Metropolitan Ratto Sweet: gruppo musicale;
Lorenzo Maria Palombi: pittore;
Abel Wakaam: scrittore;
Raffaele Di Stasi: geometra e poeta;
Luigi Cristiano: webmaster e scrittore;
Marco Saya: poeta e musicista;
Sulla pista a forza di braccia,
seduto su di un 'trono'
che non quello di un re
ma di un disabile.
Di un handicappato.
Lo sforzo e la tensione
trattenute da un laccio
intorno ai capelli.
Hai bicipiti possenti,
nervi saldi, voglia di vincere.
Nessuno ti ha mai visto
sorridere tanto.
Il vento ti viene incontro,
si posiziona dietro la tua "biga" a quattro ruote,
e soffia forte in direzione del traguardo.
Non aspetta che tu sia stanco.
Come un aquilone ti solleva da terra;
un brivido, un balzo e ce l'hai fatta
ad essere il primo.
Indietro: tutti gli altri,
così simili al tuo destino.
Piccoli e umili
anche quando dinnanzi a Dio
indosseranno le loro medaglie
d'oro e d'argento.
E le Paraolimpiadi
avranno luogo in Paradiso.
Maria Rosa Oneto – Rapallo (GE)
Non ho gambe: le mie passeggiate avvengono nel mondo dell’amore, non ho mani: afferro la sensibilità quotidiana, non vedo: ma il mio cuore ha una vista acutissima…è meglio avere un corpo senza corpo che una testa senza testa
Ermanno Eandi
http://www.eandiermanno.it/poesport/
- “Mamma, apri mamma! Domani è Natale. Sono tre anni mamma… aprimi! Ho voglia di abbracciarti. Apri quella porta. Ho freddo mamma, piove e sto bagnandomi tutta!
- Mamma, ti prego, apri. Devo dirti una cosa importante.”
Lui era rimasto muto, non faceva che tenerle l’ombrello, ma la pioggia si intensificava.
Erano ormai inzuppati entrambe: lei continuava a bussare e chiamare; finchè Luigi sbottò:
- “Basta! Sono anni che ad ogni festa mi trascini dietro questa porta. Quella pazza non aprirà, neanche ‘stavolta!”
-“Zitto, per
favore. Mamma, hai sentito? Apri, fagli vedere che si sbaglia, aprimi.
Stavolta non andrò via. Ricordi? Mi hai
detto che per te ero morta: bene, morirò dietro questa porta, non andrò via se
non apri!”
Una bestemmia più forte di un tuono.
Anche lei si voltò stupita: il suo Luigi non lo aveva mai sentito bestemmiare.
Il pensiero corse al passato, a quelle giornate nere, tra tribunali e liti in casa.
Quel porco del dottore aveva abusato di lei più volte: quando si era ripresa, aveva confidato tutto a sua madre in lacrime. L’aveva narcotizzata e l’aveva tenuta due giorni alla sua mercé.
Sua madre non voleva che lo denunciasse, doveva tacere: il paese è piccolo e la gente parla… non si può accusare il dottore, mettere in piazza un fatto di questa dimensione.
Dunque doveva tacere.
- “Tu farnetichi!
Deve farla franca dopo ciò che mi ha fatto? Ti rendi conto cosa mi chiedi?
Io sono la vittima, e quando la vittima tace crea altre vittime. Non posso
tacere non è giusto.”
- “Ma io non voglio che il paese sappia, non potrei più uscire di casa!”
Difatti erano anni che non usciva se non raramente. La sua compagnia era un gatto nero.
Anche lei nella sua ostinazione si creò una prigione ed allontanò la sua unica figlia da lei.
- “Mamma, ora sono qui, apri! Voglio darti un bacio e poi devo darti una bella notizia.”
Quella porta non si aprì.
Lei pensò a quell’ultimo giorno, quando uscì decisa da quella porta; lei la seguì fuori:
- “Non andare ti prego, ascoltami!”
- “Mamma, ciò che mi chiedi non è giusto. Non potrei tornare ad essere donna con questo peso dentro e sapendo quel maledetto libero. Vado a denunciarlo.”
- “No, ti prego! Per me sei morta se fai una cosa del genere..”
- “Tu non ragioni mamma, tu non sai come ci si sente dopo uno stupro!”
- “Sei sicura?”
Ricorda… quelle parole le fecero provare un brivido. Dunque anche lei?
