Le Marche sono una regione situata al centro della penisola italiana, compresa tra gli Appennini, che  la delimitano ad occidente, ed il mare Adriatico, che la bagna ad oriente. Il territorio delle Marche è geologicamente "giovane" e quindi ancora in corso di assestamento; per questo si susseguono spesso molti terremoti.

La pianura è quasi inesistente, le colline, infatti, arrivano quasi ad affacciarsi sul mare. I fiumi più importanti sono: il Foglia e il Tronto. Il lago di Pilato, di origine glaciale, sugli Appennini è situato alla quota di 1954 metri; gli altri laghi di dimensioni ridotte hanno origine artificiale e sono i laghi di Grazie di Caccamo, di Fiastra e di Talvacchia.

 

 

La prima tappa del nostro viaggio sarà Gubbio, una bella città umbra:

  

 

La storia

 

Gubbio – Iguvium – fu antichissimo insediamento umbro, testimoniato dalle famose Tavole Eugubine, che sono sette lastre in bronzo, rinvenute nel XV secolo, scritte in lingua umbra e risalenti probabilmente alla fine del II secolo a.C. Alleatasi con Roma all'inizio del III secolo a.C., Gubbio divenne nel 90 a.C. Municipio facente parte della tribù Crustumina. Venne in seguito distrutta da Totila. La città tornò a fiorire dopo il 1000 e, dal XI secolo, fu libero Comune, inizialmente ghibellino, quindi guelfo. Nel 1350 Gubbio divenne Signoria governata prima dai Gabrielli e dopo dai Montefeltro di Urbino, vivendo un lungo periodo di pace e prosperità.

Nel 1508 ai Montefeltro successero i Della Rovere e l'ultimo membro di questa famiglia cedette la città al Papa nel 1624; nel1860 entrò a far parte del Regno d'Italia. Gubbio è certamente una delle più caratteristiche e pittoresche città non solo dell'Umbria, ma d'Italia.

 

La città

 

Situata nella parte più alta di un altipiano ai piedi del Monte Ingino, presenta una struttura urbanistica piuttosto semplice, ovvero cinque strade parallele situate a diversi livelli sul pendio della montagna e collegate tra loro da vicoli e gradoni. La struttura degli edifici è prevalentemente romanica, con inserimenti di archi ogivali; tipica della città è la cosiddetta "porta del morto", un'apertura più stretta e posta più in alto della porta principale, attraverso la quale, secondo la tradizione, si facevano passare le bare dei defunti, ma questa è solo un’ipotesi.

Il paesaggio cittadino è dominato dalla possente mole del Palazzo Dei Consoli. Realizzato tra il 1332 e il 1337, attribuito da alcuni al Gattapone e da altri ad Angelo da Orvieto, il palazzo, elegante ed imponente, ha pareti lisce e semplici, ornate da finestre con archi a tutto sesto al primo piano; nella parte superiore presenta un coronamento di archetti ogivali e merli rettangolari (guelfi); notevole la scala a ventaglio che dà accesso, attraverso un portale gotico, all'ampio salone d'ingresso. Il Palazzo ospita il Museo Civico e l'importante Pinacoteca Comunale, con opere di artisti locali e maestri toscani. Un altro edificio di grande interesse è il Palazzo Ducale, di antichissima origine longobarda e ristrutturato nella forma attuale alla fine del XV secolo per ordine di Federico da Montefeltro. Splendido il cortile interno, in pietra serena e mattoni, ed elegantissimi gli interni di cui purtroppo rimane ben poco.

Di fronte a questo palazzo si erge il Duomo, chiesa gotica trecentesca; la facciata, restaurata nel '500, presenta un bel portale gotico, i simboli degli Evangelisti e un Agnello Mistico del '200 appartenuto alla chiesa primitiva. L'interno ha un'unica navata caratterizzata da 10 grandi archi ogivali che sostengono il tetto; da ammirare uno splendido piviale fiammingo in broccato d'oro. In piazza 40 Martiri è situata invece la Chiesa Di S. Francesco, costruita in forme gotiche nel XIII secolo e attribuita, ma con molti dubbi, a Fra' Bevignate; la facciata, incompleta e manomessa, presenta un portale gotico, una cornice di archetti e un piccolo rosone proveniente dalla Chiesa di S. Francesco di Foligno. L'interno, a tre navate, ha una ricca decorazione pittorica, e la cappella dell'abside destra, dedicata a S. Francesco, è ritenuta costruita sulla casa degli Spadalonga, luogo della vestizione del Santo. Nelle vicinanze della piazza è l'austero Mausoleo Dei 40 Martiri, eretto in memoria dei 40 eugubini trucidati dai nazisti il 22 giugno 1944. Nella parte bassa della città può essere ammirato il Teatro Romano, una struttura molto grande e ben conservata, costruita in blocchi squadrati e bugnati; dopo un accurato restauro, il teatro ospita importanti eventi culturali. Molti altri sono gli edifici d'interesse storico e culturale che caratterizzano Gubbio: il Palazzo Pretorio, in piazza della Signoria di fronte al Palazzo dei Consoli, costruito a metà XIV secolo dal Gattapone in stile gotico; il Palazzo Del Bargello, elegantissima dimora medievale; la chiesa di S. Maria Della Vittoria, detta "la Vittorina", annessa a un convento francescano; la bella chiesa gotica di S. Giovanni Battista e quella di S. Domenico, e, infine, la famosa Fontana dei Pazzi. La Basilica Di S. Ubaldo, infine, è dedicata a S. Ubaldo – vescovo e patrono della città vissuto nel secolo XII –. Ha origini medievali, ma venne ricostruita più grande nel 1514. Conserva un notevole portale del '500 e un bel chiostro francescano; l'interno è suddiviso in cinque navate e sull'altare maggiore è collocata l'urna rinascimentale che custodisce il corpo del Santo, qui trasportato nel 1194. Nella navata di sinistra trovano posto i Ceri.

 

Ci sarebbe piaciuto poter assistere alla Corsa dei Ceri, cosa che però non avverrà perché è una festa che si svolge nel mese di maggio.


