La fine dell' «Inferno»
e il principio del « Purgatorio » , anche come motivo paesistico,
sono una cosa sola. Dal ruscelletto all'agile ascesa su per le ultime
viscere della nera terra, a quel pezzo di cielo - « le cose belle »
- che si schiude sul tenebroso foro, alla tranquilla immensità della
volta stellata e del mare, il tema è uno, solenne come un sorger di
sole. La serenità si allarga via via, nella rappresentazione della
notte che tramonta, dell'alba che fa tremolar di lontano la marina,
del sole che saetta oramai da tutte le parti il giorno. Quella
solitudine sconfinata e indisturbata sale come una musica sommessa su
dalle pagine del poema, canta e dipinge la serenità nuova dell'anima,
che move fiduciosa verso una nuova vita.
La maggior intimità del « Purgatorio » in confronto con l'«
Inferno incomincia proprio con questa scena di isola che emerge
silenziosa dal mare e dal cielo, con la pittura appena sfumata di
questa contrada remota, dove l'aspetto del suolo - uniforme, senza
lussuria di vegetazione e senza accidenti che distraggano e allettino
- e i confini sterminati ed uguali dell'acqua e del cielo invitano al
raccoglimento e sembrano già la prefigurazione d'un mondo
immateriale. Sempre possiamo dire che il paesaggio dei tre regni è il
paesaggio stesso dell'anima di Dante: ma nelle tenebre dell'inferno c'è,
sostanzialmente, meno novità e meno intimità; e la luce del paradiso
è, sì, uno spettacolo d'infinita letizia, ma è anch'essa meno
intima del monte del purgatorio, dove tutto ci richiama senza posa
all'anima che si scruta e si riconosce. Il viaggio su per il
purgatorio è continuamente infuso di una malinconia fiduciosa che
nasce dal tema stesso di questa cantica: e i particolari di quel
cammino lungo strade deserte e su per le salite faticose, in cospetto
sempre del cielo, hanno una poesia spirituale superiore ai paesaggi,
più pittoreschi e meno intimi, dell'inferno e del paradiso.
Conseguenza anche questa della materia stessa. Gli spettacoli
tenebrosi dell'inferno sono la naturale continuazione della selva
scura in cui Dante s'accorge di essersi smarrito; ma quello che di
intimo e di personale c'era nella selva, non poteva più esserci nella
stessa misura dentro l'inferno. Nello stesso modo, il paradiso assume
in confronto con il purgatorio un aspetto più pittoresco, più
esteriore: come se la graduazione del paradiso fosse più di luce che
di beatitudine.
L'orizzonte del primo canto del « Purgatorio » ha una vastità nuova
in confronto con l'angustia dell'inferno: e anche questa vastità,
come il riposo che spira dal mare e dal cielo, induce il lettore in
uno stato d'animo insolito. E come se si allargasse insieme
l'orizzonte dello spirito, e il pensiero vi spaziasse più
liberamente. Sotto questo cielo, Virgilio può dire di Dante: «
Libertà va cercando »; e designare Dante vivo con il verso « Questi
non vide mai l'ultima sera », che nella selva selvaggia sarebbe
troppo pieno di luce e di speranza. In questo regno che sorge in mezzo
ad un indisturbato silenzio, anche le incertezze e gli smarrimenti
hanno un significato diverso. La strada si cerca senza ansie e senza
spaventi:
Noi
andavam per lo solingo piano
com'om che torna a la perduta strada,
che 'nfino ad essa li pare ire invano.
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Un sospiro muto, un'aspirazione accompagna quest'attesa lungo la
spiaggia deserta; e chi cerca la strada non è più il corpo
minacciato dagli uncini dei diavoli o dai precipizi, ma l'anima.
Atmosfera e sentimenti mutano insieme: un senso d'aria libera e
d'orizzonte sgombro allarga il respiro dei primi due canti, calma
improvvisamente il ritmo spirituale del viaggio di Dante, dà alle
prime schiere di purganti una fisionomia riposata:
La
turba che rimase li, selvaggia
parea del loco, rimirando intorno
come colui che nove cose assaggia:
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sentite un osservare tranquillo, che non sarebbe possibile
nell'Inferno dove le linee del paesaggio sono nascoste e come
soffocate nelle tenebre.
