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1) Auguste COMTE, brani tratti dal Corso di filosofia positiva
2) Edmond e Jules DE GONCOURT, la Prefazione a Germinie Lacerteux (1864)
3) Emile ZOLA, la Prefazione al romanzo Thérèse Raquin (1867)
4) Emile ZOLA, la Prefazione ai Rougon-Macquart (1871)
4) Emile ZOLA, brani tratti da Il romanzo sperimentale (1880)
1) Auguste COMTE, brani tratti dal Corso di filosofia positiva
Studiando così lo sviluppo dell’intelligenza umana nelle sue diverse sfere di attività, dalle prime manifestazioni fino ai nostri giorni, credo di aver scoperto una grande legge fondamentale, alla quale esso è soggetto con ferrea necessità e che può essere definita in modo preciso sia con prove razionali ricavate dalla conoscenza della nostra organizzazione, sia con la verifica storica risultante da un attento esame del passato.
Questa legge consiste nel fatto che ogni nostra concezione fondamentale, ciascun settore delle nostre conoscenze, passa successivamente attraverso tre stadi diversi: lo stadio teologico o fittizio; lo stadio metafisico o astratto; lo stadio scientifico o positivo. In altre parole lo spirito umano, per sua natura, adopera successivamente, in tutte le sue ricerche, tre metodi di filosofare, il cui carattere è essenzialmente differente e persino opposto: all’inizio il metodo teologico, quindi quello metafisico, infine il metodo positivo. Da lì hanno origine tre tipi di filosofia, o di concezioni generali sull’insieme dei fenomeni, che si escludono reciprocamente; il primo è il punto di partenza necessario dell’intelligenza umana, il terzo la sua sistemazione definitiva e fissa, il secondo vale soltanto come momento di passaggio.
Nello stadio teologico lo spirito umano indirizza essenzialmente le sue ricerche verso la natura intima delle cose, le cause prime e le cause ultime di tutti gli effetti che lo colpiscono, in una parola, verso le conoscenze assolute e si rappresenta i fenomeni come prodotti dall’azione diretta e continua di agenti sovrannaturali più o meno numerosi, il cui arbitrario intervento dà ragione di tutte le contraddizioni apparenti dell’universo. Nello stato metafisico, che non è in fondo se non una semplice modificazione generale del precedente, gli agenti sovrannaturali sono sostituiti da forze astratte, vere entità inerenti ai diversi esseri del mondo e concepite come capaci di produrre esse stesse tutti i fenomeni osservati, la cui spiegazione consiste dunque nell’assegnare a ciascuno l’entità corrispondente. Infine nello stato positivo lo spirito umano riconoscendo l’impossibilità di raggiungere delle nozioni assolute rinuncia a cercare l’origine ed il destino dell’universo ed a conoscere le cause intime dei fenomeni, per dedicarsi unicamente a scoprire, con l’uso opportunamente combinato del ragionamento e dell’osservazione, le loro leggi effettive, cioè le loro relazioni invariabili di successione e di somiglianza. La spiegazione dei fatti, ridotta dunque nei suoi termini reali, non è altro ormai che il legame posto tra i diversi fenomeni particolari ed alcuni fatti generali; di qui derivano i progressi della scienza che tende sempre più a diminuire il numero delle leggi [...] Ordunque, se la filosofia positiva è il vero e proprio stato definitivo dell’intelligenza umana, quello stato verso cui essa è stata sempre più intensamente protesa, nondimeno essa ha dovuto necessariamente impiegare all’inizio e durante una lunga successione di secoli sia come metodo, sia come dottrina provvisoria, la filosofia teologica; filosofia il cui carattere è d’essere spontanea, e perciò la sola possibile all’origine, la sola anche che possa offrire al nostro spirito nascente un interesse sufficiente. È ora molto facile accorgersi che per passare da questa filosofia provvisoria alla filosofia definitiva, lo spirito umano ha dovuto naturalmente adottare, come filosofia transitoria, i metodi e le dottrine metafisiche. Quest’ultima considerazione è indispensabile per completare il breve ragguaglio generale sulla grande legge che ho prospettato. […]
Vediamo, da ciò che precede, che il carattere fondamentale della filosofia positiva è da considerare tutti i fenomeni come sottostanti a leggi naturali invariabili, la cui scoperta precisa e la cui riduzione al minor numero possibile sono il fine di tutti i nostri sforzi, considerando come assolutamente inaccessibile e privo di senso per noi la ricerca di ciò che viene chiamato la causa, sia prima, che finale. [...]