LA CORSA DEI CERI

 

La Corsa dei Ceri è sicuramente la festa più eccezionale ed eccitante al mondo, si celebra il 15 di maggio, vigilia di S. Ubaldo. I Ceri sono tre enormi macchine in legno di forma ottagonale, fissate in basso a delle barelle, e alte circa sette metri, ognuna sormontata dalla statua di un Santo: S. Ubaldo, S. Giorgio, S. Antonio abate. I Ceraioli hanno tre diverse camicie, gialla per S. Ubaldo, azzurra per S. Giorgio, nera per S. Antonio. I Ceri, custoditi nella Basilica di S. Ubaldo, vengono portati in città la prima domenica di maggio; al mattino del 15 maggio i tamburi suonano la sveglia al Capitano, quindi i Ceraioli s'incontrano e sorteggiano i due Capitani dei Ceri; dopo la consegna del mazzolino di fiori ai Ceraioli parte la sfilata per le vie della città fino a Piazza della Signoria. A mezzogiorno suona il Campanone del Palazzo dei Consoli e avviene l'alzata dei Ceri, con ogni Capodieci che versa acqua da una brocca su un punto preciso del Cero e dei quali i cocci sono oggetti di buon augurio. Alle ore 18 i Ceri vengono rialzati, quindi benedetti e poi inizia la corsa lungo la discesa di via Dante; dopo una sosta in Piazza della Signoria i Ceri compiono tre "virate" e partono a gran velocità verso la Basilica di S. Ubaldo. Il vincitore non è il primo che arriva ad entrare in chiesa, infatti S. Ubaldo deve sempre entrare per primo, con gli altri che seguono non mutando l'ordine di partenza. Il vincitore viene individuato in base all’abilità dimostrata nella corsa.

 

 

 

Arrivati a Gubbio abbiamo subito iniziato a girare per la cittadina, osservando i monumenti più importanti che molti di noi conoscevano a memoria.

Purtroppo, però, il Palazzo Ducale era chiuso per restauri, ma dalla piazza, che si trova di fronte all’edificio, abbiamo potuto osservare lo splendido panorama.

Attraversando le vie molto strette che caratterizzano Gubbio, abbiamo osservato numerosi negozi di souvenir e molti si sono fatti trasportare dalla voglia di shopping e sono usciti dai negozi, sventolando balestre, pugnali ed altre cose del tutto “innocue” e costringendo le prof. a sequestrare momentaneamente gli oggetti.

Poi ci siamo spostati ancora più in alto per visitare il duomo dove sono esposti antichi dipinti ed altrettanto antiche spoglie di vescovi, conservate benissimo.

Abbiamo raggiunto, quindi, il Teatro Romano dove non è mancata una bella partitella a “schiaccia sette”.

Poi siamo saliti sul pullman: destinazione Pesaro.

 

 

 

Alla fine della giornata arriveremo a Pesaro dove abbiamo prenotato l’albergo.

 

Prima di andare a cena faremo una passeggiata nel centro della città.

 

La moderna denominazione di Pesaro sembra derivare dal fiume che bagna la città presso la propria foce, l'odierno Foglia, che in epoca romana si chiamava Pisaurum. Ancora più complessa è la questione delle origini; l'ipotesi più accreditata vuole che i primi a stanziarsi nel territorio metaurense siano stati gli Umbri, cui si sarebbero in seguito sovrapposti prima i Pelasgi, poi gli Etruschi, quindi i Galli Senoni. Documentata storicamente è, invece, la cacciata dei Galli da parte dei Romani nel 283 a.C., operazione completata un secolo dopo (184 a.C.) dall'invio di una colonia militare condotta da Q. Fabio Labeone, M. Fulvio Nobiliore e Q. Fabio Flacco cui seguirono quelle capeggiate da Silla, Giulio Cesare e Antonio, fratello del triumviro. Tali colonie non alterarono, però, la compagine politica dei municipi locali che conservarono la loro autonomia amministrativa e acquistarono anche ulteriori franchigie quando, più tardi, fu loro accordata la cittadinanza romana.

 

"Sfera grande" detta anche “la palla di Pomodoro”. Nel Piazzale della Libertà, al centro dei giardini, c’è un’enorme sfera con caratteristici meccanismi, creata dal famoso scultore Arnaldo Pomodoro; adesso è uno dei simboli di Pesaro e il piazzale è il luogo d’incontro dei cittadini.

 

 

 

 

E così  è stato.

Dopo esserci sistemati in albergo, siamo usciti per fare una passeggiata sul lungomare di Pesaro.

Il mare, a causa di un freddo vento, era molto agitato e si poteva udire  lo scroscio delle onde sugli scogli.

Il marciapiede, che limitava la strada dalla spiaggia, era piastrellato con mattonelle di colore azzurro-rosa, che rappresentavano motivi geometrici intervallati, a distanza regolare, da spazi d’erba adornati da bellissimi fiori dagli sgargianti colori.

Dal marciapiede si potevano notare le cabine, allineate e tinteggiate da poco con diversi colori, degli stabilimenti balneari ancora completamente deserti..

Proseguendo per il lungomare abbiamo subito notato la scultura di Giò Pomodoro : “La Palla di Pomodoro”.

Ci ha colpito per la sua  immensità e maestosità.

La “Palla” è in bronzo e al suo interno sembra contenere tanti grattacieli.

Oltre che dalla bellezza della scultura siamo stati affascinati dal contesto in cui è inserita .

Nel Piazzale della Libertà, infatti, dove sorge il monumento, ci sono giardini con fiori dai colori vivaci, ma soprattutto è particolare la pedana su cui essa è eretta. È una grande vasca di forma circolare in cui cade, silenziosamente l’acqua, che bagna la “Sfera grande”.

Ma altro motivo di attrazione di Piazzale della Libertà è il “Villino Ruggeri“, costruzione in stile liberty di color verde pistacchio adornata da bellissimi ghirigori di un candido bianco.

La sera, dopo una ricca cena,  ci siamo diretti verso il bellissimo centro storico di Pesaro.

Arrivati nel corso principale, abbiamo notato un’infinità di negozi eleganti, noti anche a Roma, che purtroppo non abbiamo potuto visitare per l’ora tarda.

Un gruppo di alunni, in compagnia della prof.ssa Cacciamani, ha sostato nella grande piazza del centro della città, per cercare di riconoscere gli stili architettonici dei palazzi.

Il centro storico per la sua bellezza e semplicità ci è molto piaciuto, come del resto l’intera Pesaro.

 

 

 

 

Il giorno seguente andremo a visitare le Grotte di Frasassi.

Le grotte ci attirano molto per le strane concrezioni che si formano al loro interno: non vediamo l’ora di andarle a visitare!

 

 

Che cosa sono le stalattiti e le stalagmiti?

Le stalattiti sono le concrezioni calcaree che scendono dalla volta delle grotte. Le stalagmiti hanno composizione analoga ma salgono dal pavimento della grotta verso l'alto. Dalla volta della grotta, infatti, cadono gocce d'acqua satura di calcite - o carbonato di calcio -, il minerale presente nelle rocce calcaree di cui sono ricche molte grotte carsiche. L'acqua inizia a formare sottilissimi tubicini, intorno ai quali si deposita la calcite. Queste concrezioni, con il passare del tempo, assumono forma conica e si sviluppano in spettacolari stalattiti. Lo stillicidio che scende dall'alto deposita acqua ricca di calcite anche sul pavimento della grotta. L'acqua tende ad evaporare mentre la calcite si accumula in cilindri calcarei che, a poco a poco, divengono stalagmiti.

