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S. EFREM
Efrem
nacque a Nisibi (Mesopotamia) verso il 306. Sua madre era cristiana, mentre il
padre che era pagano cacciò il figlio da casa quando apprese che era cristiano.
Passò la maggior parte della sua vita a Nisibi, dove esercitò il ministero di
diacono, avendo per umiltà rifiutato di diventare sacerdote, insegnando, predicando
(discorsi ritmici o in prosa) e scrivendo. Lottò con vigore contro le eresie
del suo tempo. Nel 367 si ritirò a Edessa dove operò con la parola e
organizzando la carità. Pur essendo fondamentalmente un eremita fu anche una
persona di azione. Il suo programma di vita fu proprio quello di unire la vita
contemplativa con quella apostolica. Nel 372, in occasione d’una carestia che
si abbattè su Edessa. Efrem fu incaricato come diacono di organizzare i
soccorsi nella città. Morì un anno dopo, il 9 Giugno 373. Ci rimangono nei
suoi “Discorsi” alcune bellissime preghiere. Con S. Efrem lodiamo e
ringraziamo Dio per il suo disegno spirituale:
PREGHIAMO
CON LA LITURGIA
Dona,
Signore, alla comunità dei credenti il fuoco del tuo Santo Spirito che ispirò
San Efrem, diacono e cantore della tua gloria, a celebrare con inni mirabili
i tuoi divini misteri. Per il nostro Signore
PICCOLA
ANTOLOGIA DAGLI SCRITTI DI SAN EFREM
Basta
la fede
Il
mare è grande. Se vuoi scandagliarlo, verrai travolto dall’impeto delle sue
onde. Un’onda sola può strapparti via e sbatterti contro uno scoglio. Ti
basti, o debole uomo, poter dedicarti ai tuoi commerci su una piccola nave. Ma
la fede è meglio, per te, che una nave sul mare. Questa infatti è retta dai
remi, tuttavia i flutti la possono far affondare; ma la tua fede non affonda
mai, se la tua volontà non lo vuole. Come sarebbe desiderabile per il marinaio
regolar il mare a proprio volere! Ma in un modo egli la pensa, e in altro modo
agisce l’onda. Solo nostro Signore dominò il mare, tanto che quello tacque e
si placò. Ma egli ha dato anche a te il potere di dominare, come lui, un mare,
e di rabbonirlo. L’investigare è più amaro del mare, e il questionare è più
tempestoso delle onde. Se si abbatte sul tuo spirito il vento della cavillosità,
dominala, e appiana le sue onde! Come la burrasca mette sossopra il mare, così
i cavilli conturbano il tuo spirito. Nostro Signore domina, il vento cessa e la
nave scivola in pace sulle onde. Domina lo spirito capzioso, raffrenalo, e la
tua fede sarà in pace. A ciò dovrebbero indurti anche le creature di cui
conosci l’uso. Per esempio, tu non sei in grado di chiarire le sorgenti, pur
tuttavia non smetti di bere da loro. E per il fatto poi di aver da loro bevuto,
tu non pensi certo di averle comprese. Anche di comprendere il sole tu non sei
in grado, pur tuttavia non ti sottrai alla sua luce. E per il fatto che questa
scende a te (con i suoi raggi) tu non ti cimenti certo di salire verso la sua
altezza. L’aria è per te un pegno, ma quanto essa sia estesa, tu non lo sai.
Efrem
Siro, La fede, 2,3-6
Sublimità
e splendore del Creatore
Il
Creatore di tutti gli esseri ragionevoli è eccelso al di sopra di ogni ragione.
L’uomo non lo può scrutare e neppure l’angelo può comprenderlo. La
creatura non è in grado, con la sua perspicacia, di parlare del suo Creatore:
anzi non può neppure dire come essa stessa è stata formata. Se dunque non
riesce a comprendere la propria origine, come potrebbe essere in grado di
comprendere il suo Creatore? La ragione non può raggiungere l’altezza del suo
fattore:molto al di sotto di quella altezza resta la ricerca di ogni inquirente.
Costoro si sforzano di trovare analogie per colui che si identifica solo con
l’uno. Tutti essi vengono meno nella propria conoscenza, egli solo conosce se
stesso. La sua origine non è uguale a quella degli esseri creati, tanto che
questi lo possano indagare come un loro simile. La sua stirpe non è uguale a
quella degli esseri formati dalla terra, tanto che l’uomo lo possa dichiarare
della sua essenza. Anche con le stesse sentinelle angeliche non è in qualche
modo apparentato, tanto che esse lo possano esaminare come uno di loro. Non è
compagno dei cherubini, perché essi lo sorreggono come loro Signore. Non
aleggia tra i serafini, perché la sua sede è alla destra (del Padre). Non
appartiene agli angeli ministranti, perché essi servono lui, come suo Padre.
Tutte le potenze celesti ricevono da lui ordini e non possono guardare il Padre
prescindendo dall’impero del Primogenito: senza di lui alla loro creazione non
sarebbero neppure stati fatti. L’occhio è in grado di ricevere la
luce, e perciò tutto il corpo ne viene illuminato. L’orecchio è idoneo al
suono, e perciò tutte le membra ne percepiscono il tono. La bocca gusta i cibi,
e con essa, e per mezzo di essa, tutto il corpo se ne nutre. Così le sentinelle
angeliche guardano il Padre per mezzo del Figlio, che proviene dal suo grembo.
Per mezzo di lui odono la sua voce, e da lui ricevono i suoi doni. Ma non vi è
nessun altro intermediario per aiutarli o abituarli a ciò. I sensi hanno
bisogno l’uno dell’altro, e dipendono l’uno dall’altro. Anche le
creature dipendono le une dalle altre, perché formano quasi un solo corpo.