Così, per citare l’esempio più ammirevole, noi diciamo che i fenomeni generali dell’universo sono spiegati, per quanto è possibile, dalla legge newtoniana della gravitazione, perché, da un lato, questa bella teoria ci mostra tutta l’immensa varietà dei fatti astronomici come fossero un solo e medesimo fatto, considerato sotto diversi punti di vista, ci mostra la tendenza costante di tutte le molecole, le une verso le altre, in ragione diretta delle loro masse ed in ragione inversa dei quadrati delle loro distanze; mentre, d’altra parte, questo fatto generale è presentato come la semplice estensione di un fenomeno che ci è estremamente familiare e che, per ciò soltanto, noi consideriamo perfettamente conosciuto: la pesantezza dei corpi e la superficie della terra. Il determinare che cosa siano in se stesse «attrazione» e «pesantezza», quali ne siano le cause, sono questi i problemi, a cui guardiamo come insolubili, che non appartengono al dominio della filosofia positiva e che noi abbandoniamo con ragione all’immaginazione dei teologi o alle sottigliezze dei metafisici. La prova manifesta della impossibilità di raggiungere soluzioni di questo genere è che tutte le volte che si è cercato di dire a questo riguardo qualcosa di veramente razionale i maggiori spiriti non hanno potuto far altro che definire questi due principi l’uno per mezzo dell’altro dicendo, per quanto riguarda l’attrazione, che essa altro non è che un peso universale e poi, per il peso, che esso consiste semplicemente nell’attrazione terrestre. Spiegazioni di questo genere, che fanno sorridere quando si pretende di conoscere la natura intima delle cose ed il modo in cui vengono generati i fenomeni, sono tuttavia tutto ciò che noi possiamo ottenere di più soddisfacente, in quanto ci mostrano come identici due ordini di fenomeni che sono stati così a lungo considerati come non aventi alcun rapporto tra loro. Nessuno spirito sano cerca oggi di andare più a fondo.
2) Edmond e Jules DE GONCOURT, la Prefazione a Germinie Lacerteux (1864)
La Prefazione, datata ottobre 1864, è uno dei primi e più significativi "manifesti"del Naturalismo francese. Il romanzo, uscito nel 1865, è la storia di una serva, malata di isteria, che si degrada progressivamente, fino alla morte, per una passione amorosa. Fu ispirato ad un caso vero, quello di una domestica dei due fratelli. Nel ricostruire la vicenda, essi si fondano su una rigorosa documentazione: si tratta dunque di un «documento umano», una formula che avrà poi molta fortuna nel Naturalismo.
Dobbiamo chiedere scusa al pubblico per questo libro che gli offriamo e avvertirlo di quanto vi troverà. Il pubblico ama i romanzi falsi: questo è un romanzo vero.
Ama i romanzi che dànno l’illusione di essere introdotti nel gran mondo: questo libro viene dalla strada.
Ama le operette maliziose, le memorie di fanciulle, le confessioni d’alcova, le sudicerie erotiche, lo scandalo racchiuso in un’illustrazione nelle vetrine di librai: il libro che sta per leggere è severo e puro. Che il pubblico non si aspetti la fotografia licenziosa del Piacere: lo studio che segue è la clinica dell’Amore.
Il pubblico apprezza ancora le letture anodine e consolanti, le avventure che finiscono bene, le fantasie che non sconvolgono la sua digestione né la sua serenità: questo libro, con la sua triste e violenta novità, è fatto per contrariare le abitudini del pubblico, per nuocere alla sua igiene.
Perché mai dunque l’abbiamo scritto? Proprio solo per offendere il lettore e scandalizzare i suoi gusti? No.
