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FILIPPO NERI - Santo Sacerdote
Memoria
liturgica al 26 Maggio
Nacque
il 21 luglio 1515 a Firenze da messer Francesco e madonna Lucrezia da Mosciano.
Abitò e crebbe in oltre Arno. Se l’ambiente fa l’uomo, certo Filippo ebbe
largo modo di inebriarsi di quella bellezza di armoniche linee e colori di
natura, cui le opere d’arte della città e dei dintorni accrescevano
attrazione e decoro. Mite e vivace, gioioso e pensoso, devoto ma non bigotto,
ricco dello spirito individualistico proprio del suo popolo, pronto al motto e
bizzarro nell’estrosità dei gesti, come pur sempre sono stati i suoi
conterranei, Filippo condusse la sua fanciullezza ed adolescenza nell’ambito
sicuro di una tranquilla vita familiare, attorniato dall’affetto della
matrigna, che riamò, essendogli presto morta la madre, e delle sorelle
Elisabetta e Caterina, essendogli premorto il fratello maggiore Antonio. Presto
però fattori politici fanno perdere la libertà repubblicana a Firenze e gli
fanno sperimentare la caducità umana delle cose fino a provarne disgusto. Anche
per ragioni economiche, poiché il padre poco pensava al bene della famigliola,
perduto nella ricerca della pietra filosofale, dovette pensare a farsi una
posizione autonoma. Così attorno al 1532, ancor assai giovane, fu mandato
presso lo zio (cugino Romolo), che faceva il mercante in S. Germano (oggi
Cassino) ai piedi della famosa abbazia benedettina. Ma i traffici poco lo
attrassero. Si sa delle sue frequenti visite all’abbazia e delle meditazioni
solitarie alla Montagna Spaccata, presso Gaeta, sul mare. E là si maturò la
sua prima crisi di spirito. Lasciò S. Germano, lo zio, le prospettive di
affari, e si rimise, pellegrino povero, in viaggio per il nord, meta Roma. Era
la Roma del sacco del 1527, ancor sanguinante e umiliata, ma che mostrava di
voler ritornare alla vita facile e ai facili piaceri di prima. Filippo,
giungendovi nel 1534, trovò alloggio presso un conterraneo, il fiorentino
Galeotto Caccia, che gestiva la dogana pontificia e che gli dette, in compenso
dell’educazione dei due figli, l’alloggio e un poco di vitto. D’altro lato
questo originalissimo precettore era uomo di scarse esigenze: pane, cacio, olive
e acqua fresca. Frequentò la vicina Sapienza completando la sua formazione
culturale; pur senza tralasciare una coscienziosa formazione dei giovanetti
affidatigli, si dette a una sua vita tutta personale: pellegrino ai santuari,
orante nelle catacombe ancora visitabili, amabile compagno di molti, allegro
nella sua naturale serietà morale, non perse occasione di attirare anime a Dio
con l’esempio, la parola facile, l’atteggiamento amabile, la carità vissuta
e la arguzia pronta. Non gli mancarono ostacoli, scherni, sorprese e imboscate
malevoli; tutto seppe superare con serenità. E il Signore lo consacrò suo
quando nella Pentecoste del 1544, mentre era in preghiera estatica nelle
catacombe di San Sebastiano, gli si manifestò sotto forma di un globo di fuoco
che gli penetrò nel petto spezzandogli due costole dal lato del cuore. Preso e
guidato dallo Spirito del Signore giunse a formulare in concreto il suo rimedio
alle necessità più urgenti del momento: nel 1548, con altri compagni di vita
devota, istituì la confraternita della Santissima Trinità dei Pellegrini e
Convalescenti per soccorrere tanti infelici che, usciti dagli ospedali, vivevano
di stenti, o, venuti a Roma da fuori, pativano per infermità o fame. Infatti
l’istituzione si dimostrò così provvida che nel 1550 divenne una specie di
comitato centrale dell’Anno Santo, provvedendo a migliaia di persone. Alla
Trinità dei Pellegrini, intanto, da cosa nasceva cosa: all’attività
assistenziale si affiancavano iniziative spirituali. Filippo e i suoi iniziavano
inoltre in Roma la pratica delle Quaranta ore, per incrementare il culto Eucaristico. Col 1551 la sua vita subì un fondamentale mutamento poiché,
convinto dal suo confessore, il 23 maggio in S. Tommaso in Parione fu ordinato
sacerdote. Si sistemò allora presso il convitto ecclesiastico di S. Girolamo
della Carità, nel quartiere della Regola, presso il Tevere, nel cuore
dell’Urbe. Divenuto prete, la cerchia di amici gli si strinse più intimamente
attorno, sicché egli immaginò una forma stabile di incontro quotidiano in
funzione formativa. Nasceva così quella che sarà la sua opera più geniale:
l’Oratorio secolare. Dapprima nella angusta cella ove viveva, poi in un
granaio poco a poco sistemato a cappella, poi altrove, Filippo riuniva nobili e
popolani, preti e religiosi, artigiani, cortigiani, artisti, sfaccendati,
devoti, curiosi. Il piccolo e vivace prete fiorentino sapeva attirarli in
maniera mirabile, pur non usando alcuna pressione. All’Oratorio la porta era
sempre una porta aperta: per entrare o per uscire. Ma una volta entrati, era
difficile uscirne! In un mondo caratterizzato dalle poche esigenze degli umili e
dai proventi gratuiti di molti, il grosso problema era quello di utilizzare bene
il tempo. Ozio voleva dire osteria, discorsi e pratiche licenziose, risse,
gioco, disordine. Bisognava trovarsi insieme per elevare lo spirito e ricrearsi
in cose buone. Ed ecco la lettura di libri selezionati: vite di santi, storia
della Chiesa, ascetica. Si leggeva e poi ad un certo punto, perché non
sopravvenisse il tedio, padre Filippo faceva interrompere e invitava il lettore
o altri dei presenti a “parlar sul libro”, esponendo, così alla buona,
quello che il cervello aveva pensato e il cuore sentito, dinanzi a quei fatti.