Si voltò. Sua madre piangeva.
- “Mamma.. anche tu?”
- “Solo che il mio fu uno stupro autorizzato, certificato..”
Ricorda che si sedette su quello scalino e guardò sua madre in silenzio, dopo essersi asciugata le lacrime, continuò:
-
“..avevo 13 anni allora, non sapevo nulla né di uomini né
della vita; avevo i miei sogni di ragazzina.. Lui erano mesi che veniva con mio
padre, legava il cavallo fuori e beveva un bicchiere di vino; aveva 28 anni più
di me, mai avrei pensato che papà e mamma mi avrebbero venduta. Sì, venduta!
Non fu che una vendita.
Mamma venne nella mia stanza e mi parlò: il cavaliere ti vuole per moglie; ci
darà la casa e il terreno e ti sposerà.
..ma è vecchio, brutto, grasso. Avevo 13 anni, cosa potevo capire.
Entrambi i miei
genitori mi convinsero che era la mia fortuna, dovevo accettare, ed accettai!
Fu uno stupro che durò una vita, solo che ero vittima consapevole di essere
stata sacrificata.”
- “Erano altri tempi. Mamma lo capisci o no che eri consenziente… io no!”
Non ricorda suo padre: morì che lei aveva 6 anni.
Ma, nonostante avesse scoperto la verità sul vero rapporto dei suoi genitori, proseguì ed accusò quell’uomo e lo fece condannare.
- “Mamma aprimi! Devi aprire, devo dirti una cosa meravigliosa.”
- “Basta!” – urlò lui.
- “Non puoi ucciderti ed uccidere il nostro bambino. Vieni via o ti porto via di peso!”
Il rumore della porta che si apriva… Lei apparve in lacrime.
- “Un figlio. Aspetti un figlio… aspetti… Un nipote.” – tartagliò confusa.
Si abbracciarono sotto la pioggia.
- “Che diamine!” - disse lui
- “Non potete abbracciarvi dentro?” - Li spinse dentro, lui rimase sull’uscio.
- “Entra.” - disse la vecchia.
- “Torno domani.” - disse lui.
E scomparve sotto la pioggia.
Vecchio libro ritrovato nella soffitta
Pagine ingiallite dal passato tempo
come in un sogno risento le mie ansie
che no mi hanno mai lasciato.
In te rivedo la mia triste gioventù…
gioventù nascosta tra pareti di vecchie mura.
Sognando principi azzurri con bianchi cavalli
guardando poi il cielo con pesanti nuvole nere
che si riscoprono pian piano.
E buttar giù gocce d’acqua
e in quel tic tac sognare momenti meravigliosi…
poi tutto svanisce con il tempo passato
vecchio libro di soffitta con te
rimane chiusa per sempre la mia triste gioventù.
IMPRESSIONI:
Mi incammino in una strada dove il sole leggermente si posa,
dove le nubi tra loro si rincorrono.
Due occhi lassù mi guardano,
qualcuno veglia su di me la mente vaga cercando una meta…
irrequietezza, tristezza, non si sa.
Due occhi lassù mi guardano.
Notti insonni, incubi, echi come onde che si mischiano tra loro.
Come voragine che mi attira nel più profondo dei mari.
Due occhi lassù mi guardano.
Anima sola, anima stanca nella lunga notte bianca.
E’ l’alba l’incubo è finito, per l’ultima volta vedo
gli occhi di mamma morta!
MALINCONIA:
Fermati malinconia
non appoggiarti sempre sulla mia ombra.
Non scavare dentro il mio cuore
va via…
Non voglio che resti accanto a me,
ho voglia di gridare al mondo
la mia libertà,
la mia gioia di vivere…
No! No!
Non attanagliarmi con le tue pinze d’acciaio…
lascia il mio cuore lascialo correre
alla sua deriva alla sua follia d’amore…
questo
dolore
che
assomiglia
ad
un sentirsi mancare,
che
assomiglia
alla
vita
che
scivola via
silenziosa,
senza
campane
fastidiose.
Ancora
perpetro
un
nuovo auto-inganno
indulgente
e
credo
di
poter sopravvivere,
quando
so
che
soccomberò
un’altra
volta
al
tintinnare
di
metalliche corde,
troppo
tese
per
sopportare le vibrazioni
del
mio cuore.
