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Pubblicato nel 1900, Il fuoco è un romanzo autobiografico, che descrive la complessa e tempestosa relazione di D'Annunzio con Eleonora Duse.
Protagonisti della vicenda narrata, che ha come seducente sfondo una regale Venezia, sono infatti "L'Imaginifico" Stelio Effrena, evidente alter ego dello scrittore pescarese, poeta, "anima appassionata e veemente", che aspira a un'esistenza ricca e impetuosa, in cui arte e vita si fondano, e Foscarina, "la grande attrice tragica", già avanti negli anni, incarnazione letteraria di Eleonora Duse.
Il loro amore vive di esaltazioni e di disperazioni, di armonie e di gelosie; la Foscarina rappresenta per il "superuomo" Stelio Effrena la musa ispiratrice, la carica vitale, la catalizzatrice della sua creatività artistica. Esalta la sua potenza spirituale e sensuale.
Tuttavia sul loro amore incombe la giovane cantante Donatella Arvale, dalla quale il poeta-superuomo si sente attratto. Di qui i dubbi, le amarezze, le disperazioni di Foscarina, sempre pronta al sacrificio per il suo più giovane amante.
Sulla scena veneziana compare inoltre un Richard Wagner vecchio e malato, modello da imitare per Stelio, che, nel contempo, avverte di esserne l'ideale continuatore dell'opera artistica.
Personaggio minore è Daniele Glauro, amico ed estimatore di Stelio, in grado di gioire della bellezza, ma non di crearla.
Commento:
Tipica espressione del dannunzianesimo, Il fuoco si fa apprezzare per il linguaggio impiegato, ricco, duttile, preciso, lontano dall'odierna standardizzazione televisiva e per lo stile carico di metafore, visioni e simboli, specchio di una cultura genuinamente classica.
Contrariamente ai critici più accreditati che apprezzano, nel romanzo, più la seconda parte che la prima, più i momenti di malinconia e di ripiegamento che non l'esaltazione dionisiaca, io ho trovato assolutamente travolgenti le prime cinquanta pagine del romanzo, che si distinguono per impeto, energia e anticonformismo.
C'è in D'Annunzio la capacità, abbastanza estranea alla tradizione letteraria novecentesca, di esprimere sentimenti "positivi", quali l'entusiasmo, la grandezza, la potenza. Lo fa talvolta con iperboli pacchiane, ma prevale quasi sempre, a mio giudizio, una visione ampia delle cose e della vita, tipiche dello scrittore di genio.
Una
benefica, megalomane, narcisistica sfrenatezza attraversa il libro; le pagine
di palpitante erotismo si alternano al dispregio dell'angustia dell'esistenza
comune; soltanto il culto della Bellezza può vincere le miserie, le
inquietudini e il tedio dei giorni comuni, il bisogno e il dolore.
Il superuomo dannunziano non è tuttavia sempre attività, baldanza, sicurezza;
alla luce subentra spesso l'ombra, rendendocelo più umano e amabile.
Il romanzo, quando uscì, suscitò polemiche per quello che veniva considerato come un irriverente ritratto della Duse. Fu tuttavia la Duse stessa a difendere D'Annunzio dichiarando:
"... Conosco il romanzo e ne ho autorizzato la stampa, perché la mia sofferenza, qualunque essa sia, non conta, quando si tratta di dare un altro capolavoro alla letteratura italiana. E poi, ho quarant'anni... e amo!"
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