Vivendo nel diciannovesimo secolo, in un’epoca di suffragio universale, di democrazia, di liberalismo, ci siamo chiesti se le cosiddette «classi inferiori» non abbiano diritto al Romanzo; se questo mondo sotto un mondo, il popolo, debba restare sotto il peso del «vietato» letterario e del disdegno degli autori che sino ad ora non hanno mai parlato dell’anima e del cuore che il popolo può avere. Ci siamo chiesti se possano ancora esistere, per lo scrittore e per il lettore, in questi anni d’uguaglianza che viviamo, classi indegne, infelicità troppo terrene, drammi troppo mal recitati, catastrofi d’un terrore troppo poco nobile. Ci ha presi la curiosità di sapere se questa forma convenzionale di una letteratura dimenticata e di una società scomparsa, la Tragedia, sia definitivamente morta; se, in un paese senza caste e senza aristocrazia legale, le miserie degli umili e dei poveri possano parlare all’interesse, all’emozione, alla pietà, tanto quanto le miserie dei grandi e dei ricchi; se, in una parola, le lacrime che si piangono in basso possano far piangere come quelle che si piangono in alto.
Queste meditazioni ci hanno indotto a tentare l’umile romanzo di Suor Filomena, nel 1861; e adesso ci inducono a pubblicare Le due vite di Germinia Lacerteux.
Ed ora, questo libro venga pure calunniato: poco c’importa. Oggi che il Romanzo si allarga e ingrandisce, e comincia ad essere la grande forma seria, appassionata, viva, dello studio letterario e della ricerca sociale, oggi che esso diventa, attraverso l’analisi e la ricerca psicologica, la Storia morale contemporanea, oggi che il Romanzo s’è imposto gli studi e i compiti della scienza, può rivendicarne la libertà e l’indipendenza. Ricerchi dunque l’Arte e la Verità; mostri miserie tali da imprimersi nella memoria dei benestanti di Parigi; faccia vedere alla gente della buona società quello che le dame di carità hanno il coraggio di vedere, quello che una volta le regine facevano sfiorare appena con gli occhi, negli ospizi, ai loro figli: la sofferenza umana, presente e viva, che insegna la carità; il Romanzo abbia quella religione, che il secolo scorso chiamava con il nome largo e vasto di Umanità; basterà questa coscienza: ecco il suo diritto.
3) Emile ZOLA, la Prefazione al romanzo Thérèse Raquin (1867)
La vicenda narrata dal romanzo (1867) è la seguente: Thérèse, insoddisfatta del marito, debole e malaticcio, spinge l’amante Laurent a ucciderlo, gettandolo nel fiume. I due assassini, però sono ossessionati dal loro delitto, e finiscono per darsi insieme alla morte. Al suo apparire, il romanzo aveva suscitato molto scandalo. Nella Prefazione premessa alla seconda edizione, nel 1868, Zola mira a difendere il suo lavoro dalle accuse velenose rivoltegli dalla critica, che aveva additato il romanzo come opera profondamente immorale e oscena, compiaciuta di turpitudini e sozzure. Lo scrittore espone invece i propositi puramente scientifici che lo hanno mosso.
In Thérèse Raquin ho voluto studiare indoli, non caratteri: in ciò è tutta l’essenza del libro. Ho scelto personaggi dominati superlativamente dai nervi e dal sangue, privi di libero arbitrio, sospinti in ogni atto della vita dalla fatalità della loro carne. Teresa e Lorenzo sono due esseri bestiali e null’altro. In questi due bruti ho voluto seguire, a passo a passo, il sordo travaglio delle passioni, gli impulsi dell’istinto, i turbamenti cerebrali che susseguono a tutte le crisi nervose. Gli amori dei miei due protagonisti non sono che la soddisfazione di un bisogno; il delitto che essi commettono è una conseguenza del loro adulterio, conseguenza che essi accettano supinamente, come il lupo considera normale sbranare le pecore; ciò che, infine, sono stato costretto a chiamare rimorso non è il loro che un semplice disordine organico, una reazione del sistema nervoso troppo teso. L’anima è perfettamente assente, ne convengo, poiché ho voluto proprio che così fosse.
