Statura
media, esile, volto terroso, malaticcio, ma con un’irrefrenbile carica di
vitalità e riso contagioso; delicato e gentile con tutti, quanto esigente e
duro con se stesso: così i contemporanei descrissero il giovane Francesco
Solano.
Oggi è chiamato il Saverio delle Indie occidentali, l’Apostolo
dell’America Meridionale, il taumaturgo del Nuovo Mondo.
Era nato a Montilla (Cordova) il 10 marzo del 1549 da agiati agricoltori: il
padre, Matteo, ricoprì la carica si sindaco della città.
A 15 anni entrò nel collegio dei gesuiti di Cordova, privilegio derivante
dalla posizione del padre e dalla benevolenza della marchesa di Priega. Parlava
poco e cantava sempre, ricordano i compagni.
A 20 anni vestì il saio francescano nel convento del paese, una comunità di
trenta frati appartenenti ad un movimento di rigida osservanza, Chiese ai
superiori di essere mandato in Africa ma fu spedito all’eremo di Loreto presso
Siviglia per studiare filosofia e teologia. Tornò alla carica per essere
incluso nella spedizione destinata al “Rio de la Plata”, insieme al compagno
di studi, il suddiacono Louis de Bolanos, futuro fondatore delle “Riduzioni”
del Paraguay. La richiesta fu ignorata.
In compenso fu nominato cantore del coro conventuale. Nel 1576 cantò la prima
Messa. Continuò gli studi di morale o “deu casi di coscienza” come si
diceva allora.
Nel 1579, per stare più vicino alla madre cieca e al padre gravemente infermo,
tornò al convento di Montilla, dove nel frattempo scoppiò la peste. Francesco
correva da una casa all’altra per assistere i malati e confortare i moribondi.
Si cominciò a parlare di miracoli: un bambino dato per morto fu da lui baciato
e restituito alla madre sano e vegeto.
Nel 1581 fu nominato maestro dei novizi del convento di Arrizafa, poi a San
Francesco al Monte, nella Sierra morena. La solitudine conciliava la sua sete di
ascesi e di contemplazione. Ma anche lassù arrivò la peste. Insieme ad un
confratello, Francesco riprese a prodigarsi per aiutare gli appestati
della città di Montoro. Sempre di corsa e trafelato, il volto smagrito e livido
dalla stanchezza, nascondeva con la solita gaiezza il suo segreto: era stato
contagiato. Un giorno qualcuno gli domandò dove andasse con tanta gioia; egli
rispose: «Vado a cenare col mio Gesù; sono anch’io affetto da piaghe». Se
la cavò; mentre il compagno morì tra le sue braccia.
Nel 1583 Francesco fu nominato superiore o guardiano. La responsabilità temprò
il suo furore ascetico e, contro ogni privilegio gerarchico, si mise a fare i
lavori più umili come gli altri frati e creò fraternità. «Danzava nel coro e
nella cantoria maggiore e minore, ciò che non fanno i guardiani» racconta un
suo biografo.
Nel 1587 il Solano fu trasferito al convento di Zubia, 5 chilometri da Granada.
Preceduto dalla fama di medico, musicista, poeta e predicatore, i pulpiti lo
reclamavano, i poveri lo assediavano, gli ammalati lo invocavano. Francesco si
accorse che tanta popolarità metteva a rischio la sua umiltà e chiese di nuovo
di essere spedito in Africa. Fu destinato all’America. «Scelse la missione
del Tucuman, nel nord argentino, preferendola alla Colombia, Perù e Messico,
perché era la più difficile e faticosa e per desiderio di martirio».
«CANTATE
FRATELLI, IL MARTIRIO CI ATTENDE!»
Il
28 febbraio 1589 una flotta di 36 navi salpò da Sanlùcar, con a bordo 12
francescani, guidati da Baltasar Navarro, superiore del Tucuman. C’era anche
Solano. Aveva 40 anni. Era felice come una pasqua: pregava e cantava, aiutava e
rallegrava tutti i passeggeri, gli schiavi neri soprattutto, ai quali insegnava
il catechismo e teneva alto il morale con musica e buon umore.
A Santo Domingo scesero tutti a terra. Mentre l’equipaggio faceva
rifornimento di acqua e vettovaglie, scoppiò una lite furibonda con i nativi e
ci scappò più di un morto. Gli indios circondarono le navi. Per calmare gli
animi, Solano cominciò a suonare il violino; un confratello cercò di tirarlo
in salvo, ma egli ripeteva: “Cantate, fratelli, che ci attende il
martirio!”.
A maggio la flotta arrivò a Cartagena (Colombia). I frati proseguirono a piedi
per 500 chilometri, fino alle coste del Pacifico: quattro di essi morirono di
stanchezza e malattia.
