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La vita
Nasce a Catania il 2 settembre del 1840 in una famiglia di agiate condizioni economiche e di origine nobiliare. Ad undici anni inizia gli studi alla scuola di Antonino Abate, letterario e patriota, e, poi, del canonico Mario Torrisi. Il tipo di educazione ricevuta è, sul piano politico, patriottica risorgimentale e, sul piano letterario, sostanzialmente romantica. Nel 1863 il periodico fiorentino "Nuova Europa" pubblica a puntate il romanzo Sulle lagune. Una peccatrice (1866) e Storia di una capinera (1871).
Nel 1865 si stabilisce a Firenze dove frequenta l'ambiente letterario di Francesco Dall'Ongaro, giornalista, professore di letteratura drammatica e autore del noto testo teatrale «Il fornaretto di Venezia». Conosce i poeti Giovanni Prati e Aleardo Aleardi e la scrittrice Caterina Percoto, autrice di racconti di ambiente paesano. Diventa autore di uccesso dapprima con il romanzo Una peccatrice (1866) e quindi con Storia di una capinera edita nel 1871. Fondamentale, negli anni fiorentini, è l'incontro con Luigi Capuana con il quale inizia un rapporto d'amicizia e un sodalizio letterario. Così scriveva ai familiari: «Firenze è davvero il centro della vita politica e intellettuale d’Italia; qui si vive in un'altra atmosfera.»
Nel 1872 si trasferisce a Milano, città in cui sono vivacissimi gli scambi letterari: nasce in quegli anni la Scapigliatura; sono attivi, negli stessi anni, Giuseppe Giacosa e Federico De Roberto. Tra il 1873 e il 1876 escono i romanzi Eva, Tigre reale, Eros, la raccolta di novelle Primavera e altri racconti, e, nel 1874, il bozzetto di ambiente siciliano Nedda in cui, per la prima volta, la tematica mondana viene abbandonata. Nella seconda metà degli anni Settanta la sua scrittura diventa una scrittura narrativa come "ricerca di verità". Nel 1877 Capuana inizia una battaglia letteraria per il Verismo e comincia a scrivere il romanzo Giacinta che appunto a quella poetica si ispira.
Nel 1881, preceduto dalle novelle di Fantasticheria (1880) e di Vita dei campi (1878), appare I Malavoglia, nello stesso anno in cui appare Malombra di Fogazzaro. L'imprevisto insuccesso del romanzo denota la preferenza dei lettori che tende verso il clima letterario creato dai romanzi di quest'ultimo.
Nel 1893 si ritira nella sua Catania dopo aver vinto una causa (contro il musicista Pietro Mascagni) per i diritti d'autore di Cavalleria rusticana: la cifra, cospicua, gli permette di ripianare i debiti.
Nel 1894 si stabilisce definitivamente a Catania, con brevi soggiorni a Milano e a Roma dove, nel 1895 si incontra, insieme a Capuana, con Zola, maestro del Naturalismo francese.
Con l'andare degli anni si fa sempre più vivo in lui l'interesse per le vicende politiche: fedele alle sue idealità patriottiche e unitarie, si oppone al movimento separatista dei "Fasci siciliani" e nel 1896 si fa sostenitore della necessità, per l'Italia, di una rivincita africana e di una più incisiva politica coloniale. Nel 1911 accoglie con entusiasmo la decisione della campagna libica e nel 1912 aderisce al partito nazionalista.
Negli anni che precedono la prima guerra mondiale, in un clima letterario che continua a preferire autori del post–verismo, le opere di Verga perdono interesse, ma dopo la guerra, in seguito al saggio "Giovanni Verga" di Luigi Russo (1919), il riconoscimento dei suoi meriti si fa sempre più largo e unanime e l'arte verghiana comincia ad essere apprezzata in quello che ha di più originale e di più vivo.
Nel 1920 è solennemente festeggiato a Roma e a Catania in occasione del suo ottantesimo compleanno: le onoranze hanno il loro coronamento nella nomina a senatore il 3 ottobre. Muore a Catania il 27 gennaio 1922, colto da una paralisi cerebrale.
L'attività letteraria
L'attività letteraria di Verga può essere divisa in tre fasi:
- la narrativa storico-patriottica degli esordi;
- i romanzi mondani;
- la produzione verista.
