotto qualcosa nella macchina. E ora che farà? Più di un giovanotto, a Mornese, vorrebbe parlare seriamente di matrimonio con lei. Non le manca nulla per diventare una bella sposa e una brava mamma. Ma questi discorsi non li vuole nemmeno incominciare. E torna a domandarsi: « Che farò nella vita? ». Ci pensa per giorni e mesi. Un giorno le capita qualcosa di strano. Sta percorrendo un sentiero sulla collina di Borgo Alto, quando all’improvviso vede davanti a sé un grosso edificio, con tante ragazzine che corrono e schiamazzano nel cortile. Sbatte le palpebre. « Come mai? — si domanda. — Da dove è spuntato questo palazzo?... ». Si spaventa ancora di più quando le sembra che una voce le dica: «Queste ragazze le affido a te » un attimo.Tutto scompare. Maria è turbata. « Nemmeno quando avevo la febbre alta — pensa — mi capitava di vedere palazzi e di sentire voci misteriose. Che razza di pasticcio sarà? ». Maria lascia il sentiero e fila dritto da don Pestarino Alla grata del confessionale gli conta tutto, per filo e per segno. Il prete, per la prima volta, si mostra seccato. Sono tutte storie. Non parlarne con nessuno e non pensarci più. Più tardi don Pestarino dovrà cambiare parere, ma chi può vederci chiaro quando Dio comincia a usare strade diverse dalle solite?

 

 

Confidenze a PetroniIia

Maria ha un’amica con cui non ha segreti. Si chiama Petronilla e porta il suo stesso cognome, Mazzarello. Un giorno del 1861, Maria le dice: Avrei una faccenda importante da confidarti. E' da molto che penso a cosa farò nella vita. Ho deciso che imparerò a fare la sarta. Quando saprò bene il mestiere, aprirò un piccolo laboratorio e insegnerò a cucire alle ragazze povere. Così farò loro del bene, e durante il lavoro potrò parlare del Signore. Ti piacerebbe fare la sarta anche tu? Staremmo insieme, vivremmo come in una famiglia. Petronilla ci pensa sopra. Si consiglia con suo padre. Anche don Pestarino è informato del progetto. Nell’autunno, Maria e Petronilla cominciano a recarsi ogni giorno al laboratorio di Valentino Campi, il sarto migliore dei dintorni. Credono di aver scelto la strada della loro vita. Non sanno che anche Dio ha qualcosa da dire al riguardo.

 

 

 

Quattro occhi disperati

È passato un anno, e il piccolo laboratorio di sartoria (dopo due o tre traslochi) si è impiantato stabilmente ai margini del paese. Una decina di bambine povere vanno a « imparare a cucire ». Maria e Petronilla guidano le mani inesperte sulla stoffa, fanno giocare le piccole tra lavoro e lavoro, leggono a turno qualche libro che parla del Signore e dei santi. Don Pestarino viene a fare qualche brevissima lezione di catechismo, e qualcuna delle bambine si prepara alla prima Comunione. Ma ecco una novità che sconvolge tutto. È l’inverno del 1863. Le ragazzine se ne sono appena andate a casa, proteggendosi dalla neve con zoccoli e ombrelloni, quando sentono bussare alla porta. Vanno a vedere, e si trovano davanti quattro occhi disperati. Una bambina più grande, Otto anni, si tira dietro la sorellina di sei, e chiede con un filo di voce che per favore le lascino entrare. Petronilla prende in braccio la più grande, Maria la più piccola, e le portano dentro. Accendono un gran fuoco nel camino, e dalle labbra della bambina più grande riescono a cavare la loro breve storia. Papà vive solo e fa il venditore ambulante. Le portava da un paese all’altro. Ma con la prima nevicata le ha lasciate a casa. È partito da parecchi giorni per un giro nei paesi vicini e non è ancora tornato. Sono state sole in casa, ma adesso non ce la fanno più. Così, senza nessun « piano prestabilito », il piccolo laboratorio di sartoria si trasforma da quella sera in casetta per bambine abbandonate. Maria e Petronilla vanno a bussare dai vicini, riescono ad avere in prestito due lettini e un po’ di farina per fare della polenta.

 

 

Due mamme per sette bambine

Appena per Mornese si diffonde la voce che le Mazzarello « prendono in casa le bambine orfane », vengono in molti a portare un fascio di legna, un paio di coperte, mezzo sacco di farina. Ma portano anche bambinette abbandonate. Prima che arrivi la primavera del 1864 sono sette le piccole a cui Maria e Petronilla devono fare da mamma. Don Pestarino è informato di tutto. Dice loro: « È Dio che ve le ha mandate. Andate avanti ».

C’è anche un’altra novità. Qualche ragazza del paese chiede a Maria e a Petronilla di « fare come loro ». Vorrebbero venire a stare nel laboratorio, insegnare a cucire alle ragazzine, dare una mano nelle faccende di casa per le piccole orfane. Maria Mazzarello interroga ancora don Pestarino. « Perché no? — risponde il prete. — In due avete tante cose da fare che non ve la cavate più ». Quel gruppo di ragazze riceve anche un nome da don Pestarino: si chiameranno « Figlie dell’Immacolata ». Alla domenica, le ragazze del paese e quelle delle cascine, uscendo da Messa, vanno a trovare Maria, Petronilla e le orfanelle. È diventata un’abitudine. Giocano con le bambinette a nascondersi, fanno a mosca cieca, corrono e ridono. Un vero oratorio festivo, anche se forse nessuna sa che cosa sia un « oratorio festivo ».

