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Con il termine "evoluzionismo" si intende l'ipotesi scientifica che spiega l'origine della vita a partire dalla materia inerte (evoluzione molecolare), e la successiva diversificazione del mondo vivente a partire dagli esseri più semplici e primitivi, fino a rendere conto dello stato attuale del mondo vivente, con i milioni di specie esistenti nei regni vegetale e animale (evoluzione biologica).
Come è facile intuire il termine evoluzione richiama immediatamente il termine creazione, che è molto più radicato e antico nella tradizione occidentale e, quindi,mette in gioco due concetti che fino a qualche tempo fa erano considerati in netta e insanabile avversione, cioè la scienza e la fede.
Ci è parso opportuno riportare una parte della voce "Creazione" (che è consultabile su internet all'indirizzo http://www.disf.org/Voci/45.asp ed è tutta molto interessante e chiara, anche se l'argomento non è semplice) redatta dal prof. Giuseppe Tanzella - Nitti, che, in quanto esperto di fama mondiale dell'argomento, ha curato il recente e utilissimo (perché molto didattico e chiaro) Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede, pubblicato dall'Urbaniana University Press - Città Nuova (pp. 2342, in 2 volumi, 170 €; sito internet: www.disf.org). Uno dei pregi di questa voce - e di tuto il dizionario - è di puntare a conciliare le opinioni, nel rispetto delle dievrsità e delle divergenze, senza creare inutili fratture, che sono il vero male della ricerca scientifica.
Creazione ed evoluzione
1. I termini del dibattito. Il rapporto fra creazione ed evoluzione ha costituito uno dei maggiori terreni di confronto fra visione scientifica del mondo e Rivelazione biblica. Nell'epoca moderna il problema si affaccia inizialmente nella prima metà del XIX secolo con le ipotesi di J.B. Lamarck (1744-1829) sulle variazioni morfologiche che hanno caratterizzato i viventi nel corso del tempo (Filosofia zoologica, 1809), per proporsi poi con forza attraverso le opere di Darwin (1809-1882) sull'origine delle specie e la selezione naturale (L'origine delle specie, 1859; La discendenza dell'uomo, 1871). Dal canto suo la geologia aveva già suggerito che la storia del pianeta coinvolgeva un orizzonte temporale assai più lungo di quanto le narrazioni bibliche sulle origini lasciassero prevedere. Nel XX secolo è stata piuttosto l’osservazione del cosmo ad estendere enormemente le coordinate spazio-temporali della nostra “distanza dalle origini”, mostrando con radicalità insospettata la portata e la durata delle lunghe trasformazioni fisico-chimiche subite dall'universo prima di giungere alle condizioni che lo caratterizzano nell'attualità. La visione scientifica contemporanea è irrinunciabilmente quella di un universo in evoluzione.
Poiché un'interpretazione letterale sia delle origini della terra e dei viventi, sia della storia dei primi uomini, così come trasmesse dalle narrazioni bibliche (soprattutto quelle della Genesi), avrebbero fatto pensare a prima vista ad un intervallo di tempo assai più ridotto ed alla creazione immediata e completa delle specie dei viventi, soprattutto dell'uomo e della donna, sorsero ben presto forti reclami di incompatibilità con il pensiero scientifico. A partire dalla fine dell'Ottocento cominciarono a cristallizzarsi, principalmente in ambiente anglosassone, due posizioni non prive di risonanze ideologiche, note come “creazionismo” ed “evoluzionismo”. La prima non intendeva distaccarsi dalla comprensione letterale del testo genesiaco, disinteressandosi quasi completamente della valenza dei risultati scientifici, mentre la seconda assumeva in pieno l'orizzonte storico-evolutivo offerto dalle scienze naturali, disinteressandosi di approfondire quegli elementi di compatibilità suggeriti da una corretta teologia della creazione. L'eco di queste posizioni permane oggi in alcuni strati dell'opinione pubblica, specie in quelli con scarso accesso ad una corretta documentazione teologica. Nelle ultime decadi del XX secolo alcuni Stati degli U.S.A. (è quanto accaduto in Kansas) sono stati testimoni di dispute legali fra diversi gruppi sociali a motivo dei programmi e dei libri di testo da utilizzarsi nell'istruzione scolare. Va in ogni caso precisato che il termine “evoluzionismo”, tuttora largamente utilizzato, non indica la teoria dell'evoluzione in senso stretto, ma quella visione filosofica del mondo che fa dell'intera natura un grande processo storico in continua mutazione, nel quale non sarebbe possibile riconoscere né la persistenza di un soggetto stabile, né l'esistenza di un fine.
