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Devirus
perché? Quando
non si riesce a dare “senso” significato a ciò che accade, a darsi una
“ragione” di ciò che si sta vivendo, il pensiero logico concettuale abdica
e viene sostituito dal pensiero metaforico, il quale riempie i vuoti di
conoscenza e coscienza. La malattia è un fenomeno nel quale si verifica con più
frequenza la difficoltà dell’uomo a darsi una spiegazione razionalmente
plausibile, e il malato spesso ricorre ad una metafora per darsi una
rappresentazione della realtà che sta vivendo. Essendo ignorata, nel passato,
la causa delle malattie, il pensiero metaforico rendeva plausibile alla mente la
realtà, compensando il vuoto di conoscenza e di senso. La storia della medicina
è, infatti, piena di metafore sulle malattie, si pensi ad esempio alla TBC
(chiamato il mal sottile) o al tumore (granchio, cancro). L’AIDS,
oggi, si sostituisce al cancro, come malattia in gran parte sconosciuta e
diffusa in tutto il mondo, ed è stato indicato come il “male legato alla
degenerazione morale”. La
trasmissione per via sessuale della malattia induce metafore intorno alla colpa
ed alla punizione, per i peccati di lussuria e quelli della decomposizione
sociale, a causa della perdita dei valori o per l’edonismo moderno (cfr.
SONTAG S., L’Aids e le sue metafore. Einaudi, Torino, 1989, pag. 54) L’idea
che sostiene il progetto de Virus è quella di creare un’opera o
un’operazione che riesca ad irrompere nel sistema immunitario socioculturale,
a creare metaforicamente un nuovo terribile virus (de Virus appunto). Chiunque
si trovasse a “cliccare” su De virus verrà contagiato da una nuova
consapevolezza preventiva capace di de-virare , come il software anti-virus di
un pc, dal morbo della disinformazione, dell’indifferenza e dagli stereotipi
che inquinano il senso comune. De
virus è un progetto di contaminazione preventiva, perché il virus con la sua
potenza corrosiva, infettiva, mortifera provoca le coscienze con prospettive di
una morte inaspettata e di una vita segreta insospettabile. Fare un’opera
di prevenzione o fare della prevenzione un’opera? “i
ragazzi che entrano ora nell’età sessualmente attiva non sono stati
sottoposti ad una seria campagna di prevenzione” (A. Vattese) Se
la soglia di attenzione rispetto al fenomeno Hiv-Aids si è abbassata, se è
vero che i grandi media non ritengono più di “moda” la tematica, se le
nuove generazioni sono rimaste fuori dalle grandi campagne informative e di
sensibilizzazione degli anni ’80, diventa allora urgente cominciare a
riparlarne. Ma come? Sicuramente
è importante riparlarne diffusamente, in modo forte, anche provocatorio, se
occorre, perché si tratta di rilanciare un’operazione culturale che lavori
alla costruzione emotiva e intellettuale di un bisogno/desiderio di sapere, di
informarsi, che non si fondi pur tuttavia sulla paura di morte e malattia, sulla
drammatica urgenza. Dunque rompere ancora il silenzio. In
questo senso una delle proposte possibili di rilancio è un progetto di
prevenzione che utilizzi modalità fortemente comunicative, attingendo in
particolar modo dalla forza dell’espressione artistica, perché l’arte può
aiutare a porre l’accento su una tematica sociale rendendola visibile,
leggibile e interpretabile nei suoi aspetti più profondi, nascosti o
indicibili. Perché l’arte, in particolar modo quella contemporanea, può
andare oltre l’enfasi posta sull’espressione di sé e spingere la sua
tensione verso una relazione viva e reale con chi ne fruisce, divenendo una
forma di espressione, comunicazione e partecipazione sociale. L’arte allora può
essere anche uno strumento che consente di entrare in relazione con l’altro,
un altro che non è più spettatore passivo, ma che diviene addirittura
co-autore del testo artistico. Il
progetto coinvolge interattivamente gruppi di giovani che si stanno formando
laboratorialmente su diversi
linguaggi comunicativo-espressivi: il teatro, l’audiovisivo, le arti visive e
il web. Partendo
dall’idea che nel mondo digitale il media non è il messaggio ma soltanto il
mezzo di espressione, si è formata tramite diversi linguaggi un messaggio
culturale preciso e specifico, volto a prevenire e gestire i comportamenti a
rischio e a incidere su quelle remore culturali che consentono, nell’ambiguità
degli atteggiamenti, nell’imprecisione delle credenze, di spostare la soglia
di attenzione. Dopo
anni di informazione preventiva o di prevenzione informativa, dopo campagne
informative oscillanti tra “lupo alberto” e gli “aloni viola”
contornanti scheletri umani, si vuole proseguire nel nostro progetto il cammino,
già iniziato in Italia dall’associazione “Dire AIDS” con progetti quali
“Policromia”, verso l’orizzonte di una prevenzione che vada sì a
promuovere una corretta e pragmatica informazione, ma che sappia anche muovere
le sfere emotivo-sentimentali del target. Potremmo
definirlo un progetto di prevenzione multimediale, che parta dalla
riappropriazione emotiva dei sentimenti legati alla tematica aids/hiv, per
passare all’esplorazione dei fantasmi emotivo-sentimentali che attorno vi
gravitano (la paura, eros e thànatos, diversità e malattia), arrivando infine
ad un’espressione artistica attraverso media differenti, facendo della
prevenzione un’opera. Comunicazione
tra pari L’opzione
metodologica, già sperimentata in diversi campi dell’educazione alla salute
(uso ed abuso di sostanze stupefacenti, alcolismo, tabagismo, trasmissione
dell’HIV, sessualità, igiene ambientale, sicurezza stradale, controllo delle
nascite, trasmissione delle malattie veneree,…) è vicina all’educazione tra
pari, metodo capace di utilizzare e potenziare l’apprendimento tra i pari in
un gruppo. Nell’adolescenza,
infatti, il gruppo diviene il contesto privilegiato di riferimento per gli
apprendimenti, l’assunzione di atteggiamenti e di stili comportamentali. Il
ruolo dell’adulto non viene meno, ma si configura come facilitatore dei
processi educativi facendo emergere e supportando le risorse e l’iniziativa
dei giovani. Tuttavia
la metodologia scelta è solo parente della peer education, diciamo un
sottotipo, perché diverso sarà il processo di costruzione e di funzione della
leaderschip, e diverse le funzioni dei peer educators. I
gruppi coinvolti hanno scelto tra i membri quei soggetti con abilità,
competenze o che semplicemente denotano una propensione particolare per un
settore specifico della comunicazione, da quella teatrale a quella delle arti
visive, da quella audiovisiva a quella telematica. Queste capacità sono state
sviluppate ed organizzate in funzione dell’obbiettivo preventivo attraverso
laboratori tenuti da adulti esperti. Successivamente i peer educators, o meglio
peer comunicators, progetteranno, organizzeranno ed attueranno delle attività
mirate alla diffusione di un messaggio culturale e di alcune informazioni
rivolti a gruppi di pari, come ciò che è accaduto nell’assemblea studentesca
di Marzo. Si tratta quindi di un processo “a cascata” che consente una
maggiore diffusione dell’opera di sensibilizzazione, una capillarità
dell’informazione, una valorizzazione delle risorse dei gruppi e dei giovani
protagonisti del processo formativo, una maggiore efficacia preventiva.
per maggiori informazioni visita il sito internet www.devirus.it
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