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La data di composizione
Nonostante le lunghe discussioni, il tempo in cui Dante scrisse la Vita Nova, o, meglio, in cui diede ordine organico alla mescolanza di prose e rime scritte molto probabilmente in tempi diversi, collegandole in un unico racconto, non è ben accertato.
Già il Boccaccio nel suo Trattatello in laude di Dante scrisse che Dante
primieramente, duranti ancora le lagrime della morte della sua Beatrice, quasi nel suo ventesimosesto anno compose in un volumetto, il quale egli intitolò Vita nova, certe operette, sì come sonetti e canzoni, in diversi tempi davanti in rima fatte da lui, maravigliosamente belle; di sopra da ciascuna partitamente e ordinatamente scrivendo le cagioni che a quelle fare l'avea[n] mosso, e di dietro ponendo le divisioni delle precedenti opere. E come che egli d'avere questo libretto fatto, negli anni più maturi si vergognasse molto, nondimeno, considerata la sua età, è egli assai bello e piacevole, e massimamente a’ volgari
Così che la composizione cadrebbe all'incirca nell'anno 1292, opinione seguita, pur con qualche lieve scostamento da parte di alcuni, dai maggiori critici fino ai giorni nostri.
Un'altra opinione colloca la composizione dell'opera alla primavera del 1300 (come il D'Ancona), pur ammettendo che alcune parti erano indubbiamente anteriori alla morte di Beatrice. Il Rajna e il Casini stesso fanno risalire la composizione della Vita Nova agli anni tra il 1292 e il 1294. Riassumendo possiamo dire che la composizione dell'opera è situabile fra il 1292 e il 1295, anche se il più antico componimento risale al 1283, mentre il più tardo è quello composto nel primo anniversario della morte di Beatrice, quindi è del giugno 1291.
La struttura
La Vita Nova consta di tre elementi:
le rime, scritte per Beatrice e per alcune altre donne (31 testi poetici, di cui 25 sonetti, 3 canzoni e 1 ballata),
le narrazioni dei fatti che furono l'occasione esistenziale delle poesie,
le divisioni o partizioni colle quali Dante spiega il contenuto delle rime.
Questi tre elementi l'autore collegò così strettamente, tanto da non poter essere separati, in quanto si completano a vicenda, sebbene le narrazioni non siano in molti casi altro che l'esplicazione delle rime e non aggiungano alcun nuovo particolare di fatto e le partizioni siano formulate in maniera che la continuità del racconto non cesserebbe ove esse mancassero. Non è creazione originale dantesca, poiché il modello è il prosimetro di tradizione classica (ad esempio il De consolatione di Boezio).
Come struttura esteriore occorre notare che sia nei codici del Quattro-Cinquecento che nelle prime edizioni a stampa non comparte la divisione in capitoli. Il primo a introdurla fu Alessandro Torri nel 1843, distinguendo 43 paragrafi; in epoca recente i paragrafi sono stati ridotti a 42, intendendo il primo come un proemio all'operetta, quasi una spiegazione del titolo. Più importante della struttura esteriore per paragrafi (o capitoli), è importante la struttura del contenuto e dello svolgimento naturale dei fatti e dei sentimenti.
1a parte |
capitoli |
Amori giovanili e prime rime sulla bellezza fisica di Beatrice |
1274-1287 |
2a parte |
capitoli |
Lodi della bellezza spirituale di Beatrice |
1287-1290 |
3a parte |
capitoli |
La morte di Beatrice e le rime dolorose |
1290-1291 |
4a parte |
capitoli |
L'amore e le rime per la donna gentile |
1291-1293 |
5a parte |
capitoli |
Ritorno all'amore e al culto di Beatrice estinta |
1294 |
Il contenuto
Si tratta di un «romanzo accompagnato da un commento» (Contini), ma è stato anche considerato un saggio di «teoria della lirica» (Sanguineti).
