LA MORTE

SEGNI PREMONITORI


Gli anziani davano molta importanza al comportamento degli animali, dai quali traevano presagi di sventura e di morte, e non sottovalutavano affatto i sogni.
Erano convinti che le anime dei defunti conoscessero il futuro e spesso li invocavano per ricevere, tramite i sogni, messaggi, consigli, anticipazioni, segni di morte imminente di conoscenti o familiari.
Il canto della solitaria o di un altro uccello nero rapace era considerato portatore di disgrazia; anche un pipistrello, che entrava in case mentre si cucinava, preannunciava nefasti presagi di morte, come pure l'abbaiare insistente dei cani e una certa agitazione nel pollaio.
Se il cavallo presso un corso d'acqua si imbizzarriva, rifiutandosi di bere, si pensava che nelle vicinanze ci fosse qualche anima malvagia.
Trovare un uccello morto di fronte alla porta di casa significava che uno della famiglia sarebbe morto a breve scadenza.
Sognare dei buoi in corteo o dei cavalli, che rappresentavano secondo la credenza le anime in processione, era segno premonitore di morte.
Sognare un morto che dava un bacio ad un vivo preannunciava un tradimento.
Sognare un morto allegro significava sventura per i vivi e viceversa.
Sognare una persona cara avvolta in una lingua di fuoco preannunciava prossima disgrazia.
Sognare la morte di un congiunto presagiva che avrebbe avuto più lunga vita (li creschiada vida).
Sognare dell'acqua sporca e della carne di maiale preannunciava qualche avvenimento nefasto.
Particolare importanza aveva la festività del Corpus Domini: se la processione sostava o rallentava per recitare il Miserere, nelle vicinanze, in breve tempo, sarebbe morto qualcuno.
In sostanza venivano considerati segni premonitori di morte o di sventura tutti gli avvenimenti strani e inusuali, nonché rumori, passi, colpi alla porta, mugolii simili a lamenti, guaiti di cani, stridii di civette, richiami ripetuti tre volte e infine visioni, presentimenti . . . -
Questi segni funesti venivano definiti "sa polizza".
Per pronosticare il giorno della sua morte chi era gravemente ammalato rivolgeva la seguente invocazione a San Pasquale:

 Peru sinnale
Santu Pascale
in bucca mia
Sa Vergine Maria
Su Divinu Deu
in su coddu mancu
S'Ispiritu Santu
in su coddu destru
Santu Serbestru in nomen de Gesù.

Pare che il Santo segnalasse il momento del trapasso con alcuni colpi alla finestra o nel sogno: tanti colpi quanti erano i giorni che ancora gli mancavano da vivere.
Secondo quanto racconta un'anziana donna non era difficile risalire all'ora della morte di qualcuno, perché strani avvenimenti la pronosticavano.
Ricorda infatti che suo padre aveva visto davanti all'ovile, apparire e scomparire, la figura della comproprietaria del gregge appena deceduta e che un altro pastore, trovandosi in campagna con la mandria di pecore che meriggiavano, ha giustificato l'improvviso sollevarsi e smarrirsi di esse, con l'avvenuto trapasso, nello stesso momento, del cognato.
La notizia del passaggio a miglior vita degli stessi venne subito dopo confermata dai congiunti.

 

