Le fonti del pensiero di Epicuro
La “canonica” epicurea
Con il termine “canoni”, Epicuro intende indicare i criteri necessari e sufficienti per condurre l’uomo verso la verità. Tali criteri sono tre:
le sensazioni - |
colgono sempre l’essere in modo infallibile, quindi sono sempre e tutte vere; |
le prolessi - |
sono le rappresentazioni mentali delle cose, anticipano l’esperienza ma solo nella misura in cui sono prodotte dall’esperienza (ad es.: i “nomi”); |
i sentimenti di piacere e dolore - |
servono per riconoscere i valori dai disvalori (criterio logico-ontologico ed anche assiologico). |
La fisica epicurea
La “fisica” di Epicuro è una ontologia, una visione generale della realtà nella sua totalità e nei suoi principi ultimativi; essa è elaborata per dare fondamento all’etica. In forza del grande principio parmenideo, nulla nasce in assoluto (cioè viene dal non-essere), e nulla muore in assoluto (torna al non-essere), si può parlare unicamente di composizione e scomposizione a partire da elementi originari, che sono gli atomi (Democrito): la totalità del reale è dunque immobile ed infinita .
Esistono perciò solo due tipi di corpi:
La presenza del movimento dimostra inoltre l’esistenza del “vuoto” che consente appunto ai corpi di spostarsi. Le caratteristiche degli atomi sono le seguenti:
Ma la teoria del “clinàmen” è introdotta non solo per ragioni fisiche, ma anche e soprattutto per ragioni etiche. Infatti, nel sistema dell’antico atomismo tutto avviene per necessità: il Fato e il Destino sono sovrani assoluti; ma in un mondo in cui predomini il Destino, non c’è posto per la libertà umana, e, quindi, non c’è posto per una vita morale quale Epicuro la concepisce.
L’etica epicurea
Epicuro reinterpreta le teorie etiche classiche alla luce della sua diversa idea di uomo: se l’essenza dell’uomo è materiale, anche il suo bene sarà materiale; il bene consiste nel cercare il piacere e fuggire il dolore. La dottrina epicurea del piacere può essere espressa in tre convinzioni:
La tavola epicurea dei piaceri
Tipo di piacere |
Caratteristiche |
Comportamento |
Naturali e necessari |
Sono quelli legati alla conservazione della vita dell’individuo |
Devono essere sempre soddisfatti |
Naturali ma non necessari |
Sono le variazioni superflue dei primi |
Devono essere limitati |
Non naturali e non necessari |
Desideri di ricchezza, onore, potenza, ecc. |
Non bisogna mai cedere |
Bisogna, dunque, sfrondare i nostri desideri e ridurli al primo nucleo essenziale; solo così ce ne verrà ricchezza e felicità. Per procurarci quei piaceri noi bastiamo a noi stessi, e in questo bastare-a-noi-stessi (autarchia) stanno la più gran de ricchezza e felicità.
Anche i problemi che sembrano attanagliare da sempre l’esistere dell’uomo non costituiscono per Epicuro un ostacolo insormontabile al suo modello di felicità-piacere.
- il dolore forte, che, in quanto tale, passa presto;
- il dolore fortissimo, che rapidamente conduce alla morte.
Il saggio epicureo non si misura con il dolore: lo rimuove.
Non bisogna inoltre dimenticare come l’individualismo di Epicuro appaia del tutto coerente con il suo edonismo etico, e ciò lo si comprende perfettamente tenendo presente la crisi delle città-stato. La dimensione sociale e politica dell’essere umano appare come qualcosa di innaturale, e un’intensa vita sociale e politica compromette l’aponia ed è fonte di turbamento. Di qui il perentorio invito che Epicuro rivolge a colui che intende divenire saggio: “Vivi nascosto”.
Il «Tetrafarmakon»
Il “verbo” epicureo può essere sintetizzato, come volle lo stesso Epicuro, in quattro brevi proposizioni (le “quattro medicine”):
L’uomo che sappia applicare a sé questo quadruplice rimedio acquista la pace dello spirito e la felicità, che nulla e nessuno possono intaccare. È questo l’ideale del “saggio” che, diventato padrone di sé, nulla può ormai temere, nemmeno i più atroci mali e addirittura nemmeno le torture. Questo è il modo paradossale col quale Epicuro vuole dirci che il vero saggio è “imperturbabile”. Forte della sua “atarassia” , Epicuro ritiene di poter dire che il saggio può contendere in felicità perfino con gli Dei: ove si tolga l’eternità, Zeus non possiede più del saggio.
Questa autentica “ricetta di vita”, certamente discutibile, apparve agli uomini di quel tempo innegabilmente chiara, semplice ed invitante. Questa è senza dubbio una delle ragioni del successo ottenuto assai rapidamente dalla scuola epicurea, indipendentemente dalla sostenibilità logica delle sue teorie.
L’epicureismo latino: Lucrezio
Il movimento filosofico che ha preso spunto da Epicuro non ha prodotto alcuna evoluzione di rilievo all’interno del suo pensiero; più che altro si è trattato di ripetizioni che in alcuni casi hanno esplicitato qualche punto lasciato in ombra dal maestro.
Da questo panorama “uniforme” si stacca però la figura del poeta latino Lucrezio che costituisce un “unicum” nella storia della filosofia di tutti i tempi. Nell’opera “De rerum natura” egli cantò in mirabili versi il verbo di Epicuro sottolineandone la valenza esistenziale, ma conferendoli un tono drammaticamente pessimista.
Grazie all’opera del poeta latino, la dottrina epicurea non parla più solamente al lògos, ma a tutta l’emotività dell’uomo. La “malinconia” di Epicuro trova in Lucrezio un’espansione lirica, e viene ad emergere anche un senso di pietà nei confronti degli uomini non saggi, per i quali la vita appare senza luce. Il pessimismo sembra talora assumere forme radicali spingendo il poeta a chiedersi che male sarebbe stato non nascere.
Lucrezio, del resto, non fa che confermare un aspetto: l’epicureismo, al di sotto di una superficie apparentemente ottimista e fiduciosa nelle possibilità di autosalvezza del saggio, sembra percepire la drammaticità di un orizzonte esistenziale privo di senso.
Concludendo, una sola differenza sussiste fra Epicuro e Lucrezio: il primo seppe placare le sue angosce anche esistenzialmente; Lucrezio, invece, ne restò vittima, e morì suicida a 44 anni.
Fonte: http://www.geocities.com/Athens/Olympus/4533/epicuro.htm