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L'apertura della ragione all'ampio raggio proposto dal reale non può non rifiutare con decisione ogni tipo di suddivisione tradizionale del sapere in discipline specialistiche. Se lo scopo del letterato è l'intervento nell'ambito sociale e la divulgazione di tali atti, la scrittura finisce per ricercare gli effetti di chiarezza e persuasività richiesti dal nuovo compito dei philosophes.
Lo stesso sistema dei generi letterari viene modificato e investito dalle nuove preoccupazioni letterarie e retoriche. Il discorso si complica ancor di più in Italia, dove si intrecciano valutazioni della classicità molto divergenti, che si accavallano addirittura nel medesimo autore, come in Parini e Alfieri.
Manca quindi una poetica dominante perché poco si occuparono di arte in senso stretto e infatti sono philosophes e non letterati. Lasciarono quindi spazio al nascente neoclassicismo, magari connotato da concezioni illuministiche (come Parini), oppure i nuovi fermenti pre-romantici.
La produzione letteraria è dominata dalla necessità di arrivare ad un numero quanto più alto di persone, ed è da ciò che deriva la predilezione per il teatro (Goldoni), per la stampa, per una letteratura più semplice e fruibile da tutti.
1. La prosa divulgativa
La figura tipica dello scrittore del secondo Settecento si identifica con il poligrafo, lo scrittore pronto ad affrontare i generi più diversi e molto attento all'efficaci della comunicazione. A riguardo figura esemplare è Francesco Algarotti (1712-1764), che divulgò l'opera di Newton, è autore di un reportage in Russia, fu filosofo, storico, economista, ...
La prosa in quest'epoca sembra quasi assorbire tutta la produzione letteraria. Infatti il romanzo sembra inglobare in sé la materia tradizionale di altri generi (come, ad esempio, il poema epico). Notevole la prosa di viaggio, spesso in forma epistolare, come anche l'autobiografia (in essa eccelsero personalità come Pietro Verri e Luigi Angiolini, ma anche i più famosi Goldoni e Alfieri).
Ovvia la predilezione per il trattato di stampo rinascimentale, che non presenta un carattere « autoritario ». Questo assume la forma del saggio, che rinuncia ad una pretesa di esaustività, ma focalizza l'attenzione su un problema specifico e lo svolge in forma breve, per lo più in stile piano e divulgativo. Consente, inoltre, di intervenire in modo più incalzante ed efficace nel dibattito culturale. Esempio classico è il Dei delitti e delle pene che Cesare Beccaria scrisse nel 1764 sull'abolizione della pratica della tortura e della pena di morte.
È invece destinato a polemiche e prese di posizione radicali il pamphlet (pron.: pamflè). Notevole anche l'uso della lettera aperta, destinata ad una persona definita, ma resa pubblica sulla stampa.
2. La poesia
Un'utilizzazione illuministica della poesia trova ostacolo nella arcaicità del linguaggio poetico e nella ristrettezza del lessico di ascendenza petrarchesca. In soccorso verrà, quasi paradossalmente, il recupero della tradizione classica dei poeti-filosofi greci e latini (Lucrezio e Orazio saranno non a caso centrali), che avevano trattato profondi problemi esistenziali in un linguaggio dimesso e in tono familiare. Per ovvi motivi il genere più frequentato è quello didascalico, che, fiorito già nel Cinquecento, si volge ora a scopi didattici e morali.
Prevale la misura metrica del verso sciolto, in particolare il poemetto in endecasillabi sciolti. Infatti Il giorno di Parini è tutto rivolto all'impegno civile, denunciando il vuoto morale della nobiltà. D'altra parte le Odi aderiscono pienamente al sensismo, il cui principio afferma che la sensazione è fondamento della vitalità psichica della persona. A tale vitalità è connessa l'attività artistica, che è legata alla sensibilità singola dell'artista, per cui non può essere stereotipata o regolarizzata in nessun modo.
In ogni caso si notano due aspetti dell’influenza dell’Illuminismo sulla poesia:
la poesia perde il primato nel sistema dei generi letterari, sostituita dalla saggistica e dal romanzo; è volutamente messa al margine della produzione letteraria;
la poesia risente della concezione utilitaristica applicata dagli illuministi all’arte in generale; e dunque anche la poesia si rivolge a tematiche sociali e civili. Ne consegue che la lirica (soggettiva ed esistenziale) perde il primato all’interno delle varie forme di espressione poetica, lasciando spazio a forme più utilizzabili in chiave impegnata, come l’ode o il poemetto.
3. La lingua
Nel corso del secolo si assiste ad una profonda evoluzione della nostra lingua motivata da diversi fattori:
il lessico si arricchisce di termini provenienti dalle nuove scienze, ma c'è anche il rinnovamento semantico del vocabolario relativo alle sfere intellettuali e pratiche;
la sintassi si semplifica nelle proprie strutture, perché deve servire essenzialmente per comunicare subito e a tutti.
In Italia si diffondono le idee illuministiche sulla lingua:
la lingua è strumento vivo, regolato dall'uso e non da norme;
la retorica non è abbellimento, ma dà efficacia espressiva;
non c'è una lingua originaria, ma tutte hanno ugual valore.
Si crea così un movimento di rinnovamento attorno alla rivista « Il Caffè », che andò contro l'Accademia della Crusca: rivendicano il diritto di inventare nuove parole, di italianizzare quelle straniere, di scrivere in dialetto. Verranno contrastati dai tradizionalisti, che ancora difendono il primato linguistico dei Trecentisti. Riceveranno l'avallo del regime napoleonico.