Fondamentale nel suo cambiamento di interessi fu l'abbandono dell'isola nel 1869, quando Verga partì per Firenze. Introdotto dal poeta Francesco Dall'Ongaro nella buona società cittadina, si dedicò allo studio della vita borghese che aveva davanti agli occhi, con un particolare interesse per le figure femminili e le vicende sentimentali, come si può capire dai titoli dei romanzi che scrisse in questo secondo periodo "mondano": Una peccatrice (1866), Eva (1873), Eros (1875). Grande successo riscosse in particolare Storia di una capinera (1871), il racconto della monacazione forzata della protagonista che, innamorata del marito della sorella, muore in preda alla disperazione.
La svolta letteraria si può datare al 1874, l'anno in cui fu pubblicata una novella intitolata Nedda, definita dall'autore un "bozzetto siciliano". L'ambiente non è più urbano ma rurale; la storia non è più ambientata al Nord ma in Sicilia; i protagonisti sono umili contadini. Anche qui protagonista della vicenda è una donna, ma la sua situazione è tragica e concreta, non astratta e sentimentale. Da quel momento in poi la Sicilia contadina con la sua antica cultura fu al centro del lavoro dello scrittore catanese, sia nelle novelle, sia nei romanzi.
I due volumi di racconti Vita dei campi (1880) e Novelle rusticane (1883) contengono alcuni dei capolavori verghiani, testi divenuti celebri come La lupa, La roba (storia di Mazzarò, un contadino diventato proprietario terriero ma rimasto vecchio e solo, ridotto alle soglie della pazzia), Rosso Malpelo (un ragazzo destinato a lavorare e a morire in miniera, ricalcando il tragico destino del padre), Cavalleria rusticana (racconto di un duello mortale scatenato dalla gelosia).
I romanzi della maturità
I Malavoglia (1881) racconta la storia di una famiglia di pescatori che vive e lavora ad Aci Trezza, un piccolo paese vicino a Catania. Protagonista del romanzo è tutto il paese, fatto di personaggi uniti da una stessa cultura ma divisi da antiche rivalità.
Grazie a una scrittura sapiente che riproduce alcune caratteristiche del dialetto e che riesce ad adattarsi ai diversi punti di vista dei vari personaggi, il romanzo crea l'illusione che a parlare sia il mondo raccontato, rinunciando così alla presenza in "prima linea" dell'autore.
Mastro-don Gesualdo (1889), invece, mette in risalto la storia del protagonista che dà il titolo al romanzo. Di origini modeste, Gesualdo riesce a vincere il suo destino di miseria e diventa ricco. Il matrimonio con la nobile Bianca Trao non cancella la sua modesta estrazione sociale: persino la figlia Isabella si vergogna del padre. Rimasto solo, Gesualdo muore nel palazzo ducale di Palermo, abbandonato dai suoi e ignorato dalla servitù che si prende gioco di lui.
Anche qui l'ambiente è siciliano (il romanzo è ambientato a Vizzini) e la lingua rispecchia in modo tecnicamente molto raffinato la realtà che fa da sfondo al romanzo.
Fu un insuccesso inatteso e Verga, amareggiato, si ritirò a Catania abbandonando la scrittura. Il progettato "ciclo dei vinti", cioè coloro che nella lotta per l'esistenza sono destinati ad essere sconfitti, che prevedeva altri tre romanzi ambientati a un livello sociale progressivamente superiore (La duchessa di Leyra, L'onorevole Scipioni e L'uomo di lusso), restò così incompiuto.
Il successo arrivò a Verga per altre vie.
- Cavalleria rusticana, di cui lo stesso Verga elaborò una versione teatrale (rappresentata nel 1884 con discreto consenso di pubblico), fu musicata da Pietro Mascagni (1890) e fu un successo che continua tutt'ora.
- I Malavoglia offrirono lo spunto per il film La terra trema (1948) di Luchino Visconti, momento importante del cinema neorealista.
- Oggi tutti gli studiosi di letteratura sono unanimi nel riconoscere allo scrittore siciliano grandissima statura narrativa.