***
Cuore
pieno-
Anima
vuota-
e
provo un immenso,
infinito
desiderio di barare,
di
infrangere le regole
per
passare oltre
ogni
convenzione e accettazione
e
questa assurda forza di gravità,
e
così invadere gli orli delle tue labbra
ed
abbattere l’orgoglio
delle
tue gambe serrate,
per
specchiarmi nei tuoi occhi
e
penetrarli
come
se fossi in bilico
su
di un abisso,
sacro
perché infinito…
Mi
sento trascinare sui binari divelti,
senza
fine,
di
una vita irriconoscibile…
…ma
il fuoco scorre
dentro
di me
e
con esso il desiderio,
l’anelito…
…forse
sono ancora vivo,
ma a volte morire è più facile.
***
Mia
ardente sconosciuta
che
scandisci i passaggi
tra
sonno e veglia pensosa,
cerco
in te la chiave
di
me stesso, perso
in
un primordiale catartico transfert.
Dammi
il respiro
che
muove i tuoi pensieri
poiché
ho già colto l’arcano
che
pulsa
in
fondo ai tuoi occhi…
Ti
ricoprirò di aurea dolente ebbrezza
e
di mute perle d’infinito;
in
cambio chiedo di morire,
di
annegare nel tuo oceano,
percepire
il privilegio
della
bruciante serenità
di
un Dio…
***
…e mi perdo nel caleidoscopio
dei tuoi occhi,
per ogni riflesso
un battito del cuore
più ardito,
per ogni colore
una nota
per la sinfonia
che incurva il mio corpo…
…e regredisco ancora,
infantilmente attaccato
a un gesto,
a una parola d’amore…
Vorrei succhiarti via l’anima
e, una volta nelle mie mani,
donarle gli infiniti spazi
dei miei
…SE I POETI HANNO IL CUORE IN TESTA ED ESSO DOMINA I LORO TUMULTI E LE LORO PASSIONI…ESSERE POETI E’ DIVINO.
Deposito SIAE 2001: ALLAPPY. Gruppo musicale composto da: Fabio Benedetti, chitarra (voci) – Alessandro Grasso, batteria (voci) – Massimo Zingoni, basso, voce. Per info: rattosweet@libero.it
1: MOSTRO JOE; 2: TED IL FATTORINO; 3: BILL PRONTOSOCCORSO; 4: CLITO RIDE; 5: QUEL CICCIONE DI ORSON WELLES; 6: EDGAR ALLAPPO’; 7: ‘SCANTO; 8: LEELO DALLAS MULTIPASS; 9: NIENTE PER BOCCA; 10: LA SIGNORA PANDEMONIUM; 11: MOSTRO JOE (FALECA VERSION).
L’Artista Andrea Caponera, nasce a Tivoli nel 1970. Ha manifestato la sua passione per la pittura in tenera età. Nel 1983 inizia a frequentare la scuola di arti-figurative sotto la guida del Maestro Elverio Veroli. Per lui, dipingere, non è né un hobby né un lavoro ma solo un modo per comunicare a se stesso e agli altri le emozioni più profonde.
L’ALBERO DI ELISA PESCI TROPICALI FARE L’AMORE RIFLESSIONE
L’Artista è nato a Tivoli nel 1968, sin dalla più tenera età ha
manifestato talento e originalità, sotto la guida del Maestro Acc. Elverio
Veroli. Ha partecipato sin da giovanissimo a mostre ed internazionali. Nel 1984
gli è stata conferita la nomina di “Accademico” da parte della C.E.D.A.R.
(Centro Espansionistico Divulgazione Artisti Romani). Da quel giorno non ha più
smesso di partecipare a concorsi ed eventi vari vincendo e vendendo le sue
opere. I suoi impegni futuri? Continuare a dipingere…
GALATEA LE CASCATELLE LA DEPOSIZIONE IL CANOPO
ARCANO: un misterioso viaggio in un mondo di Amazzoni e Guerrieri… www.abelwakaam.net
Troppo
belli i tuoi occhi,
bambino mio,
per gli ulivi della tua terra
che alitano speranze di vita e di
morte,
quando un glabro labbro
copre una mascherina bianca
e tu vedi l'orsa maggiore di un cielo
dipinto
ed una donna che fuma
ed il padre di una cicogna impazzita:
io non voglio che tu conosca l'autunno
della vita
in un mondo salvato dai poeti:
l'ora della stella non è ancora giunta
quando Dio ti risparmia
la fatica di cercarlo.
