Gli omicidi di Stato

Sono qui presentati 5 omicidi perpetrati dello Stato Italiano: non è un cronologio, ahimè, esaustivo ma un piccolo doveroso tributo ai compagni caduti.

A fine pagina sono elencati 340 vittime civili e solo 35 militari. L'elenco non è completo e quindi... la repressione è di casa!

17 aprile 1975

Claudio Varalli
Giannino Zibecchi

vai alla sentenza

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

11 marzo 1977

Francesco LORUSSO

 

 

12 maggio 1977
20 luglio 2001

Giorgiana MASI
Carlo GIULIANI

 

Lapide rimossa dal Comune di Roma

 


       

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Francesco a terra... come Carlo?

 

  

 

 

 

 

 

N. 4334/79 Reg. Gen.                                              RICORSO                                                                                Sentenza
                                                                                                                                                                                      1980

 

    Addì 28 Mese di Nov.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Civile e Penale di Milano
SEZIONE PENALE 8°

 

Composto dai Sigg. Magistrati
         Dott. FRANCESCO SAVERIO BORRELLI   Presidente
         Dott. ROSA IMMANO      Giudice
         Dott. GIUSEPPINA D’ANTONIO     Giudice
Ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nella causa penale contro
1) CHIARIERI SERGIO, nato a Pescara il 21 Maggio 956, res. a Sasso Ferrato via Col De Magna n. 20, elett. Dom. presso l’avv. Vittorio D’Aiello, via Freguglia n. 10;
2) GAMBARDELLA ALBERTO, nato a Napoli il 16/6/1954, res. a Napoli via Michelangelo Caravaggion. 97/C;
3) GONELLA ALBERTO, nato a Bengasi (Libia) il 1/1/1940, res. in Milano via Friuli n. 88, anche c/o avv. Armando Cillario, Corso di P.ta Vittoria n. 31 MI;

IMPUTATI

 

A) del reato p.e p. dagli artt. 113, 589, 61 n. 3 C.P., per aver, in cooperazione colposa tra di loro, cagionato la morte di Zibecchi Giannino per colpa aggravata dalla previsione dell’evento: il cap. Gonella, infatti, quale comandante della colonna inviata dal comando del III Bgt. CC. verso la caserma di via Fiamma, dove era stato segnalato il pericolo di un assalto da parte di dimostranti, ordinava ai militari a lui subordinati di imboccare corso XXII Marzo, effettuando con gli automezzi una manovra “a sfollagente”, sì da percorrere a ventaglio l’intera platea stradale e i marciapiedi laterali, manovra non giustificata dalla situazione di fatto e prevedibilmente pericolosa per l’incolumità di quanti si trovavano in corso XXII Marzo; il ten. Gambardella, quale ufficiale capo macchina ed il carabiniere Chiarieri, quale conducente l’automezzo Fiat CM 52 tg. EI 601206, eseguivano la suddetta manovra nonostante la situazione di fatto ne dimostrasse l’inutilità e la pericolosità, conducendo comunque il loro mezzo sulla corsia di sinistra, contro mano, ad una velocità di circa 35 Kmh., salendo altresì sul marciapiede affollato di manifestanti i quali per evitare di essere travolti, o si appiattivano contro i muri degli edifici laterali o si spostavano, correndo verso la platea stradale, come lo Zibecchi che si comportava in tal modo proprio nel momento in cui il camion discendeva dal marciapiede tagliando diagonalmente la strada; lo Zibecchi veniva così investito dal paraurti anteriore e dalla calandra dell’automezzo e successivamente, schiacciato dalle ruote decedeva sul colpo.
In Milano, il 17 Aprile 1975
B) Gonella Alberto, inoltre, del reato di cui agli artt. 113, 590, 61 n. 3 C.P., per aver cagionato, in cooperazione colposa, aggravata dalla previsione dell’evento, con Gambardella Alberto e con Chiarieri Sergio, nelle stesse circostanze di tempo e di luogo di cui sopra e con la medesima condotta sopra descritta, lesioni personali, guarite in gg. sette, a Giudice Roberto e una contusione alla faccia laterale della coscia sinistra a Beltramo Ceppi Fulvio;
per aver, ancora cagionato, per aver cagionato, in cooperazione colposa, aggravata dalla previsione dell’evento, con Bracaglia Alberto e Brizzolari Benvenuto, nelle stesse circostanze di tempo e di luogo di cui al capo a), lesioni colpose a Signorini Dario, che riportava una frattura  bimalleolare con un periodo di malattia di centoventi giorni e con l’indebolimento permanente dell’organo della deambulazione: il brig. Brizzolati, infatti, quale sottufficiale capo-macchina, e il carabiniere Bracaglia, quale conducente dell’auto Fiat CM 52 tgt. EI 601205, in seguito all’ordine ricevuto dal Gonella, eseguivano manovre analoghe a quella descritta nel capo a), nonostante la situazione di fatto ne dimostrasse l’inutilità e la pericolosità, conducendo il loro mezzo sulla corsia di destra di corso XXII Marzo, ad una velocità elevata , salendo altresì sul marciapiede antistante il bar “Motta”, marciapiede affollato di manifestanti i quali, per evitare di essere travolti, si appiattivano contro i muri degli edifici o si spostavano sulla strada, come il Signorini, che si trovò improvvisamente a dover divaricare le gambe per evitare di inciampare in altra persona che gli era caduta davanti e con tale brusco movimento subiva lo schiacciamento del piede destro, che veniva travolto dalla ruota anteriore dell’autocarro dei carabinieri, che in quel momento era sul marciapiedi; Signorini, a causa dello spostamento brusco, onde evitare di essere urtato dalla fiancata dell’autocarro, riportava la frattura del malleolo peroneale e di quello tibiale con le conseguenze sopra indicate.
In Milano, il 17 Aprile 1975

FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

Il 17 aprile 1975, all’indomani dell’omicidio di Claudio Varalli, giovane appartenente al Movimento studentesco, ad opera di un avversario politico, la città di Milano fu sconvolta da una serie di episodi di violenza (aggressioni a privati cittadini, devastazioni di sedi del M.S.I., incursioni, vandalismi e incendi in esercizi pubblici e redazioni di giornali, attacco ad automezzi e reparti delle forze dell’ordine) verificatisi a margine di una manifestazione di protesta con comizio e corteo che aveva preso le mosse da piazza Cavour. G1i incidenti di gran lunga più gravi si verificarono nell’area compresa tra via Mancini; dove le forze dell’ordine erano schierate a protezione della Federazione provinciale del M.S.I., corso XXII Marzo, piazza S. Maria del Suffragio e via Fiamma: qui numerosi automezzi della polizia e dei Carabinieri furono dati alle fiamme mediante il lancio di bottiglie incendiarie, mentre i reparti, pressoché esaurite le riserve di candelotti lacrimogeni, sotto la pressione di consistenti gruppi di dimostranti, erano costretti ad arretrare. Alle ore 12,45 transitò per corso XXII Marzo, diretta da piazza 5 Giornate verso piazza S. Maria del Suffragio, una colonna di automezzi (alcune campagnole A.R., alcuni autocarri leggeri CL-51, alcuni autocarri pesanti CM-52) inviata d’urgenza dalla caserma dei Carabinieri di via Lamarmora con un contingente di uomini del III Battaglione Milano al comando del capitano Alberto Gonella il cui intervento non era stato programmato in anticipo ma deciso all’ultimo momento per il precipitare della situazione.
Transitata tra una gragnola di sassi, altri oggetti contundenti e bottiglie incendiarie la colonna che, salvo la campagnola di testa allontanatasi per spegnere le fiamme dalle quali era rimasta avvolta, si arrestò nel tratto di corso XXII Marzo compreso tra via Mancini e piazza S. Maria del Suffragio, discesi gli uomini ed effettuate da questi e dai reparti già in luogo alcune cariche valse a disperdere i dimostranti, si constatò che sulla carreggiata sinistra di corso XXII Marzo, all’incirca all’altezza della laterale via Cellini, giaceva il corpo esanime di un giovane, identificato per il ventiseienne Giannino Ribecchi il quale fino a pochi attimi prima aveva partecipato tra i dimostranti all’azione contro i reparti attestati in via Mancini. Era accaduto che uno degli autocarri pesanti della colonna, un CM-52, targa E.I. 601206, guidato dal carabiniere diciottenne Sergio Chiarirei alla cui sinistra era seduto come capomacchina il sottotenente Alberto Gambardella, nell’imboccare corso XXII Marzo anziché immettersi subito – come gli automezzi che lo precedevano – nella corsia centrale riservata ai mezzi pubblici e delimitata dal cosiddetto serpentone, aveva percorso qualche decina di metri completamente spostato sulla sinistra, salendo ad un certo punto sul marciapiede gremito di dimostranti. Discesone, mentre diagonalmente si dirigeva verso la corsia centrale (nella quale era poi rientrato saltando il “serpentone”) aveva investito e sbalzato in avanti lo Zibecchi, che fuggiva dal marciapiede verso il centro della strada, e lo aveva quindi sorpassato, con la ruota anteriore sinistra schiacciandogli il cranio. Lo stesso autocarro aveva anche urtato, all’incirca nel medesimo contesto di manovra, altre due persone – Roberto Giudici e Fulvio Beltramo Ceppi – provocando loro lesioni. A pochi secondi di distanza un altro autocarro pesante, il CM-52, targa E.I. 601205, guidato dal carabiniere Alberto Bracaglia con il brig. Benvenuto Brizzolati come capomacchina, che nella colonna seguiva quello del Chiarieri, aveva a sua volta tagliato, salendovi, l’angolo destro del marciapiede del corso XXII Marzo su piazza 5 Giornate, dove si trovavano pure numerosi dimostranti, e aveva provocato una frattura bimalleolare a Dario Signorini, costretto a un brusco spostamento per evitare di venire investito. L’automezzo era poi entrato anch’esso nella corsia centrale.
A conclusione di una laboriosa indagine, nel corso della quale vennero acquisite fotografie e pellicole cinematografiche di privati operatori, vennero ascoltati numerosi testimoni civili e militari, venne eseguito un complesso esperimento giudiziale nei medesimi luoghi dei fatti, e vennero eseguite una perizia tecnica e varie perizie medico legali anche sulla persona del carabiniere Chiarieri il quale asseriva di aver perduto il controllo dell’autocarro per essere stato colpito da oggetti contundenti al volto e al collo, il Giudice istruttore con ordinanza-sentenza del 22 Giugno 1979 – oltre prosciogliere numerosi soggetti da imputazioni attinenti alla partecipazione ai disordini, e a prosciogliere per intervenuta amnistia il Gambardella, il Chiarirei, il Bracaglia e il Brizzolari da imputazioni di lesioni colpose in danno di coloro che avevano riportato fratture e contusioni per effetto delle manovre dei due autocarri – rinviò il Gonella (che aveva rinunziato all’amnistia quanto ai reati di lesioni colpose), il Gambardella e il Chiarieri al giudizio del Tribunale di Milano perché rispondessero dei reati loro rispettivamente ascritti come in epigrafe. Il Giudice istruttore, in particolare, disattendendo – in conformità delle richieste del Pubblico Ministero – la tesi secondo cui il carabiniere Chiarieri aveva perduto il controllo dell’autocarro a causa delle lesioni riportate (e oggettivamente constatate dalla perizia medico-legale), ritenne che fosse stata attuata da tutta l’autocolonna una preordinata manovra a “sfollagente”, inopportuna sia perché la condizione della piazza era in quella fase già in via di decongestionamento, sia perché gli autocarri non si prestavano comunque per la loro pesantezza e scarsa manovrabilità a un uso siffatto. Donde la responsabilità dell’ufficiale capocolonna (il Gonella), dell’autista (il Chiarieri) e dell’ufficiale capomacchina (il Gambardella).
Un primo dibattimento venne celebrato davanti alla IV sezione penale del Tribunale di Milano nelle udienze del 15 Ottobre 1979 e seguenti. All’esito della discussione il Tribunale pronunziò ordinanza in data 27 Ottobre 1979 con la quale, ritenuto in fatto che gli imputati avevano ricevuto l’ordine da ufficiali superiori dell’Arma di recarsi a prestare rinforzi non già alla caserma di via Fiamma (Compagnia Monforte) bensì ai reparti attaccati dai dimostranti in via Mancini, e di disperdere la folla caricandola con gli automezzi – ordine che il Tribunale “al di là dell’inadeguatezza dei mezzi impiegati…” reputava “… di per sé legittimo” – osservò che il fatto così accertato era diverso da quello contestato, e che in relazione ad esso non poteva definirsi la posizione degli imputati, vuoi perché l’azione penale era stata promossa su altri presupposti, vuoi perché l’azione penale si sarebbe, diversamente, vincolata l’attività del Pubblico Ministero conseguente all’invio degli atti al suo ufficio per l’indagine sulle eventuali responsabilità dei superiori degli attuali imputati. Pertanto, ai sensi dell’art. 477, comma 2°, c.p.p., restituì gli atti al Pubblico ministero per l’ulteriore attività di sua competenza.
L’Ufficio del Pubblico Ministero non condivise la deliberazione del Tribunale, e con atto del 10 gennaio 1980 elevò conflitto, osservando che la supposta diversità del fatto non sussisteva, che il Tribunale avrebbe potuto e dovuto giudicare in ordine alle imputazioni ascritte ai tre prevenuti, che così facendo in nessun caso il Tribunale avrebbe vincolato il Pubblico ministero nell’eventuale esercizio dell’azione penale contro gli ufficiali superiori. La Corte di cassazione, risolvendo il conflitto con sentenza del 14 aprile 1980, accolse i rilievi del Pubblico ministero, annullò l’ordinanza 27 ottobre 1979 e trasmise gli atti al Tribunale di Milano per l’ulteriore corso. Il Presidente del tribunale in un primo tempo assegnò il processo alla stessa IV sezione già a suo tempo investita; con successivo decreto del 6 giugno 1980, peraltro, preso atto che il Presidente della IV sezione ravvisava “motivi di opportunità per l’assegnazione ad altra sezione in seguito al provvedimento della Corte di cassazione”, assegnò il processo alla VIII sezione penale.
Fissato nuovamente per il 12 novembre 1980, il dibattimento è stato celebrato davanti a questa sezione alla presenza degli imputati Chiarieri e Gonella, nella contumacia dell’imputato Gambardella, e nel contradditorio con le parti civili Carlo Ziabecchi, Fulvio Beltramo Ceppi, Roberto Giudici e Dario Signorini.