2. La presenza della dimensione storico-evolutiva nella comprensione teologica della creazione. Ancor prima di un confronto in termini di esegesi biblica, andrebbe osservato che l'assunzione di una prospettiva storica non entra in conflitto con una corretta teologia della creazione. Come già segnalato, solo in un universo che ha avuto un inizio del tempo e tende verso uno scopo, la storia acquista un vero significato. La relazione fra Creatore e creatura inaugurata dall'atto creativo, vista dalla parte del creato, si presenta come un'azione continua (creatio continua) e quindi immersa nella storia. Se al termine “evoluzione” si attribuisse in prima istanza il significato di crescita, sviluppo, distensione nel tempo di ciò che è implicato nelle premesse, non vi sarebbe difficoltà ad affermare che l'evoluzione è in certo modo il “metodo” con cui Dio crea: l'evoluzione cosmica, quella biologica e quella culturale sono, in ultima istanza, parti di un singolo processo creativo.
Con un linguaggio proprio della loro epoca, alcuni Padri della Chiesa come Atanasio, Basilio, Gregorio di Nissa, e soprattutto Agostino, parlarono della creazione come di un atto divino che si dispiega nel tempo, ma possiede in sé, ex parte Creatoris, tutto il progetto del mondo. In un contesto certamente lontano dal dibattito sull'evoluzione, non è senza interesse ritrovarne traccia anche nei versi di Dante Alighieri: «In Dio s'interna, legato con amore in un volume, ciò che per l'universo si squaderna» (Paradiso, XXXIII, 85-87). Proprio in sede esegetica, s. Agostino suggerì l'esistenza di rationes seminales contenute nella creazione (cfr. ad es. De Genesi ad litteram, V, 4 e VI, 6; De Trinitate, III, 9, 16); il tema fu ripreso in epoca medievale da s. Bonaventura (1217-1274) nel suo commento alla narrazione dei sei giorni (Collationes in Hexaëmeron, 1273). Prima che l'evoluzione fosse proposta in termini darwiniani, Niels Steensen (1638-1686) aveva già identificato i fossili come resti di specie viventi ora estinte e gli anglicani Joseph Butler (The Analogy of Religion, 1736) e John Wesley (A survey of the Wisdom of God in Creation, 1763) avevano registrato in modo non conflittuale sia i lunghi tempi storici coinvolti dalla creazione, sia le analogie morfologiche fra i primati e l'uomo. J.H. Newman (1801-1890) menzionerà le ipotesi di Darwin in alcune sue lettere, aggiungendo di non trovarvi nulla di contrario alla religione (cfr. lettera al rev. Pusey, in Letters and Diaries, Oxford 1965, vol. 25, p. 137).