Nacque così, contro l’oratoria ampollosa e vacua, un’eloquenza, tanto
semplice e disadorna, quanto profonda, sentita e partecipata. Poteva mettere
soggezione l’improvvisare un discorso, ma in fondo attraeva, e il dover
parlare a turno, fece sorgere dei veri oratori che nell’esercizio divennero
poi uomini noti. E però non si limitava a far leggere due o tre persone e farle
parlare a turno. Per variare e avviare ciascuno al bene, in forma pratica, ecco
sorgere la riunione in cui si alterna alla lettura e al discorso il canto di
qualche lauda in volgare, cui si accompagnano anche pochi strumenti: liuto,
viola, danno e tromba. C’è ancora altro da fare e da proporre agli
intervenuti: una bella passeggiata a qualche giardino privato o orto di
religiosi con merenda, scherzi e giochi. Non di rado padre Filippo si metteva a
giocare alle piastrelle con i ragazzi e ad intonar canti. La passeggiata poteva
avere come meta finale o intermedia la visita a una chiesa o a un ospedale, ove
ci si tratteneva a servire i malati, sempre molto bisognosi di vitto e di
assistenza infermieristica e morale. In particolare i membri, i fratelli
dell’Oratorio, si impegnarono a turno a far da infermieri nell’ospedale di
S. Spirito in Sassia, a portar donativi, a sostenere spiritualmente i ricoverati
più abbandonati o più lontani da Dio. Ci fu chi prese l’abitudine di andarci
tutti i giorni. La carità della Confraternita dei Pellegrini aveva fatto
scuola. Il confessionale di padre Filippo era assediato il giorno ed anche la
notte, e l’opera di ricostruzione spirituale cominciò veramente a dare i suoi
frutti migliori. La riforma dei costumi e delle idee progrediva sempre più. La
riforma promossa dai decreti del Concilio di Trento diveniva vita
nell’Oratorio in contatto e collaborazione con altri cenacoli, sorti ad opera
di altri santi, alcuni dei quali avevano frequentato l’Oratorio o furono da
esso formati e aiutati. Pensiamo a S. Camillo de Lellis, a S. Felice da
Cantalice, a S. Giovanni Leonardi, a S. Francesco di Sales, a S. Ignazio, buon
amico di Filippo, e ad altri. Intanto i fiorentini vollero Filippo rettore della
loro chiesa di S. Giovanni in via Giulia e il santo accettò. Così nel 1564 si
iniziava, presso S. Giovanni dei Fiorentini, la vita comunitaria dei primi
discepoli del Neri, divenuti sacerdoti. Semplici preti, senza voti, erano a
servizio degli esercizi dell’Oratorio, applicati ad ogni esigenza
dell’apostolato sacerdotale, legati solo a un minimo di obblighi, come quello
dell’incontro serale nella preghiera e al refettorio, ove si svolgeva la
discussione di casi di morale e di altre discipline sacre, per la reciproca
formazione ed emulazione. Come l’Oratorio, così anche la comunità
ecclesiastica si sviluppa sotto la guida di Filippo, in parte da sé e senza
altro impulso che l’ardore di spirito del loro fondatore. Libertà
nell’ordine ne fu sempre la caratteristica, e tale rimane. Nel 1575 il papa
concesse a padre Filippo, per sé e per i suoi, la chiesetta di Santa Maria in
Vallicella. Dopo essersi adoperato presso il papa perché non succedesse uno
scisma con la Francia, Filippo morì alla fine del maggio 1595.
L’attività
di Filippo non si era circoscritta al solo ambito oratoniano. Anche nei più
alti ceti della Chiesa egli aveva portato il suo fecondo influsso. Consigliere
di papi, da Pio IV a Gregorio XIV, a Clemente VIII; amico o direttore spirituale
di personalità come quelle dei cardinali Carlo e Federico Borromeo, Cusano.
Confessore o ispiratore di tutta una schiera di laici, dai nobili come Altieri,
Barberini, a cortigiani come il Tassoni, ad artisti come il. Palestrina,
l’Allegri, la sua opera si era estesa ad una folla di artigiani e popolani,
umili ignoti, ma ugualmente ricchi di virtù. Venendo ad esaminare i caratteri
dell’ascetica di Filippo ci sembra che si possano sinteticamente riassumere in
quattro fondamentali elementi: singolare tenerezza verso il prossimo, prevalenza
delle mortificazioni spirituali su quelle corporali, allegrezza di spirito sia
come mezzo sia come effetto, ricerca e pratica della semplicità evangelica. Con
la tenera carità, di cui fu esempio insigne durante i suoi cinquant’anni di
apostolato, Filippo ottenne non solo di accostarsi ad ogni sorta di persone, ma
soprattutto, facendo loro praticare questa virtù basilare, dette un
efficacissimo colpo al trionfale egoismo. Per mezzo poi della pratica della
mortificazione interiore, di cui resta uno dei più grandi maestri della storia
della Chiesa, trovò il modo spesso attraverso espedienti bizzarri di combattere
il pericolo della vanagloria, fonte di tanti mali. L’allegria o letizia serena
e serenatrice costituì un elemento fondamentale del suo vivace carattere e
venne indirizzata fecondamente nel senso di potenziare le energie positive della
psiche umana ed ottenere un efficace controveleno a tante insidiose tentazioni.