Rimasero a Panama per cinque mesi. Com’era solito in ogni sosta forzata,
Solano cantava e curava malati, finché un galeone li prese a bordo, con altri
250 persone, per portarli in Perù. Ma, arrivati in vista dell’isola Gorgona
(Colombia), una furibonda tempesta spaccò la nave in due.
Una scialuppa cercò di mettere in salvo i naufraghi. Ma Solano e altri frati
rimasero accanto agli 80 neri finché non furono tutti portati a terra. Un
testimone racconta così quell’avventura: «Per tre giorni stemmo nella nave,
con l’acqua alla bocca, senza mangiare né bere né dormire, implorando la
misericordia di Dio. Fra’ Solano stette sulla poppa predicando. Da pane mia,
non ebbi ne sete e né sonno: con la sua predicazione e conforto mi sembrava di
aver mangiato fagiani».
Portati a riva più morti che vivi, i neri chiesero il battesimo, convinti di
essere scampati alla morte per le preghiere del francescano.
Seguirono due mesi di fame e isolamento. «Solano si prodigava per procurare
gamberi, pesci, erbe e radici da spartire tra i superstiti - racconta uno di
essi- Nessuno degli uomini e frati, per quanto si sforzassero, riuscivano
a pescare alcunché. Un giorno alcuni uomini si azzuffarono come lupi per
accaparrarsi le provvigioni e arrivarono alle armi. Il santo usci dalla capanna
flagellandosi le spalle fino al sangue e rampognando i contendenti per la loro
cupidigia. L’effetto fu immediato: quelli gettarono le spade e caddero ai
piedi del frate, abbracciandosi come fratelli».
Caricati su un brigantino, i naufraghi raggiunsero il porto peruviano di Paita.
I frati continuarono a piedi verso Lima. Dopo quasi 600 chilometri, i piedi
sanguinanti, sfigurati dalla fatica, i frati facevano pietà. Furono accolti in
una guarnigione militare, dove passarono la pasqua. Alla fine di maggio del 1590
raggiunsero Lima, accolti fraternamente nel convento di san Francesco, cuore
della provincia dei Dodici Apostoli.
COL
CAVALLO DI S. FRANCESCO
Un
mese dopo gli 8 frati ripresero il viaggio. Secondo il comando evangelico,
fra’ Solano non portava ne vesti di ricambio, né bisaccia; a quest’ultima
supplivano le capaci maniche del saio, dove ammucchiava tutto il suo capitale:
una croce di legno con l’immagine dipinta di Cristo, qualche soccorso per
infermi e mendicanti,un flauto e un rudimentale violino con archetto, costruiti
con le sue mani.
Fra’ Navarro aveva affittato 19 destrieri; ma Solano preferì «il cavallo di
san Francesco», per non perdere l’allenamento. E fece a piedi 3 mila e più
chilometri, scavalcando le Ande e attraversando altipiani a oltre 4 mila metri
di altitudine.
Ai primi di ottobre la comitiva arrivò al convento di Potosi (Bolivia), giusto
in tempo per la festa del poverello di Assisi. La ricorrenza fu celebrata con
una liturgia di canzoni e danze rimasta memorabile
Alla fine di novembre 1590, dopo 21 mesi di peripezie, Solano finalmente
entrava nella regione del Tucuman, la terra tanto sospirata.
MISSIONARIO
CANTAUTORE
Il
Tucuman era una regione immensa e inospitale, che abbracciava parte
dell’attuale territorio della Bolivia, nord dell’Argentina, Paraguay e Cile.
Terra fertile e ricca, in cui era iniziata da una quarantina d’anni la
colonizzazione spagnola. I francescani vi erano arrivati nel 1538.
Solano fondò la missione (riduzioni) di Magdalena di cui fu doctrinero
(parroco). In 15 giorni apprese il complicatissimo dialetto dei teconotes; poi
il «kalkam e un’altra ventina di idiomi della regione, diversi tra loro più
che il greco dal latino» afferma Francesco da Vittoria, vescovo di Tucuman.
Nel 1592 fu nominato custode o visitatore delle missioni del Tucuman,
estendendo così l’apostolato a tutta la regione. Per cinque anni moltiplicò
i viaggi dalle montagne del Cile alle sconfinate pianure del Gran Chaco per
incontrare gli indios, istruirli e convertirli alla fede, difenderli dai soprusi
dei bianchi, e per fondare missioni, costruire cappelle, soccorrere poveri e
bisognosi, curare infermi e scongiurare liti.