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

Dall'ordinanza pronunziata il 27 ottobre 1979 dall'altra sezione di questo Tribunale traspare con sufficiente chiarezza - pur attraverso la prudenziale fraseologia che è d'obbligo quando il giudice per ragioni di rito non ritenga di poter definire il merito dalla causa - un apprezzamento della fattispecie concreta orientato a valorizzare, nei riflessi favorevoli alla posizione degli imputati derivanti dall'applicazione dell'art. 5l c.p., la sostanziale o apparente legittimità dell'ordine di carica "a sfollagente" che, nella situazione di "vera e propria guerriglia urbana certamente da non equipararsi alle normali turbolenze di una folla di dimostranti" (pag.9), altrove definita "gravissima" (pag.13) per il massiccio attacco subito dalle forze dell'ordine, si ipotizzava fosse stato impartito dai vertici della catena gerarchica dell'Arma.
All'esito del dibattimento integralmente rinnovato e su qualche punto ampliato, questo Tribunale ritiene di dover giungere egualmente all'assoluzione degli imputati, ma per motivi radicalmente diversi.
Incertezze, lacune mnemoniche, contraddizioni sono state a più riprese constatate nelle varie fasi del processo e contestate a imputati e testimoni. Senza volerne negare l'esistenza, e senza poter escludere che in parte siano riconducibili a intenti e talora a eccessi difensivi, reputa il Tribunale che esse interessino aspetti marginali e comunque non essenziali alla valutazione giuridica dei fatti. Un esempio per tutti è offerto dalla controversia sul parallelepipedo di metallo nel quale alcuni hanno creduto di individuare l'oggetto che colpì allo zigomo il carabiniere Chiarieri e ai cui discussi passaggi da una mano e da una tasca all'altra si è attribuita un'irragionevole importanza, posto che la lesione ossea patita dal Chiarieri era stata, in sé, irrefutabilmente accertata dal perito recatosi in ospedale a esaminare il militare e la documentazione clinica a pochissimi giorni di distanza dall'episodio. D'altronde dalle 1acune, dalle incertezze, dalle contraddizioni - se ingiustificabili - possono ricavarsi talvo1ta elementi di rafforzamento di prove fondate altrove, non certo ragioni per dare corpo a congetture costruite aprioristicamente. Soltanto, poi, un grezzo semplicismo ignaro, o volutamente dimentico della complessa problematica psicologica della percezione, della memorizzazione e della riproduzione dei dati, che non solo nei laboratori sperimentali ma nell'esperienza giudiziaria accade quotidianamente di dover affrontare, potrebbe condurre a generalizzare accuse di falsità, quando si sollecitino e si ricevano con contrastanti risultati dalla memoria di protagonisti e testimoni informazioni su avvenimenti precipitosi e dispersivi, investiti di forti cariche di emotività, concentrati in brevissimi segmenti temporali. E, sempre a titolo di esempio, potrebbero qui ricordarsi le testimonianze di Mariangela Scozzaro, commessa del negozio GAP, secondo la quale l'autocarro di Chiarieri marciava lungo corso XXII Marzo verso piazza 5 Giomate (C/4, f. 48), di Paolo Toniolo, secondo cui le due (?) camionette di testa della colonna imboccarono la carreggiata destra della strada, seguite dagli autocarri (ivi, f. 49) di Mauro Di Prete, secondo cui l'autocarro di Chiarieri dopo l'investimento proseguì nella carreggiata di sinistra (ivi, f. 54): informazioni, tutte, pacificamente erronee e definitivamente sepolte, senza clamore, tra le pagine del processo come relitti privi di interesse.
La tesi, secondo cui l'autoco1onna avrebbe ricevuto l'ordine di caricare i dimostranti con gli automezzi, è rimasta allo stato di mera congettura. Nessuno dei testimoni, nessuno degli imputati di questo procedimento (due dei quali, Gonella e Gambardella, non più appartenenti all'Arma; il terzo, Chiarieri, astrattamente interessato più di chiunque altro a rifugiarsi, da semplice gregario all'epoca non ancora diciannovenne, dietro lo schermo dell'ordine dei superiori), nessuno degli indiziati nell'altra inchiesta apertasi dopo l'ordinanza 27 ottobre 1979, ha mai affermato l'esistenza di un ordine del genere, ma al contrario, tutti l'hanno negata.
Né l'accusa pubblica né l'agguerrita a accusa privata hanno citato un solo esempio storico di cariche operate contro la folla da reparti di Carbinieri direttamente con gli automezzi, prima o dopo del 17 aprile 1975, ciò che significa indiscutibilmente l'estraneità di tali manovre alla prassi dell'Arma, sebbene il punto 28.3 della pubblicazione n. 9041 "Impiego dei reparti dell'Arma nei servizi di O.P. Norme esecutive", del 1967 (prodotta nel precedente dibattimento, udienza 23 ottobre 1979) contempli la "carica a piedi e su automezzi": normativa, peraltro, che è stata concordemente definita di carattere sperimentale, che non consta abbia mai avuto attuazione neppure in sede addestrativi, e che in ogni caso prevedeva - con strumentazioni accessorie e modalità affatto particolari - solo l'uso delle campagnole (A.R.) e degli autocarri leggeri con i teloni arrotolati, non anche degli autocarri pesanti quali i CM 52.
L'ordine di una siffatta inedita manovra, alla quale gli automezzi pesanti erano del tutto inidonei e che sarebbe stata obiettivamente rischiosa non solo per la fo1la ma per gli stessi militari (traspostati su mezzi non agi1i, a baricentro alto, con sterzatura limitata e priva di servomeccanismi come pure di "ritorno" del volante), a tutto concedere si sarebbe potuto concepire se impartito sul campo, di fronte alla folla minacciosa e in prossimità del contatto. E' pacifico però che gli autocarri non avevano radio a bordo e non potevano perciò ricevere ordini durante la marcia, così come è pacifico che la colonna non ebbe un arresto generale in piazza 5 Giornate, e che l'ufficiale capocolonna non scese dalla sua campagnola ma al contrario, imboccato il corso fu costretto dalle fiamme che ben presto lo avvolsero ad accelerare l'andatura e lasciare di fatto il comando all'ufficiale della campagnola di coda. Dunque l'ordine, non comunicato durante il percorso né sul teatro degli avvenimenti, dovrebbe esserlo stato all'atto della partenza dalla caserma di via Lamarmora, o ancora prima.
Ipotesi, peraltro, non solo non suffragata da prove storiche, ma del tutto irreale, giacché né l'ufficiale precipitosamente chiamato a formare e comandare la colonna, né il comandante del Battaglione, né i più alti ufficiali con i quali quest'ultimo era stato in contatto radio, possedevano dalle rispettive sedi una conoscenza particolareggiata della situazione nel corso XXII Marzo e nelle adiacenze, avendo ricevuto soltanto segnalazioni di pericolo imminente che, nel rapido evolversi tipico dei movimenti di piazza non consentivano una decisione aprioristica circa le modalità tattiche dell'intervento, al contrario postulavano un adattamento dell'azione alla variabile concretezza del momento in cui il reparto fosse giunto sul posto. E meno che mai poteva essere decisa per così dire a tavolino una modalità d'intervento tanto drastica e tanto singolare - e del tutto inedita, lo si è rilevato: ciò che contribuisce a colorarla di improbabilità, tenuto conto degli schematismi tendenzialmente rigidi e intellettualmente conservatori della mentalità militare - come la carica con gli automezzi pesanti.
Quanto poi al quesito se la colonna avesse ricevuto ordine di portarsi in via Fiamma al soccorso del Comando della Compagnia Monforte - dove un manipolo minaccioso di dimostranti si avvicinava alla caserma pressoché sguarnita incendiando autovetture - o in Via Mancini angolo corso XXII Marzo, trattasi di un argomento controverso la cui importanza è stata chiaramente sopravvalutata sia dalle parti sia dal Tribunale nella precedente tornata dibattimentale. La prima alternativa è tutt'altro che incompatibile con le circostanze accertate, posto che il percorso seguito dalla colonna, contrariamente a quanto tralaticiamente ripetuto per tanti anni, era il più breve per raggiungere piazza S.Maria del Suffragio (la caserma della Compagnia. Monforte è nell'isolato d'angolo tra tale piazza e via Fiamma); e che, a smentire le sofisticate illazioni secondo cui la chiamata d'aiuto da via Fiamma sarebbe giunta alla Centrale operativa dei Carabinieri dopo la partenza della colonna, sta l'inoppugnabile registrazione della chiamata ai Vigili del fuoco alle ore 12,21 (registro annotazioni acquisito in fotocopia e allegato al verbale della udienza 25 ottobre 1979, foglio 4) per l'intervento in S. Maria del Suffragio, proveniente attraverso il "113" sicuramente dal m.llo Zappalà, che ha testimoniato la contestualità cronologica tra tale chiamata e quella alla Centrale operativa, a seguito della quale fu dato il "via" alla partenza del reparto automontato. Ma a prescindere da questi rilievi, la contrapposizione tra l'obiettivo "via Fiamma" e l'obiettivo "via Mancini" è palesemente artificiosa, in primo luogo per l'estrema vicinanza dalle due strade, separate da due isolati soltanto, e interessate da una medesima e contemporanea azione violenta da parte dei dimostranti, in secondo luogo perché tutte le relazioni di servizio e le prime dichiarazioni testimoniali dei militari parlano di intervento del contingente in via Fiamma e in via Mancini, in terzo luogo perché, escluso che la colonna potesse aggirare la zona e imboccare dall'estremità opposta via Fiamma, ingombra quel giovedì dalle bancarelle del mercatino settimanale, era tatticamente del tutto indifferente giungere sul teatro degli incidenti da via Morosini piuttosto che da piazza 5 Giornate. Né, comunque, si scorge quale utilità per la tesi accusatoria dell'ordine di carica con gli automezzi potrebbe desumersi dall'adozione dell'ipotesi che la destinazione fosse corso XXII Marzo piuttosto che via Fiamma, dal momento che tutta la zona - come i filmati drammaticamente mostrano - era flagellata dalla violenza dei dimostranti.
Sicché in definitiva tale tesi accusatoria rimane ancorata a due soli indizi, che si dirà subito quanto siano labili. Il primo è legato alla constatazione che il vice questore Epifani, ai cui ordini si trovava la forza di via Mancini, qualche diecina di minuti prima, personalmente ferito alla testa e gravemente preoccupato per il precipitare degli eventi, aveva via radio invitato a "caricare attorno attorno con le macchine", "con gli autocarri" (pag. 37 della trascrizione in atti delle registrazioni effettuate presso la Centrale operativa della Questura). Il secondo, alla constatazione che, di fatto, il CM-52 guidato dal Chiarieri si portò suI lato sinistro del corso XXII Marzo, e il CM-52 guidato dal Bracaglia tagliò l'angolo iniziale destro della stessa strada, l'uno e l'altro dunque deviando dal percorso centrale che, tracciato dai mezzi di testa, essi avrebbero dovuto seguire nell'attendere al compito di mero trasferimento del contingente in luogo dove questo potesse efficacemente operare appiedato.
Senonchè, sul primo punto deve rilevarsi che non è minimamente provato che l'invocazione del dott.Epifani - quale che sia l'interpretazione autentica che egli, udito come teste, ha voluto accreditarne - sia giunta, direttamente o indirettamente, e in quella precisa formulazione, all'Arma dei Carabinieri. Le centrali operative della Questura e dei Carabinieri non erano stabilmente collegate tra loro, le bande di frequenza sulle quali gli apparecchi della P.S. e dell'Arma trasmettevano e ricevevano erano diverse; e, a escludere che dalla Questura il suggerimento del dott.Epifani fosse stato accolto letteralmente, e potesse quindi essere stato girato negli stessi termini ai Carabinieri, sta la medesima registrazione, in cui si ode la voce del dott. La Torre, allora Capo di gabinetto della Questura, che seguiva e coordinava le operazioni, impartire ai commissari Soldano e Virzì, e ai rispettivi reparti di Pubblica sicurezza, l'ordine di portarsi ai lati della zona calda "uno da destra e uno da sinistra", e di "fare azione di alleggerimento attorno..., si azionino le sirene... di non andare davanti all'obbiettivo" (pag. 38-39-46 della citata trascrizione). Ordine, questo, ben diverso da quello che il funzionario avrebbe formulato se avesse inteso coltivare il disegno di una carica diretta con gli automezzi contro la folla; donde l'irragionevolezza di presumere (a parte la netta smentita da lui data come testimone) che egli avesse chiesto ai Carabinieri, con cui pure era in contatto, di eseguire quanto il dott. Epifani pareva suggerire.
Sul secondo punto, a parte la correttezza metodologica di fondare sul fatto materiale il teorema dei suoi antecedenti causali (in sintesi: "Chiarirei e Bracaglia si diressero sulla folla - dunque lo fecero deliberatamente - dunque ne avevano ricevuto l'ordine"; dove ciascuna delle due inferenze è evidentemente viziata), vi è da osservare che le manovre dei due autisti furono tutt'altro che simmetriche, tutt'altro che contemporanee, tutt'altro che coordinate. Se in un qualsiasi momento la colonna avesse ricevuto l'ordine di rastrellare in tutta la sua ampiezza il corso XXII Marzo, vi è da presumere che gli automezzi vi sarebbero stati predisposti con un minimo di coordinazione, che si sarebbero mossi in formazione, che avrebbero persistito nei rispettivi compiti per un tratto apprezzabile, almeno fino a raggiungere l'obiettivo di via Mancini. Mai, al di là dell'assurdità di far eseguire evoluzioni sui marciapiedi a due autocarri pesanti (CM-52) quando nella colonna, oltre le campagnole, vi erano anche due autocarri leggeri (CM-51: quello guidato dal carabiniere Nicodemo, immediatamente dietro la campagnola di testa, e quello che precedeva immediatamente la campagnola di coda del cap. Montanti; i due filmati
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degli altri per la minore altezza della cabina di guida), il percorso di Bracaglia fu nettamente diverso da quello di Chiarieri, perché l'autocarro taglia soltanto l'angolo destro, subito dopo rientrando nella corsia di centro anziché rimanere sulla destra o addirittura sul marciapiedi, né gli sarebbe stato difficile farlo evitando gli ostacoli fissi; non soltanto, ma la manovra di Bracaglia fu posteriore di vari secondi a quella di Chiarieri, come emerge dalla deposizione del teste Carlo Alzon. (vol.C/4, f. 73).che vide e fotografò l'autocarro del Bracaglia sull'angolo del bar Motta dopo che l'autocarro del Chiarieri era già uscito dalla sua ottica. E come è irrefutabilmente provato dalla progressione delle istantanee da lui scattate, dove quella che inquadra la manovra del Bracaglia porta un numero successivo a quella che inquadra il Chiarieri mentre rientra nel "serpentone" dopo aver investito Zibecchi. Se a questo si aggiunge che ciascuna delle due deviazioni - quella del Chiarieri e quella del Bracaglia - è spiegata da una propria ragione suffficiente che è quanto meno equipollente, in via di prima approssimazione analitica, all'ipotesi dell'esecuzione di un. ordine (per Chiarieri, come si vedrà, il bombardamento di oggetti contundenti e incendiari cui il mezzo e l'uomo furono fatti segno; per Bracaglia, l'esistenza al centro dell'incrocio di una vasta chiazza fiammeggiante che, sebbene abbastanza lontana dal marciapiede, può costituire spiegazione di una repentina, non ben calcolata ma sicuramente momentanea sterzata verso destra), è agevole concludere che della tesi dell'ordine di carica - tra l'altro nebulosa nel suo specifico contenuto: se carica sui marciapiedi, o sulle sole corsie - non resta in piedi alcun valido supporto che si possa reputare  attendibilmente provato.
Da tale constatazione discende l'assoluzione del capitano Alberto Gonella dai reati a lui ascritti per non aver commesso il fatto, non avendo egli impartito né trasmesso né cooperato a far eseguire il supposto e non provato ordine di carica a sfollagente; e risultando con pacifica certezza che, alcuni secondo prima che gli autocarri del Chiarieri e del Bracaglia imboccassero corso XXII Marzo, egli era stato costretto dal fuoco che avvolgeva la sua campagnola a una fuga in avanti per evitare il rischio di una
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perdere il contatto con la restante parte della colonna da lui comandata. Per la stessa ragione deve escludersi che all'imputato sottotenente Alberto Gambardella possa fondatamente ascriversi quale capomacchina la responsabilità di aver trasmesso ed eseguito il supposto ordine di carica.
