CARDIOMIOPATIA DILATATIVA EREDITARIA
La cardiomiopatia dilatativa ereditaria rientra nel 25% delle forme idiopatiche di tali disordini.
Se vogliamo dare
una definizione di cardiomiopatia dilatativa possiamo
identificarla come una patologia caratterizzata da una
dilatazione di entrambe le camere ventricolari, con una riduzione
della funzione contrattile e assenza di motivi per ritenere che
il quadro sia dovuto a cardiopatie di altro genere ( ipertensiva,
valvolare, ischemica, etc.) o a forme secondarie.
PATOGENESI: la
patogenesi della cardiomiopatie dilatative ereditarie è ancora
oggetto di studio, tuttavia alcuni primi modelli sono stati
osservati mediante lutilizzo di topi transgenici. Le
difficoltà incontrate sono dovute al fatto che non si sospetta
di una patologia ereditaria finchè non ne viene riconosciuto
affetto un altro membro della famiglia dalla stessa patologia .
Una buona conoscenza dei difetti genetici che stanno alla base di
questa malattia saranno molto utili per discriminare tra le varie
forme di cardiomiopatia dilatativi, dal momento che queste non
sono sempre distinguibili alla base di caratteristiche cliniche;
ciò potrà fornirci notizie utili riguardo la storia naturale
della malattia e la sua progressione e potrebbe consentire una più
solida base per lo sviluppo di un ragionevole e specifico
intervento.
Da più di un
anno è stata individuata una intricata matrice di difetti
genetici e foci cromosomici che stanno alla base di tale
patologia.
Tra i primi geni
mutati fu trovato quello della distrofia muscolare scheletrica,
che oltre a questa provoca distrofie (tipo Duchenne e Becker) e
miocarditi. Infatti il primo esempio di cardiomiopatia
dilatativa familiare per la quale una base genetica è
stata definita è la distrofia di Duchenne. In questa e in altre
distrofie, il difetto molecolare è localizzato in alterazioni
del complesso transmembrana laminina-distroglicano-distrofina,
che connette lactina citoscheletrica delle cellule
muscolari a proteine strutturali che sono sintetizzate dai
fibroblasti circondanti i miociti. In queste distrofie il difetto
si traduce in un indebolimento della normale unione delle forze
generate dai singoli miociti, che è tradotta in lavoro fatto dal
tessuto come unità, che sotto lazione dello stress
cellulare non è più capace di essere propagata. Da recenti
studi condotti sul criceto siriano, si è osservato che il
medesimo difetto è causa di cardiomiopatia dilatativa. Tale
complesso è alla base dellunione tra il citoscheletro e la
matrice cellulare.
La distrofina,
proteina del sarcolemma , funziona da anello tra lactina
citoscheletrica e la matrice cellulare, attraverso lattività
di glicoproteine transmembrana. Dato che il sarcomero è
attaccato alla parete cellulare da microfilamenti di actina, e lesatta
struttura della fibra muscolare è necessaria per la contrazione,
non ci sorprende come linterruzione della distrofina o di
altre proteine del citoscheletro, come la meta-vinculina e il
delta sarcoglicano , danneggi tale meccanismo. inoltre si è
posta levidenza di come queste interruzioni rendano più
suscettibile la cellula a danno da contrazione muscolare e a
necrosi.
Oltre a mutazioni
della distrofina si sono osservate mutazioni più specifiche a
carico dei geni per lemerina e le lamine A e C.
Lemerina è
una proteina,ricca di serine, transmembrana, largamente diffusa,
costituita da 254 a.a. che è collocata allinterno della
membrana nucleare. Mutazioni del gene per questa proteina sono
responsabili della distrofia muscolare di Emery-Dreifuss, un
disordine caratterizzato da difetti della conduzione cardiaca,
contratture del collo, delle labbra e dei gomiti, e progressiva
atrofia di particolari gruppi muscolari.
Correnti teorie
sulla partecipazione dellemerina e delle lamine A e C in
miopatie cardiache e scheletriche suggeriscono che ci sono
alterazioni con specifici fattori di trascrizione o sequenze di
DNA come leterocromatina, quale regolante geni silenziosi,
oppure come fattore di protezione delle cellule sotto stress
meccanico.
Anatomopatologicamente
le principali manifestazioni morfologiche della cardiomiopatia
dilatativa sono labnorme dilatazione delle camere
ventricolari che determinano un aumento del peso del cuore (fino
a 900 gr) con ispessimento della parete a causa dellipertrofia
eccentrica del ventricolo e del setto, caratterizzata da un
aumento della lunghezza e non della larghezza della fibre
ventricolari.
Funzionalmente il
difetto principale è la perdita della performance sistolica dei
ventricoli, che determina una diminuzione della frazione di
eiezione, un aumentato residuo telesistolico, dilatazione dei
ventricoli con ipertrofia, aumento della pressione a monte, fino
ad arrivare ad un vero quadro di scompenso.
CLINICA: è
proprio la sintomatologia dello scompenso che affligge il
soggetto con cardiomiopatia dilatativa; scompenso che si sviluppa
lentamente causato dalla scarsa capacità contrattile del
miocardio e dalla riduzione,conseguente, della gettata cardiaca.
La sintomatologia
insorge in modo subdolo, i primi disturbi compaiono intorno a 20-50
anni, e sono caratterizzati da un a sempre più facile debolezza
ed affaticabilità , inizia quindi a comparire dispnea dopo
sforzi sempre più leggeri, difficoltà a dormire se non con più
cuscini , diminuzione dello stimolo minzionale durante il giorno
e aumento durante la notte (nicturia). Nei casi più avanzati
compare ledema polmonare che si manifesta con tosse
accompagnata da escreto schiumoso, ipossia , tachipnea.
Tra i segni si può
osservare disturbi della conduzione interventricolare (blocchi di
branca ) , presenza di aritmie, dolore toracico.
Laccertamento
diagnostico si ha con lecocardiogramma che ci informa delle
dimensioni e della spessore delle camere cardiache, e con la
biopsia del tessuto che ci permette di fare diagnosi
differenziale tra forme idiopatiche e secondarie( determinate
dallazione del virus coxachie B , dal mieloma non
secernente, da patologie immunitarie)
TERAPIA: Il 35%
dei pazienti affetto da cardiomiopatia dilatativa muore dopo 5
anni dalla diagnosi, il 70% dopo 10 anni.
Ad oggi lunica
terapia valida è il trapianto, scarsissimi risultati hanno dato
le terapie farmacologiche per lo scompenso se non come modalità
per alleviarne i sintomi e migliorare la qualità di vita: gli
effetti sulla mortalità complessiva sono invece deludenti.