E tutto - scene, personaggi, affetti - sembra nascere oramai da quel
luogo uniforme e solitario in mezzo al mare e al cielo immenso.
L'atmosfera che circonda i pellegrini e le anime è diversa, e questa
diversità è un elemento costante di questa nuova poesia. L'Inferno
pare senza spazio; il « Purgatorio » pare tutto spazio. 1 personaggi
del primo risultano sullo sfondo e vi spadroneggiano, come gruppi di
figure tumultuanti in un sotterraneo angusto; quelli del secondo
sfumano nello sfondo, come isole lontane nel mare tranquillo.
Comincia l'ascesa del monte:
Tra
Lerici e Turbìa, la più diserta,
la più rotta ruina è una scala,
verso di quella, agevole e aperta.
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La fatica è molta; ma su quest'impressione un'altra domina sovrana:
la solitudine, un improvviso silenzio. Poco dopo:
Vassi
in Sanleo e discendesi in Noli,
montasi su Bismantova in cacume... ;
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e poi:
restammo
in su un piano
solingo più che strade per diserti
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In questi altri canti al deserto della spiaggia succede il deserto
della montagna; il mare non è ancora dimenticato: dall'alto lo
sguardo vi corre àncora, e il ricordo del silenzio marino accresce il
silenzio del monte « Li occhi prima drizzai a' bassi liti... ». La
poesia, di apparenze descrittive, si mantiene fortemente spirituale.
Potete pensare a due pellegrini che salgono per un'erta rupestre,
avendo davanti a sé il mare, sempre più basso e lontano: ma quel
silenzio che vi accompagna, vi mantiene in uno stato meditativo; e la
fatica ha una meta che, in tanto raccoglimento, sembra più ideale che
materiale: « Lo sommo er'alto che vincea la vista ». Ogni ora che
passa nel purgatorio, ha il suo significato, contribuisce a
rasserenare e ad elevare il protagonista: ogni ora, cioè non solo gli
avvenimenti che la misurano, ma anche essa stessa, con la luce che
aumenta e scema, con l'ombra dei luoghi che s'accorcia o s'allunga. La
maestà della terra, a cui è legata ogni ora della nostra vita, da
cui si colora ogni pensiero ogni sentimento della nostra esistenza,
ritorna, dopo l'atroce assenza dell'inferno: e si direbbe che Dante se
ne ricordi con un senso tanto più presente e più sacro, quanto più
quel non poter misurare il tempo sugli aspetti dell'universo lo aveva
soffocato e disumanato. Ma c'è di più: nel purgatorio albe, meriggi,
e tramonti, notti sono già più belli e più solenni che nella terra;
le ore che trapassano sul purgatorio, sono più sante.
E
già 'l poeta innanzi mi saliva, e dicea:
« Vienne omai: vedi ch'è tòcco meridian dal sole ed a la
riva
cuopre la Notte già col piè Morrocco ».
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Chi ha a mente il contesto deve pensare che Dante non descriverebbe
con un tono così alto un mezzogiorno, un tramonto, un'aurora della
terra. Le ore del purgatorio hanno un valore diverso: si sente che
ognuna conta, ognuna pesa nella storia eterna dell'anima.
Siamo lontani dalla terra; e questo non si avverte solo per qualche
verso isolato, in cui Dante sembra avere più immediato il senso della
prodigiosa distanza che lo separa dalla scena della vita - «Deh,
quando tu sarai tornato al mondo, E riposato de la lunga via »; «
Quando sarai di là da le larghe onde »; « Vespero è già colà
dov'è sepolto Lo corpo dentro al quale io facea ombra »: com'è
remoto 11 sepolcro di Virgilio! - Si avverte per una ragione più
forte : tutte le ore del purgatorio sembrano segnate sopra una
meridiana che porti scritto in fronte un austero insegnamento. La luce
che s'alza, l'ombra che sopraggiunge, non mutano soltanto l'aspetto
del monte e del cielo: la bellezza dell'ora che passa è più morale
che materiale: « Fugit irrevocabile tempus ». Mentre Dante guarda la
curva del sole, la sua parola solenne tradisce il senso dell'eterno
verso cui confluisce ogni ora.