La semplicità è forse l’elemento che sgorga più spontaneo dalla personalità
del santo che la sentì dote necessaria di fronte a tutte le artificiosità
esteriori del mondo. La spiritualità pura e semplice del Vangelo sgorga così
naturale dalle sue labbra che chi lo ascolta ne sente un fascino irresistibile
ed egli la veste con certi suoi modi particolari. E’ solito dire: “Passi
questo giorno e non mi fa paura il domani”, cioè bisogna vivere la propria
vita quotidiana senza preoccupazioni di un avvenire che sta nelle mani di Dio.
Se così praticava per sé una sentita mortificazione, ne fu pure maestro agli
altri ed in ciò fu inesauribile nella bizzarria delle forme. Quello che
preoccupava Filippo era la cosiddetta scienza “ghiacciata” che inebria le
menti favorendo l’orgoglio e le conseguenti deviazioni ideologiche, per cui
era solito far il gesto di portar la mano alla fronte stendendovi tre dita
dicendo: “La santità sta in tre dita di spazio”, significando la necessita
di mortificare l’intelletto o, come allora si diceva, la logica razionale.
Confessore illuminato e soprattutto uomo di spirito, S. Filippo fu anche un
educatore avveduto pur senza tracciare programmi prestabiliti o istituire una
scuola. L’atmosfera spirituale che seppe creare nei più diversi ceti che gli
si accostavano, agiva sulle coscienze e sulle intelligenze avviandole a un
ideale di libertà nell’ordine, che eleva, purifica e dà gioia all’anima.
Amò vivere in società e fu osservante dell’ordine del vivere sociale,
rendendo gli altri consapevoli dei propri doveri nella vita di relazione. Ma la
libertà in cui lasciò i giovani, mentre diede loro modo di essere spontanei e
sinceri, offrì all’educatore sapiente la possibilità di conoscerli, per
guidarli con dolcezza e forza di persuasione. Non per nulla fu detto di lui che
seppe farsi “coi fanciulli fanciullo, sapientemente”. Tutto sta in
quell’avverbio; non facile ad attuarsi, ma per lui connaturale, perché amò e
praticò sempre la semplicità. Dote difficile, ma pur così utile per la
comunicatività fra gli spiriti. Altro elemento che è rimasto famoso e l’ha
fatto addirittura definire “il santo della gioia”, è quello spirito di
letizia, che egli dimostrò spontaneamente sempre e comunicò agli altri, con
quella influenza, che porta in sé il bene, come purtroppo anche il male; il
classico “Servite il Signore nella gioia” fu per lui vita della vita e a
questa norma molti si ispirarono trovando in tale clima la forza di
purificazione e di superamento di sé. La sua scuola divenne così attraente,
perché gradita. Altro elemento guida dell’opera educatrice di S. Filippo fu
pure un profondo buon senso. Basterebbe considerare quel celebre suo detto, che
rivolgeva tante volte ai ragazzi, dinanzi alle loro esuberanze: “State buoni,
se potete”. Un invito dolce ma anche impegnativo ad autoeducarsi, a
valorizzare le proprie energie, ad aver fiducia in se. E, d’altro lato, una
comprensione larga delle deficienze della natura. Senza tante conoscenze di
fisiologia o psicologia, S. Filippo arrivò a penetrare l’animo umano e ne
dedusse la non imputabilità, parziale o totale, di tanti atteggiamenti, donde
una larghezza di tolleranza; unico limite invalicabile: il peccato, il
disordine. Ed ecco l’altrettanto celebre norma: “State allegri, ma non fate
peccati”. Impulso libero, anche scapigliato, chiassoso, rumoroso, ma non
disordinato, non pericoloso, non dannoso. La gioia sana è purificatrice, dunque
costruttiva, e va assecondata. Di
riflesso quindi ecco la lotta contro la tristezza, l’isolamento, il mutismo.
Ed ecco l’atteggiamento umano, comprensivo, dolce nell’accostare il
prossimo, nel cercare di convincerlo, di attirarlo verso l’ideale, di
ridonargli forza per ascendere interiormente. E a fianco di ciò, il naturale
spirito umoristico. Non per niente Filippo era fiorentino: l’osservazione
bizzarra, il paradosso, l’espressione grottesca, l’osservazione
dell’abnorme gli balzavano irrefrenabili. Donde un elemento di critica che
rimetteva i valori e i fenomeni nelle giuste proporzioni. Così la sua funzione
pedagogica, partendo dai presupposti umani assurgeva alle vette dell’ascesi,
additate senza pressioni e senza esagerazioni. Da questo atteggiamento deriva la
sua scuola, se così può dirsi, ascetica. Anche in questo campo, niente schemi
prefabbricati, ma la soluzione caso per caso, sulla base degli elementi già
detti: semplicità, buon senso, letizia. Quindi niente penitenze clamorose,
niente esteriorità. Egli stesso fu visto spesso pregare o in piedi o seduto.
Non cilici o digiuni emacianti, ma invece uno spirito profondo di penitenza,
tutta interiore, per mortificare la superbia più che il corpo. Poiché
dall’intimo procede ogni atteggiamento esterno e, resa migliore l’anima e la
sua vita, anche il costume ne poteva risentire irresistibilmente. Riforma
dall’interno, senza clamori, ma con costanza, con generosità. Conseguenza
quindi necessaria: l’unione sempre più confidente, amorosa, intima con Dio.
