Nell'ambito dell'economia familiare il lavoro femminile era
determinante. Molte erano le attività che competevano
alla donna, e fra queste, il lavoro al telaio e la confezione
del pane erano essenziali per la soddisfazione delle necessità
primarie di sopravvivenza. La conduzione sapiente di queste attività
contribuiva al benessere familiare e, inoltre, determinava prestigio
in seno a quel microcosmo rappresentato dal "vicinato ",
che costituiva l'ambito di riferimento del gruppo comunitario.
In questo capitolo le classi quinte della Scuola Elementare,
si occupano del lavoro al telaio, restringendo il campo di ricerca,
allo studio delle erbe usate per la colorazione della lana e
ad una presentazione dei manufatti tipici del nostro paese.
LABORATORIO TESSILE
Con la collaborazione della Cooperativa "S'Iscaccu" di Bolotana.
Storia dell'uso dei coloranti naturali.
La tradizione tintoria in Sardegna
L'arte di ottenere i colori dalle sostanze naturali è
antica quanto l'uomo. Per migliaia d'anni i segreti delle varie
tecniche tintorie sono stati custoditi gelosamente dai tintori,
mentre oggi, con l'avvento della chimica, il colore non è
più un segreto e lo si produce in infinite tonalità.
Sembra che l'uso delle piante tintorie in Sardegna risalga al
periodo neolitico. Furono i Cretesi ad importare nell'isola la "Rubbia tintoria "
e il "Crocus sativus ", rispettivamente robbia e zafferano,
e a diffondere l'uso dell'alkanna.
L'arte tintoria ebbe poi grande sviluppo dai Fenici, Punici e
Romani. Fin dal secolo scorso i sardi usavano ancora, secondo
le tecniche apprese molti secoli prima dai tintori punici e romani,
la corteccia del noce (per tingere in nero), la corteccia del
melograno (per tingere in giallo), il ligustro e la robbia (per
ottenere dei rossi). Si faceva poi largo uso di khermes, ottenuto
dal Coccus illeis, insetto parassita della quercia spinosa, chiamato
in sardo "landini malu". Una grande quantità
di khermes, da cui si otteneva il rosso vermiglio, veniva versata
come tributo della Sardegna a Roma.
I Fenici introdussero la coltura del "Linum usitatissimus
" o lino egizio; a Tharros, a Nora e a Karalis (l'antica
Cagliari) esistevano apprezzati laboratori di tessitura che producevano
finissimi tessuti in lino.
Sempre nel periodo sardo-punico si coltivavano anche cotone e
canapa.
Per avere ulteriori notizie sull'uso delle piante tintorie nell'isola,
dobbiamo arrivare al 18° secolo, ossia all'inizio del dominio
sabaudo. I ministri Bogino e Angioy favorirono l'introduzione
e la coltura intensiva di piante tintorie molto rinomate come
l'indaco e la robbia. I semi dell'indaco provenivano dal Brasile.
La coltura sperimentale, effettuata ad Alghero, diede ottimi
risultati; si ottenne un prodotto di prima qualità. L'impresa
ebbe purtroppo poca fortuna poiché le coltivazioni furono
poco tempo dopo abbandonate.
Sempre in quegli anni, metà fine settecento, si raccolsero
con criteri industriali le galle della quercia spinosa, già
ampiamente sfruttate dai romani secoli addietro; il colorante
rosso, ottenuto dalla cocciniglia, serviva a quell'epoca anche
per tingere le acquaviti, che venivano pertanto chiamate "liquori
al khermes".
Furono anche raccolte grandi quantità di rocella o "erba
lana". Il lichene veniva spedito a Londra ad una ditta che
ebbe per anni l'esclusiva dalla Sardegna. Dalla rocella sarda
si estraeva un colorante rosso usato in Inghilterra per tingere
le giubbe del reggimento della guardia ed altre divise militari.
L'esportazione di questo lichene continuò fino alla metà
dell'ottocento.
La coltura che ebbe maggior fortuna fu certamente quella della
robbia tintoria, che veniva coltivata fino a tutto il 1800, nelle
campagne di Osilo e di Tempio.