Si comincerà a capire, spero, che il mio scopo è stato essenzialmente scientifico. Quando ho creato i miei due personaggi, Teresa e Lorenzo, ho voluto porre e risolvere determinati problemi: così ho cercato di spiegare lo strano connubio a cui da luogo l’incontro di due temperamenti diversi, e ho messo in rilievo i profondi turbamenti di una natura sanguigna a contatto con una natura nervosa. Si legga il romanzo con attenzione, e si vedrà che ogni capitolo è lo studio di uno strano caso di fisiologia. In una parola, non mi sono proposto che questo: dato un uomo vigoroso e una donna insoddisfatta, cercare in loro la bestia, non veder altro che la bestia, inserire entrambi in un dramma violento, e annotare scrupolosamente le sensazioni e gli atti di questi due esseri. In definitiva, ho fatto su due corpi vivi il lavoro di analisi che i chirurghi fanno sui cadaveri. […]
Quando ho scritto Teresa Raquin mi sono appartato dal mondo e ho copiato, con minuziosa esattezza, la vita, dedicandomi esclusivamente all’analisi del meccanismo umano: vi assicuro che gli amori crudeli di Teresa e di Lorenzo non avevano per me nulla d’immorale, nulla che possa spingere a turpi passioni. […]
Mi sono, quindi, veramente sorpreso quando ho sentito definire la mia opera una pozza di fango e di sangue, un pattumaio, una fogna, e via di seguito. Conosco l’amabile gioco della critica perché l’ho fatto anch’io, ma confesso che l’insieme del coro mi ha un po’ sconcertato. Ma come! Non c’è stato neanche uno dei miei colleghi che abbia spiegato il libro, non dico difeso! Fra le tante voci che gridavano: «L’autore di Thérèse Raquin è un miserabile isterico che si compiace di pornografia», ne ho invano attesa una che dicesse: «No, questo scrittore non è altro che un analista, e ha potuto anche smarrirsi nel marciume umano, ma vi si è perduto come succede a un medico davanti al tavolo anatomico».
[…] Non vi sono, ai giorni nostri, più di due o tre uomini capaci di leggere, comprendere e giudicare un libro. Da costoro io accetto di ricevere lezioni convinto ch’essi non parlano senza prima aver penetrate le mie intenzioni e valutati i risultati dei miei sforzi. Essi si guarderebbero bene dal pronunciare le grandi vuote parole di moralità e di pudore letterario, e mi riconoscerebbero il diritto, in questi tempi di libertà dell’arte, di scegliere i soggetti dove meglio mi pare, senza pretendere altro che opere coscienziose, poiché essi sanno bene che solo la stupidità nuoce alla dignità della letteratura. Sono sicuro, quindi, che l’analisi scientifica tentata in Thérèse Raquin non li sorprenderebbe: essi vi riconoscerebbero il metodo moderno, lo strumento di indagine universale di cui il secolo si serve con tanto fervore per penetrare l’avvenire. A qualunque conclusione dovessero giungere, ammetterebbero il mio punto di partenza: lo studio dei caratteri e delle profonde modificazioni dell’organismo sotto l’influsso dell’ambiente e delle circostanze. Mi troverei di fronte a veri giudici, a uomini che in buona fede ricercano il vero, scevri di puerilità o di falso pudore, che non si sentirebbero in dovere di apparire disgustati davanti a pezzi anatomici nudi e viventi. Lo studio sincero purifica tutto, come il fuoco.
4) Emile ZOLA, la Prefazione ai Rougon-Macquart (1871)
Zola concepì il progetto di un ciclo di romanzi che doveva prendere in esame tutti gli strati della società attraverso le vicende di vari personaggi, tutti appartenenti allo stesso ceppo familiare, ineluttabilmente condizionato da malattie e vizi ereditari. Nacquero così I Rougon-Macquart, storia naturale e sociale di una famiglia sotto il secondo impero (Les Rougon-Macquart, histoire naturelle et sociale d'une famille sous le Second Empire). Il ciclo fu iniziato nel 1871 con La fortuna dei Rougon (La fortune des Rougon), comprese 20 volumi, e si concluse nel 1893 con Il dottor Pascal (Docteur Pascal). Nell'introduzione l'Autore illustra il progetto narrativo di una rappresentazione della società contemporanea "scientifica", in quanto studiata nelle sue determinazioni genetiche e sociali, oltre che nelle determinazioni dovute all'ambiente e al tempo storico, individuate come altrettante "leggi" e ben illustrate già a partire dal titolo e sottotitolo dell'opera.