Ed anche questo senza vie particolari, devozioni speciali, ma la via regia della
pura spiritualità che ci offre la teologia e la liturgia: Dio, il Cristo, la
Vergine, i Santi. Ed ecco la sua devozione eucaristica, l’amore filiale verso
la Madonna, il culto dei martiri, l’affetto alla Chiesa, nella sua vita
interiore e nella sua manifestazione alla preghiera, lo studio dell’ascetica,
della storia, dell’archeologia e dell’arte più spirituale, la musica.
Sempre tutto in semplicità, chiarezza, spontaneità.
SAN FILIPPO NERI IN ANEDDOTI
L’ALBERO
GENEALOGICO
Un
giorno viene mostrato a Filippo l’albero genealogico dei Neri. Tutti conoscono
l’usanza mondana di vantarsi dei propri natali, di ringalluzzirsi quando si può
far vedere agli altri che i propri avi erano delle persone nobili, dei principi
o dei re. Per questo motivo vi sono tanti che conservano in un quadro con
raffigurato un albero, o in una pergamena ben pitturata, tutti i nomi dei propri
antenati che pendono dai rami o dal tronco. una vanità perdonabile ma insulsa,
perché le origini degli uomini sono uguali per tutti: tutti siamo figli di uno
stesso Padre e quindi tutti abbiamo una grandissima nobiltà, una nobiltà
divina: davanti a questa nobiltà, tutte le grandezze umane scompaiono. Ben lo
sapeva il giovane Filippo, il quale dopo avere sogguardato la pergamena con un
tono di compassione, la fece delicatamente a pezzi dicendo allegramente: Val meglio essere iscritti nel libro della vita.
«
EHI, FRATONZOLO!... »
Si
trovavano ogni sera in via dei Banchi, oltre ponte Sant’Angelo, dei giovani
che giocavano accanitamente all’innocente e bambinesco giuoco della
piastrella. Avevano però il brutto vizio di condire il loro divertimento con le
grida più chiassose e invereconde intercalandole con non poche orribili
bestemmie.
CEFFONI
San
Filippo Neri spesso si sentiva in dovere di schiaffeggiare i prepotenti.
"Questo ceffone non è per te - si scusava - è per il diavolo che sta
dentro di te". Una volta osò dare uno schiaffo ad un delinquente che era
il terrore del quartiere. Questi risentito si avvicinò al santo per colpirlo,
ma non fece in tempo perché Filippo, pronto, gli appioppò un secondo sono
ceffone. "Questo, gli disse non è per il diavolo, è proprio per te"
PECCARE COL NASO
Una
parrocchiana di Roma, nota in tutto il circondario per la sua curiosità, andò
a confessarsi da Filippo Neri. Quando ebbe terminato, manifestò al sacerdote
una sua perplessità: "Io capisco come si possa peccare con le mani, con
gli occhi, con la bocca.. Ma come si fa a peccare con il naso?" Dall'altra
parte della grata gli venne pronta la risposta: "Ficcandolo negli affari
degli altri".
TOGLIETEMI LE SCARPE
San
Filippo Neri considerava l'umiltà la prima virtù di un Santo.
MINISTRI DEL PERDONO INCONDIZIONATO DI GESU'
Ad
una donna, che si credeva dannata per i suoi numerosi e gravi peccati, San
Filippo Neri, dopo averla confessata, disse:
E ora, cosa siete voi?
LA SCALATA
Un
giovane sacerdote confidò un giorno a San Filippo Neri:"Qui
a Roma è facile a molte persone fare fortuna. Spero anch'io di ave buona sorte,
e di ottenere, prima o poi, uno zucchetto da Monsignore"
MALDICENZA
Un
giorno a Roma andò a confessarsi da San Filippo Neri una donna molto pia, ma
facile alla maldicenza e perfino alla calunnia.
La
donna ubbidì. Al suo ritorno il santo aggiunse:
SACRAMENTI E IMPEGNO
San
Filippo Neri «dirigeva spiritualmente un giovane che, malgrado un certo sforzo,
non riusciva a vivere castamente. Le sue cadute si trascinavano da tempo ed
egli, persa ogni fiducia in se stesso e lasciati i sacramenti, era prossimo alla
disperazione. Allora il Santo gli comandò una cura straordinaria: per almeno
una quindicina di giorni di seguito, il giovane doveva accostarsi alla
Comunione, a costo di confessarsi ogni mattino, se fosse ancora caduto in
peccato. L’impegno di ricevere il Signore quotidianamente, costi quello che
costi, ottenne il risultato sperato, e dopo aver imparato ad amare maggiormente
Gesù Eucaristia, si fece sacerdote...».
I CONSIGLI DI S. FILIPPO NERI
L’allegro
S. Filippo Neri, tra gli altri, dava ai suoi ragazzi questi consigli:
—
Scrupoli e melanconia, fuori di casa mia!
—
Il paradiso non è per i poltroni.
—
Voglio amarvi, Gesù mio, fin che fate il voler mio?
—
Vi ringrazio, Signore, Gesù mio, se le cose non vanno a modo mio.
—
L’unica regola è... essere senza regole.
—
Le tentazioni contro la purezza si vincono.., fuggendo.
—
State allegri, ma non fate peccati.
—
State buoni, se potete.
—
L’importante è che siamo santi!
CONFIDO IN DIO
S.
Filippo Neri, camminando un giorno per le vie di Roma, andava dicendo:
Un
certo religioso, quasi scandalizzato, lo corresse; ma il santo allora disse:
CHIEDERE PER ALTRI
Filippo
Neri, detto Pippo buono, era un prete fiorentino, che molti anni fa viveva a
Roma.