Anche gli esseri più alti ricevono ordini dai loro simili, perché comandano e
passano gli ordini secondo il loro grado gerarchico. Ma tutti, quelli di cui ho
parlato, come quelli che non ho ricordato, ricevono gli ordini dell’unico
Primogenito. Da lui dipendono tutte le creature, ed egli è unito al Padre. Come
pretendi dunque di comprendere l’Unigenito, che è unito alla divina paternità?
Se tu potessi comprendere il Padre, troveresti in lui e presso di lui anche il
Figlio. Questi è nella sua bocca, quando il Padre comanda, ed è nel suo
braccio quando il Padre opera. Attraverso il Figlio egli dunque opera e
attraverso il Figlio egli comanda. Solo essi due si conoscono a vicenda. Il
Figlio è nel seno del Padre, quando il Padre ama, ed è alla sua destra, quando
egli splende sul trono. Il Padre lo guarda e lo ama.
Meraviglie
della polvere
Persino
la polvere che è sotto i tuoi piedi è troppo alta per la tua ricerca. E se ciò,
dunque, che è sotto di te, è troppo alto per te, come vorrai tu raggiungere
quello che ti sta sopra? Se la polvere, cui sei pari di nascita, dalla quale sei
stato tratto, ti è incomprensibile, come vorrai tu scrutare la divina maestà?
E' troppo al di sopra della tua indagine. A vederlo, il suolo è semplice e
meschino, eppure si presenta tanto complicato all’indagine. E’ unico, ma non
è semplice: è ricco infatti di innumerevoli prodotti. E’ un grembo, umile e
insignificante, che produce innumerevoli beni; è un forziere di ben poco
valore, che tuttavia porge preziosi, senza numero. Il suolo partorisce e fa
figli che sono da lui completamente diversi, e, a guardarli, non sono simili
neppure tra di loro. Dal suo interno, tanto insignificante, nascono per noi
meraviglie; dal suo interno, tanto meschino, sprizzano per noi ricchi tesori.
Tutto proviene da uno, perché dalla terra tutto esce. La polvere della
terra è, per sé, nemica di ogni senso: è un danno nel condotto uditivo, è un
disturbo negli occhi; intoppa le porte dell’udito, conturba la luce del volto.
Non è buona a nessun uso, eppure è la sorgente di ogni bene. Quantunque non
sia adatta ai nostri usi, da lei ci viene tutto quello che è utile. E’ ostile
a chi ha fame (perché non è commestibile) ed è la tavola degli affamati. La
polvere è dannosa nella bocca, è il nutrimento del serpente maledetto; eppure
per castigo divenne cibo del serpente,ma per misericordia la tavola di tutti.
Non è utile a chi mangia, eppure dispensa ogni alimento. Danneggia chi guarda,
eppure ci dona tutte le erbe medicinali. Disturba gli occhi, eppure apre gli
occhi dei ciechi (cf.Gv 9,1 ss); né da sé né come nutrimento ha qualche
utilità. Orsù, dunque: tu che osservi tutto ciò, ammira i tesori che la terra
ci dona. E’ magra, ed è la fonte di ogni grasso; è secca, e fa scaturire per
noi le sorgenti. Dal terreno, che per sua natura è debole, ci viene il ferro e
il metallo. A guardarlo, è ben povero, eppure sprigiona oro e argento. E’ il
tesoriere degli uccelli, la casa della selvaggina, la grande dispensa che nutre
tutti: gli animali, i rettili, gli uomini. Eppure
vi è una cosa di più mirabile ancora, nel grembo della polvere, cosa che per
la sua poca apparenza non la si osserva. Nel terreno crescono in pace, vicine
tra di loro, le varie radici: presso quella dolce, quella amara; presso quella
salutifera, quella mortale. Dalla terra viene l’amaro del veleno, e dalla
terra viene la dolcezza del medicinale. La radice amara raccoglie il suo veleno,
senza che penetri in essa nulla di dolce; quella dolce raccoglie la propria
soavità, senza comunicarla alle radici che la circondano. Come può dunque
questa polvere, tanto sprezzata, operare la crescita di ciascuna? Ai frutti dona
il loro sapore, e insieme il loro colore; ai fiori il profumo e lo splendore. Ai
frutti procura saporosità, alle radici aroma. Alle infiorescenze dona beltà e
riveste i fiori di magnificenza. E’ l’artista dei semi: intreccia il
frumento per farne spighe, ne rinforza lo stelo con nodi, quasi come travature
di un edificio, perché possa sostenere il frutto e resistere al vento. Quante
mammelle ha la terra, e ciascuna ricca di umore! E’ stupendo che ne abbia
tante, quante sono le radici, e che nutra quelle amare e quelle dolci, ciascuna
a suo modo! E’ stupendo che sia unico il seno da cui tutti i frutti
provengono: da esso succhiano le radici e i frutti, quelle amare e questi dolci.
Negli uni aumenta così la dolcezza, negli altri invece l’amarezza. Se ciò è
notevole nelle cose tra di loro separate, lo è molto di più in quelle che sono
tra di loro strettamente connesse. Lo stesso umore nella stessa pianta assume
proprietà diverse. Così per esempio i frutti sono dolci, le foglie amare;
anzi, il frutto, prima di maturare, è ancora molto amaro. E’ un esempio
questo per i penitenti, i quali, alla fine, saranno dolci e accetti.
L’ordine
della creazione dimostra la potenza del Creatore
Nessuno,
pur applicandosi, può comprendere come sia grande la potenza del Creatore, e
neppure può misurare ciò che egli ha creato e ciò che è in grado di creare.