CREDENZE

In passato molti erano convinti di aver visto i defunti sotto spoglie umane in processione, altri invece avvertivano rumori indicativi della loro presenza in casa o in campagna. Tutto ciò, naturalmente, creava un clima di paura dovuto anche all'abbondanza di racconti fatti di sera davanti al focolare o per strada mentre ci si godeva il fresco (sa friscura) fino a tarda notte.
Le anime, secondo le antiche credenze, sono la parte spirituale e immortale dell'uomo.
Dopo la morte le anime buone (sas animas bonas) vanno in Paradiso, mentre le anime malefiche (sas animas malas) vanno all'Inferno o in Purgatorio.
C'era la convinzione che le anime dannate si presentassero sotto forma di animali e che a loro volta disturbassero i vivi, allora venivano celebrate S. Messe in suffragio (Missas de Profundis) di queste anime perché finalmente trovassero pace.
Un'anziana donna racconta che, quando era bambina, la nonna sosteneva di aver visto una processione formata da tanti asini e da tanti cavalli: erano anime che avevano gravi peccati da scontare e vagavano senza sosta (andaiana peressi peressi) poiché non erano state accettate neanche all'Inferno.
In questi casi ci si preoccupava di far celebrare delle Messe in suffragio di quelle anime dannate oppure di distribuire alle famiglie bisognose del pane, "sa cocca", (pane di grande formato lavorato rigorosamente con le mani senza l'uso del coltello e infornato con la pala di legno), della carne, ecc. "pro sa bon'anima", almeno una volta al mese fino all'anniversario.
La consuetudine voleva che le prime porzioni degli animali uccisi, come pura le primizie (su primu fruttu), venissero distribuite alle stesse prima di essere consumate dai familiari.
Poiché un'anima venisse accolta nell'aldilà, secondo la testimonianza di una intervistata, era necessario celebrare le Messe nelle chiese dei paesi vicini (in cresia e fora) e non in "cresia mazore" (cioè nella chiesa del proprio paese).
Si racconta di un'anziana signora che riceveva regolarmente la visita di un'anima dannata.
Alla fine, spaventata da questa apparizione, chiese che cosa poteva fare per salvarla.
L'anima la pregò di recarsi in tre paesi dove in vita non era mai stata e di chiedere delle offerte per celebrare le Messe che le avrebbero permesso di guadagnarsi il Paradiso.
Queste anime, escluse dal Purgatorio e dall'Inferno, costrette a vagare sulla terra, venivano definite anche "animas intregadas", anime che avevano fatto un patto col Diavolo per ottenere ciò che a loro premeva.
A volte pare fosse possibile incontrare di notte, mentre sorvegliavano le fonti d'acqua e i ruscelli (s'abba tentada), delle anime malvagie che potevano essere scacciate con le palme o i rami di ulivo benedetto durante la Domenica delle Palme oppure "cun sa ruda", benedetta il giorno del Corpus Domini.
Prima di bere presso una fonte o un rigagnolo era, inoltre, consuetudine farsi il segno della croce e recitare la seguente preghiera per ben tre volte:
"Abba sutt'abba Santu Zuanne Battista la guardede" e, contemporaneamente, versarla dietro le spalle per lo stesso numero di volte.
Era possibile anche incontrarle mentre recitavano orazioni in processione con le ossa in mano anziché immagini sacre.
Un'altra donna ricorda che mentre si trovava alla fonte di Drochesa per attingere l'acqua, improvvisamente ha sentito il nitrito e il rumore degli zoccoli di cavalli per diverse volte.
Accertatasi che nelle vicinanze non ci fosse nessun animale arrivò alla conclusione che si trattava di qualche anima girovaga alla ricerca di indulgenze.

 

PRIMO NOVEMBRE


Per la nostra comunità il primo novembre era una ricorrenza importante perché le anime, secondo la tradizione, ritornavano nelle loro case, dove i parenti facevano una serie di preparativi per riceverle nel migliore dei modi: apparecchiavano la tavola senza posate (per evitare litigi tra le anime), cucinavano la pasta asciutta "sos maccarrones" e sistemavano i dolci "sos pabassinos", la frutta di stagione, ecc.
In quell'occasione si tenevano i cassetti aperti, così se le anime avessero avuto necessità di qualcosa, l'avrebbero trovata facilmente.
Durante la festività dei Santi e dei Morti non si doveva né spazzare la casa né sbattere i tappeti perché in questo modo si allontanavano le anime venute a far visita a parenti e amici.
In quell'occasione in Chiesa e in Cimitero si accendevano le candele in "sos caddos de linna", un tavolo con la base forata per reggere i ceri.
Un rito che viene ripetuto ancora dai ragazzi è quello "de s'immorti immorti".
La vigilia del giorno dei defunti i bambini, in gruppo, andavano di casa in casa per chiedere un'offerta per le anime.
Per l'occorrenza venivano dati in suffragio "pro sas animas mortas", "pabassinos", noci (nughe), mandorle (mendula), fichi secchi (cariga), ecc. attualmente sostituiti da dolciumi vari.
Nessuno in quell'occasione si rifiutava di dare qualcosa ai bambini.

