Considerazioni sui contentuti del Satyricon
Il senso della vita.
Il "Satyricon", come vedremo, deve molto
alla narrativa per trama e struttura del racconto, e qualcosa alla tradizione
menippea, per la tessitura formale: ma trascende, in complessità e ricchezza di
effetti, entrambe le tradizioni. Il tratto più originale della poetica di P. è
forse la forte carica realistica, evidente soprattutto nel capitolo 15, dove
diventa anche un fenomeno linguistico. Nel vorticoso avvicendarsi di
disavventure luoghi e personaggi, al di là dell’intento di divertire il
lettore e di divertirsi raccontando, sembra emergere – d’altra parte - un
senso di precarietà e d’insicurezza, una visione della vita multiforme e
frantumata, dominata da una fortuna imprevedibile e capricciosa, e oscurata dal
pensiero sempre incombente della morte (si pensi, ad es., alla considerazione di
Trimalchione sulla durata del vino, che vive più a lungo dell’uomo, e al suo
commuoversi al pensiero della propria morte; nonché alla legge della vita, che
prevale sempre sulla dura realtà della morte, nella novella della matrona di
Efeso).
Il realismo e il
distacco. P., dunque, presenta e ritrae un mondo corrotto, popolato
da personaggi squallidi e anonimi, che traggono soddisfazione solo dai piaceri
più essenziali ed immediati. Insomma, egli raffigura una fascia sociale che non
sembra animata da alcuna ispirazione/aspirazione ideale e che nella cultura del
tempo non trovava evidentemente spazio. Eppure, P. fa ciò senza compiacimento,
anzi quasi con distacco, prendendo le dovute distanze, ma non senza ironia e
malizia: egli, cioè, non offre ai suoi lettori nessun strumento di giudizio, e
non potrebbe essere altrimenti, in una narrazione condotta in prima persona da
un personaggio che è dentro fino al collo in quel mondo sregolato.
L’originalità del realismo di P. sta così non tanto nell’offrirci
frammenti di vita quotidiana, ma nell’offrirci una visione del reale che è
critica quanto spregiudicata e disincantata: ma di una critica, come detto,
"estetica", e non di natura sociale e/o politica, senza le
stilizzazioni e le convenzioni tipiche della commedia e senza i filtri
moralistici propri della satira: ciò che egli veramente disapprova è soltanto
il cattivo gusto.
La critica ai
filosofi. Semmai, più evidente è l’attacco nei confronti dei
filosofi contemporanei, primo fra tutti Seneca: essi vengono ridicolizzati nella
loro ansia di rinnovamento, nel loro predicare la virtù e sognare un mondo
migliore; e ad essi, P. contrappone realisticamente quell’umanità bassa e
desolata, ch’è – se vogliamo - la vera protagonista del romanzo.
La discussione
letteraria. Accanto alla rappresentazione di situazioni licenziose,
trova inoltre posto nel romanzo la discussione letteraria: le lettere e le arti
sono decadute per l’eccessivo attaccamento al denaro, per l’amore sfrenato
dei piaceri e del lusso.
Testimonianza di ciò sono:
- per la decadenza
dell’eloquenza, il colloquio tra Encolpio e il retore Agamennone (capp. 1-4);
- per la poesia
epica, la declamazione sulla presa di Troia (cap. 89); l’affermazione
originale del cap. 90, secondo il quale il poeta, nel momento in cui è preso
dall’estro poetico, è un essere fuori del normale (la poesia, sembra
affermare P., non è un artificio, ma spontaneità); infine, la recita dei 295
esametri sull’argomento "De bello civili" e l’affermazione che
soli veri poeti presso i Romani furono Virgilio e Orazio (capp. 118-124).
