-La pagina di Mr.Gisky
EXILE ON MAIN STREET
May '72 The Rolling Stones Finest's Hour
Di Eros Roman

"L 'album degli Stones più inquinato dall'eroina eppure il più irrefrenabilmente vivo, ascoltarlo è come percorrere un lungo corridoio con mura di granito e luci fluorescenti sfarfallanti e cavi liberi: è un classico studio rock nel frastuono nella tensione e nell'oppressione; resta ancora oggi un opera che fa tremare"( James Walcott, 1985).

Basterebbe questa splendida definizione per descrivere questo doppio album in cui la band con una creatività ed una bravura di esecuzione sconcertanti ridefiniscono i confini della musica rock realizzando quello che rimane e senza dubbio rimarrà il più grande disco rock di ogni tempo, le canzoni prese di per se non raggiungono lo status di classici ma ogni singola nota, ogni overdubbing , ogni virgola è maledettamente al proprio posto, niente è superfluo, un opera da brividi.
Registrato prevalentemente nel seminterrato dell'altera Villa Nellcote ( situata sulle colline di Cap Ferrat che dominano la splendida baia di Villefrenche Sur Mer) all'epoca residenza di Richard mediante l'ausilio di uno studio mobile di proprietà del gruppo, "Exile on main st. " consta di 18 brani divisi in due dischi, secondo una dichiarazione di Mick Jagger ogni facciata dovrebbe rappresentare un aspetto del gruppo, ma questo( eccezion fatta per la seconda facciata costituita da pezzi country o comunque lenti) non trova riscontro durante l'ascolto.
Rispetto alla formazione base avviene l'aggiunta in pianta stabile di una sezione fiati costituita da Bobby Keys al sax e da Jim Price alla tromba, il fatto che quest'ultimo abbia avuto carta bianca nella produzione ed arrangiamento degli strumenti a fiato( registrati quasi interamente a Los Angeles) è avallato dal fatto che in moltissimi brani del disco essi svolgono un ruolo di primo piano se non addirittura primario nell'economia del brano, completano i quadri i soliti Nicky Hopkins, Ian Stewart nonchè il contrabbassista BilI Plummer, da ricordare infine le apparizioni cameo di Billy Prreston e dei non accreditati Gram Parson e Doctor John nonche l'ottima produzione di Jimmy Miller e dell'ingegnere del suono Andy Johns.
L 'atmosfera del disco è definita dall'opener " Rocks off', un autentica esplosione, un orgia chitarristica con parecchie parti registrate da Richard, la sezione fiati magnificamente assordante, un bridge "drogatissimo"ed un finale martellante memorabile; la febbre sonora aumenta ancor più con la torrida "Rip this joint" per la quale gli stones riscoprono la frenesia ritmica di standards come" I just wanna make love to you" con però un abilità di esecuzione ed una grinta distruttiva, Richard si dimostra chitarrista più unico che raro, Jagger mette a punto un indiavolato speed talkin' blues narrante di un America inquietante quanto quella dipinta da Robert Greenfield nel suo inquietante "Stones touringparty", perfetta l'intuizione di inserire un contrabbasso, ottimi i fiati particolarmente un tiratissimo assolo di Keys~ "Shake your hips" è una cover version di un vecchio brano di Slim Harpo resa con una maestria davvero sconcertante e caricata nel finale di echi davvero suggestivi che rimandano a quell"America in bianco è nero catturata in modo encomiabile da Robert Frank sulla copertina del disco( e soprattutto nel suo volume fotografico "The Americans') , ancora una volta va lodato il lavoro di Keys e Price. "Casino boogie" è un mid-tempo esaltante, forse uno dei brani più emblematici nel definire la "perfezione dissoluta"della musica suonata in questo album: dal folle testo nonsense di Mick (che rimanda a Borroughs ) ai cori sgangherati ma adorabili di Keith , all'assolo devastante di Keys, il tutto su di un tappeto sonoro dall'incedere ciondolante. ...capolavoro!! "Tumblin' dice" è per chi scrive la canzone più bella in assoluto realizzata dalla band, il riff in open G tuning di Richard è un capolavoro studiato e perfezionato a lungo nel tempo( almeno fin dal' 70 con il titolo provvisorio di "Good lime women'), il testo e l'interpretazione di Jagger fenomenali, le magnifiche backing vocals delle cantanti gospel Clydie King e Vanetta Fields riscaldano l'atmosfera… bellas da stare male ed intramontabile.
"Sweet Virginia" dall' intro molto suggestivo è un country sullo stile di "Dead flowers"( proviene infatti dalle medesime sedute di registrazione) arricchito però dall'armonica di Jagger e da un clima senza dubbio più festaiolo e meno formale....permangono però i medesimi riferimenti a droghe varie, ma è la successiva "Torn and trayed" a meravigliare, un brano semplicemente perfetto fino ad un tratteggio infinitesimale, un vertice assoluto ( alla pari delle già citate "Casino boogie" e "Tumbling dice" e di "Just wanna see his tace" e "Let it loose" delle quali si parlerà più avanti) , qui la definizione di country- rock da strada calza a pennello, il testo sembra essere quasi una descrizione sull'assurdo stile di vita perpetrato dal gruppo nelle bagordie di Villa Nellcote e nel successivo epico orgiastico tour americano, ottima