I Malavoglia
E' il primo romanzo del "Ciclo dei vinti" rimasto incompiuto, in cui lo scrittore manifesta la sua visione amara della vita. Il romanzo narra le disavventure di una famiglia umile di pescatori di Acitrezza (Catania) che cerca di migliorare le sue condizioni economiche. «I Malavoglia» raccontano la storia amara di una sconfitta nella quale si esprime il pessimismo radicale di Verga. Non c’è speranza di cambiamento per gli oppressi, soggetti ad una legge di natura, quella della vittoria del più forte e della selezione naturale, che essi non possono controllare. E questa condizione degli umili diventa emblematica di quella dell’intera umanità. L’unico valore positivo che si afferma nel mondo verghiano è quello della dignità umile ed eroica con cui l’uomo sopporta il proprio destino, rinunciando a inutili ribellioni.
Questo racconto è lo studio sincero e spassionato del come probabilmente devono nascere e svilupparsi nelle più umili condizioni le prime irrequietudini pel benessere; e quale perturbazione debba arrecare in una famigliuola, vissuta sino allora relativamente felice, la vaga bramosìa dell'ignoto, l'accorgersi che non si sta bene, o che si potrebbe star meglio.
Il movente dell'attività umana che produce la fiumana del progresso è preso qui alle sue sorgenti, nelle proporzioni più modeste e materiali. Il meccanismo delle passioni che la determinano in quelle basse sfere è meno complicato, e potrà quindi osservarsi con maggior precisione. Basta lasciare al quadro le sue tinte schiette e tranquille, e il suo disegno semplice. Man mano che cotesta ricerca del meglio di cui l'uomo è travagliato cresce e si dilata, tende anche ad elevarsi e segue il suo moto ascendente nelle classi sociali. Nei "Malavoglia" non è ancora che la lotta pei bisogni materiali. Soddisfatti questi, la ricerca diviene avidità di ricchezze, e si incarnerà in un tipo borghese, "Mastro-don Gesualdo", incorniciato nel quadro ancora ristretto di una piccola città di provincia, ma del quale i colori cominceranno ad essere più vivaci, e il disegno a farsi più ampio e variato. Poi diventerà vanità aristocratica nella "Duchessa de Leyra"; e ambizione nell'"Onorevole Scipioni", per arrivare all'"Uomo di lusso", il quale riunisce tutte coteste bramosìe, tutte coteste vanità, tutte coteste ambizioni, per comprenderle e soffrirne, se le sente nel sangue, e ne è consunto. A misura che la sfera dell'azione umana si allarga, il congegno della passione va complicandosi; i tipi si disegnano certamente meno originali, ma più curiosi, per la sottile influenza che esercita sui caratteri l'educazione, ed anche tutto quello che ci può essere di artificiale nella civiltà. Persino il linguaggio tende ad individualizzarsi, ad arricchirsi di tutte le mezze tinte dei mezzi sentimenti, di tutti gli artifici della parola onde dar rilievo all'idea, in un'epoca che impone come regola di buon gusto un eguale formalismo per mascherare un'uniformità di sentimenti e d'idee. Perché la produzione artistica di cotesti quadri sia esatta, bisogna seguire scrupolosamente le norme di questa analisi; esser sinceri per dimostrare la verità, giacché la forma è così inerente al soggetto, quanto ogni parte del soggetto stesso è necessaria alla spiegazione dell'argomento generale.
Il cammino fatale, incessante, spesso faticoso e febbrile che segue l'umanità per raggiungere la conquista del progresso, è grandioso nel suo risultato, visto nell'insieme, da lontano. Nella luce gloriosa che l'accompagna dileguandosi le irrequietudini, le avidità, l'egoismo, tutte le passioni, tutti i vizi che si trasformano in virtù, tutte le debolezze che aiutano l'immane lavoro, tutte le contraddizioni, dal cui attrito sviluppasi la luce della verità. Il risultato umanitario copre quanto c'è di meschino negli interessi particolari che lo producono; li giustifica quasi come mezzi necessari a stimolare l'attività dell'individuo cooperante inconscio a beneficio di tutti. Ogni movente di cotesto lavorìo universale, dalla ricerca del benessere materiale alle più elevate ambizioni, è legittimato dal solo fatto della sua opportunità a raggiungere lo scopo del movimento incessante; e quando si conosce dove vada quest'immensa corrente dell'attività umana, non si domanda al certo come ci va. Solo l'osservatore, travolto anch'esso dalla fiumana, guardandosi intorno, ha il diritto di interessarsi ai deboli che restano per via, ai fiacchi che si lasciano sorpassare dall'onda per finire più presto, ai vinti che levano le braccia disperate, e piegano il capo sotto il piede brutale dei sovravvegnenti, i vincitori d'oggi, affrettati anch'essi, avidi anch'essi d'arrivare, e che saranno sorpassati domani.