Verso il 1848 si tentò di reintrodurre la coltivazione
dell'indaco a Sanluri. Ma anche questo tentativo ebbe scarso
successo. I grossi guadagni realizzati con la raccolta dei licheni
diede il via all'esportazione per tutta l'Europa della "Dafhne
gnidium", o "truiscu" o "scolapadeddas"
in vernacolo sardo. Anche in questo caso l'impresa fu abbandonata
dopo pochi anni. Sempre nel secolo scorso veniva usata a scopo
tintorio una pianta molto nota: lo zafferano. Essa veniva coltivata
fin dal periodo sardo-punico come pianta aromatica, medicinale
e tintoria.
Si utilizzava lo zafferano per tingere le bende da lutto portate
dalle donne in Barbagia, e le gonne delle donne di alcuni paesi
del Logudoro. Gli stimmi rosso-arancio essiccati, sono tuttora
usati per aromatizzare minestre, ripieni, dolci, per colorare
pasta, formaggi e liquori. Attualmente lo zafferano si coltiva
a San Gavino Monreale, Sanluri, Villamar, Mandas, Turri e a Villanovaforru.
Tra la fine del 1800 ed i primi del 1900 regredisce nella tradizione
popolare sarda l'uso dei coloranti naturali: essi vengono sostituiti
dai più pratici, ma anche più inquinanti coloranti
chimici. I nomi delle piante e le antiche tecniche sono ora custoditi,
quali preziosi segreti, dai più anziani, che riutilizzano
le vecchie ricette ancora solo per tingere le lane necessarie
per la confezione dei tappeti, degli arazzi e delle coperte per
stretto uso familiare.
L'uso delle piante nella tintura delle fibre naturali porta
non solo alla riscoperta delle specie tintorie vegetali
e delle antiche tradizioni, ma contribuisce altresì a
limitare l'inquinamento provocato dalle sostanze chimiche che
intervengono negli attuali processi di tintura con prodotti sintetici.
Inoltre il prodotto finale, per esempio un tappeto, risulta commercialmente
più ricercato e valorizzato se tinto con colori vegetali,
in particolare poi se di origine locale, data l'attuale tendenza
del consumatore a preferire, giustamente, i manufatti artigianali
fatti localmente secondo le antiche tradizioni.
Con le erbe si ottengono colori pastello, di tonalità
più tenui e delicate rispetto a quelli ottenibili con
preparati sintetici Le tinte ottenute sono indelebili, resistenti
ai lavaggi ed alla esposizione alla luce ed al sole meglio di
quelle ricavate dai prodotti sintetici.
Ogni esperienza può dare risultati differenti, pur attenendosi
alla stessa ricetta, dovuti all'età della pianta, al periodo
di raccolta, al tipo di terreno, all'umidità, all'esposizione
e ad eventuali malattie, per esempio parassitosi, di cui soffre.
Per cui è buona norma tingere con un unico bagno, ossia
con una unica preparazione di decotto, tutto il quantitativo,
per esempio di lana, che per un certo lavoro serve di un dato
colore, facendo prima una prova con una piccola quantità,
anche per scegliere, in funzione della gradazione richiesta,
il giusto rapporto tra decotto e quantità di lana.
Un grave difetto è che la ricerca e la raccolta delle
piante tintorie, ed anche la preparazione dei decotti, richiedono
molto tempo.
PREPARAZIONE DELLA LANA PER LA TINTURA
Si possono tingere con ottimi risultati lana, cotone greggio,
seta e lino. Questi appunti sono riferiti ad esperienze fatte
con lana greggia di pecora sarda. E' importante il riferimento
alla lana sarda, in quanto di fibra più corta e più
ricca in cheratina delle altre lane.
La prima operazione, sempre necessaria qualunque procedimento
si usi in seguito, è il lavaggio, per il quale si formano
matasse di circa 100 g l'una, che si lavano in acqua tiepida
utilizzando un detersivo specifico, si risciacquano molto accuratamente
e quindi si stendono ad asciugare all'ombra.
Nel procedimento più classico si procede poi con la mordenzatura.
Tale processo agisce sulla lana, o in genere sulla fibra naturale,
facendo sì che le sostanze coloranti solubili in acqua
e contenute nel bagno di colore si fissino stabilmente ed in
maniera indelebile sulle fibre.
Questi risultati in resa e stabilità di colore si ottengono
mordenzando la lana prima della tintura (questo procedimento
è noto come tintura a mordente) con allume di rocca (solfato
di alluminio e potassio, che costituisce il mordenzamento vero
e proprio) al 10-15% in peso e cremor tartaro (tartrato acido
di potassio, che ammorbidisce la lana indurita dal mordenzante)
al 5% in peso. Le percentuali sono riferite alla lana asciutta
da trattare. Ossia, per ogni 100 g di lana asciutta occorrono
da 10 a 15 g di allume e 5 g di cremor tartaro. L'allume di rocca
ed il cremor tartaro sono reperibili nelle drogherie meglio fornite.