Io voglio spiegare come una famiglia, un piccolo gruppo di persone, si comporta in una società, sviluppandosi per dar vita a dieci, a venti individui che, a prima vista, sembrano profondamente diversi, ma che, analizzati, si rivelano intimamente connessi gli uni agli altri. Come in fisica la gravità, così l'eredità ha le sue leggi. Cercherò di scoprire e di seguire, tenendo conto della duplice azione dei temperamenti individuali e degli ambienti sociali, il filo che conduce con certezza matematica da un uomo ad un altro uomo. E quando terrò in mano tutti i fili, quando avrò studiato a fondo tutto un gruppo sociale, farò vedere questo gruppo in azione come forza motrice di un'epoca storica, lo raffigurerò in tutta la complessità dei suoi sforzi, analizzerò, nello stesso tempo, la somma delle volontà di ciascuno dei suoi membri e l'impulso generale dell'insieme.
I Rougon-Macquart, il gruppo, la famiglia che mi propongo di studiare, ha come tratto caratteristico l'eccesso degli appetiti, l'ampia tendenza ascensionale della nostra epoca che tende freneticamente al piacere. Dal punto di vista fisiologico, si tratta del lento succedersi degli accidenti nervosi e sanguigni che si rivelano in una razza, in conseguenza di un'originaria lesione organica, e che in ciascuno degli individui di questa stirpe determinano, a seconda dei diversi ambienti, i sentimenti, i desideri, le passioni, tutte le manifestazioni umane, naturali e istintive, i cui prodotti si sogliono chiamare «virtù» e «vizi». Dal punto di vista storico, questi individui partono dal popolo, s'irradiano in tutta la società contemporanea, raggiungono tutte le posizioni, in seguito a quell'impulso essenzialmente moderno che spinge le classi inferiori a salire entro la società, e costituiscono così la storia del Secondo Impero come sintesi dei loro drammi individuali, dal tranello del colpo di Stato fino al tradimento di Sedan.
Da tre anni a questa parte io raccoglievo i documenti per questa vasta opera, e il presente volume era già scritto, quando la caduta dei Bonaparte, della quale avevo bisogno come scrittore, e che sempre, fatalmente, io immaginavo come conclusione del dramma, senza osar di sperare che fosse così vicina ad accadere, è sopraggiunta a porgermi lo scioglimento terribile e necessario della mia opera. Da oggi essa è completa; si muove entro un circolo chiuso; diviene la raffigurazione di un regno estinto, di un'epoca eccezionale di follia e di vergogna. Quest'opera, che comprenderà numerosi episodi, è dunque, nella mia concezione, la storia naturale e sociale d'una famiglia sotto il Secondo Impero.
4) Emile ZOLA, brani tratti da Il romanzo sperimentale (1880)
Nel secolo scorso un'applicazione più esatta del metodo sperimentale fa sorgere la chimica e la fisica che si liberano degli elementi irrazionali e soprannaturali. Si scopre, grazie all'analisi, che vi sono leggi immutabili; si diventa padroni dei fenomeni. Poi un nuovo passo è compiuto. Gli organismi viventi, nei quali i vitalisti ammettevano una forza misteriosa, sono a loro volta ricondotti entro il meccanicismo che regola tutta la materia. La scienza prova che le condizioni di esistenza di un fenomeno sono le stesse negli organismi viventi e nei corpi bruti; ed allora la fisiologia assume a poco a poco la certezza della chimica e della fisica. Ma ci si fermerà a questo punto? Certamente no. Quando avremo provato che il corpo dell’uomo è una macchina di cui un giorno si potranno smontare e rimontare gli ingranaggi a piacimento dello sperimentatore, si dovrà ben passare alle manifestazioni passionali ed intellettuali dell'uomo. Da quel momento entreremo nel dominio che, fino ad ora, apparteneva alla filosofia ed alla letteratura; sarà la conquista decisiva, da parte della scienza, delle ipotesi dei filosofi e degli scrittori. Vi sono la fisica e la chimica sperimentali; vi sarà la fisiologia sperimentale e, più tardi ancora, si avrà il romanzo sperimentale. Si tratta di un progressione inevitabile ed è facile prevederne fin da ora il termine finale. Tutto è collegato, bisognava partire dal determinismo dei corpi inanimati per arrivare al determinismo degli organismi viventi; e poiché scienziati come Claude Bernard (illustre fisiologo, morto nel 1878, introdusse il metodo sperimentale nella fisiologia) dimostrano ora che leggi immutabili regolano il corpo umano, si può annunciare, senza timore di ingannarsi, il momento in cui a loro volta saranno formulate le leggi del pensiero e delle passioni. Un identico determinismo deve regolare il ciottolo della strada ed il cervello dell'uomo. […]