[Partendo dai brani poetici suddetti, alcuni
hanno voluto vedere nella "Presa di Troia" una parodia di un’opera
omonima di Nerone, e negli esametri del "De bello civili" una parodia
alla "Farsaglia" di Lucano: in realtà, nel primo caso, c’è
semplicemente il desiderio (come detto) di affermare che la poesia è spontaneità,
e ciò forse era contro Nerone, che si atteggiava a poeta; nel secondo caso, vi
è una condanna alla poetica stoica applicata alla poesia epica, e l’impegno
di dimostrare che si poteva fare vera poesia epica anche ispirandosi alla
tradizione di Virgilio.]
La lingua e lo stile.
Anche la lingua di P. è un fatto composito: l’autore sa servirsi, a seconda
delle situazioni e delle sue intenzioni parodiche o ironiche, di tutti i
registri linguistici, sa piegare l’espressione ai modi e alle necessità
dell’epica, è capace di ricreare la prosa ciceroniana o il classicismo di
Virgilio, ma quella che prevale nell’opera è una lingua nuova, moderna, assai
più vicina ad una forma parlata, che egli consapevolmente immette nella lingua
letteraria. Il linguaggio e lo stile sono, insomma, straordinariamente duttili e
"mimetici", e divengono il mezzo principale di caratterizzazione degli
ambienti e, soprattutto, dei personaggi: dallo stile generalmente piano
colloquiale e disinvolto del narratore, si passa al "sermo vulgaris"
di Trimalchione, alla magniloquenza di personaggi come Agamennone ed Eumolpo,
solo per citare alcuni esempi; in certi casi, poi, il linguaggio del narratore e
dei personaggi colti si eleva notevolmente, facendosi eccessivamente elaborato
ed enfatico, con intenti - è evidente - ironici e parodistici.
I lettori.
Infine, è da dire che il livello culturale dei lettori a cui il
"Satyricon" si rivolgeva era sicuramente alto, come notava già
Auerbach quando scriveva: "P. attende lettori di tale levatura sociale e
cultura letteraria da poter subito intendere tutte le sfumature del mal
comportamento sociale e dell’abbassamento della lingua e del gusto ... un’élite
sociale e letteraria che riguarda le cose dall’alto ... anche P. dunque scrive
dall’alto, e per il ceto delle persone dotte". Dunque, il pubblico di P.
doveva essere costituito senz’altro dagli aristocratici di Roma, e, molto
probabilmente, dai cortigiani e dallo stesso Nerone.
I rapporti col romanzo
antico. E’ noto che il "Satyricon" costituisce, insieme
alle "Metamorfosi" di Apuleio, l’unico testo della letteratura
latina appartenente al genere del romanzo. E’ interessante, a tal proposito,
tracciare dei parallelismi con altre opere dell’antichità appartenenti allo
stesso genere.
Riguardo il romanzo antico, è possibile
distinguere tre tipologie differenti:
- il romanzo
"di avventure e di prove", rappresentato eminentemente dal cosiddetto
"romanzo greco" o "sofistico": le "Etiopiche" di
Eliodoro, Leucippe e Clitofonte di Achille Tazio, "Le avventure di Cherea e
Calliroe" di Caritone, "Abrocome e Anzia" o "Racconti
Efesii" di Senofonte Efesio, e "Le avventure pastorali di Dafni e
Cloe" di Longo Sofista.
- il romanzo
"biografico", al quale sono ricondotti l’ "Apologia di
Socrate" e il "Fedone" di Platone, oltre alle biografie retoriche
che hanno origine dagli encomi, a loro volta discendenti dagli antichi
"threnoi" o, in ambiente latino, dalle "laudationes
funebres"; ne sono un esempio le "Retractationes" di Agostino;
all’interno di questa tipologia Bachtin distingue poi la biografia
"energetica", rappresentata dalle "Vite" di Plutarco, che
porta ad una progressiva rivelazione del carattere del protagonista, dalla
biografia "analitica", il cui autore più tipico è Svetonio;
- il romanzo
"di avventure e di costume", rappresentato in senso stretto solo, e
appunto, dalle "Metamorfosi" e dal Satyricon, che Bachtin avvicina al
romanzo "picaresco" europeo moderno, in quanto in entrambi quello che
egli definisce "tempo di avventura" si intreccia strettamente nella
narrazione al "tempo quotidiano".
