Inserisco
in questa sezione dedicata a Cuba un interessante articolo tratto da
"La Repubblica" e inviato da Giuseppe Pugliese di Foggia (ndr, Solegemello)
"LA REPUBBLICA" , 26 gennaio 2001
Il Militante diventa Volontario
Che fine ha fatto l' "eroe comunista" ?
di Simonetta Fiori
Mai requisitoria fu piu' impietosa. Il "militante comunista" come cifra
del XX secolo, incarnazione estrema del suo attivismo e delle sue
contraddizioni laceranti. Non piu' homo ideologicus, ma homo faber
spinto dal delirio costruttivista del tempo nuovo. Un po' ribelle e un
po' poliziotto, diviso tra Piazza e
Caserma, a meta' strada tra eroe e aguzzino. Voleva edificare un mondo
piu'
giusto e ne e' stato completamente divorato, con esiti sideralmente
lontani dal progetto originario. Figura doppia e tragica, oscilla
continuamente tra "generosita' storica e ferocia burocratica", tra
"aspirazioni libertarie e spirito gregario", tra "emancipazione
collettiva e umiliazione dell'individualita'". Nato sulle ceneri della
Grande Guerra, esaltato dall'Ottobre rosso, vissuto sotto i fascismi
europei, il "soldato
della rivoluzione" si nutre di violenza, la stessa che e' il tratto
genetico del Secolo Breve.
E, insieme al Novecento, e' condannato a inesorabile tramonto.
Pur vantando antecedenti letterari illustri - Koestler il piu' citato -
il disperante ritratto del "comunista idealtipico" rivive di nuova
originalita' nell'ultimo e provocatorio saggio di MARCO REVELLI,
intellettuale indiscutibilmente di sinistra, amato dal leader di
Rifondazione comunista, studioso acuto
delle trasformazioni sociali ed economiche dell'eta'
contemporanea (Oltre il Novecento. La politica, le ideologie e le
insidie del lavoro, Einaudi). All'autore non sfugge la carica
dirompente delle sue tesi, che sicuramente susciteranno discussione tra
i suoi amici. "E' un
messaggio che ho voluto lanciare alla sinistra. Il Novecento ci
consegna
un secolo devastato dalla furia costruttivista dell'homo faber, anche
nella
sua variante politica rappresentata dal militante comunista. L'ordine
che
ne e' scaturito e' molto distante da quell'utopia. Se ora vogliamo
salvarci
dall'orrore economico d'un mondo governato dal profitto, dobbiamo
andare
al di la' del Novecento e delle sue lacerazioni. Trovo sbagliato e fin
troppo
facile cercare nel passato solo rassicurazioni; piu' doloroso scavare
tra
le pieghe dei nostri errori".
Lo studioso raccoglie la sfida di un'opera ("pur criticabile
nell'impostazione") come il Livre noir du communisme e va a
scoperchiare lo "scandalo del comunismo novecentesco", il primo dei
suoi peccati capitali, che consiste nella "normalita' dell'azione
repressiva", quel repertorio di carcere, deportazione, tortura,
delazione, campi di concentramento, spie e
aguzzini che ne accompagna l'esperienza storica. "Una realta' che
nessuna revisione dei conti puo' occultare ne' ridimensionare. E che in
termini
crudi puo' essere espressa cosi': numerose generazioni di comunisti, in
questo secolo, condussero la loro battaglia per un mondo e un'umanita'
radicalmente
diversi, usando le armi degli altri. Le armi dei propri nemici, delle
tradizionali classi dominanti, degli oppressori e dei tiranni. Per
molti aspetti, peggio degli altri. Nella convinzione condivisa che la
grandezza dei propri fini avrebbe comunque riscattato la durezza dei
mezzi".
E' in questa devastante contraddizione - tra i fini desiderati e i
mezzi utilizzati, tra premesse ideali ed esiti reali - che annida la
tragica ambivalenza del militante rivoluzionario. "La sua ineliminabile
doppiezza". "L'io continuamente scisso tra principi giusti e risultati
sbagliati". La sua antropologia e' segnata dal rovesciamento di tutti i
valori che il comunismo, una volta
conquistato il potere, pratica con sistematicita'. Il ribellismo
trasformato
in autoritarismo, lo spirito libertario mortificato in gregarismo.
L'identita'
sovversiva e autonoma delle origini dissolta nella gestione del potere.
Ed e' in questo "drammatico solco tra finalita' e mezzi" la grande
differenza
dal nazismo, segnato dalla "perfetta coincidenza tra ferocia dei mezzi
e
ferocia dei fini". Distanziandosi dal suo maestro Bobbio, che ieri su
queste
pagine (“la repubblica”,ndr) in un'intervista a Giancarlo Bosetti
tracciava
una forte analogia tra i due totalitarismi, Revelli ne contesta anche
la
definizione di comunismo come utopia reazionaria: "Il comunismo non e'
ne'
incidente di percorso ne' residuo di passato sopravvissuto nella
modernita':
e' incarnazione tragica della stessa modernita', essendosi arreso ai
mezzi
materiali che il Novecento gli mette a disposizione. Questo e' un
secolo
in cui la forza delle cose travolge la forza delle idee".
Il comunismo come strada inesorabilmente sbarrata: "non possiamo
salvarne nulla e dobbiamo ripartire da zero". Andare "oltre il
Novecento", come recita il titolo del saggio. Ma nel gettare in mare il
militante rivoluzionario
con il suo fardello di ambiguita', non c'e' il rischio di liquidare
quello
straordinario patrimonio di energie, uomini e idealita' che pure ha
caratterizzato
la storia dei comunisti italiani? Severa la risposta: "E' indubbio che
in
Italia il Pci abbia rappresentato un grande progetto di educazione
civile.
Ma il risultato non e' tra i piu' entusiasmanti: passivita',
atteggiamenti
acritici, machiavellismo, in qualche caso cinismo. Molti dei valori
originari
sono stati bruciati nella grande macchina che mette al primo posto il
potere
politico".
Requiem dunque per il soldato della rivoluzione. Sostituito oggi da una
figura ancora evanescente, fragile, "appena percepibile in filigrana
sulla scena sociale". E' il Volontario, nuovo attore della solidarieta'
e della ribellione, "distante sia dai furori ideologici che dalle
meschinita' burocratiche del potere". Non ha ne' un uniforme ne' una
bandiera. Non e'
appunto un soldato. "E' un civile, animato dal senso di
responsabilita', capace di "fare" fuori dalle logiche del profitto". Ed
e' nel passaggio
dall'"estenuata figura del militante" a quella ancora "vacillante" del
Volontario
che Revelli rintraccia una delle possibili "uscite di sicurezza" del
Novecento.
"Sono consapevole che l'operazione sia rischiosa. Assumere il
volontario come riferimento per un nuovo inizio comporta una buona dose
di iconoclastia. Significa rinunciare a molte tesi care alla vecchia
sinistra. Una scommessa, dunque. Che oggi vale la pena tentare".