Molto sovente una stalattite e una stalagmite possono arrivare a congiungersi, formando una colonna.

 

 

Il Carsismo

 

La parola "Carso" deriva da Karra che significa pietra.

L'insediamento dell'uomo nei suoli calcarei è in atto sin dalla preistoria per la possibilità offerta di utilizzare le grotte. Presupposti fondamentali perché si individuino dei paesaggi carsici, sono la presenza di rocce solubili e di un clima favorevole.

Il paesaggio carsico, la cui forma più tipica è la dolina, è caratterizzato dall'assenza quasi totale della rete idrica superficiale, dalla presenza di punti di perdita nel sottosuolo delle acque piovane e dalla fuoriuscita di acque sotterranee sotto forma di sorgenti.

In generale la circolazione idrica sotterranea in questi terreni si sviluppa in una rete più o meno diffusa con diversità strutturali, generatisi nelle rocce.

 

 

Le grotte di Frasassi

 

Nel 1966 un componente del Gruppo Speleologico fabrianese, Maurizio Borioni, troverà all'interno della Grotta del Fiume un'ulteriore diramazione, della lunghezza di oltre un chilometro. Cinque anni dopo, nel luglio 1971, una nuova scoperta.

 

 

Stavolta sono alcuni giovani jesini a trovarsi di fronte ad una stretta apertura da cui fuoriesce una notevole corrente d'aria.

Lavorano per circa un mese ad ampliare lo stretto passaggio, e il primo agosto successivo oltrepassarono quella che sarà definita la "Strettoria del tarlo". Si apriranno così alla meraviglia dei giovani circa cinque chilometri di nuove cavità, con un insieme di cunicoli, pozzi e imponenti gallerie, all'interno delle quali troveranno tracce animali conservate attraverso i millenni.

Le scoperte di questo anno fortunato non finiscono qui. La prima traccia della scoperta più rilevante, quella della Grotta Grande del Vento, si avrà il 25 settembre dello stesso 1971, quando Rolando Silvestri del Gruppo Speleologico Marchigiano Club Alpino Italiano di

 

Ancona, attraversando le pendici nord del monte Vallemontagnana, scoprì un piccolo imbocco. Con l'aiuto di alcuni amici riuscì ad aprire un varco in una piccola sala. Alla delusione per la piccola scoperta si accompagnò quasi subito la speranza che ci fosse in vista qualcosa di ben più grande.

Nella piccola sala, infatti, vi erano numerose aperture da cui fuoriuscivano correnti d'aria. Dopo una faticosa opera di scavatura, che durerà alcuni giorni, s'inoltrarono in una strettoia e di qui scivolarono in direzione del ciglio di un vuoto.

 

Gettarono un sasso nel vuoto e si resero conto dell'ampiezza e della profondità della grotta. Il loro calcolo, non lontano dal vero, fu di oltre cento metri. Una scoperta incredibile, che creò grande entusiasmo tra i membri del gruppo. La meravigliosa Grotta Grande del Vento fu consegnata così all'ammirazione dell'uomo. Il problema diventò a quel punto per loro cercare di penetrare nella cavità e raggiungere il fondo. In tempi rapidi si munirono della necessaria attrezzatura e, con una nuova spedizione, si calarono nell'enorme grotta sottostante cui sarà dato il nome di "Abisso Ancona".

Le luci degli speleologi anconetani misero subito in evidenza lo splendore e la singolare bellezza di questo nuovo ambiente. La scoperta fu diffusa e fatta conoscere anche attraverso la stampa.

Le due enormi grotte diventarono così, d'ora in poi, un enorme labirinto di ambienti sotterranei che si susseguono incessantemente per oltre tredici chilometri. Soltanto gli speleologi, con attrezzature particolari e non senza talune difficoltà, sono in grado di esplorare nella sua interezza questo stupendo mondo sotterraneo; agli altri non restano che le foto, pur bellissime. Sul finire del 1972 venne costituito il "Consorzio Frasassi", con l'obiettivo di salvaguardare e valorizzare le grotte di Frasassi e il territorio comunale entro cui si trovano. Il Consorzio venne costituito tra il Comune di Genga e la Provincia di Ancona. Fu costruita una galleria artificiale di oltre 200 metri, che conduceva all'ingresso della Grotta Grande del Vento, e poi all'interno fu tracciato un comodo percorso di circa 600 metri. Si erano così realizzate le condizioni minime per rendere accessibile ai turisti una delle parti più belle della Grotta Grande del Vento.

L'apertura risale al 1° settembre 1974; da allora numerosi turisti continuano a visitare questi luoghi incantevoli in cui possono apprezzare la bellezza, lo splendore e la maestosità della natura.

 

 

 E finalmente siamo arrivati alle grotte di Frasassi. Accanto al parcheggio c’era un piazzale pieno di bancarelle dove ci siamo fermati per circa un’oretta. Alle undici meno dieci è arrivato un pullmino (assomigliante agli autobus dell’Atac) che ci ha portato all’ingresso della grotte.

Qui le prof.sse hanno distribuito i biglietti che abbiamo timbrato, per entrare.

Siamo entrati in un cunicolo e dietro di noi si è chiusa una grande porta a chiusura stagna.

La guida ci ha spiegato che si usano quelle porte perché l’aria esterna può alterare il clima e le concrezioni della grotta.

Ci ha spiegato anche le regole  da rispettare e poi siamo entrati nella prima sala: la Grande Grotta del Vento.

È una sala tanto grande che può contenere il duomo di Milano.

Le concrezioni che ci hanno colpito di più sono “i Giganti” e “La Madonnina degli speleologi” (stalagmiti) e la “Fetta di pancetta”.

La terza sala si chiama “sala delle candeline”, perché  c’è  un laghetto da cui spuntano tante stalagmiti che sembrano appunto delle candeline.

Sempre  in questa sala ci sono anche le “Canne d’organo” che se vengono toccate con oggetti metallici vibrano, producendo suoni.

La quarta sala si chiama “sala dell’orsa” dove le uniche cose interessanti sono una grande concrezione a forma di orsa, che dà il nome alla sala, e la spada di Damocle che è la stalattite più lunga della grotta (7.5 m).

La guida non mostrava nessuna emozione e parlava come una macchinetta senza cambiare il tono della voce.