Si opera come segue.
1) Mettere a bagno la lana (lavata
in precedenza, pesata da asciutta ed in matasse legate, senza
stringere, in due o tre punti) in acqua fredda circa 10 minuti
prima di iniziare la mordenzatura.
2) Pesare l'allume ed il cremor
tartaro nelle proporzioni dette in precedenza.
3) Mettere in un pentolino a scaldare
200 cc (1/5 di litro) circa di acqua ogni 100 g di lana, e farvi
sciogliere, rimescolando, l'allume (che è poco solubile
a freddo) ed il cremor tartaro.
4) In una pentola più capiente
mettere da due a te litri d'acqua per ogni g di lana asciutta,
aggiungere la soluzione con il mordenzante ed immergervi la lana
bagnata.
5) Far bollire lentamente, rimescolando
frequentemente, per 1 ora.
6) Far raffreddare la lana, lentamente
e naturalmente, lasciandola nella soluzione mordenzante.
7) Risciacquare molto bene con acqua
fredda o tiepida.
Il filtrato può essere usato subito per la tintura o fatto asciugare all'ombra e usato quando necessario. Ricordarsi che i recipienti da usare debbono essere in acciaio inossidabile o almeno in ferro smaltato. Non è consigliabile l'alluminio in quanto può alterare i colori.
Con un procedimento analogo si può usare come mordenzante il bicromato di potassio, che dà risultati in qualche caso migliori in quanto, per esempio valorizza i gialli. Non ne consiglio l'uso nelle prime esperienze, in quanto è tossico e da maneggiare con molta cura e competenza, e necessita particolari attrezzature quali una cappa aspirante.
Con determinati decotti, quali quelli di noce, licheni,
castagno ( foglie e ricci ), galle di quercia e di terebinto,
non è necessario mordenzare il filato prima della tintura,
in quanto queste specie vegetali sono già ricche in sostanze
fissative, ad azione mordenzante, quali in particolare i tannini.
Questo procedimento si chiama tintura diretta.
E' anche possibile aggiungere gli additivi chimici mordenzanti
direttamente durante la tintura, in particolare a metà
tintura circa. Si può usare, seconda degli effetti che
si vogliono ottenere, solfato ferroso, solfato di rame, lo stesso
allume di rocca, idrossido di calcio, cenere ( o carbonato di
potassio ), sale da cucina ( cloruro di sodio ), E' il tipo di
tintura, noto come tintura a sviluppo, per le lane da usarsi
nella tessitura dei tappeti. Non consiglio questo metodo che
ha l'unico vantaggio di essere più rapido, ma le tinte
ottenute sono più chiare, ossia non si sfrutta tutto il
principio colorante contenuto nel bagno di colore, e sono soprattutto
meno stabili alla luce ed al sole. Un procedimento molto particolare,
ma importantissimo, è la tintura al lino, usata per tingere
con l'indaco, ottenuto da una pianta orientale ( Indigofera tinctoria
), commercializzata in polvere, o anche col guado ( Isatis tinctoria
). Il guado è l'unica pianta presente in Sardegna che
permette di ottenere varie gradazioni, tutte molto stabili, del
blu. Curioso è il fatto che il filato esce dal bagno di
tintura di colore giallo verdastro e, sotto l'effetto dell'esposizione
alla luce, diventa completamente azzurro ( o celeste ) nel giro
di 15/20 minuti. Per avere tonalità più scure,
ottenibili direttamente con l'indaco, occorre ripetere il procedimento
più volte. Non lo descriviamo in quanto richiede molta
esperienza.
ADDITIVI CHIMICI USATI NELLA TINTURA CON VEGETALI
Elenchiamo, tra i più importanti, quelli reperibili
con maggiore facilità:
- Allume di rocca: solfato di alluminio
e potassio, di formula chimica K A1 ( SO4 ) 2 . H2O.
E' una polvere cristallina bianca solubile in acqua a caldo,
non tossica né irritante. Si trova natura nelle zone vulcaniche
ed in alcune miniere. In Sardegna era reperibile presso Segariu
( Cagliari). Attualmente viene prodotta industrialmente per sintesi.