 

 

La banda in piazza

Ottobre 1864. Una notizia si diffonde come un lampo per Mornese: arriva don Bosco e i suoi ragazzi! Don Bosco è un prete a cui, in Piemonte, tutti vogliono bene. Nei prati di periferia, a Torino, ha piantato un « oratorio » per i ragazzi abbandonati. Per il chiasso che facevano i suoi monelli, lo hanno scacciato da un’infinità di posti. Alla fine però è riuscito a mettere su una specie di baracca a Valdocco. La baracca si è trasformata in una casa grande, che si allarga sempre più. Vi sono alloggiati 700 ragazzi che vanno a scuola e imparano ogni sorta di mestieri. Sono ragazzi poveri, le loro famiglie non possono pagare niente per tirarli su. Eppure don Bosco ce la fa: la « Provvidenza » (come dice lui) lo aiuta sempre. Ha già cominciato a costruire altre case per ragazzi poveri fuori Torino: a Mirabello Monferrato, a Lanzo. I giovani preti che gli danno una mano si chiamano « Salesiani ».

La gente dice che don Bosco è un santo, che fa miracoli. Ogni anno, all’arrivo dell’autunno, don Bosco porta i suoi ragazzi a fare lunghe passeggiate sulle colline del Mon. ferrato. Banda in testa, vanno di paese in paese, dormono nei fienili, suonano e recitano per la gente. Alla sera, sulla piazza, don Bosco parla a tutto il paese. Incanta tutti raccontando la storia del suo oratorio e le grazie che la Madonna Ausiliatrice fa a chi lo aiuta. Quando la banda dei ragazzi di don Bosco attaccò la prima mancia sulla piazza di Mornese, una sera di settembre, tutta la gente uscì dalle case. I ragazzi erano stanchi per la lunga camminata, ma incoraggiati dagli applausi suonarono marce e musica allegra per mezz’ora buona. Poi don Bosco salì su uno sgabello e parlò. Si spingevano tutti per arrivargli più vicino, e Maria Mazzarello, a forza di gomiti, di « scusi »e di « permesso », riuscì ad arrivare in prima fila. Non disse molte cose, quella sera, don Bosco: Siamo tutti stanchi, e i miei ragazzi hanno voglia di fare una buona dormita. Domani però ci parleremo più a lungo. Ad ogni modo, una cosa voglio dirvela: il vostro parroco mi ha detto che Mornese vorrebbe aprire una casa, una specie di collegio per ragazzi poveri, e affidarla ai Salesiani. È una gran bella iniziativa, la vostra. E io vi dico in nome della Madonna: il collegio si farà, e nonostante che i Salesiani del povero don Bosco siano molto pochi, ve ne manderò due o tre molto in gamba, perché quello di Mornese sia un collegio coi fiocchi! I paesani, che aspettavano la notizia, applaudirono e gridarono. Il giorno dopo i ragazzi di don Bosco cantano la Messa in chiesa. Poi don Bosco, con il parroco, fa il giro del paese. Stringe la mano alla gente, benedice i malati e i bambini, sale sulla collina di Borgo Alto dove è già pronto il terreno per la costruzione del collegio, ed entra nel « laboratorio »delle Figlie dell’Immacolata. Rimane molto impressionato della laboriosità e della bontà di quelle ragazze. « Continuate così, dice facendosi pensoso, e chissà che la Madonna non abbia a servirsi di voi per realizzare qualche suo grandioso progetto ». Chiede a don Pestarino che, quando gli manderà notizie sulla costruzione del collegio, non si dimentichi di dargli informazioni sulle Figlie dell’Immacolata.

 

"A nessuna è passato in testa di farsi suora"

Ora che Don Bosco ha accettato, Mornese si mette alacremente al lavoro. Don Pestarino versa per le prime spese tutti i suoi risparmi. I paesani alternano il lavoro nelle vigne con giornate lavorative gratuite sul Borgo Alto per scavare le fondamenta e portare sabbia, pietre, mattoni. Anche Maria Mazzarello e altre « figlie dell’Immacolata » vanno a dare una mano. Scendono al torrente, si caricano sulle spalle grosse pietre e le portano su, per i sentieri, dandosi il cambio quando non ne possono più. La costruzione cresce solida e massiccia. Ma quando è terminata, e i Mornesini attendono da un giorno all’altro l’arrivo dei figli di don Bosco, arriva invece una notizia che gela tutti: le autorità non danno il permesso per l’apertura. Un giorno don Pestarino è chiamato urgentemente a Torino da don Bosco. Entra nel poverissimo ufficio di Valdocco e si sente dire senza preamboli. Caro don Pestarino, tu diventerai il primo superiore di una nuova Congregazione femminile. Il bravo prete sbarra gli occhi: Io? Diventare cosa?

