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Il superomismo è la dottrina di Nietzsche (1844-1900) per la quale il «superuomo» diventa protagonista della storia. Tutti i valori della civiltà occidentale - religione, scienza, morale - per Nietzsche sono mistificazioni volute dal gregge degli «schiavi», dalla massa per ostacolare il cammino degli uomini superiori; e sono il risultato dello spegnersi nel corso dei millenni dell'originaria «volontà di potenza», ossia dell’energia creatrice dell’uomo e dei suoi valori vitali. Incarnazione della volontà di potenza è il superuomo (Übermensch): «L’uomo deve essere superato. Il superuomo è il senso della terra. L’uomo è una corda tesa fra la bestia e il superuomo, ma corda sull’abisso».
Nietzsche fu un critico spietato degli ideali e dei valori tradizionali dell'Europa dell'Ottocento. Nelle sue opere filosofiche si scagliò contro il Positivismo e la sua fiducia nel fatto scientifico e oggettivo, demolendo il concetto di progresso da lui definito come un'idea "moderna" e "falsa", e contro ogni tipo di spiritualismo proclamando la morte di Dio. In particolare egli criticò il cristianesimo che riteneva un "vizio". La morale cristiana è per Nietzsche la «morale degli schiavi» che deriva dal «dire di sì ad un altro»: ad essa egli contrappose la «morale aristocratica» che ha inizio nel momento in cui «si dice di sì a se stessi».
In Così parlò Zarathustra (1883), una delle sue opere più importanti, il filosofo tedesco propone tre temi fondamentali: la morte di Dio, il superuomo e l'eterno ritorno. Soprattutto il concetto di superuomo è stato spesso male interpretato. Il superuomo nietzschiano, infatti, non è l'archetipo nazista ma piuttosto colui che, avendo preso coscienza del fatto che tutti i valori tradizionali sono crollati, è in grado di ritornare ad essere "fedele alla terra", liberandosi dalle cristallizzazioni della cultura. Il superuomo ha in sé una forza creatrice che gli permette di operare la traslazione dei valori e di sostituire ai vecchi doveri la propria volontà.
La morte di Dio
Il superuorno nietzschiano vive la tragedia della sua solitudine con ben altra profondità e con ben più lancinante disperazione rispetto a tutti gli esteti decadenti. Alla base della concezione nietzschiana della vita c'è il tentativo di considerare l'esistenza nella sua sana ebbrezza primitiva e di restituirla alle sue sorgenti originarie dopo aver estirpato "il posto Dio". L'atto di liberazione dalla schiavitù della religione è un atto tragico che viene vissuto attraverso il delirio del pazzo, il quale accusa se stesso e gli altri di aver ucciso Dio. Il vuoto lasciato dalla "morte di Dio" potrà essere colmato solo dall'Uomo e da nessun'altra ideologia tirannica. Ma il travaglio della cultura che tenta di costruire un ateismo umanistico è tutt'altro che semplice da definirsi: Nietzsche vive, in questo come in altri brani (vi sono nelle sue opere diverse "morti di Dio"; questa è forse la più suggestiva), il dramma del pensiero che cerca in se stesso un assoluto criterio di giudizio e di libertà. La cultura contemporanea si sta ancora misurando con questo problema; ma il fatto che da parte di Nietzsche esso sia posto in maniera così drammatica e diremmo "teatrale" è indice dello spostarsi della filosofia verso il racconto o l'aforisma, verso la divulgazione letteraria. Indubbiamente si tratta di una bella pagina, di convincente presa emotiva: anche in questo si può ritrovare un aspetto tipico della sensibilità decadente.
Brano tratto dal Così parlò Zarathustra (1883)
L`«uomo pazzo» e il suo delirio
Non avete mai sentito parlare di quell'uomo pazzo che, in pieno mattino, accesa una lanterna, si recò al mercato e incominciò a gridare senza posa: "Cerco Dio! Cerco Dio!". Trovandosi sulla piazza molti uomini non credenti in Dio, egli suscitò in loro grande ilarità. Uno disse: "L'hai forse perduto?", e altri: "S'è smarrito come un fanciullo? Si è nascosto in qualche luogo? Ha forse paura di noi? Si è imbarcato? Ha emigrato?". Così gridavano, ridendo fra di loro... L'uomo pazzo corse in mezzo a loro e fulminandoli con lo sguardo gridò: "Che ne è di Dio? Io ve lo dirò. Noi l'abbiamo ucciso – io e voi! Noi siamo i suoi assassini! Ma come potemmo farlo? Come potemmo bere il mare? Chi ci diede la spugna per cancellare l'intero orizzonte? Che facemmo sciogliendo la terra dal suo sole? Dove va essa, ora? Dove andiamo noi, lontani da ogni sole? Non continuiamo a precipitare: e indietro e dai lati e in avanti? C'è ancora un alto e un basso? Non andiamo forse errando in un infinito nulla? Non ci culla forse lo spazio vuoto? Non fa sempre più freddo? Non è sempre notte, e sempre più notte? Non occorrono lanterne in pieno giorno? Non sentiamo nulla del rumore dei becchini che stanno seppellendo Dio? Non sentiamo l'odore della putrefazione di Dio? Eppure gli Dei stanno decomponendosi! Dio è morto! Dio resta morto! E noi l'abbiamo ucciso! Come troveremo pace, noi più assassini di ogni assassino? Ciò che vi era di più sacro e di più potente, il padrone del mondo, ha perso tutto il suo sangue sotto i nostri coltelli. Chi ci monderà di questo sangue? Con quale acqua potremo rendercene puri? Quale festa sacrificale, quale rito purificatore dovremo istituire? La grandezza di questa cosa non è forse troppo grande per noi? Non dovremmo divenire Dei noi stessi per esserne all'altezza? Mai ci fu fatto più grande, e chiunque nascerà dopo di noi apparterrà per ciò stesso a una storia più alta di ogni altra trascorsa". A questo punto l'uomo pazzo tacque e fissò nuovamente i suoi ascoltatori; anch'essi tacevano e lo guardavano stupiti. Quindi gettò a terra la sua lanterna che andò in pezzi spegnendosi. "Vengo troppo presto", disse, "non è ancora il mio tempo. Questo evento mostruoso è tuttora in corso e non è ancor giunto alle orecchie degli uomini. Per esser visti e riconosciuti lampo e tuono hanno bisogno di tempo, la luce delle stelle ha bisogno di tempo, i fatti hanno bisogno di tempo anche dopo esser stati compiuti. Questo fatto è per loro ancor più lontano della più lontana delle stelle e tuttavia sono loro stessi ad averlo compiuto!". Si racconta anche che l'uomo pazzo, in quel medesimo giorno, entrò in molte chiese per recitarvi il suo Requiem aeternam Deo. Condotto fuori e interrogato non fece che rispondere: "Che sono ormai più le chiese se non le tombe e i sepolcri di Dio?".