La stessa navetta poi ci ha riportato al parcheggio.

 

 

 

Visitate le grotte, ci dirigeremo verso Fabriano, dove, oltre a visitare la città, andremo al Museo della carta. Dalle notizie dateci dalle professoresse abbiamo saputo che nel museo ci faranno fare la carta.

Sarà un’esperienza nuova, interessante e divertente.

Alla fine della giornata torneremo a Pesaro, in albergo.

 

 

Uno spazio, all’interno del Museo della carta e della filigrana di Fabriano, è stato riservato a laboratorio didattico concepito come luogo di ricezione, produzione ed elaborazione del sapere, in cui noi ragazzi saremo protagonisti apprendendo attraverso un approccio ludico. Lo scopo del laboratorio, dunque, non è quello di far diventare noi ragazzi di oggi i futuri artisti di domani, ma quello di liberare la creatività che ognuno di noi possiede tramite il gioco e l’esperienza diretta con i diversi materiali usati per la realizzazione di elaborati.

 

Esemplificativo a tal proposito è l’antico proverbio cinese che dice: “Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco”. Il museo non è solo il luogo della ricerca scientifica, ma anche quello in cui il ragazzo e l’adulto possono vivere delle esperienze culturali, umane, emozionali ed estetiche. Per raggiungere questo obiettivo didattico la struttura museale deve presentare caratteristiche precise, deve cioè essere resa accessibile e comprensibile ad un pubblico di bambini e ragazzi desiderosi di apprendere.

Il percorso museale stesso può essere modificato a seconda delle diverse esigenze del pubblico e la visita guidata sostituita, su richiesta delle stesse scuole, con una “visita animata” arricchita cioè da una serie di giochi,  usate per facilitare la comprensione e per rendere l’incontro più interattivo possibile.

 

 

 

E finalmente è arrivato uno dei momenti più attesi di questa gita: la creazione del foglio di carta.

Dovevamo immergere il vassoio filigranato in una piccola vasca piena di cellulosa e far scolare l’acqua, tenendo il foglio leggermente inclinato, per finire l’opera bisognava spingere forte il vassoio su di un  telo di lana in modo da far uscire dallo stampo il foglio.

I teli venivano lasciati uno sull’altro ad asciugare per poi essere definitivamente pressati.

E stata un’esperienza molto interessante e del tutto nuova, che molti di noi sarebbero sicuramente pronti a ripetere!  

 

 

 

Il viaggio storico della carta

 

Una delle prime descrizioni in lingua italiana sull'abilità dei Cinesi di fabbricare la carta è fornita da Marco Polo in un passo del suo Milione. Egli accenna alla materia con cui viene fabbricata la carta valori: paglia di tè o di riso, canna di bambù e stracci di canapa. Si narra che gli Imperatori Cinesi abbiano mantenuto, per lungo tempo, gelosamente segrete queste tecniche di lavorazione, le quali solo nel VII secolo si diffondono, prima in Corea poi in Giappone ed, infine, vengono praticate anche nell'Asia centrale a Samarcanda, dove si vuole che gli Arabi le apprendano dagli stessi Cinesi per introdurle nei paesi del Medio Oriente e dell'area mediterranea. E' ormai certo che sono gli Arabi i primitivi maestri dei cartai Fabrianesi e che il lino e la canapa sono le stesse materie prime usate a Fabriano per fabbricare carta.

 

 

Le tecniche innovatrici introdotte e perfezionate dai Fabrianesi influiscono in modo determinante sulla resistenza al tempo e agli agenti patogeni e sulla qualità della carta, che diviene gradatamente la materia scrittoria più diffusa e più conveniente perché meno costosa della pergamena e degli altri materiali usati prima della sua invenzione.

Con la nuova tecnica dei caratteri mobili per la stampa la carta, nella seconda metà del XV secolo, assume il ruolo di strumento e di veicolo insostituibile per la diffusione della cultura e della informazione. Grazie alle innovazioni apportate dai maestri cartai Fabrianesi, la carta si afferma come l'unica materia a cui l'uomo affida la parola scritta per comunicare e tramandare il suo pensiero e le opere del suo ingegno.

 

 

FABRIANO

Città della carta

 

Fabriano, uno dei Comuni più estesi d’Italia con i suoi 269,61 Kmq. di superficie, è posta in una pittoresca vallata, circondata da colline, al di là delle quali si ergono il Monte San Vicino (mt. 1435) e il Monte Cucco (mt.1567) oltre il quale svetta maestoso il Monte Catria (mt.1702). Gli storici maggiori affermano che il vocabolo "Fabriano" trae origine dal nome gentilizio "Faberius", proprietario del fondo su cui si eresse la città stessa. E’ città dalle origini antichissime. Molti ritrovamenti attestano che il territorio è stato abitato fin dall’Era Preistorica. La storia di Fabriano si perde dunque nel tempo. E’ certo, tuttavia, che il primo vero nucleo fabrianese fu dovuto al convergere della zona delle popolazioni degli antichi Municipi romani a più ondate ed in un ampio arco di tempo, dalla necessità di sfuggire alle invasioni barbariche abbattutesi a più riprese nella loro città. Durante il Medioevo accanto alle attività agricole fiorirono le prime botteghe artigianali. Ben 38 erano le Fabbrerie dalle quali uscivano manufatti che, per lo più, venivano esportati fuori città. Famose le molle per il fuoco o  dette volgarmente "le chiappe" di Fabriano. Ma tantissime altre furono le attività artigianali che svolsero nel tempo un fondamentale ruolo. Tra queste emersero per particolare significato: l’Arte della Lana, l’Arte dei Conciatori di pelle, l’Arte dei Calzolari ecc. fino a giungere all’Università dei Cartari. Anche l’arte ebbe un grande sviluppo grazie a tanti prestigiosi nomi a cominciare dal sommo Gentile da Fabriano ed alla cosiddetta Scuola fabrianese che potè annoverare una lunga schiera di apprezzabili artisti. Per molti secoli Fabriano  appartenne allo Stato Pontificio, nel 1860 fu annessa con plebiscito al Regno d’Italia. Dopo il 1860 la storia di Fabriano è comune a quella di tante altre città e, cioè, è stata strettamente legata agli avvenimenti politici e militari del nostro paese. Nelle due Grandi Guerre e soprattutto nella Resistenza seguita all’8 settembre 1943 la comunità fabrianese ha espresso una rilevante partecipazione ed ha pagato quei tragici periodi con enormi contributi di rovine e di sangue. Oggi Fabriano può vantarsi di essere una città molto operosa ed attiva sia dal punto di vista industriale (per la presenza di grosse entità, tra le quali "Le Cartiere MILIANI", le industrie "ARISTON" ed una miriade di altre aziende efficienti) che da quello culturale e sociale.