Dopo
un preambolo che introduce l’opera come trascrizione di un metaforico
"libro de la sua memoria" [I], Dante comincia il racconto del
suo amore per Beatrice dal giorno in cui gli apparve per la prima volta
all’età di nove anni [II]. In un incontro successivo, nove anni più tardi,
Beatrice rivolge a Dante il suo primo saluto nell’"ora nona di quel
giorno". Sopraffatto dalla dolcezza, il poeta si ritira in una sua camera
per meditare sulla cortesissima. Caduto addormentato, "ne la prima ora
delle nove ultime ore de la notte" gli appare in sogno Amore, il quale,
dopo aver fatto mangiare a Beatrice il cuore del poeta, piangendo si allontana
verso il cielo insieme alla donna. Per avere una spiegazione della visione
Dante indirizza ad alcuni "famosi trovatori" del suo tempo il sonetto
A ciascun’alma presa e gentil core. Tra le numerose risposte che
riceve ce n’è una di Guido Cavalcanti (Vedeste al mio parere omne valore),
che segna l’inizio di un’affettuosa amicizia tra i due poeti [III].
Per un certo tempo Dante nasconde il suo amore per Beatrice, fingendo che
oggetto del suo interesse sia un’altra donna, per la quale scrive pure alcune
rime. Nello stesso periodo compone una "pìstola sotto forma di
serventese" dove si celebrano le sessanta donne fiorentine più belle, tra
le quali, al nono posto, Beatrice [IV-VI]. Dopo la partenza da Firenze della
donna che funge da schermo del suo amore (partenza di cui si lamenta in O
voi che per la via d’amor passate), Dante assiste al funerale di una
giovane amica di Beatrice, per la quale compone i sonetti Piangete, amanti
poi che piange Amore e Morte villana, di pietà nemica [VII-VIII].
Alcuni giorni dopo, durante un viaggio, Amore appare al poeta sotto le spoglie
di un pellegrino e gli indica il nome di un’altra donna da usare come schermo
del suo amore per la gentilissima (Cavalcando l’altrier per un cammino)
[IX].
La finzione messa in scena con la seconda donna dello schermo finisce per
esporre Dante alla maldicenza della gente, tanto che Beatrice arriva a
togliergli il saluto (i cui effetti virtuosi sul poeta sono descritti in una
breve digressione) [X-XI]. Afflitto per esser stato privato della "sua
beatitudine" Dante si ritira in una sua camera, dove "ne la nona ora
del die" è visitato in sogno da Amore, il quale lo invita a comporre un
testo (Ballata, i’ voi che tu ritrovi Amore) per confermare a Beatrice
la sua fedeltà [XII]. Successivamente, dopo esser stato combattuto da vari
pensieri, che gli ispirano il sonetto Tutti li miei penser parlan d’Amore,
Dante incontra Beatrice a un convito di gentildonne. Queste, accortesi dello
smarrimento che coglie il poeta alla vista dell’amata, cominciano a prendersi
gioco di lui con la gentilissima. Crucciato e vergognoso, Dante si ritira nella
"camera de le lacrime" dove compone il sonetto Con l’altre donne
mia vista gabbate, cui seguono altri due testi che descrivono il suo stato
psicologico, Ciò che m’incontra, ne la mente more e Spesse fiate
vegnommi a la mente [XIII-XVI]. Qualche tempo dopo, interrogato da alcune
donne del corteggio di Beatrice su quale sia il fine del suo amore, Dante
risponde che dopo aver perso il saluto della gentilissima la sua beatitudine è
riposta "in quelle parole che lodano la donna sua" [XVII-XVIII].
Al primo testo delle rime della lode, la canzone Donne che avete intelletto
d’amore, seguono allora il sonetto Amore e ’l cor gentil sono una
cosa, responsivo a un testo d’ignoto che aveva interpellato Dante sulla
natura di Amore, e un altro testo in onore della gentilissima, Ne li occhi
porta la mia donna Amore [XIX-XXI]. Nel frattempo muore il padre di
Beatrice e il poeta, dopo aver interrogato alcune donne che hanno reso visita
all’amata in quella circostanza, compone i sonetti Voi che portate la
sembianza umile e Se’ tu colui c’hai trattato sovente [XXII].