Tanta attività non lo distoglieva da contemplazione e penitenza. Per
proteggere la solitudine nella preghiera tracciava attorno alla capanna un
cerchio di 100 passi di raggio, che a nessuno era consentito oltrepassare. Ancor
oggi, a Santiago del Estero e altre località dove visse il santo, sono mostrati
ai visitatori i luoghi privilegiati dei suoi incontri con Dio. In fatto di
penitenza, poi, solo Dio sa come riuscisse fare tanta strada. «Sia in viaggio
che in convento - afferma un testimone - si nutriva di erbe e altri alimenti di
poca o nessuna sostanza».
Oltre che con la sua austera santità, Francesco Solano affascinava con la bontà
e dolcezza d’animo, l’eloquenza appassionata e l’estro musicale. Ora col
flauto, ora col violino traeva tali melodie, inventando musiche e parole, da
fare impallidire i nostrani cantautori. Gli indios non si stancavano di
ascoltarlo. Tra una musica e l’altra, egli sollevava in alto il crocifisso per
far capire che cantava per lui e solo per lui danzava.
L’amore per gli indigeni gli meritò sul campo il titolo di «protettore
degli indios». «Con pazienza e soave energia» ammoniva i coloni che li
maltrattavano; si recava di persona dalle autorità per chiedere giustizia «con
l’umile audacia dell’inviato di Dio». Ma non sempre gli riusciva.
Più fortunato era col Padre Eterno. Le testimonianze del processo di
beatificazione sono zeppe di racconti di fatti singolari: guarigioni istantanee,
apparizioni provvidenziali, acque nel deserto, come le «fonti di santo Solano»
a san Gioacchino di Trancas, ancora zampillanti.
Come il santo di Assisi, fra’ Solano amava gli animali ed era riamato. A San
Miguel del Tucuman, per esempio, durante una corrida, un toro infuriato saltò
la staccionata, minacciando sfracelli per la strada dove stava passando il
santo. La gente rimase a bocca aperta nel vedere l’animale rabbonirsi e
accostarsi al cordone del Solano come per baciarlo.
Nessuna meraviglia, quindi, se in cinque anni san Francesco Solano battezzò
200 mila indios.
PROFETA
VULCANICO
Nel
1595 Solano fu richiamato a Lima. Era in corso la riforma della chiesa avviata
dal vescovo Toribio da Mogrovejo. Anche i 200 frati del convento di san
Francesco avevano bisogno di spolverare gli ideali della
povertà
e umiltà francescana.
Per lanciare la riscossa spirituale, il commissario generale dell’ordine fece
erigere una casa di ritiri, il convento di S. Maria degli Angeli, detto poi «de
los descalzos». Solano fu nominato superiore. E contagiò tutti con musica e
santità. Ma le pratiche burocratiche lo facevano sentire come un pesce fuor
d’acqua; deperiva a vista d’occhio. Fu mandato a Trujillo; ma anche lì, suo
malgrado, dovette fare il superiore.
Elevata
a diocesi nel 1577, Trujillo rimase per 30 anni senza vescovo: come gregge senza
pastore, i cristiani avevano perso ogni ritegno. Solano arringava le folle con
la forza persuasiva della sua fede vissuta integralmente e con austerità. A
volte, per chiedere perdono al Signore per i peccatori, si flagellava a sangue
davanti alla gente, in chiesa e nelle piazze.
La sua vulcanica eloquenza sfociava a volte in profezie catastroflche: il 12
novembre 1603 predisse un terremoto che avrebbe distrutto la città, come di
fatto avvenne nel 1619.
Nel 1604 Solano era di nuovo a Lima e riprese a predicare nelle chiese piazze e
teatro, invitando tutti a conversione. Memorabile fu il discorso tenuto la
vigilia di natale di quell’anno in Piazza Maggiore, piena come un uovo. Diceva
che Lima era la bestia dell’Apocalisse, piena di concupiscenza e dei suoi tre
terremoti: cupidigia, superbia e lussuria. Come tre diluvi incombevano sulla
città e quella stessa notte l’avrebbero distrutta se la gente non si fosse
convertita.
Il santo parlava di terremoti morali; ma gli ascoltatori pensavano a quelli
reali, così frequenti in un paese vulcanico come il Perù. Per tutta la città
si diffuse in un baleno la notizia di una catastrofe imminente. La gente invase
chiese e conventi per avere l’assoluzione dei peccati; i confessori non
bastavano. Molti si confessarono pubblicamente: le madame rivelarono i peccati
più segreti; i signori le propri bravate e angherie. Per le strade si formarono
corte di flagellanti che invocavano misericordia. Fra’ Solano era contento
come il giovedì santo.