VOGLIO
PREGARE PER TE!
Prospero
Crivelli era cassiere del banco dei Cavalcanti e di altri banchi fra i più
ricchi e i più conosciuti che ci fossero. Maneggiava quindi denari in quantità
e aveva finito con l’accondiscendere a tutte quelle tentazioni che il denaro
porta con sé come il serpente il veleno. Da banchiere si era fatto usuraio e
per giunta più vizioso e licenzioso di Roma. Una sola buona abitudine aveva
conservato, quella di andarsi a confessare ogni tanto. Forse spinto dal rimorso
più probabilmente anche solo dalla nausea e da schifo che provava di se stesso
quando le illusioni del piacere erano passate, andava a confessarsi da Padre
Polanco, un padre della Compagnia di Gesù nella speranza di ripulirsi un po’
l’anima e il corpo. Ma il confessore, avendo visto dopo un bel numero di
confessioni, che nonostante tutte le sue severe
ed aspre esortazioni, il penitente non dava l’ assicurazione necessaria per
tenersi lontano dalle occasioni e continuava nelle ricadute, gli negò
l’assoluzione. Il Crivelli si trovò d’un tratto tutto solo, senza sostegno,
senza difesa contro il rimorso che lo divorava e la sete di peccato che non gli
dava requie. Aveva sentito parlare di Filippo come d’un santo e si decise
d’andare da lui. Dopo avergli esposto il suo stato pietoso, lo pregò con le
lacrime agli occhi che gli impetrasse da Dio la grazia di essere finalmente
liberato da una certa occasione mondana, per la quale non aveva potuto obbedire
al confessore.
LA
CURIOSA CACCIA AI PECCATORI
Filippo
non attirava a sé solo i giovani. La sua affabilità era tale in lui che, come
afferma il Cardinal Cusano, «ogni sorta di persone erano attratte dalla sua
conversazione di maniera che non si potevano staccare più, tanto i giovani, i
bimbi, quanto i vecchi, sia donne, sia uomini, sia di basso che di alto grado».
Ancor più caratteristici che non con i giovani erano i modi di trattare coi
Peccatori. Li accarezzava, li baciava in volto, imponeva loro le mani sul capo,
li abbracciava. Alle volte se li serrava con impeto tra le braccia e
singhiozzando esclamava: «Chissà quanto avrai sofferto nel peccare», e così
mostrava delicatamente quanta compassione provasse per il loro pietoso stato.
Alle volte passava al rimprovero ma con un fare nel quale non si sarebbe potuto
distinguere il serio dal faceto, per cui i penitenti ne rimanevano altamente
impressionati. Quando udiva certi grossi peccati, esclamava:
COL
TEMPO E CON LA PAGLIA...
Giovanni
Tommaso Arena, un giovane proveniente da Catanzaro, era uno schernitore di
mestiere, un vero maleducato come ce ne sono ancora oggidì, purtroppo.
Costui, appena scoperto quello che si faceva all'oratorio di San Filippo,
aveva preso ad andarvi assiduamente, ma non con le più belle intenzioni:
entrava e usciva liberamente cercando di attirare l’attenzione per distrarre
gli altri; durante i pii esercizi, le letture o i sermoni commentava con
mormorazione o sghignazzi; canzonava questo o quello, zufolava. Faceva insomma
quello che voleva in modo scandaloso. Tutti erano stufi di vedersi quel
vagabondo tra i piedi:
L’Arena
intanto continuava il suo andirivieni e le sue canzonature; rifaceva i versi
degli oratori aggiungendovi la caricatura.
LO
SCHERZO DEI DUE CERI
Anche
oggi, tra quelli che sono soliti fare la Comunione nei giorni feriali, ve ne
sono che si lasciano prendere dalla fretta. Non sono ancora entrati in Chiesa e
sono già alla balaustra; non hanno ancora ingerito la Sacra Particola e stanno
già uscendo di Chiesa. Adducano varie scuse: hanno tanto da fare, sono già in
ritardo per recarsi al lavoro; e non pensano che potrebbero rimediare alzandosi
anche solo dieci minuti prima e avrebbero il tempo non solo per fare la Santa
Comunione, ma soprattutto per farla con un minimo di devozione. San Filippo
aveva notato nella sua Chiesa che un signore faceva proprio così: appena
ricevuta la Comunione si alzava dalla balaustra e usciva difilato dalla Chiesa
come se la terra gli scottasse sotto i piedi. Un giorno decise di dargli una
piccola lezione ricorrendo ad un astuto scherzo. Chiamò due chierichetti e
diede a ciascuno di loro una candela accesa con questo incarico:
OGNI
COSA A SUO TEMPO
Un
discepolo del Santo, un certo Salviati, aveva avuto il compito da Filippo di
attendere un po’ agli ammalati dell’ospedale e servirli amorosamente. Questo
Salviati qualche volta, credendo di fare cosa migliore se la svignava per andare
a passare qualche ora davanti al Santissimo Sacramento nella Chiesa del Santo
Spirito. Ma un giorno San Filippo se ne accorse. Era entrato anche lui nella
stessa Chiesa quando scorse il Salviati immerso completamente nella preghiera.