E' il mordenzante più importante e più usato per
l'economicità, per la fedeltà cromatica e per l'uso
semplice e sicuro.
- Bicromato di potassio, di formula
chimica K2Cr 2 07.
E' una polvere cristallina di un bel colore giallo arancio, tossica,
corrosiva e fortemente irritante. Teme la luce per cui il filato
così mordenzato va tinto subito o conservato al buio.
E' usato come mordenzante nella tintura a mordente, nella proporzione
di 3,3 g ogni 100 g di lana e con una bollitura della durata
di un quarto d'ora, quando occorre rendere più scure e
brillanti le sfumature del giallo, del verde e del marrone.
- Solfato di rame, di formula chimica
CuSO4.
E' una polvere cristallina di un bel colore azzurro, tossica
ma poco irritante ( se ne cade sulle mani, è sufficiente
lavarsele ). Valorizza i verdi. Viene usato come mordenzante
nella tintura a sviluppo e come additivo del bagno di colore
nella tintura a mordente appunto per rafforzare il verde, o per
far sì che il colore tenda al verde o a far virare i rossi
verso il marrone.
- Solfato ferroso, di formula chimica
FeSO s 27 83 1*4.
E' una polvere cristallina di colore verde chiaro, tossica ma
poco irritante come il solfato di rame. Viene utilizzato come
mordenzante nella tintura a sviluppo o come additivo nella tintura
a mordente per scurire le tinte, in particolare per ottenere
grigi e neri. Occorre mescolare molto assiduamente per evitare
macchie sul filato.
- Cremor tartaro, ossia tartrato
acido di potassio, di formula chimica C4H4K2O6.
E' una polvere bianca, di aspetto gessoso, non tossica né
irritante, usata come ammorbidente dei filati trattati con mordenzante.
Si aggiunge al bagno di mordenzatura.
- Aceto di vino . Si usa aggiunto
all'acqua di risciacquo finale per rinforzare e dare lucentezza
alle tinte. E' indicato soprattutto per rosa e per i rossi.
- Ammoniaca, ossia soluzione acquosa
di idrato di ammonio di formula chimica NH4OH si *
E' un liquido dall'odore pungente, ma poco tossico e poco irritante.
Viene aggiunta all'acqua nella quale si lasciano a macerare foglie
coriacee, legni, radici e cortecce per facilitare l'estrazione
dei principi attivi in essi contenuti.
- Idrosolfito di sodio, di formula
chimica Na2S2O4. H2O.
E' un ingrediente indispensabile nella tintura al tino.
- Sale da cucina, ossia cloruro
di sodio di formula chimica NaC1, ed idrossido di calcio di formula
chimica Ca(OH)2.
Si usano come mordenzanti nella tintura a sviluppo.
- Carbonato di potassio, di formula
chimica K2CO3.
E' una polvere bianca, poco irritante ma tossica, che veniva
un tempo estratta dalla cenere di legna che ne contiene una certa
percentuale. Si usa come mordenzante in sostituzione della cenere
nella tintura a sviluppo e come additivo al bagno di colore nella
tintura a mordente, soprattutto per rafforzare i gialli ed i
marrone.
- Soda Solvay, ossia carbonato di
sodio di formula chimica Na2CO3.
E' una polvere bianca, tossica ma poco irritante come il carbonato
di potassio. E' opportuno usarla come additivo, per sgrassare
la fibra, nella mordenzatura del cotone. Può essere anche
usata come additivo nel bagno di colore nella tintura a mordente
per scurire alcuni colori, in particolare i gialli.
I vari additivi del bagno di colore vanno aggiunti in quantità
pari a circa 5/10 g ( e solo eccezionalmente maggiori ) per ogni
100g di lana ).
I mordenzanti nella tintura a sviluppo vanno aggiunti nella quantità
di circa 10/20 g per ogni 100 g di lana.
Le
piante tintorie sono numerose e reperibili un po' dovunque. Nelle
tabelle allegate sono riportate alcune tra le specie tintorie
più comuni e rappresentative presenti in Sardegna, sia
perché usate da sempre, come la robbia, il guado ed il
gnidio, sia perché sperimentate ultimamente, come la ginestrella
ed il capittoni.
Accanto al nome in italiano c'è quello in latino, ossia
il nome scientifico , e, se noto, quello usato nella Sardegna
settentrionale.