Corte e povere le statue scomparse per me,
che vorrei tanto darti una poesia
per non farti andare via.
Figlio di un dio di moda,
non deporre il tuo giglio appassito
su un muro di carta:
sulla stessa via delle icone
tu sconfiggerai l'ambiguità di un
Cristo duale.
Sorridimi,
almeno un po',
mentre la tua vena ballerina
brucia
su un orizzonte senza limiti,
e si lega alla plastica ed al genio
come un vecchio cinese
in un festival di giganti.
Bambino mio,
dalle ali di rosa,
il vento soffia e spinge lontano
tuo giocattolo rotto:
il lungo sogno della terraferma
ti abituerà a vincere.
Al
cielo vorrei carpire il colore,
ai prati il verde splendente,
alle nuvole il soffice biancore,
alla notte il nero abbrunante.
Vorrei l'oro giallo del sole,
del tuo viso il candido rossore,
delle stelle la lucente mole,
dell'universo il pulsante cuore.
Usarli per far di te un dipinto,
donna, di mille pensieri intrisa,
il tuo corpo io guardo discinto,
in me, la tua bellezza è incisa.
Il mio spirito risiede là, nell'elisio,
nel dolce brillio di eterni colori,
forte, ricorrente, è in me il desio,
finire il dipinto, e chiamarti amore. .
La
cosa si risolverà nei giorni di giovedì e venerdì.
A meno che tutto cambi.
A meno che le parole di ieri e di oggi prendano la nostra vita per mano e
la portino su due strade diverse.
Dice di non aver scelta, di non avere la forza di affrontare nuovamente quello
che ha passato nove anni fa e onestamente ha ragione.
Dice di sentirsi invisibile, estranea e che si accorge di come evito il suo
sguardo e come fisso le pareti piuttosto che guardarla.
Anche in questo ha ragione.
Dice che ha sbagliato allora nel credere che il mio amore per lei dovesse,
bada bene, "dovesse ", riversarsi su quello che ne sarebbe scaturito.
Ma che sono stato lontano troppi anni e che non ho lasciato a nessuno la possibilità
di cambiare le cose e il mio modo di vivere quel tempo, quell'arrivo, e che
non tentò neppure di avvicinarsi talmente era grande il muro che avevo eretto
tra di noi.
E ricorda che mentre la piccola era in camera grande, io dormivo sul divano,
e neppure averla traslocata in camera sua aveva cambiato la cosa.
Io dormivo sul divano, e ho continuato a farlo.
Io non la avvicinavo, non la cercavo.
Non cercavo nessuno, esattamente come ora.
Come ora che aspetto vada a letto e che si addormenti, che non mi faccia domande
perché non avrei risposte.
Come adesso che aspetto faccia una scelta, una volta ancora.
Obbligata, dice lei.
Ma che non mi appartiene e che può essere solo sua, continua a dire.
E che ogni cosa io possa aver provato, lei lo ha provato sulla sua pelle,
tre volte tanto.
Che si era data un tempo per vedermi cambiare, giusto il tempo dell'attesa,
non nove anni.
E che aveva sottovalutato me, le mie parole o forse aveva sopravvalutato noi,
la nostra capacità di reagire assieme e che non mi credeva così fragile.
E' stato questo che ci ha tenuto assieme, forse.
E il fatto che comunque noi eravamo ormai secondari.
Chi importava non eravamo più noi.
Non altro.
Questo ci aveva tenuti assieme, motivi contingenti.
Separarsi è da ricchi.
Assieme si sopravvive, si ha dignità, da soli no.
Lei si è fatta due conti sai?
Starebbe a casa due anni a stipendio pieno, anticiperebbe il periodo di riposo,
il suo medico non avrebbe obiezioni, ci sarebbero gli assegni famigliari.
C'è il nido, i servizi comunali e tutta quella roba lì, insomma non è questione
di come fare le cose, lo fanno in tanti, cambiano la vita, i tempi, la mobilia.
Dove c'è il posto per un letto c'è ne è uno per un letto a castello del resto.
Quale sarebbe il problema?
Io me ne sto zitto e la guardo e vedo la sua faccia di allora, di qualche
giorno prima che la nostra vita cambiasse.
Ricordo come era tornata da quel viaggio in Africa.
Sette giorni lontana in un posto dove non c'era niente.
E quel niente le era rimasto dentro, diceva.