UNA
PROVA SINGOLARE DELLA VOCAZIONE
Un
giorno gli si presentò un giovane patrizio chiedendo di poter entrare a far
parte dei preti dell’Oratorio. Il Santo gli rivolse alcune domande, e, avendo
capito che non era stoffa da prete perché pieno di spirito mondano e
orgoglioso, lo volle mettere alla prova. Andò in camera, tirò fuori una coda
di volpe e la porse al giovane dicendo:
Prendi questa coda, attaccala dietro le tue vesti e fa un giretto per le strade
di Roma mantenendo un contegno serio. Il giovane si mostrò offeso e scattò a
dire:
BIZZARRIE
Le
bizzarrie e le stranezze, compiute da San Filippo, durante la sua vita,
specialmente nel periodo in cui era più in auge, furono tali e tante che
verrebbe la voglia di non credervi se non ci fossero le testimonianze del
Processo di Canonizzazione e soprattutto se non si sapesse che il fare stranezze
entrava nelle regole di vita del nostro Santo. Era il principale studio di San
Filippo quello di farsi credere un buono a nulla, un buffone, uno scemo. Per
questo si metteva a saltare, ballare e sgambettare per le vie e per le piazze.
Usciva con la veste alla rovescia infilando nei piedi certe scarpe bianche e
larghe che sembravano fatte per il carnevale. Riceveva gente in camera sua,
anche principi e cardinali, con una berretta bianca in testa, e una camiciola
rossa che gli arrivava ai piedi. Non garbava poi per niente i segni di rispetto
o di onore. Quando, andando in chiesa, uomini o donne gli si accostavano per
toccargli le vesti o si inginocchiavano dinanzi per averne la benedizione, egli
si metteva a tirare le orecchie o i capelli, distribuiva scappellotti, posava
gli occhiali sul naso dell’uno o dell’altro.
NON GLI ANDAVA CHE LA GENTE AVESSE A
STIMARLO, PER QUESTO COMBINAVA SEMPRE STRAVAGANZE.
Quando
andava a visitarlo gente illustre, che tuttavia lo conosceva solo per fama era
proprio quando le combinava più grosse: si mostrava con la gatta o col
cagnolino in braccio, si vestiva con vesti preistoriche o alla rovescia e non
tralasciava mai di fare qualche balletto. E’ rimasta famosa la visita fattagli
da alcuni principi polacchi mandati da Papa Clemente VIII. Filippo, avvertito a
tempo, disse al suo aiutante di quei giorni, il padre Pietro Consolini, di
prendere il libro delle “Facezie dell’Arlotto” e di mettersi a leggerle a voce
alta. Giunti quei principi nella sua stanza, egli senza tante cerimonie, disse
loro:
E
al Padre Consolini:
«PARADISO! PARADISO!»
Sulpizia Sirleti, una penitente di san Filippo, assistendo un giorno ad una Messa del Santo, lo vide all’improvviso alzarsi da terra circa un palmo e rimanere sospeso in quella posizione. Stupita e per nulla convinta che si trattasse di un fatto miracoloso e soprannaturale, pensò dentro di sé che si trattasse di un intervento diabolico.
«Questo padre deve essere spiritato», si disse. Ma
quasi subito si riprese e, riflettendo sul suo atto, incominciò a vergognarsi
di aver avuto un pensiero così irriverente e decise di andarsi a confessare.
Ella stessa ci ha lasciato la descrizione della scena avvenuta al confessionale,
e la trascriviamo perché è molto gustosa. “Cominciai racconta Sulpizia
Sirleti, a dire a mezza bocca: Padre, ho detto... e poi mi vergognavo a
seguitare; allora il beato Filippo mi disse: Balorda, hai mormorato di me, è
vero? Ed io risposi: Padre, sì. Ed il beato Filippo disse: Di’ su, che cosa
hai detto? Ed io dissi: Padre vi ho veduto alto da terra mentre dicevate la
Messa. Ed il beato Filippo rispose subito: Sta’ cheta, mettendosi la mano alla
bocca. Ed io dissi che avevo detto nel cuor mio: Ahimè, deve essere spiritato
questo padre. Allora il beato Filippo fece un volto sorridente e mi disse: E’
vero, è vero. sì che son spiritato, si che sono spiritato... Così era Filippo. Se veniva a sapere che qualcuno pensava
male di lui gli dava piena ragione. Guai invece a lodarlo. Anche quando guariva
ammalati con un suo comando o con l’uso di reliquie di Santi e gli altri lo
esaltavano, egli se ne lagnava con queste espressioni:
IL
PRANZO DELLE BEFFE
L’umiltà
che Filippo praticava personalmente, voleva che la imparassero anche gli altri,
soprattutto i suoi discepoli. Per questo li prendeva di mira con scherzi, burle,
umiliazioni di ogni genere.
LA
BURLA DEL VINO
La
burla del vino fu anch’essa una burla allegra, anche se poteva concludersi con
qualche bastonatura; il Santo la fece più volte al povero Cesare Baronio. Gli
comandava di prendere un grosso fiasco di dodici litri e di andare con quella
damigiana a comperare una piccola quantità di vino, come ad esempio, un mezzo
litro, o, come dicono a Roma, una mezza «fojetta ». Era già una cosa
ridicola. Ma il bello doveva ancora venire. Cesare appena giunto nella bottega
dell’oste, doveva farsi lavare ben bene il fiascone, poi doveva seguire il
venditore in cantina per vedere con i propri occhi da dove spillava il vino e
farsene dare un bicchierino di assaggio. C’era, come si vede, da far
esercitare la pazienza di qualunque oste; ma non doveva bastare, secondo
l’ordine di Filippo. Cesare, quando finalmente era servito, doveva pagare
quella mezza « fojetta » con una grossa moneta, magari con uno scudo d’oro,
e pretendere che l’oste gli cambiasse quella moneta e gli desse il resto,
anche se per questo occorreva non poco tempo e se non sempre il resto era a
portata di mano. A questo punto non c’è da meravigliarsi se l’oste perdeva
la pazienza e diceva un sacco d’improperie al malcapitato minacciando di
rompere il fiasco o magari la testa del preteso villano se non si levava subito
dai piedi. Ognuno infatti, trattato così, si riterrebbe beffato e offeso, anche
un umile oste.