Per ogni specie sono state indicate le parti usate ed il tempo
balsamico, ossia il periodo dell'anno in cui quella parte della
pianta ha un maggior contenuto in principi attivi, e che è
quindi il periodo più indicato per raccolta.
Sono riportate poi le tinture fondamentali ottenibili da ciascuna
parte di pianta usata e quelle ottenibili con l'aggiunta di opportuni
additivi.
La raccolta va effettuata senza danneggiare le piante. Si useranno
perciò forbici per potare per recidere rami, foglie e
fiori e non si raccoglierà mai indiscriminatamente impoverendo
troppo la zona. Di radici e rizomi se ne asporteranno solo delle
porzioni, lasciandone sempre una parte sufficiente a permettere
la sopravvivenza della pianta, che non verrà mai sradicata.
Il materiale, appena raccolto, va pulito, eliminando le parti
che non servono per la tintura e quelle non perfettamente sane.
I rametti, privati di foglie se richiesto, vanno ridotti in pezzi
di circa dieci centimetri, le radici e i rizomi vanno puliti
dalla terra e tagliati in pezzi grossolani. Usando le foglie
occorre togliere i piccioli e, coi frutti, togliere i peduncoli.
Le cortecce vanno asportate dai rami.
Il materiale raccolto può essere usato subito. In particolare
è raccomandabile usare entro poche ore dalla raccolta
i fiori, alcune piante ricche di lattici come l'euforbia e il
gnidio ed i frutti carnosi, in quanto da secchi possono dare
risultati molto deludenti.
Molte droghe comunque possono essere usate secche, e quindi conservate
per qualche tempo, anche se il materiale secco dà colori
più opachi rispetto al fresco ed ha una minor resa. L'essiccazione
va fatta in ambienti ben aerati ed all'ombra, stendendo il materiale
su graticci e rimuovendolo frequentemente fino a completa essiccazione.
Va poi sistemato in sacchi di tela o di carta( e non di plastica,
perché deve essere possibile la circolazione di aria),
sui quali, a mezzo di apposite targhette, deve essere annotato
il nome della specie e della sua parte e la data e il luogo di
raccolta ( per esempio: lentischio foglie: Tergu 3/2/87). I sacchi
andranno poi conservati in luoghi freschi ed asciutti.
E' anche possibile conservare il bagno di tintura già
pronto, per qualche giorno in frigorifero e per più tempo
nel surgelatore. Nel surgelatore è possibile anche conservare
bagni concentrati, da diluire ed utilizzare quando necessario.
ATTREZZATURE :
La minima attrezzatura necessaria per poter tingere:
- 1 fornello da cucina con almeno due fuochi.
- 1 pentola da 20/25 litri con coperchio, possibilmente in acciaio
inox, per mordenzare.
- 2 pentole da 10/15 litri con coperchio, possibilmente in acciaio
inox, per preparare i decotti e per tingere.
- 1 casseruola in acciaio inox, da circa ½ litro, per
sciogliere le sostanze chimiche.
- 2 sacchi di plastica da almeno 10 litri .
- 2 o 3 bacinelle in plastica di diverse grandezze.
- 2 o 3 ciotole in plastica con coperchio, da 2/3 litri, per
conservare in frizer i bagni di colore.
- 1 misurino graduato in plastica da ½ litro.
- 1 colapasta in plastica.
- 2 robuste bacchette in plastica per mescolare decotti e bagni
di colore. In loro mancanza vanno bene mestoli di legno.
- 1 termometro per liquidi con scala fino a 150°C.
- 2 bacchette di vetro o di plastica per solubizzare le sostanze
chimiche.
- 1 bilancia di precisione con portata almeno 2 kg per pesare
erbe e filati.
- 1 bilancia di precisione(non è necessaria una molto
costosa ,bilancia da farmacista: è sufficiente una pesalettere
o una bilancetta per polveri) con precisione 0,1 g e portata
circa 40 g.
- Forbici per potare, forbici normali, guanti di gomma, grembiuli,
sacchetti di carta e scatole di cartone(per conservare le erbe
secche), garza o tessuto simile(per filtrare i decotti), cartoncini
per etichettare le matasse ed uno stenditoio.
- E' opportuno che l'attrezzatura (in particolare le pentole)
utilizzata per la tintura non venga più utilizzate per
altri usi. Usando mestoli di legno fare
attenzione a non inquinare i colori.