Poco tempo dopo lo stesso Dante cade gravemente ammalato per nove giorni. Nel
delirio della malattia, durante la quale è assistito da alcune donne, Dante ha
una visione che gli preannuncia la morte di Beatrice e che egli descrive, una
volta guarito, nella canzone Donna pietosa e di novella etate [XXIII].
Istruito da Amore, apparsogli per l’ennesima volta in visione, Dante descrive
in un sonetto a Guido (Io mi senti’ svegliar dentro a lo core),
un’apparizione di Beatrice-Amore preceduta da Giovanna-Primavera, la donna
amata dal suo primo amico [XXIV].
Dopo un’ampia digressione [XXV] che serve a spiegare perché Amore è
rappresentato nel prosimetro come "sustanzia corporale" anziché
"accidente in sustanzia" (digressione nella quale, fra le altre cose,
si dichiara la legittimità dell’uso del volgare soltanto per la "matera
... amorosa"), Dante descrive i benefici effetti prodotti
dall’apparizione e dal saluto di Beatrice sugli uomini in generale e su di
lui in particolare, rispettivamente nei sonetti Tanto gentile e tanto onesta
pare e Vede perfettamente onne salute e nella canzone Si
lungiamente m’ha tenuto Amore [XXVI-XXVII]. La morte improvvisa di
madonna interrompe dopo la prima stanza la composizione di quest’ultimo testo
[XXVIII]. Dopo aver illustrato i vari tipi di relazione che legano Beatrice al
numero nove [XXIX], e aver ricordato la lettera sulla condizione di Firenze da
lui scritta a "li principi de la terra" [XXX], Dante riprende il filo
del racconto dalla canzone-planctus per la morte della gentilissima, Li
occhi dolenti per pietà del core [XXXI]. Successivamente, su invito di un
amico, parente di Beatrice, compone il sonetto Venite a intender li sospiri
miei, a cui unisce subito dopo anche due stanze di canzone (Quantunque
volte, lasso! mi rimembra). Più tardi, nel primo anniversario della morte
di madonna, compone il sonetto , provvisto di due "cominciamenti", Era
venuta ne la mente mia [XXXII-XXXIV]. Confortato nel suo dolore dalla
compassione di una "gentile donna", alla quale dedica i sonetti Videro
gli occhi miei quanta pietate e Color d’amore e di pietà sembianti,
Dante si accorge con sgomento che ha cominciato a dimenticare Beatrice (L’amaro
lagrimar che voi faceste, Gentili pensero che parla di vui). Un
giorno, però, una "forte immaginazione", sopraggiunta
all’improvviso "quasi ne l’ora de la nona", riportando alla
memoria del poeta la "gloriosa" donna com’era quando la incontrò
per la prima volta, riconduce Dante, pentito e vergognoso, al culto unico per
Beatrice (Lasso! per forza di molti sospiri) [XXXV-XXXIX]. In occasione
di un passaggio da Firenze di alcuni pellegrini diretti a Roma, Dante compone Deh
peregrini che pensosi andate [XL]. Infine, dopo aver scritto il sonetto Oltre
la spera che più larga gira [XLI], il poeta ha "una mirabile
visione", in seguito alla quale si ripropone di non parlare più di
Beatrice fino a quando non potrà "dicer di lei quello che mai non fue
detto d’alcuna" [XLII].
Le tematiche nascoste dietro ai simboli
Dietro la vicenda amorosa si cela lo svolgimento della ricerca dantesca, che passa dalla iniziale vicinanza al modello sia dei siculo-toscani, sia degli stilnovisti ad una posizione del tutto nuova sull'amore e sul far poesia. Infatti nella vicenda d'amore si individuano tre tematiche, che sono anche momenti successivi di una ricerca letteraria ed esistenziale:
1) gli effetti dell'amore sull'amante: in questa prima fase Dante recupera tutto il repertorio cortese, secondo il quale l'amante doveva sperare una ricompensa, spesso esemplificata nel saluto. Ci sono influssi cortesi, ma anche la centrale tematica del Guinizzelli (vedi, ad esempio Lo vostro bel saluto e 'l gentil sguardo).