Queste creature, che egli ha fatto, e queste opere, che ha attuato, non
manifestano affatto tutta la sua potenza. E non perché gli mancasse il potere
egli non ha creato più di così: la sua volontà non ha confini: se egli lo
volesse, potrebbe creare ancora tutti i giorni, solo che ne sorgerebbe un
guazzabuglio. Se le creature crescessero giorno per giorno, non potrebbero più,
per il loro numero immenso, conoscersi a vicenda. Se dunque egli concedesse loro
di accrescersi in questo modo, esse non si accrescerebbero; a che utilità le
avrebbe create allora, se dovessero restare straniere le une alle altre? Ciò
poi che il Creatore fece, non lo fece per rendere più grande se stesso: egli
non era più piccolo prima di creare, né divenne più grande dopo che ebbe
creato. Le sue opere egli volle che avessero una data grandezza, perciò le creò
in misura. Certo, avrebbe potuto rendere grande all’infinito questo creato, ma
avrebbe così gettato nello scompiglio i suoi abitatori, e alla confusione segue
il danno. Egli non creò dunque quanto poté. Egli non opera quanto può, ma
quanto si conviene. Se avesse continuato a creare e non avesse limitato il suo
agire, ne avremmo avuto un parto smisurato, privo certo di saggezza. Lo si
sarebbe potuto paragonare a una fonte che scorre continuamente senza
interruzione. Il Creatore sarebbe una sorgente che è legata alla propria natura
e non può perciò arrestare il proprio corso: egli non avrebbe potere sulla
propria volontà. Ora, come egli ci rivela la sua volontà solo lasciando libero
corso alla sua opera creatrice, così egli può rivelarcene la potenza solo
interrompendo tale opera. Egli comincia a creare per attuare le creature; egli
cessa di creare, per realizzare l’ordine. Se egli ogni giorno creasse cielo,
terra e altre creature, la sua opera sarebbe un guazzabuglio senza ordine, ed
egli non sarebbe grande nel suo agire, per essere in esso privo di saggezza.
Anche la bocca che parla deve parlare secondo un certo ordine. Perché può
parlare, infatti, non è tenuta forse anche a cessar di parlare? E le parole non
escono dalla bocca tanto facilmente come l’opera creatrice esce dal Creatore.
Le creature sono molto più facili al Creatore che le parole a chi parla; ma per
questo, perché egli può creare, non crea continuamente nuove realtà. Per il
discorso dell’uomo c’è un certo ordine; tanto più dunque egli si
controlla, quantunque possa creare ogni ora. Perciò cessò di creare, per dare
ordine a ciò che aveva creato. Chi sarebbe in grado di riferire quanto egli
potrebbe creare? Molto è ciò che ha creato; molto è anche ciò che ha
tralasciato di creare. Quello che ha creato, è incommensurabile; quello che non
ha creato, è imperscrutabile. Tutto ciò che egli produce al suo cenno, viene
dal nulla. E' perciò del tutto nascosto a chi lo indaga, sia esso visibile o
invisibile. Tu non puoi sapere quanto egli ha fatto, e neppure quanto egli può
fare. Solo l’Unigenito, che è nascosto nel suo seno, conosce il come e il
quanto.
La
primavera annuncia la magnificenza di Dio
Come
dice il Salmista (Sal 147,16ss), Dio manda la neve come lana, sparge la brina
come cenere, getta giù il suo ghiaccio come briciole. Chi può resistere al suo
gelo? Egli manda la sua parola e lo scioglie; emette il suo alito, e le acque
scorrono. Allora la terra si impregna di grati odori, si riveste, al comando di
Dio, della sua bellezza e ricrea chi la guarda come fosse un vestito adorno di
pietre preziose, intessuto d’oro. Gli uccelli volano qua e là e intonano i
loro dolci canti, ricreandosi al sereno splendore dell’aria. I quadrupedi
corrono qua e là nella campagna, i pascoli nel deserto rinverdiscono, i pastori
si allietano, giubilando per i doni del Signore. L’acqua non scorre più
selvaggia e impetuosa, ma i fiumi se ne vanno tranquilli e allietano i prati,
mentre i pesci guizzano ai raggi del sole. Gli alberi, prima spogliati delle
loro foglie, si rivestono di splendidi fiori, si ammantano di foglie e frutti. I
monti, i colli, le valli, tutta la terra piena di fiori, annunciano la
magnificenza del Signore, perché il Signore li ha adornati come una sposa.
Anche noi uomini deponiamo gli oscuri affanni dell’inverno, gustando l’aria
mite e la ricchezza di frutti. Ma perciò, anche noi dobbiamo portare per il
Signore ricchi frutti di giustizia, per poter dire con fiducia al Creatore: Il
Signore si allieterà delle sue opere (Sal 103,31).
Di
fronte alla giustizia e alla bontà di Dio
L’occhio
si fissa sulla giustizia di Dio, e incontra la sua bontà. L’intelletto
contempla la sua misericordia, e gli si fa avanti la sua verga severa.
Consolante risuona il grido del perdono, spaventoso il grido della vendetta.
Perciò l’intelligenza vaga qua e là, stupita e smarrita, tra la bontà di
Dio e la sua giustizia. Chi osserva, resta confuso tra le prove e i rimproveri.
Vede che i cattivi sono potenti, e i buoni sono colpiti. La purificazione voluta
da Dio prova i fedeli, la sua verga punisce i delitti. La giustizia e la bontà
sono strettamente legate, ma non mescolate; sono unite, ma non confuse. Solo per
la sua insufficienza l’intelletto non può rendersi conto, perché non può
comprendere. Vede la morte dei vecchi, e vede anche la dipartita dei fanciulli.