Per quanto concerne la posizione dell'imputato Sergio Chiarieri e, con riferimento alla solo aspetto della possibilità di controllo del comportamento dell'autista, la posizione dell'ufficiale capomacchina Gambardella, già si è accennato che l'autocarro e la persona del Chiarieri vennero investiti da lanci operati dai dimostranti nella zona d'incrocio tra viale Montenero, viale Premuda e Corso XXII Marzo. Sulla circostanza che l'autocarro venne colpito, nel lato sinistro, da una bottiglia incendiaria, nessun dubbio è possibile, essendovi agli atti le fotografie che la documentano, con riguardo al momento in cui l'autocarro dal centro dell'incrocio stava puntando sull' angolo sinistro di corso XXII Marzo, in direzione della farmacia (fotogr. all.5 alla perizia tecnica). Sulla circostanza che il Chliarieri venne colpito al volto e al collo da oggetti contundenti, e sulle conseguenze che da questi colpi possano essere derivate alla conduzione del veicolo, sono invece stati sollevati, seppure in modo non sempre chiaro, molti dubbi.
In proposito il Tribunale osserva quanto segue. Sebbene in linea di massima gli autisti avessero l'istruzione di applicare ai finestrini dalla cabina le grate di protezione, è stato da più parti riferito che essi riluttavano a conformarsi a questa disposizione, insofferenti dell'impedimento frapposto sulla destra dalla grata alla visuale laterale (gli autocarri hanno la guida a destra) e alla possibilità di sporgere il capo dal finestrino, e che da parte dei superiori vi era tolleranza al riguardo. I filmati mostrano almeno tre autocarri della colonna privi di grata destra (uno di questiè il CL targato EI-89836 guidato dal carabiniere Nicodemo, ripreso e fotografato più avanti nel momento in cui una sassata frantuma il vetro); nell'interno della cabina del CM-52 di Chiarieri  furono in più punti trovate tracce di oggetti contundenti; sicché non vi è motivo per dubitare che effettivamemte Chiarieri marciasse senza grata e nella fase che
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L'imputato fin dal primo interrogatorio reso in ospedale al magistrato all'indomani del fatto riferì di essere stato colpito allo zigomo e al collo, circostanza riferita anche da Gambardella, di aver portato le mani al volto e di aver perduto il controllo del mezzo. La circostanza, tutt'altro che improbabile nel quadro delle violente ostilità in atto nella zona, cinematograficamente e fotograficamente documentate e testimonialmente confermate con preciso riferimento anche ai mezzi dell'autocolonna dei Carabinieri, è provata nella sua materiale oggettività dalle lesioni che Chiarieri riportò e che, indicate poi nei referti delle ore 15 presso il Policlinico e delle ore 17 presso l'Ospedale militare, il perito prof. Farneti iniziando le proprie operazioni il 19 aprile 1975 (a due giorni cioè dal fatto) direttamente constatò e descrisse come contusione escoriata allo zigomo destro con infrazione sottoperiostea della corticale esterna e come contusione escoriata in regione latero-cervicale posteriore destra. Sebbene nessuna fonte storica - a parte le dichiarazioni di Chiarieri e GambardelIa - rifletta le coordinate spazio-temporali del ferimento, non vi sono seri motivi, per dubitare che questo sia accaduto nel momento e nel punto in cui fin dal primo interrogatorio Chiarieri disse di averlo subito, cioè mentre si trovava al centro dell'incrocio sopra ricordato. Al contrario, un. riscontro preciso della veridicità delle parole degli imputati proviene dalle considerazioni del perito tecnico ing. Mengoli (pag. 59 dell'elaborato) circa l'anomalia della direzione di marcia puntata, in quel tratto, verso l'angolo dell'edificio, ciò che secondo lo stesso perito convaliderebbe l’ipotesi che l'autista avesse abbandonato con entrambe le mani il volante; direzione che è estremamente improbabile fosse stata assunta deliberatamente, atteso che sull'angolo vi erano ostacoli fissi (paline di segnaletica stradale) contro i quali non è pensabile che Chiarieri volesse avventarsi, quand’anche intenzionato a salire sul marciapiede; direzione, la cui anomalia è efficacemente rispecchiata dalla deposizione della parte lesa Dario Signorini (C/4, f. 68 retro; precisazione toponomastica al primo dibattimento, f. 15 del relativo verbale dattiloscritto), che ebbe addirittura la sensazione che l'autocarro si disponesse a imboccare viale Premuda (90° a sinistra) anziché corso XXII Marzo; direzione, che
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rista che vi si trovava, corresse con una manovra tanto brusca da far percepire all'altra parte lesa Fulvio Beltramo Ceppi (C/3, f. 10) dopo la “curva netta" (evidentemente verso viale Premuda) la accentuata inclinazione centrifuga - o coricamento - dell'automezzo sulla sinistra all'atto in cui questo controsterzò verso la carreggiata sinistra di corso XXII Marzo. Rilievi, questi, che a un sereno esame non possono non apparire come inequivocabile conferma dell'intervento di fattori esterni di turbamento nella conduzione del veicolo, altrimenti irrazionale pur alla stregua dell'ipotesi di un deliberato imbocco della carreggiata sinistra; e che, saldandosi con le risultanze peritali e con le versioni degli imputati, consentono di individuare quei fattori precisamente nelle lesioni subite da Chiarieri, accompagnate dalla violenta scossa alla struttura ossea del capo e dal vivo dolore conseguente alla frattura.
Se tutto questo è vero, ne discende che il tratto di marcia che Chiarieri compì dal centro dell’incrocio fino quasi all’angolo del marciapiede sinistro ebbe come antecedente fattuale il ferimento; il che significa che - come sopra si è accennato - la divergenza dalla linea di marcia centrale ha una propria ragione sufficiente, almeno in quel tratto, oltre la quale sarebbe pretestuoso ricercare altri fattori determinanti e, in particolare, ipotizzare una cosciente deliberazione di spostamento a sinistra, rientrando nell’ordine delle cose che un colpo alle ossa facciali tanto forte da provocare una frattura, accompagnato da un altro colpo alla cervice e dalla contemporanea accensione di un ordigno incendiario al lato opposto dell’automezzo, determinasse nel conducente una fase di incolpevole perdita di controllo dei movimenti propri e del mezzo, quanto dire un’intermittenza nella volontà cosciente (così anche il perito prof. Farneti, pag. 27-28 della sua relazione).
Il problema, tuttavia, della responsabilità di Chiarieri per l’investimento del giovane Zibecchi, non è ancora risolto. Dalla minuziosa relazione del perito ing. Mengoli, sul cui contenuto non è mai stata sollevata obiezione da alcune parte, e che concorda con le descrizioni dei testimoni oculari; emerge che l’autocarro, evitando il ciclomotore sull'angolo, piegò a destra, proseguì per alcuni metri nella carreggiata sinistra con andatura lievemente diagonale verso il centro strada, poi piegò nuovamente a sinistra salendo sul marciapiede in corrispondenza del passo car
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sfiorando i tendoni dei negozi, ne discese 7-8 metri prima di un orologio elettrico accingendosi a tagliare in diagonale la carreggiata, e in quel punto travolse Zibecchi che con altri dimostranti spaventati fuggiva dal marciapiede verso il centro della strada, lo sorpassò e rientrò quindi nel “serpentone” all'incirca all'altezza dell'angolo di via Cellini (cfr. planimetria all. 47 alla relazione di perizia). La velocità dell'automezzo è stata, con accurati calcoli, determinata al momento dell'urto come non superare a 35 km/h, pari a 9,7 m/ s (pag.38); risultato, questo, che non discorda da quanto dichiarato dall'imputato, e che va raccordato anche all'approssimativo calcolo della velocità degli altri mezzi della colonna, operato sulla base delle riprese cinematografiche, in circa 26 km/h (pag. 23). Spiega, ancora, il perito che dal momento in cui Chiarieri imboccò corso XXII Marzo al momento dell'investimento passarono circa 9 secondi (pag. 59), e che la fase culminante dell’incidente si innescò e si chiuse in poco più di mezzo secondo (pag. 46), tempuscolo insufficiente per una qualsiasi manovra di emergenza, in quanto Zibecchi stava correndo probabilmente verso via Cellini quando decise repentinamente di scendere dal marciapiede, venendo investito a m 4,30 dal bordo del medesimo (pag. 44).
Ora è indiscutibile che, come i periti hanno affermato, durante tutto il percorso successivo al primo sbandamento verso l'angolo di entrata di corso XXII Marzo, l'autista ebbe il controllo fisico dell’automezzo, e che non poté venire coadiuvato dal capomacchina Gambardella, perché la conformazione interna della cabina e la pesantezza dello sterzo non permettevano un utile intervento di quest’ultimo; ed è anche indiscutibile che, dal punto di vista del puro e semplice pilotaggio, tutta la manovra fu condotta con una certa dose di razionalità, perché Chiarieri dovette rendersi conto - sebbene non sia mai stato in grado di narrarlo - che l'autocarro, dopo la prima controsterzata verso destra, non poteva rientrare nel “serpentone” a causa del salvagente di fermata dei tram che -per ben 49 metri ne impediva l'accessibilità, sicché, preparandosi a superare il cordolo del "serpentone" con un angolo d'incidenza sufficiente per assicurare il salto, si allargò prima verso sinistra e poi lasciò il marciapiede in corrispondenza della fine del salvagente
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Senonchè, ciò non basta
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che il Chiarieri possedeva, o avrebbe dovuto possedere piena lucidità mentale durante tutto quel percorso; lucidità, che costituisce il presupposto per ascrivere all'autista la responsabilità colposa dell'accaduto sotto il profilo di non aver valutato che la sua irruzione sul marciapiede avrebbe potuto gettare il panico tra i dimostranti innescando  anche tentativi di salvataggio irrazionali e improvvisi, come quello  portò Zibecchi a scendere dal marciapiede anziché  schiacciarsi come altri contro il muro o ripararsi dietro l'angolo di via Cellini.
Nella loro relazione congiunta, alle pag. 60 e seguenti i periti ing. Mengoli e prof. Farneti hanno affrontato il problema, domandandosi "dal momento in cui il Chiarieri è stato sicuramente in grado di controllare la guida del suo automezzo... quali possono essere state  le condizioni fisico-psichiche del Chiarieri stesso e se tali condizioni fisico-psichiche abbiano potuto influire sulla configurazione e sul tipo di percorso poi attuato”. E il perito medico legale si è prospettata l’ipotesi che dopo aver abbandonato con una o entrambe le mani il volante dell'autocarro il Chiarieri, di fronte a un ostacolo o sollecitato, dalla presenza dello stesso, sia stato capace di riprendere la guida dell'automezzo pur persistendo lo stato di smarrimento, forse anche di “stordimento”, prodotto dalle lesioni sofferte - in particolare il trauma facciale - e che pertanto siano intervenuti, nell’effettuare il percorso, automatismi riflessi frutto dell'esperienza e dell’addestramento alla guida" (pag. 62). Riguardo a questa ipotesi il perito, senza nascondersi l’attendibilità anche dell’ipotesi, avvalorata dalla razionalità del percorso attuato, che il Chiarieri sia sempre rimasto padrone della guida, ha osservato che la potenza muscolare necessania per condurre l'autocarro lungo la traiettoria descritta fu "di entità relativamente modesta e compatibie con la condizione patologica costituita dal dolore e dall’eventuale stato di stordimento conseguiti al trauma facciale e alla contusione latero-cervicale destra"; e, in definitiva, ha concluso che "non può dichiarare, né in via certa né in via di probabilità, se tale traiettoria sia stata realizzata dal conducente trovandosi questo in uno stato di smarrimento, di stordimento momentaneo – e quindi in virtù unicamente di automatismi riflessi - o se invece quella traiettoria sia stata realizzata trovandosi il conducente ad avere la piena e completa padronanza dell'automezzo" (pag, 64-65).
La perplessità non superata dai periti, e in particolare dal perito medico-legale, è anche del Tribunale; che reputa di dover dare il giusto peso anche allo stato sub-confuso che fu riscontrato nel Chiarieri quando giunse all'Ospedale militare, e alla testimonianza del dott. Guido Forlanini, allora medico del III Battaglione, oggi civile, che notò che il Chiarieri "non era svenuto ma era psicologicamente assente" (C/4, f. 58 retro), "intontito" (primo dibattimento, pag. 62 del verbale dattiloscritto). Osserva ancona il Tribunale che non è realisticamente prospettabile un'alternativa netta tra stato di coscienza e stato di incoscienza, ma, al contrario, tra l'uno e l'altro vi è tutta una gamma di stati intermedi di lucidità più o meno attenuata, di reattività a determinati stimoli piuttosto che ad altri; nell'ambito della quale non può affatto escludersi che il soggetto, parzialmente obnubilato da un fattore idoneo a provocare una violenta scossa emotiva, compia correttamente determinati gesti che gli sono familiari per abitudine e per professionalità, e tuttavia non sia in grado di prevedere compiutamente quali ne possano essere le conseguenze ultime. Il vivo dolore, la tensione esterna dell'episodio di guerriglia, l'ansia di non perdere i contatti con l'autocolonna della quale faceva parte, la responsabilità che su lui gravava di trasportare il veicolo o i numerosi uomini che vi si trovavano fino alla destinazione, il timore di fermarsi in mezzo a una folla minacciosa che avrebbe potuto circondare i militari e aggredirli prima che si disponessero in formazione, sono altrettanti fattori che irrompendo tumultuosamente nell'animo del giovanissimo carabiniere possono aver contribuito a prolungare in uno stato affannoso di crepuscolarità l'iniziale scossa e a impedirgli di recuperare, nei pochi secondi (non più di 9-10) trascorsi dal trauma facciale fino all'attimo dell'investimento, la lucidità sufficiente per concepire e mandare a effetto manovre che non fossero dettate soltanto dall'istinto di autoconservazione, ma anche dalla preoccupazione etica giuridica di rispettare l'incolumità altrui.
Nell'impossibilità di sciogliere con una risposta attendibile il dubbio sul livello e sull'ampiezza dello stato di coscienza del Chiarieri, il Tribunale ritiene di non poter giungere né ad un’affermazione di responsabilità, che presupporrebbe come certo il possesso della piena capacità di comprensione e di autodeterrninazione negli attimi che precedettero l'investimento, né a un'assoluzione piena, che a sua volta presupporrebbe la certezza che i fattori causali sopra ricordati abbiano con l'irresistibilità della forza maggiore inciso negativamente nel dinamismo psichico dell'imputato. Sergio Chiarieri deve, pertanto, venire assolto per insufficienza di prove dal reato ascrittogli.
 Per quanto concerne, infine l'imputato Gambardella, sul conto del quale già si è detto come non possa egli ritenersi responsabile di ordini che non è provato siano stati impartiti, vi è da rilevare che, seduto alla sinistra del conducente, egli non avrebbe avuto la possibilità di intervenire concretamente - secondo l'opinione espressa anche dai periti - sulle modalità di conduzione dell'autocarro nella fase cruciale. Compito dell'ufficiale capomacchina, d’altronde, non è certo quello di attuare improbabili manovre sui comandi del mezzo sovrapponendosi materialmente al conducente; e, nell’eccezionalità della congiuntura verificatasi, e nell'arco di secondi di cui si è più volte ricordata la brevità, non si scorge quale comportamento omissivo o commissivo gli si possa rimproverare sotto il profilo della cooperazione o del concorso causale nella determinazione dell'evento di cui fu vittima Giannino Zibecchi. Egli pertanto va assolto dall'imputazione ascrittagli per non aver commesso il fatto.
P.Q.M.
Il Tribunale, letto l'art. 79 c.p.p., assolve  Gonella Alberto e Gambardella Alberto dai  reati loro rispettivarnente ascritti per non aver commesso il fatto. Assolve Chiarieri Sergio dal reato ascrittogli per insufficienza di prove.
Milano, 28 novembre 1980.