2) la lode della donna che diventa il fine ultimo dell'esistenza e della poesia dell'amante. Anche in questo, Dante recupera la centralità della tematica da tutta la poesia d'amore a lui precedente, ma la investe di una connotazione nuova. L'amore non è più solo una passione terrena, sia pur sublimata e raffinata, non si limita ad ingentilire l'animo: è un aspetto di quell'amore di cui parlano mistici e teologi, la forza che muove tutto l'universo, che innalza le creature sino a ricongiungersi con Dio (è l'itinerarium mentis ad Deum della tradizione mistica). Le ragioni per lodare la donna sono, pertanto, le qualità intrinseche (bellezza e perfezione morale), ma anche gli affetti da lei provocati sugli altri: i cuori ignobili vengono mortificati, i degni nobilitati. I riferimenti alla trascendenza, come la natura angelicata, perdono ogni residuo di metaforicità e si qualificano come fondamenti filosofici.
3) la morte dell'amata è - per così dire - la dimensione naturale per una creatura che ormai di umano e terreno ha pochissimo. L'ultimo sonetto Oltre la spera che più larga gira è un'unica contemplazione di Beatrice nell'Empireo, cioè già beata in Paradiso.
Le visioni
Perché Dante usa spesso la forma della visione e che cosa sono? A quale stato d'animo reale corrispondono e quale funzione hanno nell'economia dell'opera?
Dice il Bartoli nella sua Storia della Letteratura italiana (vol. IV, p. 173) che le visioni «non possono essere che un mezzo poetico adoperato per certi suoi fini dallo scrittore; un mezzo che senza dubbio nacque spontaneo nell'Alighieri per influenza dei tempi e dell'ingegno suo individuale, un mezzo ch'egli trovava nella tradizione letteraria della sua età, e che quindi s'imponeva a lui, senza che egli se ne rendesse conto, senza che potesse neppur riflettere sulla sua maggiore o minore convenienza artistica.»
Le visioni sono dunque una finzione poetica formale; e pur non essendo reali, rispondono ad uno stato d'animo o a un sentimento o a un fatto reale: hanno dunque un fondamento nella realtà esistenziale del poeta.
Questo lo schema ricavato dal Casini:
capitolo |
visione |
contenuto |
interpretazione |
cap. III |
visione 1 |
visione d'Amore che pasce Beatrice del cuore di Dante |
interpretata già correttamente da Cino da Pistoia come significatrice dell'innamoramento |
cap IX |
visione 2 |
apparizione d'Amore che trae l'animo di Dante verso un novo piacere |
innamorarsi di quella donna, ch'ei volle poi rappresentare come seconda difesa per nascondere il vero affetto |
cap XII |
visione 3 |
Amore consiglia Dante a scrivere una poesia per giustificarsi innanzi a Beatrice, ricordandole che l'affetto per la donna della difesa è una finzione |
pensiero d'abbandonare questi vani amori per darsi tutto a quello più nobile e puro per Beatrice. |
cap. XXIII |
visione 4 |
spaventosa visione della morte della sua donna |
presentimento che Dante ebbe dell'avvicinarsi di questo doloroso avvenimento |
cap. XXXVI |
visione 5 |
più che una vera visione è l'espressione di quel che Dante pensò quando vide Beatrice insieme alla donna del suo amico Guido Cavalcanti |
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cap. XXXIX |
visione 6 |
apparizione di Beatrice come l'aveva vista la prima volta nella fanciullezza |
l'animo esce vittorioso dalla lotta tra i due affetti, si rivolge all'amore purissimo che l'aveva occupato sin dai primi anni |
cap. XLII |
visione 7 |
mirabile visione della quale nulla ci dice in modo determinato |
concepimento ancora vago e indeterminato di un poema che dicesse di Beatrice quello che non fue detto d'alcuna |
Dopo il capitolo XXVI le visioni non hanno più luogo, nell'oppressione dolorosa per la morte di Beatrice e durante l'episodio dell'amore per la donna gentile (XXXV-XXXVIII). Le vediamo ricomparire nell'esaltazione della lotta tra il novello amore e la memoria dell'antico.
