“Ho
amato la giustizia, ho odiato l’iniquità: per questo muoio in esilio”.
Secondo una tradizione, forse leggendaria, ma esatta per lo spirito che essa
esprime, è con queste parole che il 25 maggio 1085 muore esule a Salerno uno
dei più grandi papi della storia, Gregorio VII. Figlio di umili genitori, nato
in Toscana, forse a Soana, ebbe nome Ildebrando e fu allevato fin
dall’infanzia a Roma e presto entrò nella corte papale. Suo desiderio fu
quello di farsi semplice monaco e sembra divenne tale a Cluny.
Leone IX, eletto papa, intuiti i talenti del giovane Ildebrando insiste per
portarlo con sé a Roma sebbene lui avrebbe volutorestare semplice monaco. Voleva essere un uomo di preghiera e di lavoro
manuale, non un diplomatico, un sovrano, come invece sarà costretto subito a
diventare. Infatti, appena a Roma, Leone IX lo ordina suddiacono e gli affida
l’amministrazione della Basilica di San Paolo e della tomba di San Pietro. Lo
incarica anche di delicatissime missioni religiose e diplomatiche. Sotto
Alessandro II, succeduto a Leone IX, Ildebrando acquista ulteriormente la stima
del clero e del popolo. E, inevitabilmente, comincia anche ad inquietare
l’aristocrazia privilegiata, i cardinali corrotti, i preti e frati concubini e
simoniaci. Viene eletto papa “a furor di popolo” il 22 aprile 1073, già
durante il funerale di Alessandro Il. Mentre si reca al pulpito per dissuadere
la folla di quella decisione, il cardinale Ugo Candido, lo precede di corsa e lo
presenta al popolo come papa già eletto. E’ una procedura “discutibile”,
e proprio per questo, colui che sarà presto il più fiero nemico delle
procedure privilegiate e irregolari, protesta ed esige che prima
dell’accettazione vi sia la convalida dell’imperatore Enrico IV
(1050—1106) cui essa spetta per legge. Lo stile di vita e di governo di
Gregorio, di una intransigenza secondo alcuni addirittura disumana, gli fruttano
subito l’ira e la rivolta dei signorotti. Uno di costoro, Cencio di Stefano,
proprio nella notte di Natale del 1075, sequestra il papa mentre sta celebrando
la messa solenne, lo carica su un cavallo e io rinchiude prigioniero in una
torre. Ma il popolo corre tumultuando alla torre e costringe il rapinatore a
riportare il papa in chiesa. Dove questi, come se nulla fosse accaduto, continua
e termina serenamente la celebrazione della messa. Crescono ulteriormente negli
avversari i motivi per temere e sabotare quest’uomo intrepido al quale nulla
può essere rimproverato da nessuno. Gregorio infatti sta erodendo il loro
potere e bruciando con terribili tasse i loro beni. Ma non si limita a questo.
Diventato ormai uomo d’azione, riorganizza la disciplina ecclesiastica
all’interno, mentre tende a dare alla Chiesa una tale indipendenza
all’esterno, esente da ogni appoggio, protezione, condizionamento o ricatto.
Quanto a disciplina, il clero è nei caos. I benefici ecclesiastici (vescovadi,
abbazie, cappellanie, canonicati, ecc.) vengono comprati finora a borsa nera dal
migliore offerente. Nei monasteri regnano l’ozio, la corruzione, la promiscuità,
il concubinato, ecc. Cardinali, vescovi, monaci hanno spesso non solo moglie
(nonostante sia già vigente l’obbligo del celibato) ma anche concubine e
figli illegittimi. Alla fine Enrico IV, l’aristocrazia romana e il clero
corrotto, si alleano spontaneamente per impedire la riforma decisa da Gregorio.
I vescovi tedeschi, istigati dall’imperatore, dichiarano deposto Gregorio, ma
il popolo romano malmena i messi che portano l’ingiunzione, e soltanto
Gregorio riesce a salvarli dal linciaggio. Va presto male anche per Enrico IV.
E’ già stato scomunicato in precedenza dal sinodo romano del 1076. Durante la
Dieta di Worms, egli definisce Gregorio “falso monaco” e “usurpatore del
papato”; gli rinfaccia inoltre il legame con Matilde di Canossa, sua
protettrice e benefattrice. Gregorio risponde con l’unica arma risolutiva che
la Chiesa possiede, più forte spesso di un esercito: la scomunica, in cui si
specifica che tutti i sudditi sono svincolati dall’obbedienza
all’imperatore. Questa scomunica traumatizza profondamente tutta l’Europa.
Allora Enrico, per salvare il salvabile, si dice disposto ad accettare tutte le
condizioni che il papa detterà. Corre in Italia, e a Canossa, presso Reggio
Emilia, nella cinta esterna delle mura del castello di Matilde, dove il papa è
ospite in procinto di partire per la Germania, l’imperatore, vestito con
l’abito rituale della penitenza, scalzo in mezzo alla neve, attende per due
giorni, il 27 e il 28 gennaio, il perdono di Gregorio. Lo ottiene e sembra che
la pace sia fatta. Invece, Enrico, appena rimessoci in sella e sul trono, si
schiera di nuovo contro la Chiesa. Gregorio lo scomunica ancora nel 1080, a
favore del principe Rodolfo. Nel 1081 però Enrico arriva fin sotto le mura di
Roma e Gregorio, che per sovvenire ai bisogni del popolo e anche per conservare
il favore e il sostegno in un momento cruciale, ha speso tutte le riserve della
Chiesa in opere pubbliche e assistenziali, deve arrendersi e fuggire a Salerno.