 

MOMENTO DELLA MORTE


Spesso l'agonia del moribondo era lunga e creava molte sofferenze (si diceva "est a filu pende"): per accelerarla era consuetudine mettere sotto il letto il giogo (su zuale) o bruciare una sedia (una cadrea) o dei rovi (s'ispina Santa).
In alcuni casi gli veniva tolto lo scapolare (s'iscorporalliu) o le medagliette che portava addosso.
Era, infatti, diffusa la credenza che le atroci sofferenze del moribondo non fossero altro che una punizione perché quando era in vita aveva avuto l'ardire di bruciare del legno (un giogo, una sedia, ecc.) che per consuetudine non doveva essere bruciato.
Si pensava che prima di esalare l'ultimo respiro il moribondo vedesse attorno al proprio letto le anime dei parenti defunti (chi faghiana corona) e parlasse con loro: nessuno, per questo motivo, doveva sedersi ai piedi del letto, una volta impartita l'Estrema Unzione, tanto meno una donna incinta perché si era convinti che lo spirito potesse impossessarsi del feto (colliada umbra) e una volta nato potesse avere dei problemi (candu pranghiada si che tostaiada / si che abbadderigaiada).
Se una donna incinta si trovava per caso nella stanza di un moribondo, quando il bambino nasceva veniva fatto rotolare nel letto del defunto per sei volte a croce (s'imbrossinadura) oppure il giorno del Corpus Domini lo portavano in tre o sette rioni diversi per vedere la processione e ricevere la benedizione.
Quando era in fin di vita il malato riceveva l'Estrema Unzione, cioè veniva segnato e asciugato "cun su corizone" sulla fronte, sui piedi, sulle mani e sugli occhi.
"Su corizone" veniva poi buttato per terra e bruciato, se la cenere si sollevava significava che per il moribondo non era ancora arrivata l'ultima ora.
Inoltre, se guariva, aveva l'obbligo di andare in chiesa per ringraziare e "pro che torrare s'ozu santu".
Una volta esalato l'ultimo respiro il defunto veniva segnato con il cero che durante la Quaresima era stato deposto nel letto di morte di Cristo oppure benedetto il giorno della Purificazione, (sa die de Santa Maria 'e candelas).
Subito dopo veniva lavato con vino e aceto e acqua che non venivano buttati in strada ma bensì in "su cuccurale de su furru" o "in su trainu" per evitare che lo spirito del defunto s'incarnasse nei vivi.
Una donna racconta di aver conosciuto una persona anziana che aveva sempre la bava alla bocca, perché aveva attraversato la strada dove qualcuno aveva versato il liquido con cui era stato lavato il cadavere (aiada collidu umbra).
In questi casi si ricorreva a "s'infumentu".
Gli addetti a tale pratica, dopo aver messo in una tegola nuova dei carboni ardenti e altre sostanze da incenerire, recitavano alcune formule magiche.
Poi si recavano in prossimità di un incrocio (in rughe de caminu), acchiappavano un gatto e lo costringevano a saltare "lu fahiana zumpare pro che collire s'umbra".
Il cadavere, successivamente, veniva ricoperto con un lenzuolo bianco e adagiato per terra; in quel momento, secondo l'antica tradizione, "daida contos a Deus" oppure scontava eventuali promesse o i peccati commessi.
Quindi veniva vestito, prima che s'irrigidisse, con l'abito migliore e possibilmente con le scarpe nuove.
Qualcuno ricorda che subito dopo il decesso al defunto veniva messo un piatto in faccia, forse per riacquistare il colorito naturale, evitando il pallore della morte.
Perché il viso non si deformasse era buona abitudine legare intorno alla testa e alla mandibola un fazzoletto.
Nella tasca dell'abito venivano sistemati oggetti personali: un fazzoletto, dei sigari, del tabacco (se fumatore in vita) per un eventuale uso nell'aldilà.
Nella scarpa sinistra veniva messa una moneta che probabilmente doveva servire a pagare il pedaggio per l'altro mondo.
Il cadavere veniva in seguito sistemato nella bara, fatta su misura dal falegname, con i piedi rivolti versa la porta (sa zanna ) per raggiungere prima il Paradiso.
Nella mani incrociate veniva messa una corona e sul petto un Crocefisso.
Quando moriva una madre che lasciava dei figli in tenera età veniva poggiata sul suo petto una sfoglia di "pane fresa". Questa veniva benedetta dalla mano della defunta guidata da un congiunto e, dopo il seppellimento, veniva divisa equamente tra i figli per evitare che in futuro patissero la fame.
Se il morto era celibe o nubile, si metteva un po' di grano nella bara o nella lettiga nella speranza che si sposasse nell'aldilà.
Se una persona, colta da morte improvvisa, interrompeva un qualsiasi lavoro (di cucito, al telaio, ecc.), bisognava preferibilmente farlo ultimare da qualcun altro, onde evitare che nell'aldilà si affaticasse ininterrottamente.
Quando una donna moriva di parto, i parenti si preoccupavano di mettere nella bara un pezzo di sapone, la cenere, l'ago, il filo, il ditale e un paio di forbici per far si che il suo Spirito "sa pana" non vagasse di notte per i fiumi lavando i panni del suo bambino.