I "Malavoglia", "Mastro-don Gesualdo", la "Duchessa de Leyra", l'"Onorevole Scipioni", l'"Uomo di lusso" sono altrettanti vinti che la corrente ha deposti sulla riva, dopo averli travolti e annegati, ciascuno colle stimate del suo peccato, che avrebbero dovuto essere lo sfolgorare della sua virtù. Ciascuno, dal più umile al più elevato, ha avuta la sua parte nella lotta per l'esistenza, pel benessere, per l'ambizione - dall'umile pescatore al nuovo arricchito - alla intrusa nelle alte classi - all'uomo dall'ingegno e dalle volontà robuste, il quale si sente la forza di dominare gli altri uomini, di prendersi da sé quella parte di considerazione pubblica che il pregiudizio sociale gli nega per la sua nascita illegale; di fare la legge, lui nato fuori della legge - all'artista che crede di seguire il suo ideale seguendo un'altra forma dell'ambizione. Chi osserva questo spettacolo non ha il diritto di giudicarlo; è già molto se riesce a trarsi un istante fuori del campo della lotta per studiarla senza passione, e rendere la scena nettamente, coi colori adatti, tale da dare la rappresentazione della realtà com'è stata, o come avrebbe dovuto essere.
Milano, 19 gennaio 1881.
Il centro di tutto è una barca da pesca: la tartana dei Malavoglia chiamata "Provvidenza". La "Provvidenza" è la barca più vecchia del villaggio, ma aveva il nome di buon augurio. Era anche essa una persona nella famiglia esemplare dei Malavoglia, la più onesta e compatta del paese.
Intorno al gran tronco, il nonno Padron 'Ntoni, testa della casa, si stringono altre sette persone appartenenti a tre generazioni. Padron 'Ntoni e la Provvidenza sono i due poli di quel mondo domestico. Quando il maggiore dei nipoti, 'Ntoni, è tolto al lavoro per la leva di mare, il nonno tenta un affare, compra a credito una grossa partita di lupini, li carica sulla barca e li affida al figlio Bastianazzo perché li vada a vendere a Riposto. La barca di notte naufraga, Bastianazzo annega, i lupini sono perduti. La "Provvidenza" è gettata inutile sulla spiaggia. A Padron 'Ntoni rimane il debito dei lupini.
Dopo quella triplice sciagura, tutto sembra accanirsi contro i Toscano-Malavoglia: Luca, il secondo dei nipoti, muore nella battaglia di Lissa; Maruzza, la nuora, muore nel colera del '67. Il debito dei lupini si mangia la casa, la cara «casa del nespolo» che era l'orgoglio, la ragione di vita del vecchio; e già il debito aveva impedito le nozze della nipote, la Mena, creatura di silenzio e sacrificio. Non è finita: un nuovo naufragio della "Provvidenza" rattoppata lascia Padron 'Ntoni inabile al lavoro. Il primogenito 'Ntoni, che da quando ha fatto servizio militare in continente non si rassegna alla miseria dei pescatori, si dà al contrabbando e finisce in galera dopo aver ferito un doganiere. Lia, la sorella minore, abbandona il paese e non torna più. Mena dovrà rinunciare a sposarsi con compare Alfio e rimarrà in casa ad accudire i figli di Alessi, il minore dei fratelli, che continuando a fare il pescatore, ricostruirà la famiglia e potrà ricomprare la «casa del nespolo» che era stata venduta.
Quando 'Ntoni, uscito di prigione, torna al paese, si rende conto di non poter restare perché si sente indegno del focolare domestico di cui ha profanato le leggi e la sacralità.