IL
BAZAR DELLE AMENITÀ
Filippo
dava spessissimo dei titoli pungenti al Baronio; lo chiamava per esempio
“barbaro” perché veniva dai Colli di Sora nella Ciociaria; oppure
“cappellano dei morti” perché il Baronio, quando il rito lo permetteva,
celebrava la Messa con i paramenti di color nero. Altre volte il Santo
incaricava altri che stuzzicassero il Baronio. Un giorno, mentre si trovavano
come al solito parecchie persone, anche di quelle autorevoli, nella camera di
San Filippo, egli si alzò a parlare e con tutta serietà ordinò al Baronio di
sedere su uno sgabello molto basso. Il Baronio ubbidì come uno scolaretto.
Allora san Filippo ordinò all’abate Maffa, un suo penitente, di fare un
discorso contro... il reo, Il Baronio infatti, doveva rappresentare il
delinquente che era stato colto in flagrante e messo a sedere sullo sgabello dei
colpevoli. L’abate Maffa eseguiva l’ordine con eloquenza e non senza
acredine, perché si sa che è più facile parlar male della gente, che dirne
bene, e poi... si trattava di far piacere al Santo. Cesare riceveva
pazientemente quella pioggia di male parole, di accuse, di rimproveri, di note
sui suoi difetti, di improperi contro la sua persona e anche contro la sua
patria Sora, cosa questa che lo mortificava maggiormente. A questo punto veniva
il rovescio della medaglia: San Filippo comandava al Maffa di fare l’elogio
del Baronio e alla fine si metteva pure lui a lodare il suo discepolo dicendo
che sapeva molto bene scrivere libri, che li scriveva più bene del suo
superiore, che sapeva predicare, insegnare il catechismo, e concludeva:
“Sappiate però che costui è un barbaro”
TENTAZIONE
Filippo
fu sempre tra le occasioni maggiori al male. Le sue prime reclute le aveva
cercate tra i grandi peccatori, sodomiti e usurai dei banchi. Aveva tuttavia
sempre rifuggito l’apostolato tra le peccatrici. Ma anche qui le occasioni non
mancarono: anzi appunto perché le rifuggiva, alcune di queste, veri demoni
incarnati, quasi reputandosi offese, cercarono tutti i modi di far cadere il
Santo con assalti metodici e studiati. Una volta una certa Cesaria era riuscita
a tirarlo in casa, fingendo malignamente di volersi convertire. Ma Filippo,
giunto sulla stanza di costei, capì presto l’inganno, e senza attendere oltre
si diede ad una fuga precipitosa. La donna rimase cosi indispettita che non
trovando altro modo per vendicarsi, gli fece volare addosso uno sgabello. Aveva
capito che non avrebbe più potuto raggiungerlo diversamente.
VISIONI
Filippo
era a letto in seguito ad una crisi di renella. Lo assistevano due medici,
Angelo da Bagnorea e Rodolfo Silvestro, quando ad un tratto il santo si alza a
sedere gridando:
Lasciatemi stare, lasciatemi stare! Oh! non volete che abbracci la Benedetta
Madre mia che mi viene a visitare? Tornando poco dopo al sentimento della
presenza altrui, tutto vergognoso si nasconde singhiozzando sotto le lenzuola.
Un’altra
estasi rimasta famosa, avvenne nel 1559 quando Papa Paolo IV aveva ordinato di
esaminare gli scritti di Fra Girolamo Savonarola. San Filippo, lo
sappiamo, era della parte del frate. Così i Domenicani. Tra
avversari e partigiani, l’accanimento era al parossismo. Mentre i teologi
stavano a discutere, i devoti di fra Girolamo si radunavano in una stanza del
Convento della Minerva che era in mano ai Domenicani, e li, davanti al
Santissimo Sacramento esposto, pregavano continuamente il Signore che
allontanasse dal frate il pericolo della condanna. Fu in una di queste riunioni
che Filippo ad un certo punto viene preso da irrigidimento estatico. Lo si vede
con gli occhi sbarrati e con una espressione di immensa gioia mentre fissa il
Santissimo. Portato in una camera vicina, si attende che rinvenga. Rinviene
finalmente dopo lungo tempo tutto lieto e pieno di fervore. Al Superiore del
Convento che lo assediava di domande, finisce col far comprendere che aveva
visto il Signore in atto di benedire i fedeli, assicurandolo che l’esito della
controversia era stato favorevole a fra Girolamo. Di fatto le opere del
Savonarola non furono condannate. Solo qualche proposizione fu censurata, ma
il nome del frate era salvo.
IL
TAUMATURGO
Un
piccolo ebreo, Agostino Buoncompagni, stava imparando il catechismo sotto la
direzione di Filippo, quando all’improvviso si ammalò così gravemente da
essere dichiarato in fin di vita. Filippo ne fu contristato perché pensava al
male che ne avrebbero detto gli Ebrei se fosse morto, e perché sarebbero state
impossibili in seguito altre conversioni di questa gente. Ci pensò un po’
finché decise di non lasciarlo morire: nella sua fede era sicuro che il Signore
lo avrebbe salvato. Corse in camera del malato, si chinò su di lui
stringendoselo tra le braccia e pregando fervorosamente, mentre con tremiti, ad
intervalli, esclamava:
Papa Clemente VIII soffriva di
violenti attacchi di gotta e durante una di queste crisi andò a visitarlo
Filippo. Data la familiarità con cui poteva intrattenersi col Papa, si era
avvicinato per accarezzargli la barba. Ma il Pontefice, spaventato per il suo
male, lo voleva respingere. Filippo gli disse di lasciar fare a lui, e in così
dire gli strinse forte le mani doloranti di gotta. Fu il tocco di salute, perché
il Papa si trovò libero da ogni sofferenza.