 

 

 

Ma, usciti dal Museo della Carta, una brutta sorpresa ci attendeva: un     grande acquazzone faceva definitivamente sfumare la nostra possibilità di visitare anche la cittadina di Fabriano, costringendoci a tornare sul pullman più o meno zuppi e con delle intere zolle di fango sotto le suole delle scarpe.

 

 

L’ultimo giorno visiteremo Urbino in cui ci sono la Pinacoteca e il Palazzo Ducale.

 

 

Le origini di Urbino

 

La città di Urbino ha origini lontane e il Poggio, il colle dove sorse "Urvinum Mataurense" divenuto municipio romano, fu abitato fin dalla preistoria. In epoca romana Urbino ebbe il carattere di città fortificata. Ciò non impedì a Belisario, generale bizantino, di conquistarla, strappandola così ai Goti nel dicembre del 538. Sotto i bizantini, Urbino fu inserita, insieme a Fossombrone, Iesi, Cagli e Gubbio, nella Pentapoli Annonaria.

Nel 733 discese in Italia Carlo Magno che, dopo aver distrutto il regno longobardo, fece la celebre donazione con la quale anche Urbino fu assegnata alla Chiesa.

Nel 1155 fanno la loro comparsa sulla scena urbinate i Montefeltro, di origine germanica, poi succedettero i Della Rovere fino al 1631 e poi la città passò nelle mani della Santa Sede. La peculiarità di Urbino, capitale di uno Stato fiorente e "centro delle discipline matematiche e dell'arte astratta del Rinascimento" (Chastel), non poteva non essere, e lo è tutt'oggi, il luogo ideale per il nascere e il prodursi di grandi personalità e di ingegni sommi: Raffaello Sanzio (1483-1551), il "divino" pittore e  Donato Bramante (1444-1514), il genio meraviglioso dell'architettura.

 

 

Palazzo Ducale

 

Quando Federico si stabilì a Urbino, fissò la sua dimora nel vecchio Palazzo paterno che si innalzava dove oggi è il Palazzo dell'Università.

Poi nel 1454 Federico volle trasformare la dimora paterna affidando i lavori al Fiorentino Maso di Bartolomeo, così sotto la supervisione del Duca nel 1455 fu iniziata la costruzione del nuovo Palazzo e la ristrutturazione dei vecchi edifici preesistenti. I Torricini furono costruiti dall'architetto Luciano Laurana che aveva anche la direzione di tutti i lavori. Il Laurana con la facciata dei Torricini, simbolo di Urbino, collegò due edifici preesistenti separati da un forte dislivello. La scala a chiocciola metteva in comunicazione l'appartamento del Duca con le stalle e il Mercatale.

Quando Laurana partì da Urbino nel 1470/1472 prese il suo posto il senese Francesco di Giorgio Martini che completò il Palazzo modificando alcuni lavori del Laurana. Con la morte del Duca Federico il 10/09/1482 nella guerra di Ferrara si fermarono i lavori anche se il Palazzo era quasi terminato e ormai abitabile.

 

Palazzo Comunale

 

Il palazzo, fino alla metà del ‘400 circa, fu la dimora di un ramo dei Montefeltro e reca ancora i segni evidenti di quel periodo come il portale d'ingresso e le finestre.

Nel 1712 subì radicali modifiche per ordine del cardinale Albani.

Sulla facciata che guarda Piazza della Farina spicca una riproduzione della Madonna di S. Luca. Nella facciata verso il Duomo in laterizio, si scorgono tracce di antiche aperture dove sono murate diverse lapidi commemorative. Nell'ingresso c'è un busto dell'onnipresente cardinale mecenate e una dedica al Patrio Consiglio, poco avanti c'è un pannello marmoreo con infisse delle verghe di ferro, unità di misura riferite al XV secolo.

 

 

 

Arrivati ad Urbino, abbiamo subito potuto osservare che all’interno della cittadina non erano quasi per niente presenti edifici di taglio moderno, ma tutte abitazioni dei secoli passati. Dopo  aver visitato il Palazzo Ducale siamo entrati anche nella casa di Raffaello Sanzio.

Al suo interno vi sono numerosi dipinti fatti dall’artista, purtroppo tutte copie; rimasto orfano a  12 anni lavorò in molte città d’arte tra cui Roma, dove è sepolto. 

 

 

La maggior parte delle città marchigiane ha dato i natali  o ospitalità a personaggi importanti: qui di seguito abbiamo riportato notizie sulla vita di alcuni di essi.

 

 

 

I PERSONAGGI FAMOSI  DI IERI

 

 

Guido I da Montefeltro

 

Nato intorno al 1220, signore della contea di Montefeltro, fu un abile uomo politico ed un condottiero, lodato da Dante nel “Convivio” e dal Villani nelle sue "Cronache".

Capo del partito ghibellino in Romagna e Toscana, Guido da Montefeltro fu vicario di Corradino di Svevia nel 1268, e si segnalò per parecchi fatti d'arme.

Quando la città di Forlì si rassegnò a cedere al dominio papale, Guido dovette far atto di sottomissione e fu inviato al confino.

Nel 1289 fu podestà a Firenze e ne guidò le armate nella guerra contro Pisa, poi, divenuto signore di Urbino, difese la città dai ripetuti attacchi di Malatestino da Verrucchio, podestà di Cesena.

Nel 1296, infine, Guido si riconciliò con il papa e, entrato nell'Ordine francescano, morì nel monastero di Assisi nel 1298.

Un episodio della vita di Guido dopo l'ingresso in convento: “Egli, ormai pentito e riconciliato con Dio, era destinato alla salvezza eterna, quando papa Bonifacio VIII, ricordando la sua abilità di stratega, gli chiese consiglio per espugnare con l'inganno la città di Palestrina e sconfiggere definitivamente la nemica famiglia dei Colonna. La città fu presa, ma il papa venne meno ai patti e negò a Guido l'assoluzione per il suo peccato”.

 

 

Gentile da Fabriano

 

Nacque a Fabriano nel 1370 circa. E’ stato un rappresentate del gotico internazionale, pittore di cultura fiamminga e lombarda. Le sue prime opere, tra le quali il Polittico di Valle Romita, presentano i caratteri tipici della sua pittura: ricchi panneggi, linearità dei contorni, fastosità dei costumi. Dal 1414 al 1419 fu a Brescia, poi probabilmente a Fabriano e a Siena; a Firenze nel 1422 eseguì per la cappella di Palla Strozzi in Santa Trinita la famosa Adorazione dei Magi, quadro ricco e immerso in un’atmosfera fiabesca, che ora si trova agli Uffizi di Firenze. Nel 1425 dipinse, sempre a Firenze, il Polittico Quaratesi oggi smembrato fra Londra, Firenze, Vaticano e Washington; nello stesso anno l’artista fu a Siena e poi a Orvieto. Nel 1427 si trova a Roma, dove iniziò nella basilica di S. Giovanni in Laterano un ciclo di affreschi, che poi furono distrutti con il rifacimento secentesco della chiesa.