Il presidente, estensore:
f.to Francesco Saverio Borrelli

Il Direttore di Sezione di Cancelleria
f.to Lucia Fasoli

Sentenza impugnata con ricorso di cassazione da Carlo Zibecchi, Roberto Giudici, Fulvio Beltramo Ceppi il giorno 1.12.80
f.to il Cancelliere.

 

Ricordiamoli

(dal sito: http://www.fondazionecipriani.it/carlo.htm)

26 luglio 1943

A La Spezia, la polizia spara sui dimostranti uccidendo 2 operai.

26 luglio 1943

A Savona, nel corso di una manifestazione antifascista dinanzi alla caserma della milizia, la milizia portuaria apre il fuoco, uccidendo 2 donne e ferendo 7 persone.

26 luglio 1943

A Torino, una manifestazione favorisce l’evasione di 300 detenuti dal carcere Le Nuove, senza perdite. Viene però ucciso un fascista ed i giorni successivi, in scioperi e manifestazioni, i lavoratori torinesi avranno morti e feriti.

26 luglio 1943

A Cuneo, nel corso di una manifestazione antifascista, gli alpini aprono il fuoco sui dimostranti, uccidendone 1 e ferendone 2.

26 luglio 1943

A Milano, nel corso di scontri seguiti allo svolgimento di alcuni comizi antifascisti, le forze di polizia aprono il fuoco uccidendo 4 dimostranti e ferendone 31. Rimane ucciso anche un fascista.

26 luglio 1943

A Faenza, le forze di polizia aprono il fuoco su dimostranti antifascisti uccidendone 1 e ferendone 5.

26 luglio 1943

A Sesto fiorentino (Firenze), la polizia apre il fuoco sui dimostranti uccidendo un ragazzo.

26 luglio 1943

A Monfalcone, per stroncare le agitazioni operaie, le forze di polizia sparano uccidendo un operaio e ferendone altri 3.

27 luglio 1943

A Sarissola di Busalla (Genova), la polizia interviene contro gli operai in sciopero, uccidendone uno.

27 luglio 1943

A Sestri Ponente (Genova), nel corso di uno sciopero le forze di polizia aprono il fuoco ferendo gravemente un dimostrante, che morirà il 2 agosto successivo.

27 luglio 1943

A Genova, le truppe aprono il fuoco sui cittadini che manifestano per la caduta del regime uccidendone tre.

27 luglio 1943

A Milano, l'esercito spara sui manifestanti, in via Carlo Alberto, provocando 2 morti e 20 feriti. Sempre a Milano, il carcere di San Vittore entra in rivolta a seguito dell’ammutinamento dei detenuti politici, provocando l’intervento della 7° Fanteria che fa uso delle armi, uccidendo un detenuto e ferendone 14.

27 luglio 1943

A Lullio (Bergamo), scontri tra dimostranti antifascisti e forze di polizia si concludono con un manifestante ucciso.

27 luglio 1943

A Bologna, per stroncare una manifestazione operaia intervengono reparti dell’esercito e forze di polizia, che aprono il fuoco uccidendo un dimostrante e ferendone altri 3.