Superiore di una nuova Congregazione femminile. Ma don Bosco, vuole scherzare? Niente affatto. Sono tornato adesso da Roma. Il Papa mi ha esortato a fondare una Congregazione femminile che faccia per le ragazze povere quello che i Salesiani fanno per i ragazzi poveri. Io ci stavo pensando da tempo: il nucleo di questa nuova Congregazione c’è già, sono le « Figlie dell’Immacolata » di Mornese. Quelle ragazze? — don Pestarino cade dalle nuvole. Ma quelle sono brave figliole, d’accordo, ma a nessuna è mai passato in testa di farsi suora. Neppure ai miei primi ragazzi passava in testa di farsi religiosi. Eppure, il Signore, un giorno dopo l’altro, li ha portati dove ha voluto Lui. Così sarà anche di quelle brave ragazze di Mornese. Per fondare una Congregazione — ribatte don Pestarino — ci vuole almeno una casa. Dove le metteremo? Nel collegio — risponde tranquillo don Bosco. Il collegio? Ma quello è per i ragazzi. La gente ha lavorato sodo pensando di farne la casa dei ragazzi più poveri di Mornese. Se io torno e dico che diventa una casa di suore, quelli mi linciano. Ma no, ma no! — ride don Bosco. — All’inizio faranno il broncio, certo. Ma poi s’accorgeranno di aver fatto un ottimo affare. Non possono mandare i ragazzi poveri? Manderanno le ragazze povere. E poi, don Pestarino — don Bosco si è fatto all’improvviso serio, — io sono certo che questa è la volontà del Signore, e che di quel piccolo gruppo di ragazze Egli si servirà per fare un bene sconfinato alla Chiesa. Vogliamo dare una mano, al Signore?

 

 

"Quel mucchio di marmotte"

Quando don Pestarino comunicò la notizia al paese, le reazioni furono violente. Un gruppo dei più scaldati voleva salire al Borgo Alto e demolire tutto. Molti, credendola un idea del prete di Mornese, volevano « aggiustare i conti» con lui. Dovette chiudersi in casa per parecchi giorni. Chi pagò le spese più di tutti furono le Figlie dell’Immacolata. Parole cattive, insinuazioni, calunnie. Quando, la sera del 23 maggio 1872, su due carri agricoli fecero il traslocco delle loro povere masserizie dal « laboratorio » al collegio, le circondò il silenzio più gelido.

La domenica seguente, sulla piazza della chiesa, i discorsi erano ancora roventi: Bel risultato! lavorare come muli per degli anni, e alla fine vedere il nostro collegio regalato a quel mucchio di marmotte. E che cosa faranno adesso lassù? Non sono mica maestre per far scuola. Dicono che prenderanno le bambine povere e insegneranno a cucire. Sì, e così tutte le ragazze della provincia faranno la sarta! Ne dovremo consumare dei pantaloni per dar lavoro a tutte! Ma vedrete che tutto finirà presto. Da mangiare non ne hanno per molto. Se non vogliono morire di fame, dovranno ben sloggiare.

 

 

 

Pregare per I bachi dl seta

La fame fu davvero la minaccia più grave in quei primi mesi. Dal paese pochissimi salivano a portare qualche chilo di farina o un sacco di patate. Maria Mazzarello, che nulla aveva domandato, che tutto aveva accettato dalla mano del Signore, cercava di far coraggio alle sue giovani amiche: Siamo del Signore. Prendiamo tutto dalle sue "mar.. ." le ingiurie, l’appetito, e anche la fame. Quando Lui vorrà cambiare le cose, le cambierà. Ma per molto tempo le cose non cambiarono. Su uno dei due carri che avevano portato nel Collegio le loro masserizie, avevano con infinite precauzioni caricato le stuoie dei bachi da seta, che stavano allevando per aumentare le loro scarsissime entrate. « Baco disturbato, baco morto »dicevano gli intenditori. Se fossero morti davvero, sarebbe stato un bel guaio. Per molti giorni le abitanti del collegio osservarono con trepidazione e pregarono con fervore per quei vermiciattoli che mordevano svogliatamente le foglie di gelso. Non morirono, e la vendita dei bozzoli fu il primo «incasso » che permise di comprare alcuni sacchi di farina gialla per polenta.

 

 

 

La festa senza invitati

Il 5 agosto 1872. Festa della Madonna della Neve. Da Acqui è arrivato il vescovo, e da Torino è venuto don Bosco. Le prime quindici « Figlie di Maria Ausiliatrice »(si chiameranno così d’ora in avanti) ricevono l’abito religioso. Fa un caldo spietato sulle colline, ma in fondo al cuore di tutti c’è un po’ di freddo, d’imbarazzo. Nessuno, da Mornese, è venuto a partecipare alla festa. Nemmeno i parenti delle quindici che si consacrano al Signore. Don Bosco, però, dirada l’imbarazzo fissando lo sguardo nel futuro: Voi siete in pena perché tutti vi perseguitano e vi deridono, e i vostri parenti stessi vi voltano le spalle... Fatevi coraggio e consolatevi. Vi posso assicurare che avrete un grande avvenire. Rimanete semplici, povere, mortificate, e il Signore farà di voi grandi cose.

 