Al contrario dei romanzi latini, questa serie
di opere greche è unita da una notevole omogeneità e permanenza di tratti
distintivi. La trama è quasi invariabile: si tratta delle traversie di una
coppia di innamorati che vengono separati e che devono affrontare mille pericoli
prima di potersi riabbracciare. Il tono è quasi sempre serio, lo scenario è
invece variabile e spazia nei paesi del Mediterraneo. L’amore è trattato con
pudicizia, come una passione seria ed esclusiva: l’eroina riesce sempre ad
arrivare alla fine del romanzo ancora casta.
Nel romanzo di P., invece, l’amore è visto
in modo ben diverso. Non c’è spazio per la castità, e nessun personaggio è
un serio portavoce di valori morali. Il protagonista è sballottato tra
peripezie sessuali di ogni tipo, e il suo partner preferito è maschile. Il
rapporto omosessuale tra Encolpio e Gitone diventa, così, quasi una parodia
dell’amore romantico che lega gli innamorati dei romanzi greci. Ci sono
d’altra parte studiosi che, come Sullivan, non condividono appieno questa
ipotesi, e sostengono invece che sia il "Satyricon" sia i romanzi
greci si rifarebbero al comune modello dell’epos, e che quindi le analogie
strutturali che si riscontrano tra il romanzo latino e quelli greci sarebbero
giustificate da questa comune ascendenza.
A partire dal I secolo d.C., poi, ha grande
fortuna una letteratura novellistica, caratterizzata da situazioni comiche,
spesso piccanti e amorali. Un filone importante è quello che gli antichi spesso
etichettano come "fabula Milesia"; sappiamo con certezza che P.
utilizzò ampiamente questo filone di narrativa (una tipica storia milesia è
quella raccontata da Eumolpo): i temi tipici di questa novellistica si oppongono
a qualsiasi idealizzazione della realtà: gli uomini sono sciocchi e le donne
pronte a cedere.
La
"pluridiscorsività". Tuttavia, nessun testo narrativo
classico si avvicina anche lontanamente alla complessità letteraria di P.: se
la trama del romanzo si presenta molto complessa, ancora più complessa è la
sua forma (e a ragione, si è parlato [Bachtin] di una sua
"pluridiscorsività" e "intertestualità"). La prosa
narrativa è interrotta frequentemente con inserti poetici: alcune di queste
parti in versi sono affidate alla voce dei personaggi, ma molte altre parti
poetiche sono strutturate come interventi diretti del narratore, che nel vivo
della sua storia abbandona le relazioni con gli eventi esterni e si abbandona a
commenti che hanno funzione ironica. La presenza di un narratore passivo che
subisce i capricci della fortuna è tipica di P., come del romanzo di Apuleio,
ma l’uso libero e ricorrente di inserti poetici allontana quest’opera dalla
tradizione del romanzo e la avvicina agli altri generi letterari. Il punto di
riferimento più vicino al "Satyricon" è, così, propriamente, la
"satira menippea": questo tipo di satira si configurava infatti
come un contenitore aperto, molto vario per contenuti e per forma, e che
alternava momenti seri a situazioni giocose, il tutto però sorvegliato da
un’abile tecnica di composizione.
A tal proposito, e a mo' di esempio, sono stati
oggetto di indagine i riferimenti che P. dissemina nella sua opera ad autori
latini, in particolare a Virgilio, la cui opera sarebbe parodiata e/o imitata
nel cosiddetto "Bellum civile", cioè quella sezione in versi che
Eumolpo recita nella parte iniziale del testo (che, come è noto, è un
prosimetro, cioè un componimento misto di prosa e versi) [anche su questo
argomento però i pareri sono discordi, dal momento che secondo altri qui P.
intenderebbe parodiare il poema epico di Lucano, più che quello di Virgilio].