28 luglio 1943

A Reggio Emilia, un reparto militare apre il fuoco sugli operai delle Officine Reggiane che intendono sfilare in corteo per le vie della città, chiedendo la pace. Muoiono Antonio Artioli, Vincenzo Belocchi, Eugenio Fava, Nello Ferretti, Armando Grisenti, Gino Menozzi, Osvaldo Notari, Domenica Secchi e Angelo Tanzi. Altre 42 persone restano ferite.

28 luglio 1943

A Bari, in piazza Roma un reparto militare apre il fuoco su un corteo guidato da Luigi De Secly, liberale, e Fabrizio Canfora, azionista, che si dirige verso il carcere cittadino per chiedere la liberazione dei detenuti politici. Il bilancio è di 19 morti e 36 feriti (secondo altra fonte, 60 feriti). Muoiono Fausto Buono, Gaetano Civera, Francesco De Gerolamo, Giuseppe Di Tulli, Graziano Fiore, Nunzio Fiore, Michele Genchi, Vittorio Giove, Giuseppe Gurrado, Paolo Ladisa, Michele La Ghezza, Angelo Lo Vecchio, Giovanni Nicassio, Tommaso Piemontese, Giuseppe Potente, Gennaro Selvaggi, Francesco Sgrana, Francesco Tanzarella, Vincenzo Tropete.

28 luglio 1943

A Milano, nel corso di scontri tra dimostranti antifascisti e forze di polizia, queste ultime aprono il fuoco, uccidendo tre manifestanti e ferendone altri 28. Una rivolta di detenuti politici a San Vittore, appoggiata dall'esterno, è stroncata dall'esercito con l'impiego di mezzi corazzati e di un battaglione di fanteria. Imprecisato il numero dei morti e dei feriti, mentre 4 detenuti vengono fucilati dopo un processo sommario.

28 luglio 1943

A Canegrate (Milano), nel corso di una manifestazione si arriva allo scontro, e la polizia apre il fuoco uccidendo un dimostrante.

28 luglio 1943

A Desio (Milano), le forze di polizia uccidono un manifestante nel corso di dimostrazioni contro la guerra.

28 luglio 1943

A Urgnano (Milano), una manifestazione è repressa dalla polizia che uccide un dimostrante e ne ferisce un altro.

28 luglio 1943

A Roma, nel carcere di Regina Coeli, esplode una rivolta capeggiata da detenuti politici. L'intervento delle forze militari e di polizia provoca 5 morti e decine di feriti.

28 luglio 1943

A Sestri Ponente (Genova), proseguono manifestazioni operaie e scontri: la polizia spara uccidendo un operaio e ferendone altri.

28 luglio 1943

A Genova, nel corso di uno sciopero generale si arriva a scontri, le forze di polizia aprono il fuoco, uccidendo tre dimostranti e ferendone molti altri.

28 luglio 1943

A Sesto fiorentino, nel corso di scontri, la polizia uccide un ragazzo. Viene uccisa una seconda persona durante il coprifuoco.

28 luglio 1943

A Bologna, nel corso di una manifestazione operaia, la polizia apre il fuoco uccidendo un dimostrante.

24 settembre 1943

A Palma di Montechiaro (Agrigento), per stroncare la manifestazione della popolazione contro il richiamo alle armi, reparti militari aprono il fuoco uccidendo un uomo e una donna.

18 dicembre 1943

A Montesano (Salerno), nel corso di una rivolta durata 2 giorni, la popolazione occupa gli uffici pubblici distruggendo i documenti riguardanti le tasse e il razionamento, cercando anche di impadronirsi delle armi custodite nella caserma dei carabinieri. La rivolta avvenuta "su probabile istigazione di elementi comunisti", scrivono i carabinieri nel loro rapporto, si conclude con un bilancio di 8 morti, 10 feriti e 55 arrestati.

29 marzo 1944

A Partinico (Palermo), nel corso di una manifestazione contro il carovita e gli accaparratori di grano, un sottufficiale dei carabinieri uccide Lorenzo Pupillo, minorenne. Negli scontri muore anche il maresciallo dei carabinieri Benedetto Scaglione.

15 ottobre 1944

Una manifestazione di contadini ad Ortucchio (L'Aquila), diretta ad occupare terre incolte (fra le quali un appezzamento del principe Torlonia), è stroncata da carabinieri e guardie campestri che aprono il fuoco, provocando 2 morti (fra i quali Domenico Spera, militante Pci), 4 feriti gravi e molti altri più lievemente.

19 ottobre 1944

A Palermo, un plotone di fanteria del 139° Rgt della divisione Sabauda apre il fuoco sulla folla che dimostra, pacificamente, per il pane. 23 morti e 158 feriti sono il bilancio della strage. Rimangono uccisi: Giuseppe Balistreri, Vincenzo Cacciatore, Domenico Cordone, Rosario Corsaro, Michele Damiano, Natale D’Atria, Giuseppe Ferrante, Vincenzo Galatà, Carmelo Gandolfo, Francesco Giannotta, Salvatore Grifati, Eugenio Lanzarone, Gioacchino La Spisa, Rosario Lo Verde, Giuseppe Maligno, Erasmo Midolo, Andrea Olivieri, Salvatore Orlando, Cristina Parrinello, Anna Pecoraro, Vincenzo Puccio, Giacomo Venturelli, Aldo Volpes.

ottobre 1944

A Licata (Agrigento), nel corso di una manifestazione di contadini, i carabinieri aprono il fuoco uccidendone due, ferendone 19 e provvedendo a denunciarne altri 80.

14-15 dicembre 1944

A Catania, una folla tumultuante manifesta contro il richiamo alle armi devastando il Municipio, la sede del Banco di Sicilia dove sono ubicati gli uffici dell’esattoria comunale, e recandosi dinanzi alla sede del Distretto militare, dal cui interno i militari esplodono colpi di arma da fuoco che uccidono il giovane Antonio Spampinato. Sono tratti in arresto 53 manifestanti, fra i quali gli studenti separatisti Egidio Di Mauro, Salvatore Padova da Ispica, Giuseppe La Spina; fra coloro che risultano denunciati a piede libero vi sono Concetto Gallo, i fratelli Gullotta, Michele Guzzardi, Giuseppe Galli, Isidoro Avola, Guglielmo Paternò Castello.

17 dicembre 1944

A Pedara, nella mattinata vengono lanciate 5 bombe a mano in due piazze del paese, per protesta contro il richiamo alle armi dei giovani. A Vizzini, nel pomeriggio, i carabinieri aprono il fuoco contro i dimostranti intenti ad incendiare la sede del Municipio, uccidendone 2.

4 gennaio 1945

A Ragusa, l’esercito spara sulla folla che tenta di bloccare un camion che trasportava giovani verso il fronte, ferendo gravemente un ragazzo e uccidendo il sacrestano della chiesa di san Giovanni, con una bomba a mano che gli stacca la testa. La rivolta dei ‘non si parte’, lungi dal sedarsi, si inasprisce.

5-6 gennaio 1945

A Ragusa, i rivoltosi si impadroniscono di alcuni quartieri, elevando barricate ed iniziano la resistenza armata. La rivolta è guidata da militanti socialisti e soprattutto comunisti, ignari delle posizioni del partito che ha stigmatizzato la rivolta come "rigurgito fascista". La vendetta dell’esercito sarà spietata. Le cifre ufficiali danno 18 morti e 24 feriti tra carabinieri e soldati, e 19 morti e 63 feriti fra gli insorti nella sola Ragusa e provincia, ma diverse fonti le ritengono cifre sottostimate.

11 gennaio 1945

A Naro, si acutizza la rivolta contro la chiamata dei giovani alla leva. Il bilancio della repressione sarà di 5 morti, 12 feriti e 53 arrestati.

12 gennaio 1945

A Licata, si verificano disordini contro la chiamata alla leva, nel corso dei quali viene ucciso un manifestante.

11 marzo 1945

A Palermo, la folla assalta gli uffici delle imposte e la sede dell’ispettorato dei dazi e consumi, dirigendosi poi verso la prefettura. Negli scontri che ne seguono con le forze di polizia, rimangono uccisi un commissario di Ps ed un giovane operaio.

2 maggio 1945

A Gravina di Puglia (Bari), si arriva a scontri fra la popolazione e la polizia. Appartenenti alle forze di polizia uccidono Vincenzo Lobaccaro, bracciante, omonimo di un ex confinato antifascista e scambiato per quest’ultimo.

1 luglio 1945

A Minervino Murge (Bari), in incidenti fra militanti comunisti e carabinieri, con uso di armi da fuoco da entrambi i lati, rimane ucciso un dimostrante

2 luglio 1945

A Minervino Murge (Bari), i carabinieri assediati nella loro caserma aprono il fuoco, nel tentativo di aprirsi un varco, contro la popolazione che circonda lo stabile, uccidendo un manifestante.

11 settembre 1945

A Piazza Armerina (Enna), nel corso di uno scontro con dimostranti, un carabiniere uccide il militante socialista Giovanni Pivetti.

25 settembre 1945

A Lecce, nel corso di una manifestazione di operai edili dinanzi alla Prefettura, si arriva allo scontro e i carabinieri sparano, uccidendo Francesco Schifa, Oronzo Zingarelli e Nicola Favatano e ferendo un numero imprecisato di altri dimostranti.

2 ottobre 1945

A Piazza Armerina (Enna), le forze di polizia caricano e procedono a numerosi arresti fra i contadini e i lavoratori che da 2 giorni manifestano contro il carovita e la mancanza di lavoro; la carica provocano un morto e diversi feriti.

30 novembre 1945

A Molfetta (Bari), una manifestazione di ‘frantoiani’ è duramente repressa dall’intervento delle forze di polizia. Anche a Bisceglie, Corato, Bitonto, tutti in provincia di Bari, si sono susseguite in queste settimane manifestazioni per richiedere lavoro e più umane condizioni di vita, represse dalle forze di polizia con l’uso di armi da fuoco che provocano numerosi feriti e morti.

dicembre 1945

A San Severo, San Marco in Lamis, Torremaggiore, Martinafranca, tutti in provincia di Foggia e ad Ostuni (Bari), manifestazioni contadine vengono soffocate dalle forze di polizia che, in diverse circostanze, uccidono tre contadini e ne feriscono altri 2.

5-6 marzo 1946

A Andria (Bari), una manifestazione di disoccupati si trasforma in una vera e propria insurrezione. Le forze di polizia sparano uccidendo 4 dimostranti e ferendone un centinaio, ma infine vengono disarmate e tenute in ostaggio. Il giorno successivo, 6 marzo, per l’intervento di rinforzi, le forze di polizia uccidono altri 3 dimostranti. Muoiono anche 1 appuntato dei carabinieri e 2 militi. L'insurrezione avrà termine la sera del 6 per l’arrivo di preponderanti forze militari e di polizia. Racconterà nelle sue memorie il ministro degli Interni, Romita "Voglio i responsabili, tutti, nessuno escluso, dissi: nel volgere di poche ore furono fermate centinaia di persone…". La rivolta viene condannata dal segretario Cgil Di Vittorio, che invita i rivoltosi a rientrare nell’ordine. Andria è l’episodio culminante di una lotta pre-insurrezionale che serpeggia in centinaia di località in tutta la Puglia: da Bari a Foggia, da Lecce a Ceglie, da Spinazzola a Bisceglie, con decine di morti e centinaia di feriti.

12 marzo 1946

A Palermo, disoccupati e reduci di guerra tentano di assaltare la Prefettura per protestare per la mancanza di lavoro. Le forze di polizia aprono il fuoco, uccidendo Giuseppe Maltesi e un altro dimostrante e ferendo 30 persone. Negli scontri muore anche il commissario di Ps Calderone.

21 marzo 1946

A Messina, nel corso di una manifestazione di protesta contro la disoccupazione e l’assenteismo del governo, le forze di polizia sparano uccidendo il soldato di leva Salvatore Caramanna ed un bambino, e ferendo altri 24 dimostranti.

30 marzo 1946

A Foggia, reduci e disoccupati assaltano il treno Bologna-Bari asportando generi alimentari, dopo aver danneggiato gli uffici annonari, quelli delle tasse ed il consorzio agrario. Le forze di polizia sparano, uccidendo un dimostrante e ferendone 18.

3 aprile 1946

A Molfetta (Bari), manifestanti attaccano il Municipio, saccheggiano magazzini e alcuni pastifici. La polizia interviene facendo uso delle armi da fuoco ed uccidendo 3 dimostranti.