Al fiume con la polenta

Per rimanere povere non dovettero fare molti sforzi. Quando un medicante veniva a bussare alla loro porta, spesso non avevano nemmeno un pezzo di pane da dividere con lui. Maria Mazzarellò era solita invitare quei poveretti a tornare all’ora del pranzo, e portava loro la sua razione di minestra. Il « piatto forte » della comunità era polenta e castagne secche bollite. « Il profumo di quelle quattro castagne, ricordava una suora di quei primi tempi — cominciavamo a sentirlo un paio d’ore prima, e ci faceva svenire ». « Il giorno del bucato, raccontava Felicina Mazzarello, sorella minore di Maria, era molto faticoso. Mia sorella e le suore “più anziane” si mettevano in testa i fagotti della biancheria da lavare e scendevano al fiume Roverno, che scorre lontano dal paese. Per il pranzo si mettevano in tasca un po’ di pane e qualche fetta di polenta. D’inverno l’acqua era gelata, ma ridendo e scherzando cercavano di non pensare al freddo. Tornavano stanche e bagnate, ma sempre allegre ». Un giorno, però, all’ora di partire per il bucato, non trovarono in dispensa nemmeno una fetta di polenta fredda da portare con sé. Maria Mazzarello chiamò due ragazze arri vate da poco e disse: Vi chiedo un grosso favore. Scendete alle vostre case, e chiedete a vostra mamma qualche pugno di farina per polenta. Noi vi aspettiamo al fiume. Un’ora dopo, con un involtino di farina tra le braccia, le due ragazze s’incamminarono verso il Roverno. Ma la fretta e le chiacchiere giocarono un brutto scherzo; l’involto finì per terra, la farina si sparse tra la sabbia. La raccolsero alla meglio, tutte mortificate. Giunsero al fiume portando una farina di colore sospetto, e raccontarono tutto piangendo. Maria Mazzarello si mise a ridere: La farina c’è, grazie a Dio. C’è anche dell’altro, e dovremo masticare con attenzione. Ma non mi pare proprio il caso di piangere. La polenta bolli, fu scodellata e trangugiata con avidità. Qualche dente scricchiolò, ma la fame non va tanto per il sottile.

 

 

Angelica ha quattro anni

Eppure, in quella estrema povertà, tutte le ragazze abbandonate che domandarono di essere accolte furono accettate. Il 90 per cento di esse si presentavano a mani vuote, e c’era veramente da pensare a come mantenerle. Maria Mazzarello, però, era tranquilla. Ripeteva le parole di don Bosco: Non respingiamo mai nessuna per povertà. Le vocazioni povere fanno ricco l’Istituto. Enrichetta Sorbone è una ragazza di 17 anni, orfana, che si tira dietro una fila di cinque sorelle e un fratello. Vorrebbe entrare nella casa di Mornese, ma come fare con tutti quei bambini da mantenere? Maria Mazzarello, appena conosce la sua situazione, le scrive: « Noi siamo pronte a toglierci il pane di bocca per lei e le sue sorelline, non le lasceremo mancare nulla. Il fratellino pregheremo don Bosco di accoglierlo nell’Oratorio ». Arrivano a Mornese in sei, la più piccola, Angelica, ha quattro anni. Trovano tanto affetto e tanta bontà che tutte e sei saranno Figlie di Maria Ausiliatrice. Molte suore per guanciale usano un pezzo di legno imbottito alla meglio con degli stracci. Tutti i cuscini esistenti in casa sono dati alle bambine. Maria Mazzarello non vuole che le suore più giovani facciano questa mortificazione, ma non può dir niente perché la prima che ha escogitato questo sistema è lei. ,

 

 

Una mucca per la colazione

Quando giunge a Mornese don Giovanni Cagliero (il futuro cardinale), mandato da don Bosco a vedere come vanno le cose, si spaventa di quella rigida povertà. Torna a Torino e parla chiaro e forte: Le suore vanno avanti a pan duro e acqua fresca, ma di questo passo vanno dritte all’ospedale. Non si può lavorare e non mangiare: è un suicidio. Per cominciare, a colazione non basta la polenta fredda, occorre latte e caffè. Don Bosco va a bussare alla porta dei benefattori, invia laggiù denaro. Ma ha paura che lo usino per cose diverse dalla mensa. Perché tutte capiscano il suo desiderio, fa arrivare una mucca: deve fornire il latte per la colazione. È una festa per la casa. Il quieto animale è ricevuto trionfalmente, inghirlandato di fiori, e accompagnato con allegria fino alla stalla.

 

 

La campana suona per Borgo Alto

Il 29 gennaio 1874. La morte entra per la prima volta al Collegio. Se ne va Maria Poggio, una giovane suora del primissimo gruppo. Maria Mazzarello la stimava moltissimo, per la sua intelligenza e la sua bontà. Aveva chiesto a don Bosco che la eleggesse superiora al suo posto: « Lei sì che è in gamba. Io sono una povera ignorante ». Suor Poggio, allegra e silenziosa, era sempre pronta ad aiutare, a servire, a vegliare le ammalate. Aveva fatto tanta fame e preso tanto freddo, in quell’inverno. Se ne andò in silenzio, senza disturbare nessuno. Il funerale di quella giovane suora di Mornese radunò tutto il paese. « Molti della popolazione piangevano » ricordava don Pestarino. Fu il momento della pace fra il paese e quelle ragazze smunte, che sfilavano vestite da suore recitando il rosario. Parecchi benestanti, di fronte a quella cassa leggera, capirono che era colpa del loro cuore duro se lassù qualche ragazza stava rischiando di morire. Da quel giorno, la farina gialla per la polenta, e anche quella bianca per il pane, non mancarono più nella dispensa. Ma la morte venne ancora a bussare a quella casa. La mattina dopo la festa dell’Ascensione, don Pestarino stava leggendo alle suore una pagina sulla brevità della vita. Diceva: « Può essere che la morte mi sorprenda di qui a un anno, di qui a un mese, a una settimana, a un giorno, a un’ora, e forse appena finita questa lettura... ». A questo punto il sacerdote scoppiò a piangere, le suore rimasero molto turbate.