Da una parte vede la giustizia, dall’altra il contrario: infatti un giusto
soffre, l’altro è risparmiato. Vede un buono nelle angustie, l’altro nella
pace. Ciò sembra contraddittorio. Se poi considera gli iniqui: uno viene colto
sul fatto al primo assassinio, l’altro uccide una quantità di uomini e se ne
va libero. Come tra le onde le deboli imbarcazioni vanno sotto, così gli
spiriti deboli soffrono nella tempesta tra il bene e la giustizia. Qui non
domina la chiarezza, perciò la meschinità dell’animo li mette in imbarazzo.
Se però non si capisce tutto, si capisce quanto conviene. Basta per noi sapere
che il giudice di tutti non può agire ingiustamente. Basta per noi sapere che
non possiamo muovergli nessuna obiezione: sarebbe certo temerarietà se il vaso
volesse ammaestrare il vasaio. Con che diritto l’uomo potrebbe biasimare colui
che dona ogni capacità critica? Come potrebbe l’uomo giudicare senza colui
che ne ha fatto un essere ragionevole? Come potrebbe giudicare la sapienza di
colui, che tutto sa?
La
legge non proibisce, ma ordina l’uso delle membra
Chi
oltraggia il matrimonio è un frutto maledetto, che maledice la sua stessa
radice... E’ una bestemmia grave, se un uomo nega il suo Creatore; è una
vergogna grande, se un uomo nega la sua radice. I maestri dell’errore dicono
che il matrimonio è impuro, ma nella loro ebbrezza non considerano che le
membra e i sensi sono fratelli, sono compagni e parenti. Ma se l’uso di un
membro è impuro, è chiaro che tutte le membra sono impure, perché se un
membro soffre, tutte con lui soffrono... Dio non ha dichiarato impuro l’uso
dei sensi, ha solo comandato che l’uomo non usi peccaminosamente della vista,
che l’uomo non usi peccaminosamente dell’udito: la sua legge perfeziona la
nostra natura, il suo comando adorna la nostra volontà, il suo insegnamento
corona la nostra libertà... In tre forme ci viene proposta la legge: vi è
matrimonio, santità e verginità: vi è possesso, rinuncia e perfezione. Dalle
azioni cattive essa distoglie ogni uomo allo stesso modo; alle azioni buone essa
lascia ogni uomo libero a suo modo, secondo il suo volere. Le leggi, di un tempo
e di ora, sono basate sulla giustizia e sulla bontà: infatti non vi è legge
che costringa all’adulterio, e non vi è legge che proibisca di esser
realmente buoni, casti, onorati. L’abitudine e la volontà portano alla
perdizione, la legge e la volontà arrecano l’ordine.
Efrem
Siro, Inni contro gli errori, 45,6-11
Lotta
contro le tentazioni
Se
ti viene in mente un cattivo pensiero, grida, con lacrime al Signore:
“Signore, sii buono con me peccatore! Perdonami, o amico degli uomini.
Signore, allontana il male da noi!”. Certo, il Signore conosce i cuori: sa
quali pensieri sorgono da un animo cattivo, ma sa anche quali pensieri vengono
in noi versati dalla stizza amara dei demoni. Tuttavia sappilo: più tu combatti
e resti fedele nel servizio del Signore, più i tuoi sensi e i tuoi pensieri
verranno purificati. Infatti, nostro Signore Gesù Cristo ha detto: Ogni ramo
che in me porta frutto, io lo purificherò, perché porti frutto maggiore (Gv
15,2). Solo abbi la più sincera volontà di farti santo! Il Signore ama e
appoggia col suo aiuto coloro che sono zelanti e lavorano per ottenere la
salvezza dell’anima. Senti ora un esempio, che ti illustra i cattivi pensieri.
Quando l’uva viene colta dalla vite, gettata nel torchio e pigiata, produce il
suo mosto, che viene raccolto in vasi. E questo mosto, all’inizio, fermenta
tanto forte, come se bollisse al fuoco più acceso in una caldaia; anche i vasi
migliori non riescono a contenerne la forza, ma si rompono per il suo calore. Ciò
avviene con i pensieri degli uomini, quando essi si elevano da questo mondo
vano, e dalle sue cure, alle realtà celesti. Allora gli spiriti cattivi che non
ne possono sopportare il fervore, conturbano in mille modi la mente dell’uomo,
cercando di suscitarvi una tetra burrasca, per rovinare e squarciare il vaso,
cioè l’anima, riempiendola di dubbi e rendendola infedele.