Morì a Roma nel 1427.

 

 

Raffaello Sanzio

  

Raffaello Sanzio nacque a Urbino nel 1483 diventando una delle figure più importanti del Rinascimento. All'inizio si dedicò all'attività pittorica con l'influenza dello stile del Perugino. Verso la fine del 1504 Raffaello andò a Firenze, con l'intenzione di studiare le opere di Leonardo da Vinci e Michelangelo, dove realizzò nuove pitture come la "Madonna con il bambino"; le prove successive furono improntate alla tecnica della prospettiva aerea, presa da Leonardo.Poi si recò a Roma chiamato da Papa Giulio II, che gli diede l'incarico di decorare le quattro stanze del Vaticano. Un'opera importante dipinta in una stanza del Vaticano, fu la "Scuola di Atene". Quando nel 1514 morì  Papa Giulio II, Raffaello fu nominato architetto della fabbrica di San Pietro e un anno dopo Conservatore delle antichità romane. Morì a Roma nel 1520, lasciando incompleta la nota "Stanza dell'incendio di Borgo”.

 

 

 

Federico da Montefeltro

 

(duca di Urbino, Gubbio 1422 - Ferrara 10/09/1482)

Federico da Montefeltro Duca d'Urbino è stato scelto come uno dei tanti uomini che hanno fatto nelle Marche la loro e la nostra fortuna, esempio di come i marchigiani guardino più alla qualità ed alle capacità effettive della persone che ai campanilismi.

Figlio illegittimo di Guidantonio conte di Montefeltro e di Urbino, da giovinetto fu ostaggio a Venezia. Nel 1444 dopo aver ucciso suo fratello, fu chiamato dai cittadini di Urbino a succedergli e subito mostrò doti di abilità e moderazione. Si pose al servizio del papa e di alcuni principi italiani, partecipò a molte guerre per molti anni.

Nel 1474 Sisto IV lo nominò Duca di Urbino stabilendo il matrimonio di suo nipote Giovanni della Rovere con la figlia di Federico, Giovanna. Ebbe poi il comando delle milizie papali contro Firenze.  Con la morte del Papa Sisto IV i suoi possedimenti vennero praticamente triplicati. Condottiero assai lodato per valore, prudenza e lealtà, si distinse soprattutto nell'arte della pace.

Nella guerra cercò sopratutto i mezzi per le sue opere magnifiche. Conoscitore della lingua latina, delle lettere sacre e profane, raccolse intorno a sè una corte di umanisti e poeti fondando ad Urbino la più grande biblioteca dell'occidente tenendo impegnati per 14 anni e più dai 30 ai 40 scrittori a trascrivere libri

Fece innalzare il palazzo ducale di Urbino e il Duomo, edificò palazzi e rocche a San Leo, a Pergola e a Gubbio.

 

La cosa che ci ha colpito di più della figura  del Duca è stata senz’altro la particolare forma del suo naso, dovuta ad una ferita che si è procurato durante una competizione di tiro con l’arco, che gli ha lacerato anche parte del volto.

Per questo motivo Federico si è sempre fatto ritrarre di profilo, dalla parte sana del viso.

 

 

 

Gioacchino Rossini

 

Figlio di Giuseppe Antonio e di Anna Guidarini, nacque a Pesaro il 29 febbraio 1792. Nel 1800 la famiglia si trasferisce a Bologna. Iniziato alla musica dei genitori, a Bologna Rossini prende lezioni e inizia a comporre opere proprie. Il 24 Giugno 1806 entra nel liceo musicale studiando violoncello, pianoforte e contrappunto. Tra il 1806 e il 1812 comincia a scrivere le sue prime opere serie, tra cui “Demetrio e Polibio”, “L’inganno Felice” e “La Cambiale Di Matrimonio”, che vengono anche rappresentate in teatro; da qui inizia il suo crescente interesse verso la musica per il teatro. Il 1812 e 1813 sono gli anni di maggior successo, grazie alle sue opere buffe, tra cui “il Signor Bruschino”, il “Tancredi”e “ l’Italiana in Algeri”. Però dal 1814, dopo  gli insuccessi nel nord  d’italia, decide di portare le sue opere a Napoli, ormai orfana di grandi compositori.

Grande fu il successo malgrado l’iniziale diffidenza. A Rossini era stato affidato dal duca Francesco Cesarini il compito di creare un’opera buffa (chiamata le Barbier de Séville) entro il 20 gennaio 1816. Il grande successo delle prime tre esecuzioni dell’opera gli ha permesso di replicarlo altre volte a Londra, Parigi e a Vienna.

Dal 26 settembre del 1816 al 1819  Rossini ha composto varie opere: Otello, Cenerentola e la Donna del Lago. Dopo il fallimento di alcune delle sue opere al Kings Theatre di Londra, si trasferisce a  Parigi dove assume l’incarico di direttore del Théàtre Italien. Negli anni 1828-29 durante un viaggio in Spagna inizia la composizione dello Stabat Mater, completata a Bologna.

Nel 1863 in pochissimo tempo compone la Petite Messe Solenelle, ma poi si ammala gravemente. Muore nel 1868 a Parigi. È sepolto a Firenze.

 

 

Durante il viaggio avremo l’occasione di assaggiare piatti tipici marchigiani. Qui abbiamo riportato quattro ricette caratteristiche delle quattro province.

L’idea di assaggiare nuove pietanze ci attira come quella di conoscere nuovi luoghi.


LA CUCINA

 

 

Olive Ascolane

 

Negli anni Ottanta la moltiplicazione dei supermercati fece conoscere in altre regioni prodotti alimentari fino ad allora del tutto sconosciuti: come le olive verdi ripiene all'ascolana. Le olive ascolane, grandi e carnose, erano già conosciute nell'antichità e ne avevano parlato sia Plinio il Giovane sia Marziale, ma il piatto è forse di origine settecentesca e proviene dalla fantasia di qualche cuoco al servizio della nobiltà ascolana. Aveva un grande estimatore in Gioachino Rossini, pesarese, che si faceva spedire le olive all'ascolana a Parigi. Le olive all'ascolana, nella loro ricetta classica, sono prima snocciolate e poi farcite con un piccolo ripieno a base di carne. Ora c'è anche la versione col ripieno a base di pesce; ma è, per il momento, solo un'arditezza di alcuni ristoranti alla moda.