4 aprile 1946

A Cerignola (Foggia), la polizia reprime una manifestazione di contadini, facendo uso delle armi da fuoco e provocando la morte di 2 dimostranti.

20-25 aprile 1946

A Milano, esplode la rivolta dei detenuti di San Vittore nel quale sono rinchiusi sia fascisti che partigiani, che viene domata solo con l’intervento dell’esercito e di reparti alleati, con un bilancio di 5 morti e circa 200 feriti.

6 giugno 1946

A Napoli, una folla di monarchici tenta di assaltare la caserma dei carabinieri di Capodimonte per impadronirsi delle armi. Nel corso degli scontri, gli agenti uccidono con una raffica di mitra, Carlo Russo: aveva solo 14 anni. Per effetto dell’esplosione di una bomba, muore Ciro Martino e altre 6 persone rimangono ferite.

8 giugno 1946

A Napoli, nel corso di ulteriori scontri, la polizia uccide Gaetano D’Alessandro di 16 anni, che manifestava a favore della monarchia.

12 giugno 1946

A Napoli, una folla di monarchici si accalca dinanzi la federazione del Pci in via Medina, dopo che dall’interno della sede avevano sparato contro Mario Fioretti, che tentava di togliere la bandiera rossa, uccidendolo. La polizia spara a sua volta contro i dimostranti, uccidendo Michele Pappalardo, Felice Chirico, Guido Beninanto, Vincenzo di Guida, Francesco d’Azzo e Ida Cavalieri. Giorgio Amendola, presente all’interno della federazione, viene arrestato dagli alleati e poi rilasciato a seguito dell’intervento della Questura.

5-6 agosto 1946

A Caccamo (Palermo), a causa della requisizione del grano esplode il risentimento dei contadini affrontati, armi alla mano, dalle forze di polizia. Il bilancio degli scontri che ne seguono è di 18 morti e un centinaio di feriti fra i contadini, e di 4 morti e 15 feriti fra le forze di polizia.

17 settembre 1946

Nelle Puglie e in Calabria, i contadini occupano 75.000 ettari di terre, in 72 comuni. Alcide De Gasperi ordina di "procedere energicamente a carico dei responsabili di occupazioni arbitrarie". E così sarà, le forze di polizia spareranno implacabilmente, provocando morti e feriti.

30 settembre 1946

A Crotone, una manifestazione di protesta degli operai Montecatini è stroncata dall’intervento della polizia che apre il fuoco ferendo gravemente 3 giovani, uno dei quali morirà poco dopo in ospedale.

9 ottobre 1946

A Roma, nel corso della manifestazione indetta dagli operai del Genio civile, dinanzi al Viminale si arriva allo scontro. L’intervento di reparti di cavalleria e di ulteriori rinforzi di polizia evita la invasione del palazzo e, mentre gli operai si ritirano, viene aperto il fuoco contro di loro. Il bilancio finale è di 3 operai uccisi (Enrico Costantini, Giuseppe Grossetti, Adolfo Scurti), 82 feriti tra i dimostranti e 59 tra le forze di polizia.

19 ottobre 1946

A Roma, una folla di disoccupati tenta l’assalto al palazzo del Viminale, sede della presidenza del Consiglio e del ministero dell’Interno. Negli incidenti con la polizia, si registrano un morto ed un centinaio di feriti.

27 dicembre 1946

A Bari, ad una manifestazione contro la disoccupazione seguono scontri, nel corso dei quali le forze di polizia aprono il fuoco uccidendo lo studente universitario Domenico Liaci ed un operaio. Altri 25 dimostranti rimangono feriti insieme a 6 agenti.

7 marzo 1947

A Messina, nel corso di uno sciopero generale contro il carovita e per aumenti salariali, i carabinieri caricano e uccidono gli operai comunisti Biagio Pellegrino e Giuseppe Maiorana e feriti altri 3 dimostranti.

12 aprile 1947

A Petilia Policastro (Catanzaro), nel corso di una manifestazione di protesta, la polizia spara uccidendo Francesco Mascaro e Isabella Carvelli, e ferendo molti altri manifestanti.

29 aprile 1947

A Potenza, una manifestazione contadina per il lavoro viene stroncata dalla polizia che, quando la folla tenta di occupare la prefettura, apre il fuoco uccidendo uno studente liceale e ferendo altri 14 dimostranti.

7 giugno 1947

A Messina, durante una manifestazione contro la disoccupazione, i carabinieri aprono il fuoco uccidendo Ludovico Maiorana, Antonio Pellegrini e Carlo Rocco.

15 novembre 1947

A Cerignola (Foggia), nel corso di una manifestazione contadina, la polizia apre il fuoco uccidendo Domenico Angelini e Onofrio Perrone. Per reazione, i dimostranti danneggiano il palazzo di un agrario e le sedi di alcuni partiti. Anche 2 agenti di Ps rimangono uccisi negli scontri. 114 lavoratori vengono incriminati.

18 novembre 1947

A Corato (Bari), nel corso di uno sciopero generale la polizia apre il fuoco contro i contadini uccidendo Diego Masciavè, sindacalista Cgil, il bracciante Pietrino Neri e la contadina Anna Raimondi. Altri 10 manifestanti rimangono feriti. A Trani, nel corso del medesimo sciopero generale, la polizia carica ferendo gravemente due dimostranti. A Bisceglie (Lecce), la polizia apre il fuoco su una folla di disoccupati che chiedono lavoro.

20 novembre 1947

A Campisalentino (Lecce) nel corso di una manifestazione di contadini che contrappone crumiri e scioperanti, i carabinieri sparano contro questi ultimi, uccidendo Antonio Augusti e Santo Niccoli e ferendo altri 7 dimostranti.

25 novembre 1947

A Bisignano (Caserta), nel corso di una manifestazione ostile dinanzi alla sede dell’Uomo qualunque, la polizia apre il fuoco sui dimostranti uccidendo l’operaio Rosmundo Mari, e ferendone numerosi altri.

5 dicembre 1947

Ad Agrigento, una manifestazione di disoccupati è repressa dalla Celere con l'uso di armi da fuoco. Viene ucciso un dimostrante e feriti gravemente 3 donne e un bambino.

5 dicembre 1947

A Roma, nel corso di uno sciopero degli edili le forze di polizia aprono il fuoco, nel quartiere di Primavalle, sui manifestanti, uccidendo l’operaio Giuseppe Tanas e ferendone altri 2.

21 dicembre 1947

A Canicattì, nel corso di uno sciopero i carabinieri, intervenuti a proteggere la sede dell’Uomo qualunque, aprono il fuoco uccidendo Giuseppe Amato, Salvatore Lauria e Giuseppe Lupo, ferendo gravemente 9 persone e lievemente altre 11.

30 marzo 1948

A Pantelleria, una manifestazione contro l’iniquità delle sanzioni fiscali è repressa dalle forze di polizia con l’uso di armi da fuoco che provocano la morte di Antonio Valenza, Giuseppe Pavia e Michele Salerno.

13 aprile 1948

Ad Andria (Bari), nel corso di uno sciopero agricolo represso dalle forze di polizia, viene ucciso a colpi di moschetto il bracciante Riccardo Suriano, rimasto isolato dai suoi compagni perché stordito dai gas lacrimogeni.

20 maggio 1948

A Trecenta (Ro), nel corso dello sciopero indetto dai braccianti nell’azienda dei conti Spoletti, i carabinieri intervengono arrestando il contadino Bruno Barberini, per poi aprire il fuoco contro la massa di braccianti in attesa nella piazza del paese, uccidendo Evelino Tosarello, comunista, e ferendo gravemente Vanilio Pagaini e Silvio Berterelli.

4 giugno 1948

A Spino d’Adda (Cremona), nel corso di una manifestazione di braccianti contro gli agrari, i carabinieri aprono il fuoco uccidendo il contadino Luigi Venturini.

2 luglio 1948

A San Martino in Rio (Re), nel corso dello sciopero, i carabinieri intervenuti in forza per reprimerlo uccidono il contadino Sante Mussini, schiacciato da una autoblinda.

14 luglio 1948

A Napoli, nel corso di un comizio a piazza Dante di protesta contro l’attentato a Togliatti, la polizia carica senza preavviso i partecipanti, ferendone 20 e uccidendo lo studente Giovanni Quinto e l'operaio Angelo Fischietti.

14 luglio 1948

A Taranto, nel corso dello sciopero dei cantieri navali e delle officine per protesta contro l’attentato a Togliatti, le forze di polizia caricano i manifestanti dinanzi alla sede della Camera del lavoro, uccidendo l’operaio Angelo Gavartara e ferendo altri 4 manifestanti. Rimane gravemente ferito l’agente di Ps Giovanni D’Oria, che morirà qualche giorno più tardi in ospedale.

14 luglio 1948

A Livorno si ingaggia una vera battaglia di strada; i dimostranti svaligiano negozi di armi e disarmano pattuglie di agenti di Ps. Nel corso degli scontri che ne seguono, viene ucciso un operaio ed altri 18 dimostranti sono feriti. Viene ucciso anche l’ agente di Ps Giorgio Lanzi, e altri 4 rimangono feriti.

14-15 luglio 1948

A Genova, esplode la rivolta operaia per l’attentato contro Palmiro Togliatti. Migliaia di manifestanti affluiscono in piazza De Ferrari, poi viene attaccata la caserma della polizia a ponte Spinola, presa ed incendiata una camionetta della polizia e presi in ostaggio 6 celerini, devastata la sede del Msi in via XX settembre, dove i manifestanti bloccano 5 autoblinde della polizia, saltando sulle torrette e disarmando gli occupanti. Tutte le fabbriche sono ferme e un comizio alle 17 vede la partecipazione di 100.000 lavoratori; mentre in tutta la città accadono episodi di fraternizzazione fra operai e soldati. Sorgono barricate, difese da mitragliatrici, radio e giornali passano sotto il controllo della Camera del lavoro. La rivolta si estende a Sestri ponente, Bolzaneto, Chiavari, Nervi. Alle 13 del 15 luglio il prefetto dichiara lo stato d’assedio e viene scatenata una repressione durissima, mentre i dirigenti di Pci, Psi e Cdl invitano i dimostranti a desistere. La polizia fa uso massiccio di armi da fuoco che uccidono, nel primo giorno della rivolta, Biagio Stefano e Mariano d’Amori e, il giorno seguente, Angiolina Alice Roba, mentre 43 sono i manifestanti feriti.

15 luglio 1948

A Bologna, nel corso della manifestazione di protesta per l’attentato a Togliatti, la Celere apre il fuoco uccidendo un operaio e ferendone gravemente altri 11.

15 luglio 1948

A Porto Marghera (Venezia), i manifestanti comunisti provvedono a disarmare agenti di Ps e carabinieri, ma in uno scontro a fuoco la polizia uccide l’operaio Cesare Pietro e ne ferisce un secondo.

15 luglio 1948

A Gravina di Puglia (Bari), i manifestanti invadono il pastificio Divella e nel successivo intervento le forze di polizia uccidono a colpi di moschetto il bracciante comunista Michele d’Elia.

19 luglio 1948

A Siena, nel corso dei funerali dei 2 rappresentanti delle forze di polizia rimasti uccisi a Abbadia San Salvatore il 15 luglio, la polizia invade la sede della Confederterra e uccide il capo lega di Torrenieri Severino Meattini, malmenando i presenti e arrestando il segretario.

24 luglio 1948

A Gravina di Puglia (Bari), nel corso di una manifestazione di braccianti le forze di polizia, intervenute con l’abituale violenza, uccidono l’attivista sindacale Luigi Schiavino e, sempre negli stessi giorni, il bracciante Bonifacio Loglisci.

12 ottobre 1948

A Tricarico (Matera), la polizia apre il fuoco sui partecipanti ad una manifestazione di sinistra, uccidendone 3.

15 ottobre 1948

A Dairago di Arconate (Mi), nel corso di una manifestazione, le forze di polizia aprono il fuoco uccidendo Pietro Paganini, presidente dell’Anpi di Dairago.

17 febbraio 1949

A Isola Liri (Frosinone), nel corso di una manifestazione di protesta organizzata da operai in sciopero, i carabinieri aprono il fuoco provocando il ferimento di 35 dimostranti, dei quali 7 in gravi condizioni, e la morte dell’operaio Tommaso Diafrate, travolto da un automezzo dei militi.

17 marzo 1949

A Terni, nel corso di una manifestazione di protesta contro il Patto atlantico, le forze di polizia sparano uccidendo l’operaio delle Acciaierie Luigi Trastulli e ferendone altri 12.