Non lo erano altrettanto le autorità civili ed ecclesiastiche, compreso il
Tribunale dell’inquisizione, che si radunarono per esaminare l’operato del
frate e Io chiamarono a una pubblica ritrattazione. Solano ripeté la predica
davanti all’assemblea e non fu trovato niente di riprovevole. ll viceré
concluse: «Lasciatelo in pace. Questo avvertimento viene da Dio». il profeta,
però, fu avvertito di non tenere più per strade e piazze simili sermoni,
Nell’ottobre
1609 Lima fu davvero colpita da un tremendo terremoto: chiese e case crollavano,
la terra si spaccava sotto gli occhi degli abitanti. La popolazione terrorizzata
cercò rifugio e consolazione da fra’ Solano. «Non temete, ripeteva. Dio non
vuole il male, ma che ci pentiamo e facciamo penitenza. Fra tre giorni le scosse
finiranno». E così avvenne.
Fra’ Solano continuò a battere strade e piazze di Lima, col crocifisso in
mano e gridando: «Misericordia e conversione».
CANTANDO
CON GLI UCCELLI
Austerità
e furore ascetico non riuscivano a nascondere la sua naturale allegria e
semplicità di carattere, tantomeno a soffocare la passione per la musica.
Cantava in cella per ore e ore: era il suo modo di pregare. Cantava di fronte
alle folle, per ispirare fiducia nel Signore, e davanti ai confratelli per
rallegrare il loro spirito.
E invitava gli animali a unirsi a lui nella lode al Signore. Gli uccelli gli si
posavano sulle spalle e sulle mani; volavano festosi e cinguettanti intorno a
lui. Allora egli estraeva dalle maniche il violino e cantava con loro le laudi
al Signore. «Che buon Dio abbiamo! Come ci è amico il Signore! Glorificato sia
il Signore!» ripeteva.
Gli ultimi cinque annidi vita furono un crescendo di popolarità. La gente lo
seguiva per le strade in cui passava abitualmente per soccorrere poveri e
malati, affollava luoghi e chiese dove predicava, lo inseguiva in convento, dove
cercava isolamento per pregare.
ASPETTANDO
LA PARTENZA
«Mi
trovo molto debole e con poca salute, aspettando l’ora di partenza da questa
valle di lacrime» scriveva alla sorella Ines alla fine di maggio 1610. Fatiche
e penitenze lo avevano consumato. Un mese dopo fu internato nell’infermeria
del convento di san Francesco, assistito giorno e notte dal confratello nero,
frate Anton. «Quando sarai in cielo, diventerai bianco», gli diceva il santo.
A un passo dalla morte, non perdeva la voglia di scherzare. Quando i frati gli
domandarono se preferiva andarsene durante la festa di san Bonaventura o della
Porziuncola, l’infermo scelse quella di san Bonaventura, 14 luglio; la
Porziuncola l’avrebbe celebrata in cielo. Quel giorno, mentre la comunità
stava cantando l’introito della messa, una scossa fece tremare le pareti;
presi da un misterioso presagio,. i frati interruppero la messa e corsero nella
cella del Solano: lo trovano abbracciato al fratello nero nell’atto del
congedo. Mentre a sua richiesta i confratelli cantavano il credo, egli spirò
dicendo: “glorificato sia il Signore”.
Il funerale fu un’apoteosi. Vi partecipò tutta la città, che già lo
invocava come santo. A trasportare la salma furono il viceré, l’arcivescovo e
altri illustri personaggi.
Lo stesso anno della morte iniziò la raccolta delle informazioni sulle virtù
eroiche: nel 1675 Clemente X lo dichiarò beato e nel 1726 Benedetto XIII lo
proclamò santo.
TESTO
DI BENEDETTO BALLESI DA MISSIONI CONSOLATA MARZO 2002
I
FIORETTI DI FRA’ SOLANO
PANE
INSANGUINATO
Quando
frà Solano si reco a La Rioja, fu invitato a pranzo da un uomo molto ricco, che
approfittava degli indios e li trattava molto crudelmente. Sedutosi a mensa in
santo prese del pane e lo strinse tra le mani. Con grande stupore dei
commensali, dal pane uscì del sangue. Si alzò allora e disse con voce amara ed
energica: Non mangerò mai alla mensa di chi serve del pane impastato con il
sangue degli umili”.
SOLANO
INNAMORATO
Il
soldato Fernando Avendano racconta di aver sorpreso più volte il Solano
nell’orto conventuale, col volto “allegrissimo” e il violino in mano, a
cantare come un giullare a una “donna molto bella” che l’aspettava
nascosta dietro un velo sull’altare di Trujillo. Era la Vergine Madre.
Sempre a Trujillo, fra Solano aveva fatto amicizia con la famiglia Sanchez. Il
frate vi ricorreva spesso per chiedere alimenti e medicine.
Punta da curiosità un giorno la signora domandò dove andasse con le maniche
colme di ogni ben di Dio. “Da una innamorata che ho fuori della città”
rispose il santo.
L’innamorata era una lebbrosa. Il frate la curava, le puliva la casa, e le
preparava da mangiare con le sue mani.