 

 

Vincisgrassi alla maceratese

 

Tipico piatto della nobile e antica cucina maceratese. Le sue origini risalgono alla metà del diciottesimo secolo. Di questo piatto si è molto scritto e parlato, nell'intento di scoprirne l'origine autentica. Fino a poco tempo fa, l'ipotesi più accreditata faceva derivare la parola "Vincisgrassi" dal nome di un generale austriaco, tale Windisch Graetz che nel 1799 durante le guerre napoleoniche era di stanza ad Ancona con le sue truppe, cui, secondo la leggenda, il cuoco personale aveva dedicato la ricetta. Questa ipotesi ha perso però autorevolezza con il ritrovamento de "Il Cuoco Maceratese", libro scritto nel diciottesimo secolo da Antonio Nebbia. Nel libretto in questione il grande cuoco di corte riporta una ricetta chiamata " Salsa per il Princigras ", pubblicata qualche anno prima dell'arrivo del generale nelle Marche.

 

 

Stocco all'anconetana

 

Ingredienti:

Stoccafisso, olio d'oliva, pomodori freschi, di patate, di latte,  vino bianco secco,  prezzemolo, burro, carota, aglio, un rametto di rosmarino, sale e pepe.

Preparazione:

Dopo aver battuto lo stoccafisso metterlo a bagno in abbondante acqua fredda e lasciarlo ammorbidire per sette giorni, cambiando sovente l'acqua. Trascorso questo tempo scolare lo stoccafisso, asciugarlo e tagliarlo a pezzi di circa 10 cm. di lato poi diliscarli. Tritare finemente la carota, il prezzemolo, le foglioline di rosmarino e uno spicchio d'aglio. Pelare i pomodori e tagliarli a filetti. Prendere un recipiente fornito dell'apposita griglia che impedisce agli alimenti di stare a contatto con il fondo; in esso sistemare il primo strato di stoccafisso mettendo il lato senza pelle rivolto verso il fondo, irrorarlo di olio, spolverizzarlo con tutto quanto è stato tritato, salarlo e peparlo abbondantemente, porre qua e là qualche filetto di pomodoro e fiocchetti di burro. Fare un secondo strato di stoccafisso adagiandolo sul lato della pelle, irrorarlo di olio etc., continuando così sino ad avere sistemato tutto. Ricoprire l'ultimo strato con patate pelate e tagliate a grossi spicchi, lasciando al centro uno spazio vuoto per gli eventuali assaggi di cottura. Versare su tutto il vino bianco ed il latte freddo. Porre il recipiente su fuoco vivo e fare bollire dai 30 ai 45 minuti, poi incoperchiare, ridurre la fiamma al minimo e lasciare sobbollire per circa tre ore (nell'ultima ora a recipiente scoperto), badando di non mescolare mai la preparazione. A cottura ultimata levare il recipiente dal fuoco, coprire con un foglio di carta che assorba e porvi sopra il coperchio. Lasciare così per un quarto d'ora, poi servire senza muovere la preparazione, distribuendo nei piatti prima le patate, poi lo stoccafisso irrorando tutto quanto con l'intingolo.

 


 

Tuffoli alla pesarese

 

Ingredienti:

tuffoli o cannelloni, prosciutto cotto, petto di tacchino, fegato di galline, polpa di vitello tritata, tartufo nero di Norcia, cipolla, groviera grattugiato, burro, panna da cucina, sale e pepe.

Preparazione:

In un tegame con 30 g di burro, fate rosolare la polpa di vitello e la cipolla tritata; quando sarà dorata aggiungete un dl di acqua, il sale, il pepe appena macinato e fate cuocere a fuoco lento fino a quando il fondo di cottura si sarà dimezzato. Tritate insieme molto finemente il petto di tacchino, il fegato di gallina, il tartufo e il prosciutto cotto e setacciate il tutto; raccogliete il composto ottenuto e ponetelo in una ciotola unendo, un poco alla volta, 2 cucchiai di panna, un  pizzico di sale e uno di pepe. Lavorate il tutto con un cucchiaio di legno; nel frattempo mettete a cuocere i tuffoli in acqua salata per circa 10 minuti, scolateli al dente e riempiteli col composto. Disponete su una pirofila imburrata uno strato di tuffoli che coprirete con del sugo preparato in precedenza, qualche fiocchetto di burro e un po’ di groviera grattugiato. Ponete in forno a 200°C per un quarto d'ora, fin quando la parte superiore non sarà dorata uniformemente. 

 

 

Durante il nostro viaggio nelle Marche non abbiamo avuto occasione di gustare i piatti tipici della zona, ma quel poco che abbiamo assaggiato c’è bastato per capire quanto la cucina marchigiana-emiliana sia buona.

Giovedì abbiamo avuto l’onore e il piacere di mangiare la famosa “piadina” con la nutella. Erano circa le dieci e mezza di sera e la fame era tanta.

Faceva molto freddo e i negozi erano tutti chiusi tranne un negozietto all’angolo di un vicolo deserto. Incuriositi  ci siamo avvicinati ed abbiamo intravisto un’insegna con su scritto: “La Porcheria”.

Un po’ esitanti, abbiamo aperto la porta e un profumo invitante ci ha accolto. Ero un negozio di piadine.

Subito ci siamo rivolti al commesso, uomo di mezza età e con lunghi baffoni, che, munito di paletta e di barattoli di nutella, ci ha preparato piadine succulente.

Calde e fumanti le abbiamo divorate in pochi secondi, sporcandoci tutto il viso di cremosa cioccolata.

Per il resto la cucina del ristorante non è stata male, però un po’ monotona. In tre giorni abbiamo mangiato solo pasta al sugo, carne e patate fritte o al forno.

 

 

NOTIZIE ECONOMICHE

 

Strumenti musicali

 

Un raffinato settore è quello degli strumenti musicali, la cui produzione è concentrata soprattutto nella provincia di Ancona. Fin dagli inizi dell’Ottocento Loreto risulta essere centro di produzione e di vendita; Castelfidardo è nota in tutto il mondo per le sue fisarmoniche. Loreto lega il suo nome, anche e soprattutto, ad altre due peculiari espressioni artistiche: le pipe in radica e gli oggetti sacri. Si deve alla presenza della Santa Casa il proliferare di attività artigianali caratterizzate soprattutto dalla presenza di coronari. La lavorazione dei vimini e del giunco è un’antichissima tradizione di Mogliano, Gualdo e Matelica. La via della paglia passa invece per Massa Fermana, Montappone, Monte Vidon Corrado e Falerone dove si confezionano oggetti in paglia (cappelli, borse, cestini) esportati in tutto il mondo.