Alle undici, mentre lavorava, cadde a terra. Morì nello spazio di poche ore. Aveva 57 anni. Nemmeno un mese dopo, si spegne suor Corinna Artigotti, la prima maestrina di musica del Collegio. La sua era stata una storia di sofferenze e di incomprensioni. Era arrivata giovanissima solo per fare la maestra di musica, con regolare stipendio. Ma poi la serenità di quella vita e l’amicizia cordialissima di Maria Mazzarello l’avevano spinta a rimanervi per sempre. Il padre, che ritirava regolarmente lo stipendio della figlia, non ne aveva voluto sapere. L’aveva portata via a forza. Erano stati mesi durissimi per lei. Il padre, vedendola decisa a tornare a Mornese, era arrivato a tenerla legata in casa. Solo l’intervento energico di uno zio le aveva permesso di tornare. Ma la salute se n’era andata. Tornò per prepararsi a morire.

 

Quando Don Bosco batté le mani

Tre tombe fresche. Com’era possibile ridere e scherzare ancora? Don Bosco lo capì, e venne a Mornese. Batté le mani come per ridestare quelle giovani dalla tristezza, e con sicurezza annunciò: D’ora innanzi a Mornese si deve vivere, non morire. Molte di voi partiranno di qui. Ma non per il Paradiso: per fondare asili, istituti, oratori per le ragazze povere del Piemonte e dell’Italia. Via i pensieri tristi. Bisogna lavorare. far scuola, darsi da fare. A morire ci penserete quando avrete ottant’anni. E intanto, perché l’Istituto sia in ordine e pronto ad aprire altre Case, faremo le elezioni delle Superiore. Fino a quel giorno, Maria Mazzarello aveva sempre rifiutato di essere chiamata « Madre ». « La nostra Superiora è la Madonna — diceva. — Io tutt’al più posso farle da vicaria ». Il 15 giugno, dopo aver invocato lo Spirito Santo, le Figlie di Maria Ausiliatrice elessero democraticamente la loro Superiora. Tutti i voti meno uno toccarono a Maria Mazzarello. Don Bosco sorrise, e volgendosi a lei, tutta turbata, disse: La voce del popolo, è proprio la voce di Dio, madre Mazzarello. Dopo di lei, furono elette altre quattro Superiore, tutte del primissimo gruppo. Nella festa dell’Immacolata di quell’anno, altre sette giovani vestirono l’abito delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Tra esse c’era una ragazza alta, dal volto serio e fine. Si chiamava Caterina Daghero. Prima di fare quel passo aveva esitato per tre mesi. Credendola debole di volontà, le Superiore pensavano di non accettarla. Madre Mazzarello, invece, insistette perché venisse accettata. Disse a Caterina: Lo so che soffri. Ma devi rimanere qui. Vedrai che non solo ti troverai contenta, ma farai un gran bene. Leggeva nell’avvenire? Caterina Daghero sarebbe succeduta alla madre Mazzarello nel governo della Congregazione, e per quarantatré anni sarebbe stata la guida umile e forte delle Figlie di Maria Ausiliatrice.

 

 

Partono In tre, sotto la neve

Il 9 febbraio 1876. Tra uno sfarinio di neve, partono da Mornese le prime tre suore. Vanno a Vallecrosia, in Liguria, ad aprire un oratorio e una scuola per ragazze. A Vallecrosia, in questo tempo, è fiorente una comunità di protestanti valdesi. Tra cattolici e protestanti non è tempo di « dialogo », ma di battaglia aperta: discussioni roventi, dispetti, insulti, qualche pistolettata. La partenza per una « terra protestante » impressiona Mornese. Le tre partenti vengono solennemente proclamate « missionarie ». Il 9 febbraio è preceduto da tre giorni di preghiere specialissime. Madre Mazzarello, nonostante la neve, accompagna a piedi le tre suore fino a Gavi. Sono sue compagne d’infanzia. Hanno vissuto insieme l’incertezza e la fame dei primis simi anni. Il distacco le costa molto. Ai piedi del santuarietto di Gavi recitano un’Ave Maria e si abbracciano. Il 29 marzo. Altre sette suore partono da Mornese per Torino. Don Bosco è riuscito a comprare una casa a cento metri dall’Oratorio di Valdocco, e l’ha adattata a oratorio e scuola femminile. Diventerà ‘per più di cinquant’anni la sede centrale delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Durante il 1876 altre ventisei suore partono da Mornese: vanno ad aprire scuole ed oratori a Biella, ad Alassio, a Lu Monferrato, a Lanzo Torinese. In sette partono per Sestri Levante: vanno a fondare la prima colonia marina, per cento ragazzi e ragazze scrofolose. Tra quelle facce ripugnanti, lavora con gioia serena suor Enrichetta Sorbone, la ragazza orfana che venne a Mornese tenendo per mano cinque sorelline.

 

 

Una lettera per andare in America

L’11 novembre del 1875, nel Santuario di Maria Ausiliatrice stipato di folla, don Bosco ha consegnato il crocifisso ai primi dieci missionari salesiani in partenza per l’America del Sud. Da quel giorno l’entusiasmo per le missioni si è acceso in ogni casa salesiana. Le lettere dei missionari che raccontano i viaggi per mare, l’incontro con gente sconosciuta, i contatti con gli indios della pampa argentina, sono lette da tutti con curiosità e invidia.