 

ANNUNCIO PUBBLICO DELLA MORTE

I rintocchi a morto (su toccu 'e ispiru o 'e agonia), in numero di dodici per le donne e tredici per gli uomini, annunciavano alla comunità la dipartita di un loro membro.
Trattandosi di un bambino le campane suonavano a festa (toccu de allegria), perché un nuovo angelo raggiungeva il cielo.
Le persone che andavano a salutarlo per l'ultima volta usavano dire: "a che lu iere in sa gloria".
Le donne baciavano il Crocefisso e recitavano il Rosario sedendosi "in corona", i maschi, invece, toccavano la salma facendosi il segno della Croce, poi si fermavano nella stanza attigua con gli altri congiunti di sesso maschile.
La veglia, in genere, veniva fatta dai familiari, parenti e amici, a tarda notte, però, il morto veniva lasciato solo perché si pensava che potesse ricevere la visita dei parenti defunti precedentemente.
In un angolo della casa venivano sistemati dei lumi in numero dispari, "sas lampanas a ozu" (in un bicchiere di vetro riempito per 2/3 di acqua e per 1/3 di olio veniva sommerso uno stoppino di cotone che poi veniva acceso) sostituiti attualmente da lumicini in cera.
In tempi remoti i parenti effettuavano il lamento funebre "s'attitu", cioè canti che esprimevano il dolore per la perdita del loro caro.

LAMENTO FUNEBRE
 Oi sos aneddos nostros
cantu nos sunu costados
né domo né casteddu
né casteddu né domo
comente fatto como
comente fatto como.