Diceva che non riusciva più a guardare quello che aveva con gli stessi occhi.
Sembrava fosse altrove in quei giorni, e io non ho mai capito se fosse mal
d'Africa o qualcos'altro.
So di aver avuto gli stessi occhi per altri motivi.
E l'Africa o la povertà non c'entrava per niente, non nel mio caso.
E so di averci fatto l'amore come un forsennato a quei tempi, ma di essere
stato da solo in quei momenti, e da allora sempre di più.
E poi.
Poi quello che ho detto all'inizio.
Nel momento meno opportuno.
Con la persona meno opportuna.
Io.
O forse?
No, no.
Io.
Comunque non ho risposto alla tua domanda.
Mi chiedevi come stanno le ragazze?
Come vuoi che ti risponda...
Lontane.
Anna
spense il cellulare subito dopo aver inviato un ultimo messaggio ad Andrea.
Una singola parola : " cercami ".
Aveva già fatto quel gioco molte altre volte aspettando il suo ritorno.
Anna lo accompagnava sempre con le sue parole durante quei viaggi; per poi
sparire pochi istanti prima dell'incontro.
Aggiungendo così tempo al tempo, e prolungando di pochi attimi l'attesa.
Era sempre stato semplice farsi trovare.
Voleva farsi trovare.
Il gioco era solo un pretesto per prolungare il dolore della distanza, e il
piacere di ritrovarsi.
Le bastava muoversi di pochi passi dal binario d'arrivo e magari voltare le
spalle al treno.
Bastava questo.
I suoi capelli rossi o il suo profumo l'avrebbero comunque tradita.
A lui sarebbe bastato seguire a fiuto la strada da lei disegnata nell'aria.
Oppure intravedere un riflesso di rame e oro all'altezza dei suoi occhi, per
ritrovarla.
Allora la stanchezza si sarebbe sciolta in un abbraccio, e le parole avrebbero
preso vita sulle sue labbra.
- Accidenti… mi hai trovato.
Il tempo si sarebbe fermato per un attimo e avrebbe poi ripreso a correre
veloce, veloce…
Fino al momento di un nuovo interminabile viaggio.
Diventava sempre più difficile per lei restare e aspettare, e sempre più semplice
per lui partire e venir aspettato.
Nulla di concreto e certo, se non i suoi viaggi e lei che aspettava che si
fermasse.
Che non cercasse altro, che potesse bastarle quello che aveva già.
Tutto stava perdendo colore e sapore come il chewing gum che Anna masticava
distrattamente.
Lei si specchiò nel display spento del cellulare.
Faticò a rimanere seria vedendosi riflessa con quel cappellaccio nero schiacciato
in testa.
Nessun lampo rosso dai suoi capelli, e nessuna scia da seguire, non questa
volta.
- Mi spiace…
Pensò, mentre l'immagine ruotava nella sua mano fino a scomparire.
Con pochi gesti precisi estrasse la batteria e liberò la scheda, riassemblò
il telefonino e lo fece scivolare nella borsa.
Portò le dita alla bocca, estrasse la gomma e attaccò la sim con i contatti
bene in vista al cartello delle partenze.
Si allontanò di pochi passi e sì, qualche riflesso c'era…
Andrea l'avrebbe notato.
Si guardò attorno e respirò l'odore freddo di ferro e carta straccia della
stazione.
Poi scelse a caso un punto qualunque di quella cattedrale di incontri, e al
frastuono della frenata del treno si incamminò.
Decisa a perdersi.
Come un rumore nel rumore.
Troppe
volte
Giochi di bignè su bocche voluttuose
Massaggi di carezze accennati in discesa
Sale la febbre di giocolieri impazienti
Scacco di un re ad una regina che aspetta
Troppe volte
Viso d'angelo sonnecchi, ridono gli occhi semichiusi
Labbra appagate soffiano appena
Una chitarra sul letto strimpella nuda
menestrello di corti boccaccesche pizzica altre corde
Troppe volte
Il gioco ricomincia su arpeggi sfiorati
Melodia suadente su una pelle di velluto
Pause di istanti anticipano note d'amore
Libera l'improvvisazione l'ultimo assolo di piacere
Troppe volte
Ricordi di un sapore lontano
Giusto di un sesso che manca
Stanco il menestrello suona su un letto vuoto
Aspetta un vassoio di bignè e nulla più .