Anche le Figlie di Maria Ausiliatrice sognano di partire per le missioni. L'8 settembre 1877. Maria Mazzarello si precipita nel cortile affollato di ragazze e di suore agitando una lettera. È don Bosco che scrive, annunciando imminente la partenza delle prime Figlie di Maria Ausiliatrice per le Missioni dell’America del Sud. Invita chi si sente a far domanda. L’entusiasmo è tale che bisognerebbe far fare la domanda a chi desidera rimanere a Mornese. «Non la finirei più — scrive madre Mazzarello a don Cagliero che ha aperto le prime case salesiane in Argentina se dicessi i nomi di tutte quelle che desiderano venire in America. Prepari presto un posticino anche per me, poi venga a prenderci, perché noi da sole non sappiamo venire. Anche le educande vogliono farsi tutte missionarie ». Tocca a lei scegliere le sei che partiranno. Lo fa con calma e con il solito buon senso, riuscendo a calmare invidie e a prevenire pettegolezzi.

 

 

Il fazzoletto bianco

Le missionarie andranno a Roma, e saranno ricevute dal Papa. Don Bosco vuole che madre Mazzarello le accompagni, ma lei oppone una lunga resistenza: Il Papa crederà di vedere nella Superiora generale una persona istruita, educata. Invece vedrà una povera ignorante. Finirà per perdere la stima della nostra Congregazione. Accetta di partire solo per ubbidienza. Pio IX le riceve in udienza privata. Rivolge una parola particolare alla Madre. Ma lei è talmente impressionata che non riesce nemmeno a spiccicare una parola. Dirà poi, confusa: Ve l’ho detto che sono una povera ignorante. Fanno una rapida visita ai principali monumenti di Roma, scendono nelle Catacombe di S. Callisto. Le Catacombe sono molto profonde e umide, e chi vi scende ha l’impressione di entrare in una ghiacciaia. Un giovane chierico salesiano trema di freddo. Madre Mazzarello se ne accorge subito, si toglie lo scialle di lana e gli copre le spalle. Quando escono, la Madre s’è buscato un solenne raffreddore. Si torna a Genova per l’imbarco. Madre Mazzarello (che in questo viaggio ha visto il mare per la prima volta nella sua vita), sale sul piroscafo, va a dare un’occhiata alle cabine riservate alle suore, bada che siano confortevoli e che non manchi nulla di necessario. Solo allora si dichiara soddisfatta. Quando suona la sirena che annuncia la partenza imminente, abbraccia le missionarie ad una ad una. Riesce a non piangere, ma ce la fa a stento. Poi scende, e dal molo, confusa con tante altre persone che danno l’addio a persone care, agita il fazzoletto bianco. Quando le missionarie, giunte in America, scrivono mandando le prime notizie, madre Mazzarello risponde con una lunga e affettuosissima lettera. Parla a ciascuna, le chiama una ad una per nome come se fossero presenti. Le ultime righe dicono: «Mie sempre amate figlie, vi raccomando di amarvi, di usarvi sempre carità, di compatire i difetti una dell’altra. Abbiatevi riguardo alla salute. Coraggio tutte, buone e care sorelle ».

 

 

Addio a Mornese

1878. Le Figlie di Maria Ausiliatrice sono ormai una famiglia numerosa, sparsa un po’ dovunque. Mornese, come centro di questa famiglia, si dimostra sempre meno funzionale. È lontano da ogni linea ferroviaria, le strade d’inverno diventano impraticabili. Don Bosco, da qualche anno, pensa di trasferire il centro della Congregazione a Nizza Monferrato, in un convento e in una chiesa che erano stati dei Cappuccini. In febbraio madre Mazzarello e suor Enrichetta Sorbone, senza dare nell’occhio, vanno a Nizza a dare un’occhiata. L’edificio pare adatto.

A settembre il primo trasferimento: partono per Nizza cinque suore con alcune classi di alunne. Poi, alla spicciolata, partono altre suore, le novizie, le postulanti. Il 4 febbraio 1879. Don Bosco, con una lettera, invita anche madre Mazzarello a trasferirsi. È uno strappo doloroso. In paese vivono ancora, ormai molto anziani, suo papà e sua mamma. Nel cimitero riposano don Pestarino e le sue prime suore. Mornese racchiude tutti i suoi ricordi più cari: la casetta dove insegnò a cucire alle prime ragazzine, la chiesa dove tante volte domandò al Signore che cosa doveva fare della sua vita, il torrente dove fece tanti bucati... Eppure bisogna partire. Pochi mesi dopo scriverà alle missionare: « Povera casa di Mornese! Non posso pensarci senza una spina nel cuore. Facciamoci coraggio: qui piangiamo, in paradiso rideremo ». Tornò a Mornese nell’aprile dell’anno successivo. Nel Collegio erano rimaste alcune suore con le malate. Suor Ortensia Negrini giaceva paralizzata da quattro anni. Madre Mazzarello venne per trasportare le malate a Nizza. Affinché suor Ortensia non patisse i sobbalzi della carrozza, la prese in braccio. La tenne così fino a Nizza.

 

 