Come
reprimere i moti carnali
Quando
sorge in te la ribellione della carne, non aver paura e non perderti d’animo,
perché altrimenti incoraggeresti contro di te il nemico, che instillerebbe in
te i suoi pensieri, dicendoti: “Ti è impossibile spegner l’ardore, che ti
tormenta, senza soddisfare queste brame”. Se egli in questo modo ti ferisse,
presto ti supererebbe e deriderebbe poi la tua debolezza. Ma tu, pieno di
fiducia, resta unito al Signore ed effondi dinanzi alla sua bontà le tue
lacrime e le tue preghiere; egli ti ascolterà, sollevandoti dalla fossa
infelice dei pensieri impuri e dalla palude delle fantasie vergognose, ponendo i
tuoi piedi sulla roccia salda della castità. Così vedrai venire a te il suo
aiuto. Persevera dunque in pazienza, non addormentarti nei tuoi pensieri, non
stancarti di attingere l’acqua abbondante, perché il porto della vita è
vicino. Mentre ancora parlerai, Dio ti dirà: “Eccomi, sono qui!”. Egli
attende a osservare la tua battaglia, per vedere se tu al peccato sai resistere
fino alla morte. Non scoraggiarti, dunque, perché egli non ti abbandona. Ma
anche il coro dei santi angeli, e la schiera tetra degli spiriti cattivi
osservano la tua battaglia: gli angeli, se vinci, ti porgono una corona; gli
spiriti cattivi, se tu vieni travolto, ti coprono di insulti. Gli angeli
combattono con zelo per te, ma anche gli spiriti cattivi ce la mettono tutta
contro di te, amico di Cristo. Sta’ dunque all’erta, non contrastare i tuoi
amici e non farti amico dei tuoi nemici: chiamo amici tuoi i santi angeli; tuoi
nemici, invece, gli spiriti impuri. Nessun luogo è celato agli occhi di Dio, ai
suoi occhi non vi è tenebra alcuna, o fratello. Non lasciarti perciò ingannare
dall’avversario perché tu sei sempre vicino ai piedi del Signore. Non essere
indifferente. Sta scritto infatti: Il cielo è il mio trono, e la terra lo
sgabello dei miei piedi (Is 66,1). Non essere dunque trascurato nel tuo intimo,
ma fatti coraggio, perché chi ti aiuta è vicino. Ascolta come dice il profeta:
Tutti i popoli mi avevano circondato, ma nel nome del Signore mi sono difeso da
loro. Mi avevano circondato come api il favo, avevano divampato come fuoco tra
le spine, ma nel nome del Signore mi sono difeso da loro. Ero stato colpito e
urtato, perché cadessi, ma il Signore mi ha sorretto e accolto. Mia forza e mia
lode è il Signore, egli è stato la mia salvezza (Sal 117,10-15). Persisti
dunque coraggioso nella battaglia, per venir trovato desto e vigilante, e
ottenere la corona della vita che il Signore ha promesso a coloro che lo amano.
Efrem
Siro, La vigilanza, 3,1
Il
veleno dell’ira
Se
in un’anima dimora l’ira, essa annulla la vita di un giorno. Non lasciare
perciò che duri fino al giorno seguente, ché non annulli in te tutta la vita!
A ciascun giorno basta il suo male (Mt 6,34) come ha detto il nostro Salvatore.
Basta, dunque, che l’ira annienti la vita di un giorno solo. Essa non pernotti
nella tua anima, il sole non tramonti senza che non se ne sia andata. Un ospite
sgradito dimora in te: caccialo, allontanalo, non offrirgli dimora. Col tramonto
del giorno tramonti anche l’ira e non resti più a lungo nella tua anima. E
come le ore non si arrestano, così non si arresti in te l’ira, senza
allontanarsi. Non dorma nella tua anima, perché se vi dorme una volta sola è
ben difficile poi allontanarla. Non passi in te la notte, non fermenti, non
resti, non riposi in te! Se l’ira fermenta nell’anima, la corrompe, la
confonde, l’appesta e insudicia, tanto che l’anima non riesce più a
emergere dal male. Il lievito cattivo, messo nell’impasto, appesta il tutto;
così l’ira, se prende dimora in un’anima, la riempie del suo pessimo odore.
Le vipere e i serpenti sono velenosi, ma l’ira è ancor peggio di loro.
Abbatte l’anima e la uccide, allontanandola da Dio. Se tu vedi una serpe in
casa tua, le dai la caccia e la uccidi; ma l’ira, che uccide te, abita
nell’anima tua e tu non la cacci. Quando vedi davanti a te un serpente, ne hai
paura, perché potrebbe morderti; ma l’ira, che ha in sé un veleno mortale,
tu la lasci dimorare quieta nel tuo intimo. Se una serpe ti scivola in seno, il
tremore si impossessa delle tue membra; ma il tuo cuore è un covo pieno di
vipere. Se una vipera morde, la carne si ammala e va in rovina; dove abita
l’ira vi è un veleno corrompitore. Tu temi di venir morso da un serpente o
punto da uno scorpione; ma non temi il morso dell’ira e non hai paura del
pungiglione dell’odio. Chi desidera mai che una serpe venga da lui, e da lui
si nasconda? Chi ama un serpente, perché si insinui nel suo seno e vi prenda
dimora? Ma mentre tu non sopporti questi rettili, ne desideri altri ben
peggiori; l’ira, che è più crudele di una vipera, e l’odio, che è più
crudele di un serpente. Per una parola detta senza attenzione, suggerita dal
demonio, tu apri tutti i battenti all’ira, perché venga nella tua anima, e vi
dimori. Perché il tuo prossimo ti contende un misero privilegio, tu chiami
l’odio, perché penetri nel tuo petto, e vi si piazzi. Quando l’ira abbaia
in te e latra come un cane, scaglia contro di lei il sasso del tuo desiderio di
pace, e arresta così il suo latrare. Annientala con la tua letizia, mostrale un
viso sorridente, non angustiato. L’ira sarà impedita così di annientare due
anime insieme.
O
Signore, tu che col sangue sgorgato dal tuo fianco ci hai donato le altezze e le
profondità abissali della pace, manda la tua pace ai cuori adirati! Tu che fra
i due partiti, quello di sopra e quello di sotto, hai stabilito la pace,
concilia nell’amore i cuori divisi e semina tra di loro la tua pace! Signore,
tu che sei la nostra pace, come scrive il tuo discepolo, fa che la tua pace
custodisca le anime che a te ricorrono!
I
peccati sono la causa delle tribolazioni
E’
certo che colui, il quale è buono, non ha piacere per le tribolazioni che ci
visitano in ogni tempo, quantunque egli le mandi. Causa dei nostri dolori sono i
nostri peccati. Nessun uomo può accusare il Creatore; è lui che ci può
accusare: noi infatti abbiamo peccato, e lo abbiamo costretto ad adirarsi,
quantunque egli non lo volesse, quantunque non ne avesse nessun piacere. La
terra, la vite e l’ulivo devono venir trattati duramente. Solo se l’ulivo
viene bacchiato, ci dà i suoi frutti; solo se la vite viene potata, i suoi
frutti si fanno più belli; solo se il terreno viene arato, ciò che produce è
buono. Il bronzo, l’argento e l’oro splendono, solo se vengono levigati.