Enrico che ha speso un patrimonio per spingere i romani a tradire e abbandonare
Gregorio, ha finalmente partita vinta, e nella primavera del 1084 intronizza
solennemente in Laterano un antipapa, Clemente III (1080—1084). Gregorio in
esilio scrive in una lettera: “Noi siamo sovraccarichi di molte angosce al
punto che molto spesso la vita ci è di peso, e anche la nostra carne desidera
la morte”. Muore in esilio perché ha osato riformare la Chiesa sul serio,
dall’interno all’esterno, per liberarla dall’essere serva o padrona del
potere del mondo. Uomo del suo tempo per esperienza e cultura, in certi momenti
della sua lotta contro Enrico, Gregorio dà l’impressione di credere senza
dubbi, che l’impero stesso sia opera diabolica, da tenere dunque sotto totale
controllo da parte della Chiesa. Muore deluso, amareggiato, e anche privo di
quella solidarietà appassionata che il popolo romano gli ha dimostrato un tempo
sia sottraendolo alla pace del monastero, sia proteggendolo, all’inizio, dagli
inganni e dai soprusi del potere imperiale. Nessuno è riuscito in effetti a
subire a lungo la terribile austerità del papa. Per comprendere la misura di
questo papa che nel 606 sarà dichiarato santo leggiamo il racconto scritto da
Gregorovins su come Gregorio accoglie a Canossa l’infido imperatore. “Il
papa celebrò quindi la messa e pronunciò l’assoluzione del re; e dopo una
vibrata allocuzione a lui e a tutti i circostanti, si comunicò con
l’eucaristia, a prova di essere pervenuto legittimamente e senza simonia alla
dignità pontificia. Poi invitò il re al medesimo atto quando si sentisse puro
davanti a Dio e innocente, com’egli sosteneva, dei mali che affliggevano la
Germania. Il re fu spaventato da quell’invito, e pregò tremante il pontefice
di rimettere tutto al giudizio dei principi. L’abiezione di Enrico mosse
finalmente l’animo di Gregorio, che lo invitò con sé a mensa, lo dispensò
dal “giudizio di Dio” e l’accomiatò ristorato e rinvigorito dopo sì
lungo digiuno”. Dimenticava, da vero cristiano, che a Worms Enrico stesso,avendo convocato prima un conciliabolo di vescovi spaventati, aveva
“deposto” lui, Gregorio gridando dal trono: “lo, Enrico, per grazia di
Dio, e tutti i vescovi riuniti, ti ordiniamo di scendere dal trono, e che tu sia
maledetto per tutti i secoli”.
DALLE
“LETTERE” DI SAN GREGORIO VII, PAPA
Vi
preghiamo e scongiuriamo nel Signore Gesù, che ci ha redento con la sua morte,
di sforzarvi con ogni mezzo per comprendere perché e come soffriamo
tribolazioni ed angustie che ci vengono da parte dei nemici della religione
cristiana. Dopo che per divina disposizione la madre Chiesa ha posto me, indegno
assai e, Dio mi è testimone, contro mia volontà, sul trono apostolico, ho
sempre cercato soprattutto che la santa Chiesa, sposa di Dio, nostra signora e
madre, ritornando all’antico decoro, rimanesse libera, casta e cattolica. Ma
siccome tutto questo spiace assolutamente all’antico nemico, egli ha armato
contro di noi i suoi satelliti per mandare tutto in rovina. Perciò ha fatto
contro di noi, anzi contro la Sede Apostolica, quanto non ha potuto fare dal
tempo dell’imperatore Costantino il Grande. Né c’è da meravigliarsi
troppo, perché quanto più il tempo s’avvicina, tanto più fa di tutto per
spegnere la religione cristiana. Ora poi, fratelli miei dilettissimi, prestate
bene attenzione a quanto vi dico. Tutti coloro che nell’universo si gloriano
del nome cristiano e conoscono davvero la fede cristiana, sanno e credono che il
beato Pietro, capo degli apostoli, è padre di tutti i cristiani e primo pastore
dopo Cristo e che la Chiesa Romana è madre e maestra di tutte le chiese. Se
dunque credete questo e lo tenete saldamente, io vi prego e vi comando,
quantunque io sia indegno vostro fratello e maestro, per l’amore di Dio
onnipotente, aiutate e prestate soccorso al suddetto vostro padre e alla vostra
madre. Fatelo se desiderate avere per mezzo loro l’assoluzione di tutti i
peccati, la benedizione e la grazia in questo mondo e in quello futuro. Dio
onnipotente, dal quale proviene ogni bene, illumini sempre la vostra mente e la
fecondi del suo amore e di quello del prossimo, perché, in premio di un fedele
attaccamento, meritiate di farvi debitori san Pietro, vostro padre nella fede, e
la Chiesa Romana, vostra madre, e di giungere senza temerità alla loro
compagnia. Amen.
PREGHIAMO
CON LA LITURGIA
Dona
alla tua Chiesa, o Signore, lo spirito di fortezza e l’ardore per la
giustizia, che hai fatto risplendere nella vita del papa San Gregorio VII, perché
rifiutando ogni compromesso ci dedichiamo con piena libertà al servizio del
bene. Per il nostro Signore Gesù Cristo…