la steel guitar di AI Perkins "Sweet black ange/" col suo testo un pò di maniera narrante le ( dis )avventure della militante nera di sinistra Angela Davis, è un altro brano acustico che si regge sulla chitarra particolarmente ispirata di Richard e vede la presenza curiosa delle marimbas del fantomatico Amyl Nitrate la seconda facciata si chiude con "Loving cup" pezzo risalente al 1969 e di fatto già eseguito(malamente) al concerto di Hyde Park dello stesso anno, paradossalmente è uno dei brani che meglio detta l'atmosfera del disco con i suoi chiaroscuri col sempre presente riferimento alla musica gospel o meglio ad un certo soul americano, trainato dal pianoforte di Nicky Hopkins il brano eccelle nel finale con un crescendo che ricorda da vicino quello di "Salt of the earth".
"Happy" owero Keith Richard on his own, oltre alla parte vocale infatti egli si occupa di suonare basso e chitarre, il quadro è completato da Miller alla batteria(?) e da Hobby Keys al sax. ..un pezzo di un calore e di una carica dawero unici, quattro minuti di autentica essenza rock la cui dissolutezza è sottolineata dalla chitarra principale leggermente scordata si dice per colpa dell'umidità soffocante presente nel famelico seminterrato "Turd on the run " è un furioso hillibilly in cui va una volta ancora lodato il lavoro di Richard: il suo riff è un capolavoro di reiterazione e risparmio musicali mentre le parti all'armonica di Mick sono tra le sue più belle come pure il testo uno dei più efficaci del disco; la seguente "Ventilator blues"(accreditata anche a Taylor) sembra un anticipazione tratta dal debutto dei Lynyrd Skynyrd che avverrà l'anno successivo, in effetti la combinazione tra il pesante riff d'apertura e la costruzione squisitamente blues del pezzo saranno le caratteristiche del gruppo capitanato dal grande e compianto Ronnie Van Zandt. Il brano si stempera negli echi voodoo di "Just wanna see his face" un gospel davvero sensazionale nato per caso dallo strimpellare di Keith seduto al pianoforte, le spettrali backin vocals e i bassi rimbombanti suonati da Taylor e Plummer conferiscono al brano un atmosfera davvero magica, tale atmosfera permane nella successiva "Let it loose" un altro capolavoro un soul di altissimo livello, tutto in questo brano è semplicemente perfetto dalla leslie-guitar iniziale all'interpretazione scorticata e magistrale di Jagger, dalla splendida sezione fiati della parte centrale alle ottime backin vocals, una citazione anche per il testo dove l'abbandono e la rassegnazione vengono descritti drammaticamente con distacco..spegni la luce e questa sera lascia che tutto vada al diavolo; "All down the line" è un brano rock torrido marchio di fabbrica della coppia ritmica Richard/Watts , qui il gruppo gira a mille e pare una macchina davvero inossidabile, superfluo lodare per l'ennesima volta il lavoro di Keys e Price, esiste di questo brano una magnifica versione acustica registrata nel '70 agli Olympic studios che dal mio punto di vista surclassa la versione definitiva. "Stop breaking down", cover di un brano di Robert Johnson del 1938 ci fa interrogare sul perchè i Rolling Stones abbiano completamente perso la capacità di realizzare questo tipo di brani, altro pezzo memorabile è il reggae ( ricucinato alla Stones) di "Shine a light" che vede la partecipazione del grande Billy Preston al pianoforte, molto suggestivo l'introduzione quasi psichedelica mentre Taylor ci regala l'assolo più memorabile dell'intera raccolta; chiude la martellante "Soul survivor"un rock tirato particolarmente energico che però appare leggermente avulso all'atmosfera presente negli altri brani deI disco. Non vanno dimenticati alcuni aneddoti tra i quali quello che avrebbe visto Hobby Keys e la bella Anita Pallenberg camuffati e muniti di cavo elettrico e morsetti atti a "rubare"la corrente elettrica dalla sottostante linea ferroviaria prospiciente la villa per sopperire alla continua mancanza di energia per la dispendiosa quantità richiesta dallo studio mobile; poi come dimenticare il temibile motoscafo ribattezzato"mandrax"col quale Keith scorribandava per la tranquilla (fino ad allora), essendomi più volte a visitare la villa sono rimasto colpito da scritte ancora presenti lungo la vecchia scalinata che conduce alla spiaggia tra le quali il saluto degli esausti francesi "Les Rolling Stones pigs" ancora leggermente visibile.
Per concludere va ricordato il contorno di questo magico biennio 1971/72 veramente gustoso: il titolo dell'album semplicemente perfetto, la copertina molto colta con riferimenti anche al mitico"Freaks" di Todd Browning, il famelico U.S. Tour del 72 con tanto di film documentario censurato("Cocksucker blues"dello stesso Robert Frank) il bellissimo libro di Robert Greenfield "STP" autore anche di una mitica e chilometrica intervista a Richard realizzata a Nellcote per la rivista "Rolling Stone"pubblicata il 19 agosto '71, gli sconvolgenti manifesti pubblicitari dei concerti che raffiguravano mostri da circo anzichè immagini del gruppo Exile on main street is a strange street to walk down.

Roman Eros