Quando ad Asti perdettero Il treno

Occorrevano degli arnesi per la cucina, e madre Mazzarello partì per Asti in compagnia di una suora per comprarli. Girarono invano molti negozi. Alla fine persero anche il treno per una questione di minuti. Altre corse non ce n’erano fino a domani. Il Signore sa quanto ti rincresce non essere a casa questa sera, disse madre Mazzarello alla suora. Ma se l’ha permesso, guiderà i nostri passi. Si era aperto da poco in Asti un ospedale tipo « piccolo Cottolengo », destinato a ricoverare i disgraziati che venivano rifiutati da tutti. Ad assistere questi malati c’erano tre ragazze ch’erano state a Mornese. La Madre decise che avrebbero passato quelle poche ore all’ospedale. Appena le infermiere la videro, le corsero incontro con grande gioia. Chiamarono il signor Cerrato, fondatore del « piccolo Cottolengo ». Egli conosceva per fama la Mazzarello, e volle che non solo rimanesse lì per la notte, ma che visitasse l’ospedale e gli desse tutti i consigli che credeva opportuni. Ma anche se era piccolo, madre Mazzarello non riuscì a visitare tutto l’ospedale. In una delle prime stanzette, sopra un pagliericcio, giaceva una povera donna con la faccia divorata dal lupus, un cancro alla pelle che sfigura chi ne è colpito e manda un terribile fetore. Appena la vide, vincendo ogni ripugnanza, madre Mazzarello le si sedette accanto, le prese le mani, e cominciò a parlarle come se fossero sempre state amiche. Quella povera donna si mise a piangere, e la pregò di rimanere a farle un po’ di compagnia. Madre Mazzarello ascoltò tutto il penoso racconto che quella donna le fece della sua povera vita, e le parlò del Signore, del Paradiso, della gioia senza fine che ci attende nella casa di Dio. Le ore passarono così, e rimase pochissimo tempo per prendere un boccone e un po’ di sonno, prima del treno che partiva all’alba.

 

Non ti farò male »

Il fatto di essere Superiora Generale non le fece mai perdere il senso delle proporzioni. Continuò ad assistere le ragazze più piccole in camerata, con occhio amoroso e attento. Una bimbetta a cui i geloni avevano incollato insieme piedi, calze e scarpe, guardò in giro se nessuno la vedeva e s’infilò sotto le lenzuola con scarpe e tutto. Madre Mazzarello s ‘accorse della manovra. Non disse niente. Scese in cucina a prendere un catino di acqua tiepida, della garza e della bambagia. Portò tutto accanto al letto della bambina e le sussurrò: E adesso fammi vedere i tuoi piedi. Non aver paura, non ti farò male. Nel Maggio 1880. Arriva a Nizza una ragazza che desidera diventare suora. L’accompagnano, desolati, i genitori. Al momento del distacco, la mamma scoppia in un pianto così disperato che madre Mazzarello ne rimane impressionatissima. Dice alla ragazza: Non puoi lasciare in questo stato la mamma. Porta pazienza, torna con loro al paese per qualche tempo. Ritornerai quando le cose si saranno calmate. È già sera quando ripartono. Si fermano a passare la notte in un alberghetto di Nizza. Vedendoli tutti sconsolati, l’albergatore si informa della faccenda, e messo al corrente comincia a parlare così bene di madre Mazzarello, a raccontare tanti episodi di bontà capitati nel collegio, che la povera mamma riprende animo. Finisce per dire al marito: Vai da questa madre Mazzarello, e dille che se mi lascia dormire un paio di notti nell’istituto, permetterò alla bambina di rimanere. Il pover’uomo va, e si sente rispondere: Non solo un paio di notti, ma tutto il tempo che vorrà. Le mamme delle nostre ragazze qui sono a casa loro. Tornano. Madre Mazzarello li riceve a braccia aperte, li accompagna a vedere la casa, la vigna, perfino la cantina. La mamma rimane qualche giorno, e alla fine abbracciando la sua piccola dice: Sono contenta che rimanga qui. Madre Mazzarello ti farà da mamma meglio di quello che ho potuto fare io.

 

La cura del mattone

Nel gennaio del 1881 le suore cominciarono a notare che la salute della Madre stava declinando. Era meno agile del solito nel disbrigo delle faccende. Camminando si premeva una mano sopra un fianco. Sorrideva sempre, come al solito, ma nel suo sorriso c’era un’ombra di fatica, di stanchezza. La cuciniera sapeva qualcosa di più. Ogni sera madre Mazzarello, in gran segreto, veniva a prendere un mattone che faceva riscaldare nel forno « per appoggiarmelo sul fianco di notte. Mi fa un po’ male ». Qualcuna le sussurrò che doveva badare di più alla salute, ma lei ridendo rispose: È meglio per tutte che io me ne vada. Così faranno Superiora una più abile di me.

Suor Pacotto, dovendo partire da Nizza, le disse tutta la sua pena per doversi staccare da lei. Anche se rimanessi, le rispose seria la Madre — ci dovremmo separare ugualmente. Io non finirò quest’anno.

 

Otto lettere In regalo

Per l’America partono otto suore e sei salesiani. Le missionarie hanno chiesto alla Madre, come ricordo, una

lettera personale. La penna è sempre stata una fatica grande per madre Mazzarello, ma per le sue figlie si mette al lavoro. Scrive otto lettere piene di affetto e di delicatezza. Dice a suor Ottavia ,Bussolino: « Coraggio! Quando sei stanca e afflitta, va a deporre i tuoi affanni nel cuore di Gesù. Troverai sollievo e conforto. Stai tranquilla che di te non mi dimenticherò mai ». E a suor Ernesta Farina: « Stai sempre allegra, e non dimenticarti mai di colei che tanto ti ama nel Signore. Ti assicuro che ti accompagnerò sempre ». Le missionarie e i missionari ricevettero il Crocifisso da don Bosco nel santuario di Maria Ausiliatrice, a Torino. Madre Mazzarello accompagnò le partenti a Torino, e poi a Sampierdarena. Non stava per niente bene, e a Sampierdarena fu assalita dalla febbre alta. Un medico, chiamato in fretta, non capì niente. Disse che si trattava di una cosa passeggera, che proseguisse pure il viaggio. I missionari dovevano recarsi a Marsiglia, poi in Spagna, e di qui salpare per l’America. Don Bosco li accompagnava fino a Marsiglia. Anche madre Mazzarello decise di proseguire fino alla città francese, per visitare le Figlie di Maria Ausiliatrice che avevano aperto una casa a St-Cyr. La notte che passò sul mare fu molto brutta. Il mare era calmo, eppure patì violentemente il mal di mare. A Marsiglia un contrattempo peggiorò le cose. Le missionarie presero alloggio in una casa privata. Mancavano i letti. I padroni avevano pensato che vi avrebbero provveduto i salesiani, i salesiani avevano pensato esattamente il contrario. Per non recare disturbo, le suore passarono le ore a cucire e a riempire alla meglio dei pagliericci. Madre Mazzarello passò la notte rannicchiata in un angolo, vestita e tremante di febbre. Al mattino non riuscì ad alzarsi. Solo sul tardi si fece forza, e accompagnò al porto le sue figlie.