Il tramonto del purgatorio è una cosa diversa da quello della terra.
Dante ne ha fatto, senz'ombra di riflessioni, una melodia di
raccoglimento e di fiducioso abbandono. Dentro il silenzio e le ombre
che scendono, l'anima si ripiega su se stessa: e Dante non ha bisogno
di dire cosa essa pensi e senta. Già nel canto settimo si alza questa
nota grave e solitaria, che diventerà sinfonia nel principio del
canto ottavo e nella scena della preghiera:
Ma
vedi già come dichina 'l giorno...
Anime sono a destra qua remote...
Sola questa riga
non varcheresti dopo 'l sol partito ...
...Mentre che l'orizzonte il dì tien chiuso.
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La legge, spiegata da Sordello, che di notte non si può salire nel
purgatorio, non fa impressione per sé, ma per quest'ombra che le
parole di Sordello diffondono, perché sembra che il passo del
pellegrino s'arresti, avviluppato nel misterioso impedimento delle
tenebre che già sommergono il monte.
Il canto settimo e l'ottavo segnano un momento d'arresto nel R
Purgatorio ». La fatica del salire è sospesa: e, apparentemente,
nulla la sostituisce; si pensa che il motivo della cantica sia
interrotto. Invece quei due canti sono una lunga sosta contemplativa.
Alla loro fisionomia non importano, o importano poco, la descrizione
dei principi e l'incontro con Nino e Corrado: importano invece molto
quello sfondo di sera che cade e di stelle che spuntano, e
quell'oscura ma affascinante scena degli angeli che fugano il
serpente. Quella sera è piena di abbandono e di fede e per
un'irresistibile illusione l'anima che leva le palme ed alza la
preghiera fissando gli occhi verso l'oriente ci pare già un angelo, e
le anime che le si uniscono in coro tenendo sempre gli occhi « a le
superne rote » ci paiono già un coro del paradiso. Calano due veri
angeli in attesa del serpente; Sordello, Virgilio e Dante scendono
nella valletta, e al poeta si fa incontro Nino, l'amico amatissimo;
Nino gli si raccomanda: Dante ascolta affettuosamente; ma i suoi occhi
stan sempre fissi al cielo: le quattro stelle del mattino sono
tramontate, tre altre al loro posto splendono. I commentatori dicono:
- Le stelle che rappresentano le virtù cardinali, le virtù della
vita attiva, sono apparse allo spuntar del giorno, che è il tempo di
operare; quelle che rappresentano le virtù teologali, spuntano quando
viene la notte, quando è tempo di meditare. - È vero ma noi non
abbiamo bisogno di saperlo per sentire la solennità di quella notte,
l'attrazione del cielo stellato sul pellegrino sacro. Dante, se anche
non parla di sé, è in tutto questo canto in un atteggiamento
contemplativo a cui lo inducono naturalmente la luce che scema nel
silenzio e le stelle che si accendono in alto. In questo canto, più
che in altri del « Purgatorio », la poesia viene dal cielo, da un
cielo che infonde in chi lo guarda una religiosità più grave che
quella della terra: non ci meraviglia che da esso scendano gli angeli
che difendono la valle dalla mala striscia...