19 aprile 1949

A Mazara del Vallo (Trapani), nel corso di una manifestazione di braccianti, la polizia apre il fuoco uccidendo un contadino.

17 maggio 1949

A Molinella (Bologna), nel corso di uno sciopero generale dei braccianti in Val Padana, è ferita da un colpo di fucile al braccio la socialista Adele Toschi e la mondina Maria Margotti viene falciata da una raffica di mitra, mentre altre 30 persone sono ferite.

26 agosto 1949

A Medigliano (Padova), nel corso di una manifestazione le forze di polizia aprono il fuoco uccidendo davanti alla lapide dei caduti il partigiano Bruno Cameran.

30 ottobre 1949

A Melissa (Catanzaro), nel corso dell’occupazione della tenuta Fragalò, incolta, del barone Berlingeri le forze di polizia aprono il fuoco sui contadini, uccidendo Giovanni Zito, Francesco Nigro, Angelina Mauro e provocando altri 15 feriti.

31 ottobre 1949

A Isola di Caporizzuto (Catanzaro), la polizia apre il fuoco sui partecipanti ad una manifestazione di braccianti, uccidendo Matteo Aceto, organizzatore di occupazioni di terre. Un altro bracciante viene assassinato a Bondeno. Nel solo crotonese, sono stati occupati 6.000 ettari di terra e la lotta ha coinvolto migliaia di persone.

9 novembre 1949

A Crotone (Catanzaro), nel corso di una manifestazione contadina, la polizia apre il fuoco uccidendo una donna.

29 novembre 1949

A Torremaggiore (Foggia), nel corso di un comizio di protesta per delle violenze verificatesi il giorno precedente a San Severo, le forze di polizia caricano senza preavviso i partecipanti facendo anche uso di armi da fuoco, e uccidendo i braccianti Giuseppe La Medica e Antonio Lavacca, mentre la sarta Giuseppina Faenza muore a causa dello spavento; altri 10 i feriti.

29 novembre 1949

A Bagheria (Palermo), nel corso di una manifestazione contadina, i carabinieri intervengono aprendo il fuoco e uccidendo la contadina Filippa Mollica Nardo.

14 dicembre 1949

A Montescaglioso (Matera), nel corso di un rastrellamento alla ricerca dei responsabili di alcune occupazioni di terre, avvenute nei giorni precedenti, i carabinieri uccidono i braccianti Michele Oliva e Giuseppe Novello, mentre altri 5 rimangono feriti.

9 gennaio 1950

Strage della polizia a Modena, dove i lavoratori del complesso siderurgico Orsi, dopo il licenziamento di 200 operai su 800 ed una serrata padronale di 40 giorni, si erano avvicinati ai cancelli nell’intento di riprendere il lavoro. La polizia apre il fuoco uccidendo Angelo Appiani di 30 anni, Renzo Bersani di 21, Arturo Chiappelli di 43, Ennio Garagnani di 21, Arturo Malagoli di 21 e Roberto Rovati di 36. Altri 51 operai rimangono feriti.

2 marzo 1950

A Petralia (Palermo), nel corso di una manifestazione di protesta, la polizia apre il fuoco sui dimostranti, uccidendone 2 e ferendone un terzo.

14 marzo 1950

A Porto Marghera (Mestre), nel corso di una manifestazione di protesta contro i licenziamenti degli operai della Breda, le forze di polizia aprono il fuoco uccidendo Nerone Piccolo di 25 anni e Virgilio Scala di 33 e ferendo altri 5 lavoratori. I lavoratori di Venezia organizzano una manifestazione di protesta aperta dai parenti delle vittime che recano gli indumenti degli operai uccisi, insanguinati e forati dalle pallottole. Rinvenuti sul luogo della sparatoria 1 Kg. di bossoli di armi automatiche di grosso calibro.

23 marzo 1950

Ad Avezzano (Aquila), nel corso di una manifestazione di protesta per i fatti di Lentella, la polizia apre il fuoco sui dimostranti, uccidendo Francesco Laboni.

1 maggio 1950

A Celano (Aquila), nel corso di una manifestazione, la polizia apre il fuoco uccidendo Antonio Berardicuti e Agostino Paris, mentre altri 12 dimostranti vengono feriti. Il comunista Antonio d'Alessandro viene ucciso, nelle medesime circostanze, da fiancheggiatori delle forze di polizia al servizio degli agrari.

17 gennaio 1951

A Adrano (Ct), la polizia apre il fuoco sui militanti di sinistra che protestano contro la visita di Eisenhower, uccidendo Girolamo Rosano, bracciante 19enne iscritto alla Cisl e ferendo altre 11 persone fra i quali, gravissimo, il 16enne Francesco Greco. Una donna muore per attacco cardiaco, poco dopo la sparatoria. La prima carica, con uso di armi da fuoco, avviene davanti alla Camera del lavoro dove i manifestanti si stavano concentrando, la seconda contro il corteo, effettuata con mitra e lacrimogeni. Secondo il quotidiano "L’Unità" si sarebbe sparato anche dal balcone di tale Filadelfio Cancio, iscritto al Msi e dell’avvocato Danielo, già segretario del Fascio.

18 gennaio 1951

A Comacchio (Ravenna), una manifestazione di protesta contro Eisenhower, la Nato e per le precarie condizioni dei braccianti agricoli, viene stroncata dalle forze di polizia con estrema violenza e l'uso di armi da fuoco. Nella carica, ordinata verso mezzogiorno dai carabinieri, all’incrocio fra corso Garibaldi e via Bonnet, rimane ucciso il bracciante Antonio Fantinuoli di 61 anni, decine i feriti fra i quali gravemente Gaetano Farinelli e il 17enne Eros Bonazza.

18 gennaio 1951

A Piana degli Albanesi, i manifestanti che protestano contro la visita del generale Eisenhower, al grido di "non daremo i nostri figli alla guerra americana" e "via lo straniero", vengono caricati dai carabinieri con bombe lacrimogene. I dimostranti riescono a spegnerle e continuano la protesta. Il maresciallo dei carabinieri, a questo punto, ordina il fuoco e un milite spara al bracciante Domenico Lo Greco, padre di 4 figli che, portato in ospedale, muore qualche ora dopo.

19 marzo 1952

A Villa Literno (Ce), nel corso di una manifestazione contadina indetta per protestare contro le ingiuste assegnazioni delle terre già dell’Opera nazionale combattenti, le forze di polizia caricano e uccidono Luigi Noviello, padre di 8 figli, feriscono gravemente Armando Vitiello e provocano diversi contusi.

30 marzo 1953

A Bitonto, durante la protesta nazionale contro la ‘legge truffa’, la polizia caricando i manifestanti, colpisce a morte Francesco Ricci di 57 anni, che morirà alcuni giorni dopo.

17 febbraio 1954

A Mussumeli (Cl), nel corso di una manifestazione popolare di protesta per la cronica mancanza di acqua e la pretesa dell’Ente acquedotti di riscuotere comunque le bollette, le forze di polizia aprono il fuoco sulla folla davanti al Municipio, uccidendo Onofria Pellicceri, Giuseppina Valenza, Vincenza Messina e Giuseppe Cappalonga di 16 anni. Fra i numerosi feriti, 9 sono gravi e fra loro un bambino di 7 anni, Baldassare Mistretta.

17 febbraio 1954

A Barrafranca (Enna), i carabinieri sparano contro i partecipanti ad una manifestazione contadina, uccidendo un bambino di 5 anni.

4 febbraio 1956

A Venosa (Potenza), nel corso di uno sciopero dei braccianti, le forze di polizia aprono il fuoco sui dimostranti, uccidendo Rocco Girasole.

7 febbraio 1956

A Andria (Bari), la polizia apre il fuoco su una manifestazione di braccianti, uccidendo Domenico Ruotolo e ferendone vari altri.

20 febbraio 1956

A Comiso, un’assemblea di braccianti che protestano per la mancanza di lavoro viene assalita dalle forze di polizia, che uccidono Paolo Vitale e Cosimo De Luca.

14 marzo 1956

A Barletta (Bari), una folla di circa 4.000 persone accalcata dinanzi alla sede della Pontificia opera di assistenza per ritirare pacchi di viveri ed indumenti, viene caricata dalle forze di polizia che aprono il fuoco, uccidendo Giuseppe Di Corato, Giuseppe Spadaro e Giuseppe Lojodice e ferendo gravemente altri 6.

30 ottobre 1959

A Spoleto, una manifestazione di protesta per la chiusura del cotonificio è caricata dalle forze di polizia che lanciano candelotti lacrimogeni, il fumo dei quali provoca la morte dell’operaio Arcangelo Fiorelli che, arrampicato su un palo della luce per ragioni di lavoro, precipita al suolo.

5 luglio 1960

A Licata, una manifestazione popolare contro il carovita e la mancanza di lavoro è caricata selvaggiamente dalla polizia. Rimane ucciso Vincenzo Napoli, mentre cercava di difendere un bambino tenuto fermo ad un muro e picchiato dai celerini.

7 luglio 1960

A Reggio Emilia, la polizia interviene contro una massa di cittadini che segue, all’esterno del teatro dove si svolge, un comizio contro il governo Tambroni. Per disperdere la folla di circa 20.000 cittadini, oltre ai caroselli con le jeep la polizia apre il fuoco uccidendo Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Marino Serri, Emilio Reverberi e Afro Tondelli. 21 risultano i feriti. Viene arrestato, dopo la strage perpetrata dalla polizia, Alberto Bedini. Gli agenti inquisiti saranno assolti definitivamente nel luglio 1960.

8 luglio 1960

A Palermo, il centro è presidiato fin dalle prime ore del mattino dalla Celere per disturbare lo sciopero generale proclamato dalla Cgil. Alle violente cariche i dimostranti rispondono. Restano uccisi Francesco Vella, organizzatore delle leghe edili, mentre soccorre un ragazzo colpito da un lacrimogeno, Giuseppe Malleo, Rosa La Barbera e Andrea Cangitano di 18 anni, non si sa se da poliziotti o mercenari. Una manifestazione indetta alle 18 davanti a municipio, questura e prefettura viene respinta con l'impiego di armi da fuoco. Gli scontri continuano fino a notte, seguiti da rastrellamenti e pestaggi dei fermati. Bilancio: 300 fermi, centinaia di feriti e contusi, 40 persone medicate per ferite da armi da fuoco.

8 luglio 1960

A Catania, nel corso dello sciopero contro il governo Tambroni, le forze di polizia caricano i manifestanti con lancio di candelotti lacrimogeni. Un edile disoccupato, Salvatore Novembre, rimasto isolato viene massacrato a manganellate e finito a colpi di pistola. Altri 7 manifestanti rimangono feriti.

11 maggio 1961

A Sarnico (Bs), una manifestazione di protesta da parte degli operai contro i licenziamenti, viene stroncata dai carabinieri che aprono, senza alcuna motivazione plausibile, il fuoco uccidendo il disoccupato Mario Savoldi.

28 maggio 1962

A Ceccano (Frosinone), i carabinieri aprono il fuoco sugli operai del saponificio Scala, in sciopero da 34 giorni, che protestano contro i crumiri assunti dalla direzione. Viene ucciso l’operaio Luigi Mastrogiacomo e altri 7 rimangono feriti.

27 ottobre 1962

A Milano, mentre è in corso una manifestazione contro il blocco aeronavale imposto dagli Stati uniti a Cuba, i reparti della Celere caricano i partecipanti travolgendoli e uccidono, schiacciandolo contro un muro, lo studente Giovanni Ardizzone.

12 settembre 1968

A Lodè (Nuoro), nel corso di una manifestazione, i carabinieri intervengono aprendo il fuoco sui dimostranti e uccidendo l’operaio Vittorio Giua.

2 dicembre 1968

Ad Avola (Siracusa), la Celere apre il fuoco contro una manifestazione di braccianti, in agitazione nel quadro di una settimana di scioperi per il rinnovo del contratto, uccidendo Giuseppe Scibilia e Angelo Sigona.

9 aprile 1969

A Battipaglia (Salerno) viene caricata violentemente una manifestazione di operai e braccianti dalla polizia che spara, uccidendo Teresa Ricciardi e Carmine Citro, 19 anni, e ferendo molti altri manifestanti. La manifestazione, che aveva bloccato il traffico sull’Autosole, era stata indetta nel corso di uno sciopero cittadino, per protestare contro la chiusura degli stabilimenti che davano occupazione alla zona (uno per uno, hanno chiuso i battenti il tabacchificio Santa Lucia, Baratta, D’Amato, D’Agostino, Giambardella e il zuccherificio Ziis) e chiedere terra e lavoro.