SCHEGGE DAI SUOI PENSIERI CONSIGLI
Fuggite
le cattive compagnie. Non nutrite troppo delicatamente il corpo; aborrite
l’ozio; pregate molto, siate frequenti ai Sacramenti e particolarmente alla
Confessione...
UMILTA’
“Chi
non è atto a tollerare la perdita dell’onore e della stima propria per Gesù
Cristo, costui non farà mai profitto nelle cose dell’anima.”
“Figlioli
miei, siate umili e state bassi”
“Se
voi fate un’opera buona ed altri l’attribuisce a sé, rallegratevene; poiché
se vi si toglie la gloria presso gli uomini, la si ritrova presso Dio”
“Pregate
il Signore che, se vi dà qualche virtù o qualche suo dono, vi faccia la grazia
di tenerlo nascosto, affinché vi conserviate nella santa umiltà”
SUPERBIA
“La
soverchia tristezza non suole avere d’ordinario altra origine che la
superbia”
“Non
parlate facilmente e senza ragione di voi stessi, dicendo: Io ho detto, io ho
fatto...”
MORTIFICAZIONE
“Per
imparare a fare orazione, ottimo mezzo è conoscersene indegno; vera
preparazione alla preghiera è l’esercitarsi nelle mortificazioni. Il volersi
dare alla orazione senza mortificarsi è come se un uccello volesse volare prima
di mettere le penne..”.
PREGHIERA
“Sii
umile e obbediente che lo Spirito Santo ti insegnerà a pregare”
“Ottimo
mezzo per imparare a pregare è il leggere le vite dei Santi, non per mera
curiosità, ma posatamente, a poco a poco, fermandosi dove l’anima si sente
compungere a devozione”
SCRUPOLI
“Non
voglio scrupoli, non voglio malinconie!”
“Molte
volte suole essere maggiore la colpa che, si commette nell’attristarsi della
riprensione, che il peccato. di cui siamo stati ripresi”
SOFFERENZA
“Nulla
è sì glorioso a un cristiano quanto il patire per Cristo”
“A
chi ama veramente Iddio, ciò che può avvenire di più dispiacevole è il non
avere occasione di patire per Lui. La maggiore tribolazione del vero servo di
Dio è il non avere tribolazione”
“La
grandezza dell’amore di Dio si conosce dalla grandezza del desiderio che
l’uomo ha di patire per amor suo”
“Non
cercate mai di fuggire quella croce che Iddio vi manda, perché di sicuro ne
troverete un’altra maggiore”
AVARIZIA
“Non
farà mai profitto nella virtù chi è in alcun modo posseduto
dall’avarizia”
“Chi
vuole la roba non avrà mai lo spirito”
“Più
facilmente si convertono a Dio i sensuali che gli avari”
“Datemi
dieci persone veramente distaccate, e con mi dà l’animo di convertire il
mondo”.
“Iddio
non mancherà di darvi la roba: ma state avvertiti che quando avrete avuto la
roba non vi manchi lo spirito”
ALLEGRIA
Lo
spirito allegro conquista più facilmente la perfezione cristiana che non lo
spirito malinconico.
Finché
siamo pellegrini su questa terra, alla nostra allegria si oppone solo il
peccato.
CASTITA’
Uno
dei mezzi più efficaci per mantenersi casto è quello di aver compassione per
chi cade per fragilità.
PREGHIAMO CON LA LITURGIA
O
Padre, che glorifichi i tuoi santi e li doni alla Chiesa come modelli di vita
evangelica, infondi in noi il tuo Spirito, che infiammò mirabilmente il cuore
di san Filippo Neri. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
1^ Lettura Fil 4, 4-9
Fratelli,
rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra
affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino! Non angustiatevi
per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con
preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio, che sorpassa ogni
intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù. In
conclusione, fratelli, tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile,
onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri
pensieri. Ciò che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, è quello
che dovete fare. E il Dio della pace sarà con voi!
Parola
di Dio
Salmo 102 “Benedetto
il Signore, fonte della gioia”
Benedici
il Signore, anima mia, quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici
il Signore, anima mia, non dimenticare tanti suoi benefici. R
Egli
perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue malattie;
salva
dalla fossa la tua vita, ti corona di grazia e di misericordia. R
Buono
e pietoso è il Signore, lento all'ira e grande nell'amore.
Come
un padre ha pietà dei suoi figli, così il Signore ha pietà di quanti lo
temono,
perché
egli sa di che siamo plasmati. R
La
grazia del Signore è da sempre, dura in eterno per quanti lo temono;
la
sua giustizia per i figli dei figli, per quanti custodiscono la sua alleanza
e
ricordano di osservare i suoi precetti. R
Vangelo Gv 15, 1-8
Dal
vangelo secondo Giovanni
In
quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Io sono la vera vite e il Padre
mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni
tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete gia
mondi, per la parola che vi ho annunziato. Rimanete in me e io in voi. Come il
tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche
voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io
in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non
rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e
lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono
in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. In questo è glorificato il
Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli”. Parola del
Signore
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