L’uomo migliora tutto ciò che tratta con asprezza, mentre tutto intristisce e
abbruttisce se egli cessa nel suo impegno; così noi possiamo conoscere, quando
Dio tratta qualcuno con asprezza, che egli lo prende in sua cura. Mentre ogni
altro che ha cura di qualcosa lo fa per proprio interesse, colui che è buono
educa i suoi servi perché essi diventino padroni di se stessi. Le tue
tribolazioni potrebbero così diventare per te una cronaca, un promemoria...
Perché tu hai stimato troppo poco i due Testamenti non cercando in essi la tua
salvezza, perciò egli ti ha scritto tre libri severi (ossia ha lasciato venir
su di te tre grosse disgrazie), perché tu possa studiare in essi le tue
tribolazioni. Cerchiamo dunque di impedire il futuro, pensando al passato.
Cerchiamo di imparare dalla nostra esperienza a evitare ciò che verrà.
Riflettiamo a quello che se n’è andato, per andar incontro a quello che verrà.
Perché noi abbiamo dimenticato il primo colpo, ci ha colpito un secondo; perché
noi non abbiamo riflettuto neppure su questo, ce n’è caduto addosso un terzo.
Chi dunque se ne dimenticherà ancora?
(Efrem
Siro, Inni nisibeni)
Il
miracolo della nascita di Cristo
Un
grande stupore si impossessa dell’uomo quando considera il miracolo che Dio
scese prendendo dimora in un seno materno, che la sua somma essenza assunse un
corpo umano e per nove mesi abitò nell’utero della madre senza contrarietà,
e che quel seno di carne fu in grado di portare il fuoco, che la fiamma abitò
nel corpo delicato senza bruciarlo. Proprio come il roveto sull’Oreb portava
Dio nella fiamma, così Maria portò Cristo nel suo seno verginale. Attraverso
l’udito, Dio entrò senza danni nel ventre materno e il Figlio di Dio poi ne
uscì con purezza. La vergine concepì Dio e la sterile (Elisabetta) concepì il
vergine (Giovanni), anzi il figlio della sterilità spuntò prima del germoglio
della verginità.
(Efrem
Siro, Inno per la nascita di Cristo, 1)
Gesù
ha avuto paura
Quando
scende la notte, in cui si consegnerà nelle mani degli accusatori, Gesù
distribuisce il suo corpo agli apostoli, dà loro il suo sangue e comanda di
ripetere questo gesto in memoria della sua passione. Ha raccomandato ai
discepoli di non temere la morte, non abbiate paura di quelli che uccidono il
corpo (Mt 10,28) e ora come può proprio lui temere la morte e chiedere che si
allontani da lui il calice?...
(Efrem
Siro Commento sul Diatessaron, 20,3-4.6-7)
La
nascita di Cristo da Maria
Volgete
lo sguardo a Maria! Quando Gabriele entrò da lei e cominciò con lei a
trattare, ella chiese: “Come avverrà ciò?”. E il servo dello Spirito Santo
gli rispose dicendo: “E’ facile per Dio, perché tutto è a lui
possibile”. E lei, credendo fermamente a ciò che aveva udito, disse: “Ecco
la serva del Signore”. E subito il Verbo discese, si librò su di lei come gli
piacque, entrò in lei e prese in lei abitazione, senza che nulla ella
avvertisse. Così lo concepì, senza nulla soffrire; e nel suo seno egli divenne
un bimbo, mentre il mondo intero era pieno di lui. Egli depose la sua figura per
rinnovare la figura di Adamo tanto invecchiata. Quando tu dunque senti parlare
della nascita di Dio, resta in silenzio: ciò che Gabriele disse resti impresso
nel tuo spirito! Nulla vi è di troppo difficile per quell’eccelsa maestà che
per noi si è abbassata a nascere tra di noi e da noi.
Non
lasciamoci ammaliare dal mondo fugace
Il
mondo è simile alla notte e tutte le sue realtà sono sogni. L’anima si
sprofonda in essi e si lascia sedurre dalle apparenze. Come il sogno di notte ci
inganna, così ci inganna il mondo con le sue promesse. Come il sogno ammalia
l’anima con le sue immagini e le sue visioni, così il mondo la ammalia con le
sue gioie e i suoi beni. Il sogno inganna di notte, perché con le sue larve ti
fa ricco, ti innalza al potere, ti fa ricoprire un posto importante: ti ammanta
di panni splendidi, ti pervade di possanza e ti fa vedere perfino, con le sue
illusioni, che gli uomini vengono a celebrarti. Ma quando la notte se n’è
passata, quando il sogno è svanito, quando ritorna la realtà effettiva, tutti
questi sogni, che hai vissuto, mostrano il loro inganno. Parimenti il mondo
inganna con i suoi beni e le sue ricchezze, che svaniscono come un sogno
notturno ed è come se mai fossero stati.