 

 

LA FISARMONICA

 

Il suono della fisarmonica viene prodotto mediante la pressione sui tasti e i bottoni dello strumento, ai quali corrispondono i fori che permettono il passaggio dell'aria pompata dal mantice e quindi la vibrazione delle ance. La mano destra del suonatore scorre sui tasti, per eseguire la partitura melodica, mentre le dita della sinistra premono sui bottoni, azionando i bassi dell'accompagnamento. La modulazione del suono avviene per mezzo dell'aria aspirata o spinta all'esterno dal mantice della fisarmonica.

 

L'antenato della fisarmonica fu lo «tcheng», un antichissimo strumento cinese risalente addirittura a 4500 anni fa, sopravvissuto nei millenni (una copia è custodita nel museo di Castelfidardo). La fisarmonica discende dai primi rudimentali organetti della Russia.

 

 

 

a sinistra: Tcheng o Scheng (Cina)
a destra: Khen (Laos)

 

 

Nel 1863 un pellegrino austriaco con un misterioso «pacco sonoro», di ritorno da Loreto, si ferma nel casolare di un contadino di Castelfidardo, Paolo Soprani, che, geniale congegnatore e non digiuno di suoni, squarta la scatola, ne studia i meccanismi, rivoluziona i congegni, le dimensioni, le voci e ne trae fuori, completamente ricostruito, il vero capostipite della fisarmonica italiana. I fratelli Soprani  impiantano una piccola fabbrica che, superate le prime difficoltà, riesce ben presto ad imporsi. Il loro successo, era stato favorito dalla facile diffusione dovuta alla vicinanza  del santuario di Loreto, meta di pellegrinaggi.

 

 

 

Merletto

 

L’arte del merletto è tipica in una ristrettissima area del Piceno che ha il suo epicentro ad Offida, dove la tradizione delle merlettaie si tramanda di generazione in generazione. Soprattutto durante la stagione estiva i tomboli, caratteristici attrezzi con cui si realizzano i merletti, invadono i vicoli della città. Tovaglie e coperte realizzate con i merletti, richiestissime dai turisti, sono il frutto di un sapiente, ingegnoso e raffinato lavoro.

 

 

L’arte del mobile

 

L’arte del mobile non è altro che la faccia moderna, quella più avanzata della grande tradizione, della lavorazione e del restauro del mobile antico. L’altra faccia, quella più artistica, è la raffinatezza con cui i restauratori usano i loro arnesi per ridare splendore ai mobili antichi e di antiquario. La via del mobile conta aziende, laboratori e artigiani eccellenti nelle città di Pesaro, Urbino, Cagli, Fano, Pennabilli, Amandola, e Montefiore dell’Aso.

 

 

 

I PERSONAGGI FAMOSI  DI  OGGI

 

 

Giò Pomodoro

 

Nato a Orciano di Pesaro nel 1930, è stato definito “scultore di spazi” e “musicista della pietra”.

E’ uno degli artisti italiani più apprezzati in Europa. Dal 1958 sviluppa le sue “superfici in tensione”, lavorando con il bronzo e il legno. Al 1964-65 risalgono i suoi primi studi sulle strutture portanti, legate all’idea di spirale. Contemporaneamente Giò Pomodoro comincia a lavorare la pietra e il marmo, che caratterizzeranno la produzione degli anni 70. Progetta lo spazio di alcune piazze nelle principali città d’Europa.

 

 

Diego della Valle

 

E’ nato a Casette d’Ete nel 1957. Diego studia prima a Bologna, quindi negli Stati Uniti, ma nonostante i suoi prolungati soggiorni all’estero si sente marchigiano fino in fondo. Ha solo 37 anni quando diventa amministratore delegato della società che porta il suo nome. La sua società si occupa di calzature, borse, accessori, capi d’abbigliamento. Ha otto negozi di proprietà e un centinaio in franchising in tutto il mondo.

 

 

 

Roberto Mancini

 

È nato a Jesi nel 1964. A 17 anni, è un giocatore già formato. Vince un titolo italiano Allievi. Esordisce nel Bologna di Gigi Radice, la squadra del miracolo sopravvissuta allo scandalo delle scommesse, segna un gol dopo l’altro, infatti, alla sua prima stagione segna già nove reti.

Milita per un anno nel Genova e poi si trasferisce per ben nove anni nella Sampdoria. Ora è allenatore della Lazio dopo averci giocato anche come giocatore. 

 

 

Valentino Rossi

 

Valentino nasce ad Urbino il 16 febbraio del 1979. “Vale” debutta nella 125 Sport Production e si classifica al 9° posto in sella a una Cagiva. Dopo un grave infortunio, il 31 marzo 1996 Valentino fa il suo esordio nel mondiale 125 con l'Aprilia,  Ha  solo 17 anni. Nel 1997 è per la prima volta campione del mondo.  Decide, quindi, di passare alla classe superiore, ma nel primo anno non si sente molto sicuro alla guida della moto più potente e termina secondo. Ma l'anno seguente è di nuovo “campione del mondo” nella 250. Nel 2001 Valentino è ancora campione in un campionato nella classe 500, seguito da Biaggi e Capirossi.

 

 

Non abbiamo avuto molte occasioni per conoscere a fondo i Marchigiani e durante il viaggio non ne abbiamo incontrati molti, ma quei pochi ci sono bastati per capire un po’ la loro personalità.

Ovviamente però non sono tutti uguali. Si va dal gentile venditore di piadine di Pesaro, che con noi si è dimostrato sempre disponibile, scherzoso ed allegro, alla scorbutica guida delle Grotte di Frasassi, che ferma, seria, distaccata ripeteva sempre come un robot la spiegazione come se facesse lo stesso e monotono percorso fin dalla nascita.

Ma qualcosa di buono si può trovare in tutti, perfino nell’isterica guida che ci ha illustrato il bellissimo Palazzo Ducale di Urbino, la quale faceva finta di ignorare le insistenti domande del nostro compagno Jacopo, pur di non interrompere il suo ritmo. Per non parlare della signora illustratrice del Museo della Carta di Fabriano che, nel mostrarci gli antichi oggetti esposti, ci ha fatto sentire immersi in una televendita alla Giorgio Mastrotta.

Ma vi è una cosa che sicuramente li accomunava: la pazienza, che troviamo ogni volta nella nostra marchigianissima Prof.ssa Cachwoman (Cacciamani), che ci ha sopportato per l’intera gita.

 

 

 

 

 

Aprile 2003