Da quel momento la scienza entra dunque nel terreno che appartiene a noi romanzieri che, ora, analizziamo l'uomo nella sua azione individuale e sociale. Con le nostre osservazioni ed i nostri esperimenti portiamo avanti il lavoro del fisiologo, il quale ha portato avanti quello del fisico e del chimico. In qualche modo facciamo della psicologia scientifica per completare la fisiologia scientifica e, per condurre a termine l'evoluzione, non dobbiamo fare altro che utilizzare nei nostri studi sulla natura e sull'uomo lo strumento decisivo del metodo sperimentale. In una parola, dobbiamo operare sui caratteri, sulle passioni, sui fatti umani e sociali come il fisico ed il chimico operano sui corpi inanimati e come il fisiologo opera sugli organismi viventi. II determinismo regola l'intera natura. L'investigazione scientifica, il procedimento sperimentale combattono ad una ad una le congetture degli idealisti e sostituiscono i romanzi di pura immaginazione con i romanzi di osservazione e di esperimento.
Certamente non ho qui l’intenzione di formulare leggi. Allo stato attuale della scienza dell’uomo, la confusione e l’oscutirà sono ancora troppo grandi perché si tenti anche la più piccola sintesi. Tutto quel che si può dire è che un determinismo assoluto regola tutti i fenomeni umani. Perciò l’investigazione scientifica è un dovere. [...]
Senza arrischiarmi a formulare leggi, ritengo che il fattore ereditario abbia una grande influenza sulle manifestazioni intellettuali e passionali dell’uomo; do anche un'importanza considerevole all'ambiente. Occorrerebbe affrontare le teorie Darwin ma questo non è che uno studio generale sul metodo sperimentale applicato al romanzo e mi perderei se volessi entrare nei dettagli. Dirò solamente una parola sugli ambienti. Abbiamo visto l'importanza decisiva data da Claude Bernard allo studio dell'ambiente infra-organico, di cui occorre tener conto, se si vuole trovare il determinismo dei fenomeni negli organismi viventi. Ebbene, nello studio di una famiglia, di un gruppo di organismi viventi, credo che l'ambiente sociale abbia parimenti una importanza capitale. Un giorno probabilmente la fisiologia ci spiegherà il meccanismo del pensiero e delle passioni; sapremo come funziona la macchina individuale dell’uomo, come pensa, come ama, come procede dalla ragione alla passione ed alla follia; ma questi fenomeni, queste risposte del meccanismo organico all'influenza dell'ambiente interno non si manifestano all'esterno isolatamente e nel vuoto. L'uomo non è solo ma vive in una società, in un ambiente sociale e perciò per noi romanzieri questo ambiente sociale modifica continuamente i fenomeni. Anche il nostro grande studio ha in ciò il suo centro: nell'azione reciproca della società sull'individuo e dell'individuo sulla società, Per il fisiologo, l'ambiente esterno e l'ambiente interno sono unicamente chimici e fisici, il che gli permette di trovarne facilmente le leggi. Non siamo ancora in condizione di poter provare che l'ambiente sociale o non sia anche esso, che chimico e fisico. Lo è certamente o piuttosto è il prodotto variabile di un gruppo di esseri viventi, i quali, sono totalmente sottoposti alle leggi fisiche e chimiche che regolano allo stesso modo gli organismi viventi ed i corpi inanimati. Perciò vedremo che si può agire sull'ambiente sociale agendo sui fenomeni di cui ci si sia resi padroni nell'uomo. E ciò costituisce il romanzo sperimentale: possedere il meccanismo dei fenomeni umani, mettere in luce gli ingranaggi delle manifestazioni passionali ed intellettuali quali li spiegherà la fisiologia, sotto le influenze dell'ereditarietà e delle circostanze ambientali, poi mostrare l'uomo mentre vive nell'ambiente sociale che lui stesso ha prodotto, che quotidianamente modifica ed in seno al quale subisce a sua volta una continua trasformazione. Perciò dunque basiamo il nostro lavoro sulla fisiologia, prendendo, dalle mani del fisiologo, l'uomo isolato, per contribuire alla soluzione del problema e risolvere su basi scientifiche l'interrogativo circa i comportamenti degli uomini non appena vivono in società. [...] Lo scopo del metodo sperimentale in fisiologia ed in medicina è di studiare i fenomeni per divenirne padroni. […]