La presenza di un folla di personaggi tra i quali non emerge un protagonista singolo, a sottolineare un tipo di organizzazione sociale semplice ancora basato sulla famiglia patriarcale;Il desiderio di star meglio che spinge padron 'Ntoni a tentare l’affare dei lupini e il giovane 'Ntoni a cercare fortuna lontano: tentativi entrambi falliti di uscire dalla condizione assegnata dal destino; la brutalità della lotta per la sopravvivenza, dominata da un’ineluttabile legge economica; la religione della famiglia, l’attaccamento al focolare e agli affetti, unica difesa possibile contro l’avidità del mondo, a patto che si accontenti di quello che si ha;l'impossibilità di staccarsi dal proprio ambiente e dalla propria condizione, pena la rovina.
Mastro-don Gesualdo
E' il secondo romanzo del "Ciclo dei Vinti", che doveva comporsi di cinque romanzi; in realtà l’autore si limitò ai primi due pensando di aver già dimostrato in essi la tesi che si era proposto: l’uomo, qualunque sia la sua posizione nella vita, è un vinto della vita stessa e deve sottomettersi al destino.
Ne è un esempio Mastro-don Gesualdo, un manovale che è diventato ricco e rispettato a forza di duro lavoro e di sacrifici. Si innalza anche socialmente, sposando la nobile Bianca Trao che lo sposa per riparare ad uno sbaglio, ma non lo ama. Nasce Isabella che non è figlia di Gesualdo, ma egli considera la bimba come sua e la fa educare nei collegi più aristocratici.
Morta Bianca, che a poco a poco si era affezionata al marito, Isabella si mostra ostile al padre sebbene egli sia disposto a soddisfare tutti i suoi capricci, anche quello di sposare un duca squattrinato che dissipa il patrimonio di Gesualdo, accumulato in tutta la vita. Quando Gesualdo si ammala, Isabella lo relega in una stanzetta del suo palazzo dove muore solo, sognando la sua casa e i suoi poderi, e rimpiangendo quella roba destinata a persone che non lo amano, come suo genero, il duca Leyra.
Altre opere significative
Le Novelle Rusticane: è una raccolta di novelle che descrivono con precisione la gente e gli ambienti siciliani.
Vita dei Campi (1880): è una raccolta di novelle, in cui, con stile asciutto e colorito, Verga ritrae la vita rude della sua gente di Sicilia.
Nei nove racconti, tra cui La lupa, Cavalleria rusticana, Fantasticheria, Jeli il pastore, Rosso Malpelo, L’amante di Gramigna, il principio dell’impersonalità trova la sua prima espressione compiuta attraverso la rappresentazione obiettiva, anche se umanamente partecipe, dei meccanismi che regolano la vita, delle lotte feroci che essa impone.
Tuttavia emerge ancora dalla raccolta la sacralità di certi principi elementari del mondo contadino della sua terra che Verga vede inviolati: principi che si manifestano in modo ancora mitico, attraverso una sorta di arcaica liturgia. La Lupa, nella novella omonima, sa che il genero, col quale ha stretto un legame incestuoso, la ucciderà, ma quando vede lontano la falce dell’uomo brillare al sole, va consapevole incontro alla morte, che accetta come necessaria conseguenza della sua aberrante passione. Anche in Cavalleria rusticana la legge dell’onore si mescola a quella del sangue, secondo un rituale antichissimo, residuo di una civiltà primitiva, agli albori della storia.
Talvolta la lotta per l’esistenza si configura come conflitto tra l’individuo, originalmente buono, e la società corrotta e corruttrice, perché intessuta di un gioco di egoismi che tendono a soverchiarsi. Ma il "primitivo" verghiano, pur ribellandosi ai comportamenti di questa società, è un vinto in partenza: Jeli il pastore si ribella al "signorino", che gli ha rubato la moglie e l’onore, e lo uccide, ma andrà in galera; Rosso Malpelo riesce in apparenza ad adeguarsi alle leggi della giungla (e si chiede perché la madre di Ranocchio morendo si disperi "come se il figlio fosse di quelli che guadagnano dieci lire la settimana"), ma alla fine si rassegna alla sconfitta, e sparisce nella cava durante un’esplorazione.
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