3. Le necessarie coordinate teologiche del rapporto fra creazione ed evoluzione. La teologia cristiana della creazione non si oppone ad una visione evolutiva del mondo e della vita, purché vengano riconosciute alcune verità contenute nel messaggio biblico, determinanti anche ai fini della coerenza dell'intera dottrina filosofico-teologica sulla creazione, così come confessata fin dalle prime professioni di fede. Esse potrebbero riassumersi succintamente nelle seguenti. Dio è assolutamente distinto dal mondo e la sua vita personale non è oggetto di alcun processo evolutivo. La libertà di Dio e del suo progetto creatore sono l'origine e la causa dell'evoluzione dell'universo e lo dirigono verso il suo fine. Nulla di quanto accade nell'evoluzione del cosmo è estraneo o sconosciuto al disegno creatore di Dio o indipendente dalla sua volontà. La ragione fondante ed ultima dell'evoluzione non è la materialità dell'universo, le sue proprietà o potenzialità, ma ciò che le trascende, cioè l'azione creatrice di Dio, sebbene questa si realizzi nell'universo materiale e attraverso di esso. L'universo è voluto in funzione della vita e della vita intelligente: la sua comparsa è il frutto dell'esplicita e libera volontà divina e non è il risultato né di eventi casuali, né di una legge deterministicamente necessaria. Nella loro creazione, il primo uomo e la prima donna dipendono da Dio in modo diverso da come vi dipende il resto del creato: essi sono fatti a Sua immagine e somiglianza. Nella creazione della persona umana l'azione di Dio è immediata, cioè non mediata da altre cause secondarie. La storia dei nostri progenitori ha conosciuto una prova morale originaria il cui esito ha parzialmente modificato le loro relazioni con Dio e con il creato e, attraverso di essi, quelle del creato con Dio. Ogni essere umano che viene all'esistenza, durante tutta la storia, è voluto in modo personale dal suo Creatore. Infine, il senso ultimo di ogni processo evolutivo, di ogni storia del cosmo e dell'uomo, può essere pienamente compreso soltanto alla luce del mistero del Verbo incarnato, che esprime, rivela e realizza il “mistero della creazione” come “mistero della volontà del Padre”, massimamente attraverso la sua morte e resurrezione, dalle quali sorgono conseguenze determinanti per il futuro del cosmo e dell'uomo. Per quello che ci è dato comprendere, non è possibile dire molto di più, ma neanche nulla di meno.
Esiste dunque lo spazio per una riflessione teologica che tenga conto dei risultati delle scienze sull'evoluzione. Così lo segnalava Giovanni Paolo II: «Non creano ostacoli una fede rettamente compresa nella creazione o un insegnamento rettamente inteso dell'evoluzione: l'evoluzione infatti presuppone la creazione; la creazione si pone nella luce dell'evoluzione come un avvenimento che si estende nel tempo — come una creatio continua —, in cui Dio diventa visibile agli occhi del credente come “Creatore del Cielo e della terra”» (Discorso ai partecipanti al Congresso “Fede cristiana e teoria dell'evoluzione”, Roma, 26.4.1985, in Insegnamenti, VIII,1 (1985), p. 1132). Questa compatibilità sarebbe possibile — aggiungeva in un'altra occasione — ritenendo «che il corpo umano, seguendo l'ordine impresso dal Creatore nelle energie della vita, sia stato gradatamente preparato nelle forme di esseri viventi antecedenti. L'anima umana, però, da cui dipende in definitiva l'umanità dell'uomo, essendo spirituale, non può essere emersa dalla materia» (Giovanni Paolo II, Catechesi, 16.4.1986). In un'allocuzione alla Pontificia Accademia delle Scienze il 22 ottobre del 1996 lo stesso Pontefice ebbe infine a chiarire che non era necessario continuare a riferirsi all'evoluzione biologica in termini di una semplice ipotesi, ma la si poteva considerare una teoria interpretativa ormai impostasi all'attenzione dei ricercatori, «grazie alla convergenza di molti risultati indipendenti» (cfr. Messaggio alla Pontificia Accademia delle Scienze, 22.10.1996, EV 15, 1346-1354).
Come in altri contesti del dibattito fra lettura scientifica del mondo e Rivelazione cristiana, anche nel rapporto fra evoluzione e creazione molte delle supposte conflittualità dipendono da assunzioni a priori, di natura filosofica o talvolta perfino ideologica. Con certa frequenza non vengono chiarite le premesse filosofiche di fondo che soggiacciono ad alcune presentazioni dell'evoluzione (cfr. Maldamé, 1996). Sono tali, ad esempio, l'attribuire al caso il ruolo di una “causa” nell'evoluzione cosmica o in quella biologica, oppure presentare come risultati scientifici delle affermazioni di cui non è possibile avere una conoscenza fattuale, come l'esistenza di un poligenismo originario. O, anche, presentare come “evoluzione” scientifica ciò che in realtà sarebbe piuttosto un “evoluzionismo” filosofico. Va infine segnalato che le scienze naturali stanno progressivamente accantonando la nozione di “evoluzione casuale”. Sia in cosmologia, sia negli studi sull'origine della vita e la comparsa dell'uomo, vanno gradatamente imponendosi approcci più attenti al coordinamento delle cause, all'azione di teleonomie, alla presenza di morfogenismi e fenomeni olistici.
