Cenni storici
Accenni
alla pena di morte erano presenti già nei più antichi testi giuridici, come il
codice di Hammurabi
e la Bibbia, che puniva con la pena di morte più
di 30 differenti crimini, dall'omicidio (Esodo
21, 12) alla fornicazione (Deuteronomio
22, 13): in forme diverse, la pena di morte è stata dunque una costante della
maggior parte degli ordinamenti giuridici a partire dall'antichità sin verso la
fine del XVIII secolo, quando cominciarono a essere numerosi e importanti gli
sforzi per combatterla e per favorirne l'abolizione.
In
Europa il primo paese ad abolire la pena di morte fu il Portogallo nel 1867; nel
continente americano lo stato del Michigan nel 1847 e il Venezuela nel 1853.
Attualmente, è ancora in vigore in alcuni paesi, ad esempio in alcuni stati
degli Stati Uniti d'America, in Giappone e in Cina.
La pena di morte in
Italia
La
pena capitale cominciò ad essere applicata in Italia da Enrico II nel Basso
Medioevo, intorno al 1050, per le varie forme di omicidio; a poco a poco si
estese alle legislazioni dei diversi comuni della penisola, sostituendo alla
tecnica dell'"imposizione" che consisteva nel pagamento di una somma
che l'uccisore doveva effettuare alla famiglia dell'ucciso per evitarne la
vendetta, quella della coazione basata sulla pena di morte e su tutte le altre
pene mutilanti e deturpanti.
Nel
'500 e '600 si assistette al trionfo e al consolidamento della violenza legale
in nome della "ragion di stato" e la pena capitale, accompagnata da
ogni sorta di torture raccapriccianti, veniva inflitta per punire un'ampissima
gamma di reati, anche minori. Nel 1764 la pubblicazione del libro "Dei
delitti e delle pene" di Cesare Beccaria stimolò una riflessione sul
sistema penale vigente; l'autore in realtà ammetteva la pena di morte purché
fosse utile al potere, in ciò non discostandosi affatto dal principio
utilitaristico dominante della ragion di stato; Beccaria suggeriva però in
alternativa alla pena di morte la pena dell'ergastolo. La sua idea piacque molto
soprattutto ai principi austriaci particolarmente rivoluzionari come Giuseppe II
e Leopoldo I Granduca di Toscana che addirittura andarono oltre. Leopoldo I
infatti con la legge del 30 novembre 1786 abolì sia l'uso della tortura sia
quello della pena di morte; purtroppo tali disposizioni restarono in vigore solo
per quattro anni in quanto nel 1790 lo stesso Leopoldo stabilì con un editto la
reintroduzione della pena di morte contro i 'ribelli' ed i 'sollevatori' ed in
seguito per altri reati.
Quasi
un secolo dopo, sempre in Toscana, vi fu un nuovo slancio abolizionista da parte
del governo provvisorio toscano che, con un decreto in data 30 aprile 1859, abolì
la pena di morte dalle leggi vigenti nel proprio territorio. Questo creò non
pochi problemi al governo della nascente Italia unita poiché la legislazione
penale si trovò divisa in due spezzoni: da un lato tutta la penisola con la
pena capitale, dall'altro la Toscana senza.
Iniziò
così un lungo dibattito sull'unificazione penale in cui si fronteggiarono gli
abolizionisti ed i favorevoli al mantenimento della pena di morte, finché nel
1889 entrò in vigore il nuovo codice penale unificato (codice Zanardelli), dal
quale la pena di morte era bandita.
Essa
farà però di nuovo la sua comparsa nella legislazione penale italiana con una
legge del 1926 presentata da Benito Mussolini il quale, avendo subito ripetuti
attacchi alla propria vita, ripristinò la pena di morte per punire coloro che
avessero attentato alla vita o alla libertà della famiglia reale o del capo del
governo e per vari reati contro lo stato.
Il
nuovo codice penale del 1930 (codice Rocco), entrato in vigore il 1° luglio
1931, accrebbe il numero dei reati contro lo stato punibili con la morte e
reintrodusse la pena di morte per alcuni gravi reati comuni.
Il
governo fascista fu sconfitto il 25 luglio 1943, nel corso della seconda guerra
mondiale; dopo l'8 settembre dello stesso anno il paese era diviso in due parti:
il Nord era occupato dalle forze tedesche che stabilirono un governo fantoccio
guidato da Mussolini; il Sud veniva invece liberato dalle forze alleate. Una
delle prime decisioni del nuovo governo fu l'abolizione della pena di morte: il
10 agosto 1944 il decreto legge n. 224 abolì la pena di morte per tutti i reati
previsti dal codice penale del 1930; essa fu però mantenuta in vigore in base
al decreto n. 159 del 27 luglio 1944 per i reati fascisti e di collaborazione
con i nazi-fascisti. Dopo la fine della guerra e la completa sconfitta dei
nazi-fascisti, il decreto luogotenenziale del 10 maggio 1945 ammise nuovamente
la pena di morte come misura temporanea ed eccezionale per gravi reati come
'partecipazione a banda armata', 'rapina con uso di violenza' ed 'estorsione'.
Fra
il 26 aprile 1945 ed il 5 marzo 1947 vennero giustiziate 88 persone per avere
collaborato con i tedeschi durante la Seconda guerra mondiale. Queste furono le
ultime esecuzioni effettuate in Italia.
Finalmente
con la nuova costituzione della repubblica italiana del 27 dicembre 1947 la pena
capitale fu bandita per i reati comuni e per i reati militari commessi in tempo
di pace; infatti l'art. 27 recita: "Non è ammessa la pena di morte se non
nei casi previsti dalle leggi militari di guerra".
Fino
al 1994 il codice penale militare di guerra prevedeva la pena di morte per
un'ampia gamma di reati; il Presidente della Repubblica poteva, in base all'art.
87 della Costituzione, concedere la grazia o commutare la sentenza.
Un
progetto di legge per l'abolizione della pena di morte dal codice penale
militare di guerra fu presentato ed approvato dalla Camera dei Deputati nel
luglio 1993. Esso avrebbe dovuto essere discusso al Senato quando il Parlamento
Italiano si sciolse per consentire nuove elezioni.
Dopo
le elezioni trenta senatori presentarono lo stesso testo che fu approvato dalle
Commissioni Giustizia e Difesa del Senato il 14 settembre 1994. Il 5 ottobre
1994 la Camera dei Deputati approvò il progetto di legge che fu promulgato
divenendo così legge a tutti gli effetti il 25 ottobre.
La
legge stabilisce che per tutti i reati coperti dal codice penale militare di
guerra e dalle leggi militari di guerra, la pena di morte è abolita e
sostituita dalla massima pena prevista dal codice penale. L'Italia è così
diventata un paese totalmente abolizionista.