Secondo
la tradizione e diverse cronache manoscritte dell'Archivio parrocchiale,
Bonizzella salì alla gloria degli altari per un fatto avvenuto
il 6 maggio 1500 (una sola testimonianza parla del 6 maggio 1554).
Si teneva in quel giorno, nel palazzo pubblico di Trequanda un Consiglio
straordinario per deliberare su importanti ed impellenti questioni
politiche: due consiglieri, affacciandosi ad una finestra , videro
uno sciame d'api uscire dalle fessure del muro della chiesa, posta
di fronte al palazzo pubblico.
Incuriositi, alla fine della seduta, rimossero le pietre pensando
di trovare il miele e la preziosa cera. Trovarono invece il corpo
di una donna con accanto un bambino. Il sepolcro, sconosciuto a tutti,
era in qualche modo evidenziato da tre lastre bianche che spiccano
ancora oggi tra le pietre tufacee di quella porzione di muro.
Vestita di ermisino verde (stoffa di seta molto preziosa) con soggolo
monacale, la salma emanava odore di incenso e teneva tra le mani,
piane sul petto, un calice di cera fabbricato dagli industriosi animaletti.
Non c'era altra cera e non c'era miele. Solo quelle fiale forgiate
a forma di calice sulle mani di quel corpo incorrotto che giaceva
nel sepolcro da duecento anni.
Il miracolo dell'invenzione del corpo incorrotto e flessibile, come
attestano le antiche cronache, è rimasto vivo nella memoria
della gente trequandina che lo festeggia ancora oggi a distanza di
secoli la seconda domenica di maggio.
E le api tornano ogni anno, a maggio, a volare lievi intorno a quelle
pietre bianche sul muro della chiesa a rinnovare il segno si santità
e sul muro della casa terrena di Bonizzella, la villa di Belsedere,
proprio all'altezza di quella che fu la sua camera da letto.
La salma di Bonizzella fu portata in chiesa con grande venerazione
e commozione e per giorni la folla dei curiosi e dei fedeli sfilò
davanti alla prima rudimentale urna.
E' iniziato così un culto grande che permea e avvolge la fede
della gente del borgo, una fede tutta vissuta nella spiritualità
più semplice e fiduciosa.
Attualmente
l'urna di Bonizzella è sistemata al centro della chiesa. |
La
vita di Bonizzella
Siena
ed Arezzo se ne contendono i natali: ad Arezzo Bonizzella è
ricordata tra i protettori della città in una tela del Duomo,
nella Cappella San Silvestro; è la sola laica tra tanti religiosi.
A Siena è ricordata in numerosi scritti
come Beata senese.
Non si hanno notizie certe a causa dell'incendio che nel 1384 colpì
l'Archivio di Arezzo da cui dipendeva la diocesi di Trequanda. Visse
negli anni tra il 1230 e il 1300, figlia di Ildebrandino Cacciaconti,
grande feudatario, podestà di Padova, di Città di
Castello, di Siena e di Arezzo nonchè proprietario del castello
di Trequanda.
Data in sposa al conte Naddo di Benuccio Piccolomini di Corsignano
(Pienza) rimase presto vedova e si ritirò nella fattoria
di Belsedere.
Da lì impiegò le sue rendite e le sue ricchezze per
sollevare i bisogni della povera gente: soccorreva di persona i
mendicanti, curava i feriti, ospitava e sosteneva chi aveva perso
i familiari in guerra,
procurava lavoro alle donne bisognose. Bonizzella metteva in comune
con i poveri ciò che aveva: non c'èra più niente
che gli apparteneva, ma tutto era di tutti: il denaro, la casa,
il tempo, la preghiera.
I
fatti miracolosi
Il
miracolo del ritrovamento del corpo incorrotto e profumato d'incenso
con il calice di cera tra le mani, fu solo il primo di una serie
di fatti straordinari legati all'urna della Beata.
Molto
noto il miracolo del capitano che profanò il sacro corpo
di Bonizzella al tempo dell'assedio delle truppe spagnole. Gli abitanti
aprirono il sarcofago della Beata e si raccomandavano alla Beata
perchè li liberasse dagli invasori; fu così che un
capitano spagnolo, entrato in chiesa, le sfilò dalle mani
gli anelli rompendole il dito indice. Ma colto da improvviso tremore
e cecità rimise subito il maltolto nell'urna riacquistando
piena vitalità.
La
seconda volta che gli spagnoli entrarono in Trequanda (1553/54)
si abbandonarono a così tante scorrerie che grande fu il
timore per le violenze che avrebbero potuto apportare alle ragazze
del luogo. Anche in questa circostanza i soldati, nell'atto di violentare
le fanciulle, furono accecati e ripresero la vista solo quando le
rilasciarono.
I
miracoli ottenuti dalla Beata sono legati al quotidiano, alle preghiere
delle madri per i figli, alle guarigioni da malattie o ad incidenti.
Così fu per Niccolò Ghezzi, parroco a Trequanda nel
1750, gravemente ammalato e dato per spacciato dai medici. Le suppliche
alla Beata gli ottennero un subitaneo miglioramento e poi la guarigione.
E per Domenico Carboni, devoto alla Beata e infermo a letto a causa
del vaiolo, che si ritrovò ristabilito dopo che il parroco,
Don Cassioli, e la comunità si erano riuniti in chiesa a
pregare per lui.
O per la moglie di Pasquino Falciani che "era come ossesa
e si vero scema di cervello da molto tempo". Le fu dato
una reliquia del velo della Beata e alcuni fiori di un albero che
fioriva accanto al luogo di ritrovamento del corpo della Bonizzella.
La donna portò il velo con se, poi lo ingoiò con i
fiori spolverizzati e sciolti nell'acqua, pregò con fervore
la Beata e ottenne quella guarigione che nessuna medicina aveva
saputo darle.
Mentre si scopriva il corpo della Beata, il signor Giuseppe Rossi
si raccomandò d'istinto a lei al momento in cui gli partì
accidentalmente un colpo dalla sua pistola che gli portò
via il cappello, forò la giacca e lui non si fece nemmeno
un graffio ! Il fatto avvenne in piazza alla presenza di molta gente.
L'urna
della Beata è il simbolo della fede della gente trequandina
verso colei che ha eletto angelo protettore; in essa sono racchiuse
le memorie della storia e da essa si irradia la luce dei miracoli.

Urna in noce lumeggiato ad oro contenente
il corpo
della Beata Bonizzella Cacciaconti.
Arte senese del XIV secolo.
Testo
tratto da
Angela Roncucci Bonizzella Cacciaconti di Trequanda
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