1) Accertarsi della presenza di tutti gli utensili necessari,
degli additivi chimici e del filato in quantità sufficiente,
ricordando che è impossibile ottenere colori identici
con bagni diversi.
2) Scegliere le specie tintorie da usare a seconda del periodo
dell'anno, della zona in cui vi trovate e dei risultati che desiderate,
usando le schede in vostro possesso.
3) Raccogliere le erbe scelte e prepararle con molta cura.
4) Mordenzare il filato.
5) Preparare il decotto e, subito dopo............
6) Tingere.
Avendo la lana già lavata e mordenzata e la droga vegetale, ossia la pianta che si intende usare, pronta, la prima fase del processo di tintura è la preparazione del materiale vegetale. Più esso è frantumato e più facile sarà l'estrazione delle sostanze coloranti, per cui è necessario, prima dell'uso e dopo averlo pesato, spezzettarlo il più possibile. Le radici, i rami, le cortecce, le foglie coriacee, tutte le droghe essiccate, i frutti e le parti di essi( mallo di noce, riccio di castagna ed ippocastano ecc.), dopo essere stati pesati vanno fatti macerare in acqua fredda (quanta ne basta per coprirli per una notte. Si può aggiungere, per facilitare l'estrazione dei principi tintori, un cucchiaio di ammoniaca.
- Acqua. La quantità
necessaria dipende sia dalla quantità e qualità
della droga sia dal tempo di cottura previsto (più a lungo
bolle più se ne perde per evaporazione ). Di regola se
ne mette da 20 a 30 volte il peso della lana asciutta (ossia
da 2 a 3 litri per ogni 100 g di lana) ,aggiungendo mezzo litro
per ogni ora di ebollizione prevista. Se necessario si può
aggiungere acqua anche durante la cottura.
- Materiale vegetale. La quantità
minima, con droga fresca, è uguale al peso della lana
asciutta da tingere. Aumentandone la quantità, il colore
ottenuto, almeno fino ad un certo limite, aumenta di intensità.
Questo avviene finché la lana riesce ad assorbirlo tutto,
ed è valutabile in base a quanto ne resta nel bagno di
tintura adoperato. In genere conviene abbondare, considerando
da 200 a 300 g di droga fresca per ogni etto di lana asciutta.
Con droga secca, molto più leggera perché privata
dell'acqua di vegetazione, le dosi sono da dimezzare. Sarà
comunque l'esperienza personale a stabilire le regole alle quali
attenersi.
- Tempo di cottura. Varia a seconda
del tipo di droga. Orientativamente da 1 a 2 ore per le foglie,
da ½ ora ad 1 ora per i fiori, 1 ora per i frutti carnosi,
2 ore per i frutti secchi, da 3 a 4 ore per cortecce, rami e
radici.
- Procedimento. Se il materiale
è stato fatto macerare si trasferisce in una pentola di
acciaio inossidabile, si aggiunge acqua fino alla quantità
stabilita e si mette a bollire.
- Raggiunta l'ebollizione si prende nota dell'ora e si lascia
bollire, dolcemente ed a pentola coperta, per il tempo stabilito,
mescolando ogni tanto. Se necessario, durante la cottura, come
già detto, si può aggiungere altra acqua.
- A cottura ultimata si spegne il fuoco e si lascia raffreddare
naturalmente il decotto ottenuto, nella stessa pentola di cottura
mantenuta coperta. Solo quando è pressochè freddo
lo si filtra attraverso una garza.
- Il liquido filtrato ottenuto è quello che viene chiamato
"bagno di colore". E' consigliabile usarlo subito.
In frigorifero può essere conservato al massimo 2 o 3
giorni, altrimenti comincia a fermentare perdendo rapidamente
le sue caratteristiche. Dura a lungo, come già detto,
surgelato e conservato in freezer.
Innanzitutto si mette a bagno per 10 o 20 minuti in acqua
fredda la lana mordenzata, se si usa un procedimento di tintura
a mordente, oppure solo ben lavata per la tintura a sviluppo
o al tino. Ricordiamo che è molto importante che, sia
durante le operazioni preliminari sia nel processo di tintura
vera e propria, la lana non subisca bruschi sbalzi di temperatura.
Si immerge la lana bagnata nel bagno di colore e si mette a bollire,
lentamente ed a pentola coperta. Si lascia cuocere finché
non è esaurita quasi tutta la sostanza colorante presente
nel bagno, ossia fino a quando quest'ultimo non si è quasi
del tutto decolorato. In genere si bolle per un tempo compreso
tra 1 e 2 ore.