27 ottobre 1969

A Pisa, la polizia carica i manifestanti del movimento, uccidendo con un candelotto lacrimogeno sparato a tiro teso ed altezza d'uomo lo studente Cesare Pardini; numerosi altri manifestanti rimangono feriti. Vengono spiccati 12 mandati di cattura per ‘radunata sediziosa, resistenza, violenza privata, lesioni aggravate, danneggiamento aggravato, detenzione, uso e trasporto di materiali esplosivi’ ; 5 manifestanti (3 operai e 2 studenti) sono arrestati e tradotti nel carcere di Livorno, gli altri 7 si rendono latitanti.

14 luglio 1970

A Reggio Calabria, si verificano dimostrazioni e scontri tra forze di polizia e popolazione alla notizia che è stata prescelta la città di Catanzaro come capoluogo di regione. Nel corso degli scontri la polizia uccide il ferroviere Bruno Labate.

27 settembre 1970

A Reggio Calabria, nel corso di incidenti con i manifestanti per ‘Reggio capoluogo’, la polizia uccide Angelo Campanella.

12 dicembre 1970

A Milano, la polizia guidata dal vice questore Vittoria carica con lacrimogeni e pestaggi un corteo indetto dalla sinistra extraparlamentare nell'anniversario della ‘strage di Stato’, e per solidarizzare con i militanti dell’Eta sotto processo a Burgos, uccidendo Saverio Saltarelli di 22 anni, provocando decine di feriti fra i quali il giornalista Giuseppe Carpi, colpito da un proiettile. Per la morte di Saltarelli saranno successivamente inquisiti il capitano dei carabinieri Antonio Chirivi e il capitano di Ps Alberto Antonietti.

2 febbraio 1971

A Foggia, nel corso di uno sciopero la polizia apre il fuoco uccidendo il bracciante Domenico Centola.

12 giugno 1971

A Palermo, un attivista del Partito repubblicano, Michele Guaresi di 32 anni, viene ucciso con un colpo di pistola da un agente di Ps perché sorpreso ad affiggere manifesti elettorali del suo partito dopo il termine consentito.

17 settembre 1971

A Reggio Calabria, nel corso di incidenti con dimostranti per Reggio capoluogo, le forze di polizia fanno uso di armi da fuoco uccidendo Carmelo Jaconis.

11 marzo 1972

A Milano, la Questura autorizza un raduno della maggioranza silenziosa che raccoglie alcune centinaia di persone a piazza Castello; a margine di questa manifestazione, vengono malmenati un cronista del "Giorno" e un fotografo. La Questura vieta per contro la piazza alla sinistra extraparlamentare che vuole manifestare per la libertà di Valpreda e contro il governo Andreotti e la ‘strage di Stato’. I giovani si radunano egualmente in vari punti della città ed impegnano la polizia, tenendo il centro per tutto il pomeriggio. Rimane ucciso da un candelotto lacrimogeno sparato ad altezza d’uomo dalla polizia, il pensionato Giuseppe Tavecchio (per la sua morte verrà incriminato per ‘omicidio colposo’, il capitano di Ps Dario Del Medico, condannato in primo grado e, infine, assolto in appello perché ‘il fatto non costituisce reato’) e si contano 40 feriti. Nei giorni seguenti, perquisizioni a tappeto, la Questura annuncia 99 arresti: fra essi, il nostro compagno, Luigi Cipriani, ‘comandante’ delle forze di piazza, che dovrà rendersi latitante per sfuggire all’arresto, nonché l’avvocato Leopoldo Leon, non presente ai fatti, che raccoglieva testimonianze sul comportamento della polizia, per ‘concorso ideologico nei reati di resistenza aggravata e devastazione’.

5 maggio 1972

A Pisa, le forze di polizia caricano i militanti della sinistra extraparlamentare che contestano il comizio del missino Niccolai, provocando decine di feriti e procedendo a 20 arresti. Fra questi, l’anarchico Franco Serantini di vent’anni, che al momento del fermo viene selvaggiamente percosso con i calci dei fucili, pugni e calci. Morirà due giorni dopo nel carcere di Pisa, privo di cure, per frattura della scatola cranica. Il pretore condannerà il capitano di Ps Amerigo Albini e l’agente Giovanni Colantoni a 6 mesi e 10 giorni di reclusione per ‘falsa testimonianza’. Anche a Bergamo, le forze di polizia caricano violentemente i militanti di sinistra che contestano il comizio del missino Tremaglia, provocando il ferimento di 15 giovani.

23 gennaio 1973

A Milano, in serata 100 poliziotti agli ordini del vice questore Paolella e Cardile e del tenente Vincenzo Addante circondano la Bocconi contro una manifestazione di studenti del movimento, indetta per protestare contro i provvedimenti repressivi della libertà di riunione, adottati sulla scia di quelli alla Statale. Un agente di Ps apre il fuoco contro i manifestanti in fuga, colpendo a morte lo studente Roberto Franceschi. Rimane ferito anche l’operaio Roberto Piacentini, al quale una pallottola sfiora un polmone. Il giorno successivo, in gravissime condizioni, verrà incriminato per ben 5 reati. Si verifica nei giorni successivi un rimbalzo di responsabilità per l’intervento della polizia fra il rettore Giordano Dell’Amore e la Questura, che avanza la versione dell’ ‘agente in preda a raptus’.

8 settembre 1974

A Roma, si rinnovano gli interventi repressivi della polizia nel quartiere san Basilio contro gli occupanti di case, anche con l’uso di armi da fuoco che uccidono il militante di sinistra Fabrizio Ceruso.

17 aprile 1975

In molte città, si svolgono manifestazioni di protesta per l’uccisione di Claudio Varalli da parte del fascista Braggion. A Milano, la manifestazione è repressa dalla polizia con ampio uso di armi da fuoco. Un manifestante, l’insegnante Giannino Zibecchi di 27 anni, è ucciso da un camion dei carabinieri guidato dal milite Sergio Chiairieri, salito sul marciapiede per caricare i partecipanti. I tre militi inquisiti per l’uccisione saranno definitivamente scagionati nel novembre 1980.

18 aprile 1975

A Firenze, una manifestazione antifascista organizzata dall’Anpi è attaccata dalla polizia con l’uso di armi da fuoco. Un agente di Ps, Orazio Basile, uccide Rodolfo Boschi e ferisce Alfredo Panichi. Al processo che ne seguirà, l’agente sarà condannato a 8 mesi con la condizionale per ‘eccesso colposo di legittima difesa’; 10 anni di reclusione sono inflitti invece a Francesco Panichi, imputato di reati minori.

16 maggio 1975

A Napoli, la polizia carica i disoccupati che hanno occupato la sala consiliare del Comune, provocando 34 feriti e travolgendo con un automezzo Gennaro Costantino, determinandone la morte. Numerosi sono gli arrestati fra i dimostranti, che si sono difesi con sassaiole, impegnando la polizia in scontri.

22 novembre 1975

A Roma, nel corso di una manifestazione a favore della liberazione dell’Angola dal dominio portoghese, i carabinieri aprono il fuoco uccidendo il diciottenne Pietro Bruno e ferendo gravemente altri 3 militanti di sinistra. Per l’uccisione di Bruno saranno inquisiti il sottotenente dei carabinieri Saverio Bosio, il carabiniere Pietro Colantuono e l’agente di Ps Romano Tammaro. Il giudice istruttore Pasquale Lacanna nella sua ordinanza di proscioglimento scriverà: "se per la difesa dei superiori interessi dello Stato, congiuntamente alla difesa personale, si è costretti ad una reazione proporzionata alla offesa, si può compiangere la sorte di un cittadino la cui vita è stata stroncata nel fiore degli anni ma non si possono ignorare fondamentali principi di diritto. La colpa della perdita di una vita umana è da ascrivere alla irresponsabilità di chi, insofferente della civile vita democratica, semina odio tra i cittadini".

14 marzo 1976

A Roma, davanti all’Ambasciata spagnola è stata indetta una manifestazione antifranchista dalla sinistra rivoluzionaria e movimento studentesco, caricata dalla polizia che si lancia in caroselli al Pincio ed uccide un anziano, l’ingegner Marotta, che passeggiava in via Belvedere, e ferisce uno studente.

7 aprile 1976

A Roma, in occasione della trattazione in Cassazione del caso Marini, per il quale è riconfermata la condanna, manifestano gli anarchici e la sinistra rivoluzionaria dinanzi al ‘Palazzaccio’ e al ministero di Grazia e giustizia. Il secondino Domenico Velluto, in servizio dinanzi al ministero, spara contro alcuni giovani che avevano lanciato delle bottiglie molotov contro l’edificio, uccidendo con un colpo alla nuca il 21enne Mario Salvi.

11 marzo 1977

A Bologna, la polizia carica i militanti di sinistra e del movimento che manifestano per le vie cittadine. I carabinieri aprono il fuoco, uccidendo Pier Francesco Lorusso di Lotta continua. I giovani continuano a manifestare, caricati a più riprese. Sono arrestate in seguito agli scontri 45 persone fra cui Renato Resca, Nicola Rastigliano, Diego Benecchi, Alberto Armaroli, Mauro Collina, Raffaele Bertoncelli, Giancarlo Zecchini, Albino Bonomi, Fausto Bolzani, Carlo Degli Esposti, fra gli altri. Per la morte di Lorusso sarà inquisito il capitano dei carabinieri Pietro Pistolese.

12 maggio 1977

A Roma, la polizia carica una dimostrazione pacifica, organizzata dai radicali per ricordare la vittoria del referendum sul divorzio, facendo largo uso di armi da fuoco ed uccidendo Giorgiana Masi, diciannovenne, e ferendo altri 7 giovani, tra i quali Elena Ascione. Fra gli agenti di Ps che aprono il fuoco viene ritratto in una foto Giovanni Santone, in forza alla squadra mobile.

7 gennaio 1978

A Roma, in via Acca Larentia, le forze di polizia intervengono contro i militanti del Msi che manifestano per protestare contro l’uccisione di Stefano Bigonzetti e Francesco Ciavatta da parte di avversari politici rimasti ignoti. La polizia fa uso delle armi da fuoco e uccide Stefano Recchioni: per questa morte sarà inquisito il capitano dei carabinieri Sivori, successivamente prosciolto da ogni addebito.

10 gennaio 1979

A Roma, nel corso di incidenti con le forze di polizia, viene ucciso con un colpo di pistola alle spalle, il militante missino Alberto Giaquinto, di 18 anni. La polizia si discolperà affermando che il giovane era armato, ma verrà smentita dalle risultanze processuali.

20-21 luglio 2001

A Genova, in una città blindata in occasione del vertice dei G8, continuano le dimostrazioni iniziate il giorno precedente con il ‘corteo dei migranti’, mentre la città è affollata di giovani e non, che hanno risposto all’appello lanciato dal ‘Genoa social forum’, dalle ‘Tute bianche’, Rifondazione comunista, Campo antimperialista e altri gruppi antiglobalizzazione, per contestare lo strapotere dei grandi. Oggi le ‘Tute bianche’ hanno inscenato lo sfondamento della rete che protegge la ‘zona rossa’ nel giorno della ‘disobbedienza civile’. Da una camionetta di carabinieri, circondata da alcuni ragazzi armati di soli oggetti contundenti, parte un proiettile che colpisce alla testa Carlo Giuliani, 23 anni. Per inscenare l’incidente, non sapendosi filmati, i carabinieri innescano la retromarcia e la camionetta passa sul corpo del ragazzo, già caduto a terra in una pozza di sangue. Il giorno seguente, 200.000 persone accorrono per la dimostrazione finale unitaria e per protestare contro l’uccisione del ragazzo. Le forze di polizia prendono a pretesto l’azione di alcuni gruppi di giovani, che effrangono le vetrine di alcune banche e bruciano macchine di lusso, e caricano con lanci di lacrimogeni e pestaggi indiscriminati la folla di manifestanti, per la gran parte indifesi e privi di servizi d’ordine. Diverse testimonianze parlano di infiltrati. La giornata si chiude con un altro pestaggio nelle scuole messe a disposizione dal Comune per accogliere i giovani, operato dalle forze di polizia, che operano decine di arresti e provvedono altresì ad effrangere, nella scuola adibita a sede del Genoa social forum i computer, asportare il materiale fotografico e video che gli organizzatori hanno raccolto per documentare le violenze della polizia e la morte del giovane.

 

 


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