Suggestioni
"odissiache"? Molto nota, invece, e sicuramente più
fondata, è l’individuazione nel "Satyricon" di un intento
parodistico dell’Odissea, individuato e descritto (tra gli altri) da Courtney,
Klebs e Fedeli. I punti a sostegno di questa tesi sono molti, e probanti: si
tratta non tanto della ripresa dell’ira di Poseidon che perseguita Odisseo nel
poema, parodisticamente adombrata da P. nella persecuzione del dio Priapo nei
confronti del protagonista Encolpio; né solo della struttura
"odissiaca" (incentrata cioè sulle peripezie di viaggio) delle
avventure narrate nel romanzo; quanto piuttosto di elementi di dettaglio, ma
perciò stesso assai più significativi, che depongono a favore di questa tesi.
Ad es. è indicativo che il già nominato Encolpio assuma, in una avventura di
seduzione di una matrona, il nome di Polieno (nell’Odissea "polyainos"
è un epiteto che viene attribuito da Omero al solo Odisseo); analogie evidenti
presentano poi alcuni episodi, come quello in cui il protagonista del romanzo,
per sottrarsi ai suoi inseguitori, si attacca sotto ad un letto, con una palese
ripresa dell’espediente con cui Odisseo fugge dalla caverna del Ciclope
attaccandosi sotto il ventre dell’ariete avviato al pascolo.
Allusioni alla cultura
ebraica e cristiana? Invece, è solo in tempi più recenti che sono
stati messi in luce alcuni riferimenti (oggetto ancora di parodia o di semplice
allusione) alla cultura ebraica, che sarebbe possibile riscontrare nel romanzo:
uno studioso in particolare, J. Clarke, ha rilevato - nell’episodio centrale
della parte superstite del Satyricon (ovvero la cena di Trimalcione) - alcuni
riferimenti all’ebraismo. Sull’esempio di questo studioso, le ricerche di
echi e riprese di elementi della cultura giudaica nel Satyricon si sono
moltiplicati, estendendosi anche all’ambito dell’onomastica. In questo
settore, già da tempo è stato osservato che i nomi dei personaggi sono
assegnati da P. con intenzione allusiva a personaggi o vicende del mito: Labate
ad es. osservava che Corace (nome del servo che rivela agli
"ereditieri" l’inganno di Encolpio ed Eumolpo nell’avventura di
Crotone) è con ogni evidenza ripreso dal mito della cornacchia ("korax")
punita da Apollo per la sua attività di delazione di cui parla Callimaco in un
suo inno. Estendendo l’indagine anche all’area linguistica semitica alla
ricerca di analoghe allusioni, Bauer ha interpretato il nome di Trimalcione come
composto da un prefisso "tri-", di significato intensivo,
associato alla radice semitica "mlk", portatrice dell’idea di
regalità. Trimalcione sarebbe quindi il "tre volte re", titolo
certo adatto alla sua smania di esibizionismo e alla volontà di
autocelebrazione, che lo contraddistinguono come parvenu desideroso di
ostentare la propria smisurata ricchezza.
Non si sa, infine, se nella descrizione del banchetto funebre a base di carne umana - ch'è contenuto nel fantomatico e lugubre testamento di Eumolpo - si debba scorgere una parodia delle "agapi" cristiane, così come esse venivano alterate e mistificate da parte dei pagani (i quali credevano che realmente i Cristiani si cibassero della carne del Cristo); ma è forse significativo, comunque, che questo romanzo, documento della corruzione pagana dell'impero romano, si concluda proprio con accostamento, sia pure empio e sacrilego, al sacramento dell'eucarestia, perché due mondi, l'uno in sfacelo l'altro appena sorgente, si oppongono come due contrarie forme di vita.