Questo sistema è valido se si desidera sfruttare in un
solo passaggio quasi tutta la sostanza tingente presente nel
bagno, ottenendo la tonalità più intensa possibile.
Se si vogliono invece ottenere più gradazioni di colore
dello stesso bagno, oppure se la droga è molto ricca di
sostanze tingenti, si toglie la prima matassa(1° bagno) dopo
circa 30 minuti di ebollizione se ne immerge un'altra (2°
bagno) in ebollizione per circa 45 minuti ed infine, se il bagno
non è ancora del tutto esaurito, una terza (3° bagno)
in ebollizione per un'ora. Il 2° o il 3° bagno possono
essere conservati anche in frigo o in freezer. Questo procedimento
è, per esempio, molto usato con la robbia per ottenere
diverse tonalità di rosa.
Durante l'ebollizione la matassa va rimossa spesso per dare a
tutto il filato la possibilità di colorarsi uniformemente,
a meno che non si vogliano intenzionalmente ottenere degli effetti
particolari, tipo quelli dei batik africani.
Quando si desidera aggiungere additivi chimici al bagno, si toglie
momentaneamente la matassa, si fa sciogliere bene la sostanza
e poi la si riimmerge. Lo stesso accorgimento si usa per aggiungere
al bagno altra acqua, che deve essere sempre abbondante per non
lasciare scoperta la matassa.
A tintura ultimata si lascia intiepidire naturalmente il bagno
prima di togliere la matassa. Solo nel caso si rischi di macchiarla,
per esempio con un bagno nel quale è stato aggiunto solfato
ferroso, la si toglie con acqua tiepida, nel secondo con acqua
bollente, in quanto il risciacquo va fatto con acqua alla stessa
temperatura del bagno di colore dal quale la lana è stata
tolta, sempre allo scopo di non sottoporla a brusche variazioni
di temperatura.
Il risciacquo deve essere molto accurato, cambiando l'acqua finché
non vi restano più tracce di colore. Le matasse vanno
poi ben strizzate, o centrifugate, e fatte asciugare all'ombra,
in un luogo ben areato e lontano da fonti di calore .
E' opportuno legare con un filo a ciascuna matassa un cartoncino
sul quale, come già detto, saranno indicati la specie
vegetale usata per tingere, le parti utilizzate e la data della
tintura. Vi sarà anche riportato un numero che si riferisce
alla scheda sulla quale è riportato un numero che si riferisce
alla scheda sulla quale è riportato, in ogni dettaglio,
tutto il procedimento di tintura usato.
Quando si effettuano prove di tintura, usando procedimenti
o piante nuove o comunque non collaudati dalla propria esperienza,
è bene eseguire dei controlli sulla solidità delle
tinte ottenute.
Per verificare la resistenza alla luce si espone una matassina
alla luce del sole per una settimana, confrontandola poi con
un'altra, proveniente dallo stesso bagno, e mantenuta per lo
stesso tempo al buio: le due matassine debbono essere indistinguibili.
Per verificare la resistenza al lavaggio si lava una matassina
più volte di seguito coi normali detersivi: anche questa
deve essere indistinguibile da quella solo sciacquata dopo la
tintura e tenuta come campione.
Per le prove di solidità occorrono quindi tre matassine,
che possono essere piccole (in genere dai 20 ai 40 grammi) ,
e saranno poi utilizzate per fare le schede.
E' opportuno prendere nota durante tutte la fasi che precedono
la tintura e nel processo tintorio, di tutte le operazioni che
si svolgono. Si preparerà una scheda sulla quale si scriverà:
1) Nome della pianta (italiano e scientifico).
2) Luogo e data della raccolta.
3) Parti usate, specificando se fresche o secche.
4) Tipo di filato (lana, cotone, lino, ecc.), quantità
e tipo di mordenzante eventualmente usato e tempo di ebollizione
della soluzione mordenzante.
5) Quantità di droga usata, con indicazioni di eventuali
macerazioni, quantità di acqua e tempo di cottura del
decotto.
6) Bagno di colore: tempo di ebollizione delle matasse nei vari
bagni e loro peso, specificando tipo e quantità di eventuali
additivi chimici.
7) Applicazione di campioncini delle matasse tinte.
Avere una serie di schede, soprattutto se frutto della propria esperienza, permette di ottenere i risultati voluti con più sicurezza.