Dunque questo è lo scopo, questa è la moralità della fisiologia e della medicina sperimentali: divenire padroni della vita per dirigerla. Supponiamo che la scienza abbia proceduto nel suo cammino e che la conquista di ciò che è sconosciuto sia compiuta: l'età scientifica che Claude Bernard ha sognato sarà realizzata. Allora il medico sarà padrone delle malattie; guarirà infallibilmente agendo sul corpo umano per la felicità ed il vigore della specie. Si entrerà in un secolo in cui l'uomo, divenuto onnipotente, avrà soggiogato la natura utilizzandone le leggi per far regnare su questa terra tutta la giustizia e la libertà possibili. Non vi è scopo più nobile, più elevato, più grande. In esso consiste il nostro compito di esseri intelligenti: penetrare il come delle cose per dominarle e ridurle allo stato di meccanismi ubbidienti.
Ebbene, questo sogno del fisiologo e del medico sperimentale è anche quello del romanziere che applica allo studio dell'uomo nella natura e nella società il metodo sperimentale. Il nostro scopo è il medesimo; anche noi vogliamo essere padroni dei fenomeni della vita intellettuale e passionale, per poterli guidare. In una parola siamo dei moralisti sperimentali che mettono in luce mediante l'esperimento come si comporta una passione in un dato ambiente sociale. Il giorno in cui ci impadroniremo del suo meccanismo, si potrà curarla e placarla o almeno renderla il più inoffensiva possibile. in che consistono l’utilità pratica e la elevata moralità delle nostre opere naturalistiche, che sperimentano sull’uomo, che e rimontano pezzo per pezzo la macchina umana farla funzionare sotto l’influenza dei vari ambienti. Col procedere del tempo, col divenire padroni delle leggi, si tratterà soltanto di agire sugli individui e sugli ambienti, se si vuole arrivare allo stato sociale migliore. In tal modo facciamo della sociologia pratica ed il nostro lavoro avvantaggia le scienze politiche ed economiche. Non conosco, lo ripeto, un lavoro più nobile, né una più ampia applicazione. Essere in grado di controllare il ben e il male, regolare la vita, guidare la società, risolvere alla lunga tutti i problemi del socialismo, conferire soprattutto solide basi alla giustizia dando una risposta con l’esperimento ai problemi della criminalità, non è forse essere gli operai più utili e più morali del lavoro umano? […]
Ne risulta ben definito il ruolo morale del romanziere sperimentale. Ho detto spesso che non dobbiamo trarre una conclusione dalle nostre opere, e cioè che esse hanno in se stesse la loro conclusione. Uno sperimentatore non deve trarre conclusioni perché giustamente l'esperimento conclude per lui. Se occorre, ripeterà cento volte l'esperimento davanti al pubblico, ne darà spiegazione, ma non dovrà indignarsi o approvare personalmente: questa è la verità, questo è il meccanismo dei fenomeni, spetta alla società di perpetuare quel fenomeno o di cancellarlo, secondo che il risultato sia utile o dannoso. Come ho detto altrove, è inconcepibile uno scienziato che si arrabbia con l'azoto perché esso impedisce la vita; egli si limita ad eliminare l'azoto, quando è nocivo.
Poiché non abbiamo lo stesso potere di questo scienziato e siamo degli sperimentatori che non operano praticamente, dobbiamo accontentarci di individuare il determinismo dei fenomeni sociali, lasciando ai legislatori la cura di intervenire, presto o tardi, a dirigere questi fenomeni, in modo da aumentare il numero dei buoni e ridurre quello dei malvagi, in vista dell'utile dell'umanità