Quello che avviene nel primo giorno, si ripete nel secondo. Sempre
quella contemplativa attenzione alle vicende del cielo e agli astri
che accompagnano il viaggio e ne accrescono la grandiosità solitaria
- il sole è alto (IX, 43-45), il corno pallido, della luna si
nasconde di là dell'orizzonte (X, z3-z5), rispuntano le prime stelle
e di nuovo la capacità di salire si arresta misteriosamente e
solennemente (XVII, 73-78) e ritornano il magico sonno e il magico
sogno (XVIII, 76-77, 139-i45; XIX, -33) -. Ma questa volta il sonno
spunta in un'atmosfera dove l'in canto è più forte. È notte alta:
Dante e Virgilio, sulla soglia del quarto girone, hanno passato alcune
ore discutendo intorno alla natura dell'amore che è il principio di
ogni virtù e di ogni vizio; Virgilio ha finito di chiarire i dubbi di
Dante; la luna, salendo all'orizzonte, fa impallidire le stelle: Dante
è preso dal sonno. Mentre sta per addormentarsi, sopraggiunge una
schiera di accidiosi, e Dante riapre gli occhi; ma quando essa è
scomparsa, il sonno lo riprende:
Poi
quando fuor da noi tanto divise
quell'ombre, che veder più non potersi,
novo pensiero dentro a me si mise;
del qual più altri nacquero e diversi;
e tanto d'uno in altro. vaneggiai,
che li occhi per vaghezza ricopersi,
e 'l pensamento in sogno trasmutai.
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Il canto seguente, il XIX, s'inizia con una descrizione astronomica e
geomantica dell'alba. Su questo sfondo è naturale che si apra un
altro sogno miracoloso: quello della femmina balba, guercia e storta.
La preparazione di questo sogno è più lunga del primo; si può dire
che essa comprenda tutto il canto XVII e il XVIII: il passo che
s'arresta con il calar del sole, quei ragionamenti gravi sul monte
deserto e sotto le stelle, quel sorger di luna - così spazieggiato e
sottolineato a mezzo il canto, che dà il senso della notte giunta al
suo colmo, del silenzio dell'universo, del cielo che corre intorno
alla terra trascinando nella sua corsa gli astri:
La
luna, quasi a mezza notte tarda,
facea le stelle a noi parer più rade,
fatta com'un secchion che tutto arda;
e correa contra 'l ciel...
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In questi canti sembra che il sonno discenda dal cielo. Nel purgatorio
il sole diviene veramente, come Dante aveva invano sperato nella selva
selvaggia, « il pianeta Che mena dritto altrui per ogni calle »la
norma del suo viaggio; e gli astri della notte sono le scolte che
vigilano il suo sonno e gli piovono nella mente assopita le immagini
del cani, mino che ancora lo attende.
Quello che avviene il secondo giorno, si ripete ancora nel terzo. Ma
la notte del terzo giorno è l'ultima di quelle che Dante passa nel
purgatorio: e il lettore già prima di saperlo avverte nella
descrizione delle tenebre che avvolgono l'orizzonte, nell'assopimento
profondo, nella veglia di Virgilio e di Stazio accanto al pellegrino
sacro che dorme, nello splendore più ampio delle stelle, nel sogno
sereno, nell'alba sterminata e trionfante come oricalchi di vittoria:
-
E già per li splendori antelucani,
che tanto a' peregrin surgon più grati,
quando, tornando, albergan men lontani,
le tenebre fuggian da tutt'i lati... -
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un respiro più largo, un'anima nuova, il senso della meta vicina.
Dopo questa notte di vigilia, dominata da tanto silenzio
contemplativo, viene il giorno che Dante mette piede nel paradiso
terrestre e su quel giorno non cala più la sera. Giorno e notte si
sono alternati nell'inferno e nel purgatorio: ma dal paradiso
terrestre all'empireo non c'è più che un varco infinito di luce.
Immaginare che anche sul regno dove Dio domina solo, discendano le
tenebre della notte, non si potrebbe. Dante domanda alla sua
esperienza terrestre di contemplatore di notti stellate e di stelle
che impallidiscono sotto la luna d'argento un raggio per illuminare
agli occhi dei lettori inesperti la visione che ha goduto ascendendo
via via in cieli sempre più vasti: ma toglie - senz'avvedersene -
alle nostre notti terrene l'ombra che ne avvolge le luci lontane, e fa
risplendere gli astri in un cielo incandescente ignoto ai nostri occhi
mortali.
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