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"Il mondo è la rappresentazione della sensibilità e del pensiero di pochi uomini superiori"
Il romanzo venne pubblicato nel 1896.
Claudio Cantelmo è il nobile discendente di Alessandro Cantelmo, conte di Volturara, tenuto in gran conto da Leonardo e morto prematuramente in battaglia.
Claudio Cantelmo, il primo superuomo della narrativa dannunziana, è disgustato dall'epoca in cui gli tocca vivere, afflitto com'è dalla folla, dai commerci e dall'operosità filistea che minacciano la civiltà. Dovunque si sente rattristato e accerchiato dall'affarismo e dall'utilitarismo.
Sogna di procreare un individuo che, capace di ridurre all'obbedienza il popolo, sappia restaurare l'antico ordine distrutto.
Ritorna a Rebursa, "paese dalle vertebre di roccia", tenero e amato teatro della sua infanzia. Raggiunge la vicina Trigento, dove vive, nell'avvilita nostalgia del proprio passato, un principe borbonico decaduto, Luzio Capece Montaga; sull'antico palazzo nobiliare, ricco di testimonianze artistiche, aleggia un clima di disfacimento e di dolore: la moglie del padrone di casa, donna Aldoina, è una folle che vaga sperduta per i giardini.
"Quella grande stirpe moribonda aggiungeva a quel paese di rocce una specie di funebre bellezza"
Claudio ha modo di incontrare i due figli del principe Luzio, Antonello e Oddo, adorati amici di infanzia, sopraffatti, soprattutto il primo, dalla desolazione e dallo sconforto; ma soprattutto ha modo di ammirare Massimilla, Anatolia e Violante, le tre belle e nubili figlie del principe.
Claudio vorrebbe idealmente sposare tutte e tre le sorelle ("O belle anime [...] nella casta trinità non è forse la perfezione dell'amore umano").
Massimilla, gracile e soave, in procinto di farsi monaca, rappresenta la virtù e la timidezza sottomesse e adoranti.
Anatolia, "forza generosa" e "bontà efficace", simboleggia la femminilità, atta a raccogliere e a sostenere.
Violante è "l'amore sterile [...], la voluttà che non crea", lussuriosa, intangibile, attediata.
Dovendo operare una scelta, Claudio rimane incerto fino alla fine. Il lettore non conoscerà il nome della principessa prescelta, quella la cui unione col protagonista permetterà di generare il superuomo, capace di riscattare la patria dalla barbarie.
Testi tratti dal romanzo:
Claudio Cantelmo si considera una nuova incarnazione del suo antenato Alessandro, uomo d’arme, vissuto a Milano ai tempi degli Sforza. Si sente erede di una delle più grandi famiglie che sono vissute in Italia e che hanno compiuto eccezionali imprese.
« Tra le imagini dei miei maggiori una m’è sopra tutte le altre carissima, e sacra come una icona votiva. È il più nobile e il più vivido fiore di mia stirpe, rappresentato dal pennello di un artefice divino. È il ritratto di Alessandro Cantelmo conte di Volturana, dipinto dal Vinci tra l’anno 1493 e il ’94 a Milano dove Alessandro aveva preso stanza con una sua compagnia di gente d’arme, attratto dall’inaudita magnificenza di quello Sforza che voleva fare della città lombarda una nuova Atene» (Libro primo).
Il motto di Cantelmo è lo stesso del suo antenato: diventare un grande uomo, dar vita a quel destino di magnificenza che già si era manifestato in passato.
«Tal visse e morì il giovine eroe [Alessandro Cantelmo] in cui parve sublimata la genuina virtù della mia stirpe militante....“O tu”, egli mi diceva impadronendosi della mia anima col suo magnetico sguardo “sii quale devi essere”» (Libro primo).
«E io vedevo, nella mia immaginazione, dietro le vetrate fiammeggianti del balcone regale, una fronte pallida e contratta su cui, come su quella del Còrso, era inciso il segno d’un destino sovrumano» (Libro primo).
Cantelmo si identifica con Napoleone (il Còrso) e vede davanti a sé una vita che sarà superiore alla vita degli altri uomini.
«Quella solitudine poteva dunque dare, più d’ogni altra, il grado di follia e il grado di lucidità necessari a un asceta ambizioso: a un asceta il quale, rinnovellando il senso originario della parola austera, volesse come gli antichi agonisti prepararsi con rigida disciplina alle lotte e alle dominazioni terrene» (Libro primo).
Cantelmo, come Zarathustra, cerca un’ascesi in cui follia e lucidità siano uniti. La solitudine è il segno distintivo dell’uomo superiore che, attraverso una nuova parola, ottiene la vittoria. D’Annunzio sottolinea l’importanza della parola, che crea. Il poeta modella le parole come modella la vita. Vita e letteratura si fondono.
Commento:
Pirandello, scrittore di cose, definì "ridicolo" il protagonista di Le vergini delle rocce, eppure "d'altero e generoso disdegno".
In effetti, il lettore di oggi fatica ad adattarsi al linguaggio prezioso, ricercato ed enfatico di D'Annunzio, un romanziere di parole.
A volte si sbadiglia, disperando di poter arrivare alla conclusione di una vicenda che sembra non avere né capo né coda.
Eppure il romanzo ha da comunicare, anche al lettore attuale, delle osservazioni tutt'altro che banali sul rapporto uomo-donna, sulla virilità e sulla femminilità, non riconducibili al facile schema uomo dominatore-donna sottomessa, uomo attivo-donna passiva.
Lo stesso Claudio Cantelmo, un chiaro modello di virilità proposto al lettore, manifesta dei tratti "femminei" e "passivi". D'Annunzio ricorre, nel ritrarlo, ad espressioni come:
"Ora tu possiedi l'impetuosa fecondità delle terre profondamente lavorate [...]. Non temere d'esser pietoso [...]. Non avere onta delle tue inquietudini e dei tuoi languori [...]. Non respingere la dolcezza che t'invade, l'illusione che ti avvolge, la malinconia che ti attira [...].
La critica della società odierna, formulata nella prima parte del romanzo, una sorta di manifesto politico di D'Annunzio, risulta condivisibile nella sostanza, ma tuttavia permeata, nella sua elaborazione propositiva, da idee antidemocratiche di derivazione nicciana, pericolose, superficiali e antistoriche.
Il libro, soffuso di un piacevole lirismo, ha una sua delicata armonia e un suo fascino sommerso.
D'Annunzio sa disvelare segrete affinità; si rivela, in questo romanzo, capace di esprimere poeticamente"un sì gran numero di cose
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