L’anima
si svegli dal sonno del peccato
E’
tremendo e spaventoso il passo della sacra Scrittura che, riguardo al peccatore,
dice: “Il peccatore sarà portato via, perché non veda la gloria del
Signore!”. L’empio dunque sarà trascinato in un posto ove non udirà canti
di lode. Ma tutto quanto canta a Dio e annuncia ogni giorno la sua gloria; anche
le creature che non hanno lingua non cessano un istante di lodarlo. I cieli
narrano la sua gloria e il firmamento l’opera delle sue mani (Sal. 18,2). La
terra eleva la sua lode e il mare è un annuncio delle sue meraviglie. Non vi è
nulla che non celebri la gloria di Dio suo signore; perfino il moscerino più
minuto annuncia la magnificenza di Dio. Dove giungerà dunque il peccatore, per
non vedere la gloria del Signore? In qual posto precipiterà, per essere lontano
dalla lode a lui rivolta? Se sale al cielo, esso si chiude e non l’accoglie;
se vuol restare sulla terra, non gli è permesso. Se precipita in mare, il mare
lo rigetta. Per questo, amici miei, io credo che egli debba errare fuori dal
mondo in quelle tenebre esteriori che sono piene di paura e di orrore, dove non
risuona inno di lode, dove non si annunzia la gloria di Dio, perché egli è
molto lontano e non permette che laggiù lo si glorifichi. Le pene e i sospiri,
le tribolazioni e le angosce, il verme che rode senza cessare e il fuoco che mai
si spegne chiudono la bocca del peccatore a ogni lode e celebrazione. La sua
miseria non gli permette né di vedere né di udire, il battito dei denti chiude
la sua bocca a ogni lode e la sua lingua può solo ululare i suoi guai, ma non
pronunciare sillaba di elogio. Gli occhi pieni di tenebre non vedono la luce
della gloria divina. Chi ha il verme attaccato alle viscere, pensa solo al suo
strazio; chi è riarso dall’inferno, vede solo il suo fuoco.
(Efrem Siro, Commento a «I peccatori verranno portati via», 1-6)
Il
rifugio dei peccatori
Badate
che nessuno dica: “Io non ho peccato”. Chi dice così, è cieco o miope;
egli illude se stesso e non vede come Satana lo inganna nei discorsi e nelle
opere, con l’udito, il tatto e il pensiero. Chi può gloriarsi di avere il
cuore immacolato e tutti i sensi puri? Nessuno è privo di peccato, nessuno è
privo di immondizia, nessuno tra gli uomini non ha errato, ad esclusione di
quegli solo che per nostro amore si è fatto povero, essendo ricco. Senza
peccato è quegli solo che toglie i peccati del mondo, quegli che vuole la
beatitudine di tutti gli uomini e non vuole la morte del peccatore: l’amico
degli uomini, il mitissimo, il misericordioso, il buono, l’amante delle anime,
l’onnipotente, il salvatore di tutti gli uomini, il padre dei sapienti e il
giudice delle vedove, il Dio dei penitenti, il medico delle anime e dei corpi,
la speranza di chi è privo di speranza, il porto di chi è sbattuto dalla
tempesta, l’aiuto di chi non ha aiuto, la strada della vita, che chiama tutti
alla penitenza e non rigetta nessuno che si converta.
Preghiera
penitenziale della comunità
Cristo,
vittima di riconciliazione, immolata sulla vetta del Golgota in sacrificio
espiatorio per le colpe di Adamo, accetta il nostro sacrificio e la nostra
preghiera, e usa con noi tutti misericordia! Accogli, o Signore, nella tua
misericordia, questo sacrificio che ti abbiamo offerto; placati per esso e dona
a tutti i peccatori, che a te ricorrono, la remissione delle colpe e dei
peccati. Cristo, non distogliere da noi il tuo volto, non allontanarti da chi ti
supplica, perché in te è il nostro rifugio! Conducici sulla strada della vita
e facci degni, nella tua bontà, dell’indulgenza per le nostre colpe e
peccati. Cristo, amico dei penitenti, che sei venuto a chiamare i peccatori,
accogli noi tutti che battiamo alla porta della tua misericordia, e facci veri
penitenti nelle parole e nelle opere.
(Efrem
Siro, Esortazione alla penitenza, 20,1)
Il mare dei peccati e il mare della
grazia
Tremo
sempre e rabbrividisco quando penso ai miei peccati nascosti, quando soppeso le
mie opere. Questo pauroso ricordo delle mie colpe e del giorno del giudizio
infonde spavento nelle mie viscere, riempie di angoscia i miei pensieri. Ma è
strano come io sappia tutto ciò, come io riconosca chiaramente quel che mi può
giovare, e mi abbandoni tuttavia a tanto male. Io so quanto amaramente tutto mi
sarà retribuito, e ciò nonostante faccio il male; conosco le opere buone e
compio opere cattive. Leggo i libri spirituali scritti dallo Spirito Santo, che
annunciano bensì il giudizio e il castigo, ma anche lo splendore delle nozze e
il regno dei cieli. Leggo, ma non pratico; insegno, ma non imparo. Sono ben
versato nei libri sacri e nella loro lettura, ma sono ben lontano dal mio
dovere. Leggo agli altri la Bibbia, ma nulla entra nel mio orecchio. Ammonisco
ed esorto gli ignoranti, ma ciò che mi giova non lo attuo. Spesso apro il
libro, leggo e gemo; poi lo chiudo e ho già dimenticato tutto ciò che
contiene. Quando la Scrittura è lontana dai miei occhi, anche i suoi
insegnamenti sono lontani dalla mia mente. Che voglio da questo mondo, in cui
sono entrato una volta sola, e da questo corpo pieno di mali, che mi sollecita
alle brame perverse? Le sacre Scritture mi spaventano con il giudizio e la
retribuzione; le brame perverse invece mi spingono a compiere le opere della
carne... Perciò in te, o Signore, io cerco il mio rifugio da questo mondo
perverso e da questo corpo pieno di mali, causa di ogni peccato. Per questo io
ti grido, come già Paolo apostolo: Quando sarò liberato da questo corpo di
morte? (Rm 7,24).