IL FUNERALE


Il cadavere, in passato (1920), veniva sistemato in una lettiga (cassa con stanghe) e, in cimitero, veniva deposto nella fossa senza cassa, talvolta avvolto in una coperta o in un lenzuolo.
La lettiga, di proprietà comunale, era di tre dimensioni: due più grandi per adulti, in rapporto al peso, e una più piccola per i bambini.
"S'annu de sa bigota" (epidemia di vaiolo nero) non essendo sufficienti le lettighe, si ricorreva all'uso di tavoli.
Il funerale si svolgeva senza fiori, con gli stendardi e "sa rughe de prata" per i più ricchi e "sa rughe de linna" per i poveri.
Il corteo era formato da parenti, amici, conoscenti e talvolta dalla confraternita cui il defunto era iscritto; i familiari invece restavano a casa.
Nei funerali dei ricchi l'affluenza di persone era superiore.
Esistevano funerali di tre categorie, rapportate alle diverse possibilità economiche:
1^ categoria:
durante il funerale, erano previste sette soste (pasos): un individuo con una panca seguiva la bara che per ben sette volte, durante le soste, veniva adagiata lungo il tragitto.
In questo caso il corteo passava per la piazza principale.
Il nome del defunto veniva ripetuto più volte ad alta voce durante il rito.
2^ categoria:
non erano previste soste.
3^ categoria :
non erano previste soste.
La differenza tra le due ultime categorie era minima, tutti in ogni modo erano tenuti a pagare qualcosa al prete.
Il corteo che accompagnava "sos mortos male" (suicidi) passava dietro la Chiesa.
La seguente bestemmia "ancu ti passene in palas de Cresia" conferma detta usanza.
Gli stessi defunti non ricevevano la benedizione del sacerdote, assente durante il funerale, e venivano sepolti in un'area riservata del Cimitero.
Nei funerali dei ricchi seguivano il feretro individui vestiti da confratelli con i mano grossi ceri detti "azzos", che venivano portati accesi in Chiesa e al cimitero.
Al termine del funerale li riportavano a casa dei proprietari, per poterli usare in ulteriori occasioni; si racconta che qualcuno ne possedeva ben cinquanta!
A coloro che portavano i ceri venivano dati dei soldi "chimbe soddos".
Pare che la prima bara sia stata costruita da Tiu Manunta, intorno al 1920, che iniziò a realizzarla con tavole di cassette rivestite di "calancau" (una tela fine di poco costo a fiori).
Talvolta la cassa del morto era di qualità scadente, in quel caso la Chiesa si preoccupava di coprirla con un manto "in colore de lizu" (viola scuro), e a volte offriva anche un abito della confraternita perché il defunto potesse raggiungere l'aldilà degnamente vestito.
Chi aveva preso parte ad un corteo funebre doveva far rientro direttamente alla propria casa, non poteva andare a far visita ad un conoscente, ad un parente, perché ciò portava male.
Un'anziana donna di 87 anni ricorda che dopo aver ricevuto la visita di una vicina di casa che aveva partecipato ad un funerale, il suo bambino di 19 mesi si era sentito improvvisamente male ed era deceduto senza conoscerne la causa.

 

SU TOCCU 'e ISPIRU
 Lenta sonada sa campana
tristu de morte un 'ispiru
sonada de danza unu giru
una chitarra profana.
sa chitarra armoniosa
dada a su ballu trasportu
nos avvisada chi b'ada mortu
sa campana lamentosa
est sonande luttuosa
mustrada chi onzi pompa est vana . . .


L'autore compone questi versi mentre ascolta il suono di una chitarra e i rintocchi di una campana che annunciano la morte di qualcuno.

 

SU MOSSU DE DOLORE


Nel giorno della morte e in quelli successivi, i parenti, i vicini di casa sentivano il dovere di portare ai familiari del defunto "su mossu de dolore" (un pasto completo comprensivo di cibo, pane, vino, ecc.), usanza tuttora praticata.
I recipienti, che contenevano il cibo e anche altri oggetti dati in prestito per l'occorrenza, venivano restituiti solo dopo il nono giorno per scongiurare una qualche disgrazia alla famiglia che aveva offerto il pranzo o la cena.

 

IL LUTTO


Nella nostra comunità, come in tutta l'isola, il lutto per la morte del marito, dei genitori, dei figli, dei fratelli era severo e rigoroso.
Le vedove si coprivano con il fazzoletto nero e lo scialle e portavano il lutto per tutta la vita (a meno che non si risposassero).
Gli uomini, invece, portavano una fascia nera nella manica o un bottone nero nel risvolto della giacca, e non dovevano radere la barba per almeno un mese.
In segno di lutto si tenevano, per tanto tempo, le finestre della casa chiuse e non si partecipava a nessuna cerimonia (matrimonio, battesimo, ecc.).
Le vedove la domenica assistevano alla prima messa (a sa prima missa).
Nei giorni successivi al funerale e per tutto il mese parenti e conoscenti andavano a far visita ai congiunti del defunto (visita di condoglianze).
In quell'occasione si esaltavano le doti dell'estinto, si parlava della malattia, del dolore per la dipartita e di eventuali sogni (che in qualche modo riguardavano l'estinto) ed ai visitatori veniva offerto qualcosa "pro sa bon'anima".
Al trigesimo dalla morte i parenti, in base alle possibilità economiche, distribuivano del pane (sa cocca), del formaggio, porzioni di carne o altre provviste soprattutto alle famiglie bisognose, sempre in suffragio della persona scomparsa.
Inoltre, in questa ricorrenza, come pure il giorno prima dell'anniversario, essi si riunivano in cimitero per recitare le orazioni funebri dopo che il sacerdote aveva benedetto la tomba e recitato i vespri in Chiesa.