E.
Auerbach, L'interpretazione "figurale" della
"Commedia"
L'Auerbach chiarisce anzitutto il concetto di «figura», che lo ha guidato
nella sua interpretazione della poesia dantesca e che egli sostituisce a quello
più impreciso e generico di «allegoria». Il termine «figura», che è
concetto fondamentale dell'esegesi biblica, indica un avvenimento, un
personaggio storicamente reali, che trovano il loro significato e compimento in
quel mondo più vero e definitivo che è per il cristiano il mondo
ultraterreno: infatti, ogni atto ed evento ha un senso in quanto in esso l'uomo
gioca il suo destino eterno. Così il critico, vedendo la Commedia come il
supremo esempio di poesia «figurale» cristiana, mostra in questa luce quanto
sia alta e complessa la costruzione del poema dantesco.
L'interpretazione figurale stabilisce fra due fatti o persone un nesso
in cui uno di essi non significa soltanto se stesso, ma significa anche
l'altro, mentre l'altro comprende o adempie il primo. I due poli della figura
sono separati nel tempo, ma si trovano entrambi nel tempo, come fatti o figure
reali; essi sono contenuti entrambi [ ... ] nella corrente che è la vita
storica, mentre solo l'intelligenza, l'«intellectus spiritualis», è un atto
spirituale; un atto spirituale che considerando ciascuno dei due poli ha per
oggetto il materiale dato o sperato dell'accadere passato, presente o futuro,
non concetti o astrazioni; questi sono affatto secondari perché anche la
promessa e l'adempimento sono fatti reali e storici che in parte sono accaduti
nell'incarnazione del Verbo, in parte accadranno nel suo ritorno. È vero che
nelle concezioni dell'adempimento finale intervengono anche elementi puramente
spirituali, perché «il mio regno non è di questo mondo»; ma sarà pur
sempre un regno reale, non una costruzione astratta e sovrasensibile; questo
mondo perirà soltanto come «figura», non perirà la sua «natura», e la
carne risorgerà. L'interpretazione figurale pone dunque una cosa per l'altra
in quanto l'una rappresenta e significa l'altra, e in questo senso essa fa
parte delle forme allegoriche nell'accezione più larga. Ma essa è nettamente
distinta dalla maggior parte delle altre forme allegoriche a noi note in virtù
della pari storicità tanto della cosa significante quanto di quella
significata. Nella loro grande maggioranza le allegorie che si trovano nella
letteratura o nelle arti plastiche rappresentano per esempio una virtù (come
la sapienza) o una passione (invidia) o un'istituzione (diritto), o in ogni
caso la sintesi più generale di un fenomeno storico (la pace, la patria): mai
la piena storicità di un fatto determinato. Allo stesso modo, o se si vuole
all'inverso, si svolgono le interpretazioni allegoriche di fatti storici, che
di solito vengono spiegati come occulte rappresentazioni di dottrine
filosofiche. Così, come nella sua persona e nella sua influenza terrena
Virgilio aveva guidato alla salvezza Stazio, così ora, figura adempiuta, egli
guida Dante: anche Dante ha ricevuto da lui il bello stile della poesia, da lui
è salvato dalla perdizione eterna e guidato sulla via della salvezza; e come
un tempo aveva illuminato Stazio senza vedere egli stesso la luce che portava e
diffondeva, così ora egli guida Dante fino alla soglia della luce, che conosce
ma che personalmente non può guardare.
Virgilio non è dunque l'allegoria di una qualità, di una virtù, di una
capacità o di una forza, e neppure di un'istituzione storica. Egli non è né
la ragione né la poesia né l'impero. È Virgilio stesso. Ma non al modo in
cui poeti posteriori hanno cercato di rendere una persona umana avviluppata
nella sua situazione storica: per esempio come Shakespeare ha rappresentato
Cesare o Schiller Wallenstein. Questi presentano i loro personaggi storici
nella loro stessa vita terrena, fanno risorgere davanti ai nostri occhi
un'epoca notevole della loro vita e cercano di ritrovare il suo senso
direttamente in essa. Per Dante il senso di ogni vita è interpretato, essa ha
il suo posto nella storia provvidenziale del mondo che per lui è interpretata
nella visione della Commedia, dopo che nei suoi tratti generali essa era già
contenuta nella rivelazione comunicata ad ogni cristiano. Così nella Commedia
Virgilio è bensì il Virgilio storico, ma d'altra parte non lo è più, perché
quello storico è soltanto «figura» della verità adempiuta che il poema
rivela, e questo adempimento è qualche cosa di più, è più reale, più
significativo della «figura». All'opposto che nei poeti moderni, in Dante il
personaggio è tanto più reale quanto più è integralmente interpretato,
quanto più esattamente è inserito nel piano della salute eterna. E
all'opposto che negli antichi poeti dell'oltretomba, i quali mostravano come
reale la vita terrena e come umbratile quella sotterranea, in lui l'oltretomba
è la vera realtà, il mondo terreno è soltanto «umbra futurorum», tenendo
conto però che l'«umbra» è la prefigurazione della realtà ultraterrena e
deve ritrovarsi completamente in essa.
In questo modo ogni accadimento terreno non è visto come una realtà
definitiva, autosufficiente, e neppure come anello di una catena evolutiva in
cui da un fatto o dalla concorrenza di più fatti scaturiscano fatti sempre
nuovi, ma viene considerato innanzi tutto nell'immediato nesso verticale con un
ordinamento divino di cui esso fa parte e che in un tempo futuro sarà
anch'esso un accadimento reale; e così il fatto terreno è profezia o «figura»
di una parte della realtà immediatamente e completamente divina che si attuerà
in futuro. Ma questa non è soltanto futura, essa è eternamente presente
nell'occhio di Dio e nell'aldilà, dove dunque esiste in ogni tempo, o anche
fuori del tempo, la realtà vera e svelata. L'opera di Dante è il tentativo di
una sintesi insieme poetica e sistematica, vista a questa luce, di tutta la
realtà universale.