A
tutti coloro che come me sono peccatori, ho detto tutto ciò, per suscitare in
loro speranza, consolazione e pentimento. Sia lodato il Misericordiosissimo, il
Benignissimo, che si rallegra quando ci convertiamo e ci riaccoglie lieto, con
amore, senza esitazione. Sia lodato il Ricco di grazia, le cui porte stanno
spalancate per i buoni e per i cattivi, che non chiude l’accesso alla grazia
ai cattivi che si convertono. Sia lodato, perché dà a tutti la possibilità di
raggiungere il regno: ai giusti con le loro virtù, ai peccatori con la
penitenza. Sia lodato, perché per i peccatori ha abbandonato se stesso alla
morte e all’ignominia, e ha accettato l’orrenda crocifissione per poter
donare loro la vita. Sia lodato, perché per sua grazia ci ha creati, e poi è
venuto a liberarci con la croce. Verrà di nuovo nel grande giorno della sua
parusia per svegliare noi tutti. E rendici degni, o benigno, per la tua grazia,
che in quel giorno del giudizio risplenda a noi la tua misericordia, e ci sia
concesso, o Dio, di lodarti, con i tuoi santi per tutta l’eternità!
Una
lacrima di pentimento cancella ogni capo d’accusa
Senza
che l’uomo lo noti, gli sta incessantemente al fianco un annotatore invisibile
dei suoi discorsi e delle sue azioni, che appunta per il giorno del giudizio.
Chi potrà soddisfare le esigenze severe della giustizia, dato che chiederà
conto di ogni battito degli occhi, dato che ogni sguardo non passa inosservato?
E tuttavia, venite e incoraggiatevi: per quanto il conto della giustizia sia così
severo, quando l’uomo fa penitenza una sola sua lacrima cancella tutto
l’elenco delle sue colpe. Ma venite, vedete quest’altro e stupite: anche se
dalla misericordia la grazia trabocca come un mare, a colui che non si converte
nessuno potrà far giungere la grazia nel giorno del giudizio.
I
singoli precetti erano legati al loro tempo
Nota
quali precetti dovessero servire solo al loro tempo e ad esso fossero adattati,
e non lasciarti sconcertare se odi detti scritturistici contrari l’uno
all’altro. Per esempio un detto suona così: “Voglio i sacrifici”, un
altro: “Odio i sacrifici”. Un detto dice ancora: “Purifica i cibi da ciò
che è impuro”, un altro: “Mescolali e mangiali”. Un altro ancora:
“Osserva le feste!”, un altro: “Io profano le feste”. Un detto suona:
“Santifica il giorno sacro”, un altro: “Io ho in abbominio i sabati”. Un
detto dice: “Circoncidi ogni maschio”, e un altro: “Abbomino la
circoncisione”. Quando odi ciò, renditi conto, ragionando, della diversità,
e non lasciarti sconvolgere come molti che il demonio avvolge fra le sue spire!
La
transitorietà della vita
Vedi
nell’ombra ciò che ti dico, e da essa impara! Proprio come l’ombra, che mai
sta ferma, la tua vita trascorre. Tu resta fermo in un posto e osserva l’ombra
del tuo corpo: come essa procede e non sta mai sulla stessa linea, così la tua
vita procede e si affretta alla fine. L’ombra del tuo corpo si muove dalla
mattina alla sera; la tua vita trascorre dal seno della madre al sepolcro. La
tua vita è misurata con una spanna, che non viene superata, e le tue dita
rappresentano quasi i cinque gradini della tua misura. La spanna comincia con il
mignolo e termina con il pollice; identico è l’inizio della tua vita e la
fine della tua vecchiaia. La vita comincia col mignolo, cioè con i primi tempi
dell’infanzia. Si giunge poi al secondo dito, cioè alla fanciullezza
inesperta. Col medio, si è nella giovinezza, gonfia e superba. Col cosiddetto
quarto dito, si diventa uomini maturi, ma la misura comincia a diminuire e resta
solamente un dito. Giunge infine la vecchiaia, il pollice, il termine della
vita. E’ questa la tua misura, se ti è concesso di riempirla; infatti può
avvenire che la morte ti sopraggiunga prima che tu l’abbia adempiuta, perché
il Creatore, se vuole, raccorcia la spanna della tua vita, forse anche perché
venga tolto il male e non si prolunghi con il tuo vivere. Sulla mano si rivela
dunque la misura della vita stabilita per l’uomo e le dita rappresentano i
cinque gradini su cui l’uomo avanza. Osserva dunque a quale dito ora ti tocca
stare, a quale gradino sei posto; ma tu non sai a quale dito giunga improvvisa
la fine. Il giorno del Signore è un ladro che ti ruba senza che tu neppure te
ne accorga.
Le
tappe sulla strada del cielo
Ascolta
le parole del consiglio bello e buono e impara ciò che ti dico, mio caro
fratello e amico di Cristo! Se vuoi fare un viaggio verso un’altra terra, una
terra lontana, verso la tua patria, non puoi lasciarti dietro tutta
l’estensione della strada in un istante, ma fai un certo numero di passi, e
giungi così, a poco a poco e con fatica, alla terra che brami. Così avviene
anche per il regno dei cieli, per il paradiso di delizia. Vi si giunge
attraverso il digiuno, l’astinenza e la veglia. L’astinenza, le lacrime e la
preghiera, la veglia e l’amore sono le tappe che conducono al cielo. Non
temere per un buon inizio della bella strada che conduce alla vita eterna: abbi
soltanto la più seria volontà di entrare in tale strada, e sii pronto. Presto
essa si spianerà davanti ai tuoi piedi, passerai con gioia e contentezza da una
tappa all’altra, e a ciascuna i passi della tua anima si faranno più saldi.
Non troverai più difficoltà sulla strada che conduce al cielo, perché il
Signore del cielo si farà egli stesso, spontaneamente, strada della vita per
quelli che con gioia vogliono giungere al Padre della luce.
(Efrem
Siro, Meditazione sulla morte, 6)
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