Le visioni i punti più importanti del racconto della Vita Nuova:
1)
l'innamoramento di Dante,
2) la perdita del saluto di Beatrice,
3) il desiderio di riacquistarlo,
4) la gioia di averlo nuovamente
ottenuto,
5) il doloroso presentimento della
morte di Beatrice,
6) il ritorno al culto di Beatrice
dopo i traviamenti amorosi per altre donne,
7) il proposito di celebrare
degnamente Beatrice.
Per rappresentare questi momenti doveva presentarsi spontanea ad un uomo del medioevo l'uso della visione.
Il numero nove
Il frequente ricorrere del numero nove in tutte le particolarità di tempo che si riferiscono a Beatrice, ha attirato sempre l'attenzione degli studiosi. Il massimo riguarda proprio la determinazione della data della morte di Beatrice (cap. XXIX):
Io dico che, secondo l' usanza d' Arabia, l' anima sua nobilissima si partío ne la prima ora del nono giorno del mese; e secondo l' usanza di Siria, ella si partío nel nono mese de l'anno, però che 'l primo mese è ivi Tisirin primo, lo quale a noi è Ottobre. E secondo l'usanza nostra, ella si partío in quello anno de la nostra indizione, ciò è de li anni Domini, in cui lo perfetto numero era compiuto nove volte in quello centinaio, nel quale in questo mondo ella fue posta: ed ella fue de li cristiani del terzodecimo centinaio.
cap. I |
primo incontro |
Beatrice era quasi dal principio del suo anno nono |
cap. II |
secondo incontro |
la rivide dopo che fuoro passati tanti dì, che appunto eran compiuti li nove anni dopo il primo incontro |
cap. II |
primo saluto |
l'ora era fermamente nona di quel giorno |
cap. III |
visione di Beatrice |
nella prima ora delle nove ultime ore de la notte |
cap. VI |
serventese |
non sofferse lo nome della sua donna stare, se non in sul nove, tra li nomi di queste donne |
cap. XII |
riacquista il saluto di Beatrice |
gli apparve ne la nona ora del dìe |
cap. XXIII |
visione in cui sente vicina la morte di Beatrice |
l'ebbe nel nono giorno della sua malattia |
cap. XXVIII |
nella data della morte di Beatrice |
il numero nove pare ch'avesse molto luogo: |
cap XXIX |
data della morte di Beatrice |
-
secondo la cronologia arabica: prima
ora del nono giorno del mese, |
cap. XXXIX |
visione di Beatrice che appare giovane in simile etade a quella in cui l'aveva vista per la prima volta |
accade quasi ne l'ora nona |
Alcuni hanno affermato che questo ricorrere del numero nove non corrisponde ad una condizione di fatti reali, ma Dante cerca di rendere ragione di tutti questi nove, e la spiegazione che più gli piace è quella che essi significhino che Beatrice è un miracolo, la cui radice è solamente la mirabile Trinitade (cap. XXIX). Dante aveva osservato la presenza del numero nove nell'età propria e in quella di Beatrice al momento del primo incontro; aveva notato la coincidenza dell'essersi incontrato nuovamente con lei dopo altri nove anni e che il nome di Beatrice occupava il nono posto nell'elenco delle donne enumerate nel sirventese in onore delle sessanta donne più belle di Firenze (a noi non pervenuto).
Quando comincia a narrare le vicende del suo amore, si persuade che il ricorrere del numero nove non può essere fortuito, ma dipende dalla natura mirabile della donna. Per questo ne cerca la presenza anche in talune circostanze in cui non c'è, come il nove della prima visione e quelli della data della morte di Beatrice nel cap. XXIX, non proprio corrispondenti alla realtà, anche se ci danno la data precisa della morte della donna, avvenuta il 17 giugno 1290.
In tutto Dante si mostra un uomo del suo tempo, profondamente disposto dalle condizioni generali dello spirito all'idealizzazione delle più concrete e determinate realtà dell'essere.
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