4. Tentativi filosofici di composizione. Il pensiero contemporaneo ha esplorato diverse vie per comporre la nozione di creazione con quella di evoluzione, generalmente all'interno di un quadro filosofico più ampio che ha per oggetto lo studio “dell'azione di Dio nella natura”. Una di queste — sulla quale abbiamo già riferito — si propone di sviluppare l'impostazione neotomista, tributando particolare attenzione alla nozione di atto di essere ed allo stretto rapporto esistente fra causalità formale (più vicina all'ambito dell'analisi empirica) e causalità finale (che trascende invece tale ambito). Dio, nel creare, non crea puri effetti, ma cause; ed in rapporto alla causalità divina, la causalità creaturale rappresenta una “causa seconda”, non una “causa strumentale”.
Seguendo un'impostazione maggiormente fenomenologica, Bergson ha introdotto il concetto di “evoluzione creatrice” (L'évolution créatrice, 1906) col quale si proponeva di superare sia l'evoluzionismo meccanicista che finalista, perché ritenuti ambedue chiusi alla novità del processo reale, la cui logica sarebbe quella di uno “slancio vitale” (élan vital), sempre aperto alle imprevedibili ricchezze dello Spirito. Pur condividendo la concezione di un'evoluzione creatrice, Teilhard de Chardin ne sottolinea invece l'aspetto fortemente finalistico (Le Phénomène Humain, 1955), quello di un universo ove la materia è per la vita, la vita per l'uomo, l'uomo per Cristo, Cristo per Dio. Un recente tentativo di armonizzare la dottrina della creazione con la fenomenologia storico-evolutiva del divenire cosmico è quello della “filosofia del processo” di Whitehead (Process and Reality, 1929), la cui influenza è oggi assai viva nella teologia anglosassone di tradizione riformata.
Sebbene la filosofia spiritualista di Bergson e Teilhard e la filosofia del processo di Whitehead si propongano una rifondazione metafisica, in alcuni aspetti delle loro concezioni tali autori si distanziano sensibilmente da quella comprensione dei rapporti fra Dio e il mondo fornita da una metafisica dell'essere, non senza conseguenze anche sul piano teologico. Per rientrare in quella comprensione occorrerebbe infatti che lo slancio vitale dello Spirito, soggetto dell'evoluzione creatrice (Bergson), rispondesse sempre ad un vero progetto creatore, il cui raggiungimento, però, non può dipendere nemmeno in modo automatico dalle potenzialità della materia (Teilhard). Nel caso della filosofia del processo, essa termina non di rado “storicizzando” l'immagine di Dio, perché l'agire creatore di questi è quasi immerso nel divenire cosmico, con implicazioni anche per la sua conoscenza del futuro.
Nelle righe che hai appena letto si accenna alle polemiche fra "creazionisti" ed "evoluzionisti"; come tutte le polemiche non ha portato a niente, se non ad un radicalizzarsi delle posizioni opposte. Si sono sviluppate quindi ricerche che sono fortemente polemiche le une contro le altre. Per avere idea della posizione degli "evoluzionisti", ti basterà dare un'occhiata al libro di scienze che hai, visto che in Italia è stata ciecamente e integralmente abbracciata questa teoria. Per l'altro versante, quello dei "creazionisiti" ti consiglio di leggere questi due articoli scientifici di particolare interesse per un ragazzo che studia matematica:
Ermanno Pavesi, "Le scienze naturali non conoscono l'evoluzione", Cristianità n. 56 (1979)
Luciano Benassi, "Mistificazioni evoluzionistiche e matematica", Cristianità n. 95 (1983)
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