 

Quaranta giorni a St. Cyr

Don Bosco la vide molto sofferente, e la fece immediatamente accompagnare al treno per St-Cyr. L’aspettava una grande festa di suore e di bambine, ma dovette quasi subito mettersi a letto. Il medico, questa volta, fece una visita accurata, e capì di che si trattava: una grave forma di pleurite. La medicina di quel tempo, purtroppo, non conosceva né la penicillina né le iniezioni di calcio. Per quaranta giorni madre Mazzarello fu martoriata con vescicanti che le scorticarono tutta la schiena. Nella cameretta accanto alla sua, giaceva ammalata una suorina giovane. Sentiva venir meno le forze, e aveva paura di dover presto morire. Madre Mazzarello le parlò a lungo, la tranquillizzò: Ti assicuro che guarirai, e lavorerai fino alla vecchiaia. Quando compì settant’anni, in Belgio, quella suora ricordava ancora il suo incontro con madre Mazzarello a St-Cyr, e piangeva ricordando la sua bontà. C’era anche un’altra suora dalla faccia malinconica, che veniva a farle visita di sfuggita. Cos’hai? Perché sembri mortificata? — le domandò. Ho domandato alla Superiora di poterle fare da infermiera, ma mi ha risposto che sono una pasticciona. La Madre sorrise, e pregò lei stessa la direttrice che permettesse a quella suora di sbrigare le poche faccende di cui aveva bisogno. Era davvero una poveretta, disordinata e incapace. Madre Mazzarello ebbe la sua penitenza da fare, ma ogni giorno le disse grazie.

 

Duo mesi per vivere e per morire

Marzo. La salute pare tornata. Il medico però continua a scuotere la testa. Madre Mazzarello non è mai stata per tanto tempo fuori della sua casa. Chiede di poter parlare personalmente con il medico. Desidero tornare in Italia, a Nizza. Voi che ne pensate? Chiedo che mi rispondiate senza paura. Per me è un’imprudenza. Potrebbe causare una ricaduta. Ma voi volete che parli con franchezza, e allora devo dirvi che anche rimanendo qui, non potrete vivere più di due mesi. Vi ringrazio. Allora torno in Italia. Partì il 19 marzo, festa di San Giuseppe. Fece tappa a Nizza Marittima, dove si trovava don Bosco. Appena poté parlargli, gli disse: Il medico di St-Cyr è stato molto chiaro con me: due mesi. Don Bosco, io le domando: posso ancora sperare di guarire? Don Bosco non rispose direttamente. Le raccontò invece una parabola: « Un giorno, la morte andò a bussare alla porta di un monastero. A tutte le suore che incontrava diceva: “Vieni con me “, ma tutte si schermivano: avevano tante cose da fare. Allora si presentò alla Superiora e disse: “Tocca a te dare il buon esempio. Vieni “. La Superiora dovette abbassare il capo e ubbidire ». La Madre capì, abbassò il capo e sorrise. La sera del 28 marzo, madre Mazzarello giunse a Nizza. L’accolse una grande festa, che la commosse. Ringraziò con poche parole: In questo mondo, qualunque cosa avvenga, non dobbiamo né rallegrarci troppo né rattristarci troppo. Siamo nelle mani di Dio, che è nostro padre, e dobbiamo sempre essere pronti a fare la sua santa volontà.

 

 

I fiori dietro la finestra

Per molti giorni riuscì a fare la vita di tutte. Lavorava, andava in cappella, seguiva l’orario. Solo, ogni sera, passava dalla cucina a ritirare il mattone caldo da mettersi sul fianco che le faceva male. Poi all’improvviso crollò. Il medico disse che la pleurite era ricomparsa, con molta virulenza. Dai vetri della finestra si vedeva il verde e i fiori della primavera. Com’è bella la natura — disse — ma quanto più bello sarà il paradiso. Chiese il Sacramento degli infermi. Poi ringraziò il sacerdote, e sorridente come sempre: Ora che ho firmato tutte le carte, posso partire, non e vero? Le piaceva ascoltare il chiasso delle bambine che correvano e giocavano spensierate. Volle ancora parlare con le sue suore. Disse: Vogliatevi bene. Tenetevi sempre unite. Avete abbandonato il mondo venendo qui. Non fabbricatevene un altro qui dentro. Pensate al perché siete entrate nella Congregazione.

Stava male, ma non volle rattristare nessuno fino alla fine. Sorrise a tutti. Si sforzò addirittura di cantare. Dio le venne incontro all’alba del 14 maggio. Riuscì a mormorare: Arrivederci in cielo. Aveva quarantaquattro anni.

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