Il libretto di Monteverdi e il testo di Tasso

 

Madrigali guerrieri e amorosi (1638)

In Venetia appresso Alessandro Vincenti

 

 

Combattimento di Tancredi e Corinda

 

(Torquato Tasso - "Gerusalemme Liberata", XII, 52-62; 64-68)

 

 

52     Tancredi, che Clorinda un uomo stima
      vol ne l'armi provarla al paragone.
      Va girando colei l'alpestre cima
      ver altra porta ove d'entrar dispone.
      Segue egli impetuoso; onde assai prima
      che giunga, in guisa avvien che d'armi suone,
      ch'ella si volge e grida: - O tu che porte,
      correndo sì ? -. Risponde: - E guerra e morte -

53     - Guerra e morte avrai; - disse - io non rifiuto
      darlati, se la cerchi -, e ferma attende.
      Né vuol Tancredi, che pedon veduto
      ha il suo nemico, usar cavallo, e scende.
      E impugna l'un l'altro il ferro acuto,
      ed aguzza l'orgoglio e l'ire accende;
      e vansi incontro, a passi tardi e lenti,
      che duo tori gelosi e d'ira ardenti.

54     Notte, che nel profondo oscuro seno
      chiudeste e nell'oblio fatto sí grande,
      degne d'un chiaro sol, degne d'un pieno
      teatro, opre sarian sí memorande.
      Piacciati ch'io ne'l tragga, e'n bel sereno
      a le future età lo spieghi e mande.
      Viva la fama lor; et tra lor gloria
      splenda dal fosco tuo l'alta memoria.

55     Non schivar, non parar, non pur ritrarsi
      voglion costor, né qui destrezza ha parte.
      Non danno i colpi or finti, or pieni, or scarsi:
      toglie l'ombra e 'l furor l'uso de l'arte.
      Odi le spade orribilmente urtarsi
      a mezzo il ferro, il piè d'orma non parte;
      sempre è il piè fermo e la man sempre in moto,
      né scende taglio invan, né punta a voto.

56     L'onta irrita lo sdegno a la vendetta,
      e la vendetta poi l'onta rinova;
      onde sempre al ferir, sempre a la fretta
      stimol novo s'aggiunge e cagion nova.
      D'or in or più si mesce e più ristretta
      si fa la pugna, e spada oprar non giova:
      dansi co' pomi, e infelloniti e crudi
      cozzan con gli elmi insieme e con gli scudi.

57     Tre volte il cavalier la donna stringe
      con le robuste braccia, ed altrettante poi
      da que' nodi tenaci ella si scinge,
      nodi di fer nemico, e non d'amante.
      Tornano al ferro, e l'uno e l'altro il tinge
      con molto sangue; e stanco ed anelante
      e questi e quegli al fin pur si ritira,
      e dopo lungo faticar respira.

58    L'un l'altro guarda, e del suo corpo esangue
      sul pomo de la spada appoggia il peso.
      Già de l'ultima stella il raggio langue
      sul primo albor ch'è in oriente acceso.
      Vede Tancredi in maggior copia il sangue
      del suo nemico, e sé non tanto offeso.
      Ne gode e insuperbisce. Ah nostra folle
      mente ch'ogn'aura di fortuna estolle!

59      Misero, di che godi? Oh quanto mesti
      siano i trionfi ed infelice il vanto!
      Gli occhi tuoi pagheran (se in vita resti)
      di quel sangue ogni stilla un mar di pianto.
      Così tacendo e rimirando, questi
      sanguinosi guerrier cessaro alquanto.
      Ruppe il silenzio al fin Tancredi e disse,
      perchè il suo nome l'un l'altro scoprisse:

60     - Nostra sventura è ben che qui s'impieghi
      tanto valor, dove silenzio il copra.
      Ma poi che sorte rea vien che ci neghi
      e lode e testimon degno de l'opra,
      pregoti (se fra l'armi han loco i preghi)
      che 'l tuo nome e 'l tuo stato a me tu scopra,
      acciò ch'io sappia, o vinto o vincitore,
      chi la mia morte o la mia vita onore -.

61      Rispose la feroce: - Indarno chiedi
      quel ch'ho per uso di non far palese.
      Ma chiunque io mi sia, tu innanzi vedi
      un di quei due che la gran torre accese -.
      Arse di sdegno a quel parlar Tancredi,
      e: - In mal punto il dicesti;
      il tuo dir e 'l tacer di par m'alletta,
      barbaro discortese, a la vendetta -.

62     Torna l'ira ne' cori, e li trasporta,
      benché debili in guerra. Oh fera pugna,
      u' l'arte in bando, u' già la forza è morta,
      ove, in vece, d'entrambi il furor pugna!
      Oh che sanguigna e spaziosa porta
      fa l'una e l'altra spada, ovunque giugna,
      ne l'arme e ne le carni! e se la vita
      non esce, sdegno tienla al petto unita.

(…)

64     Ma ecco omai l'ora fatale è giunta
      che 'l viver di Clorinda al suo fin deve.
      Spinge egli il ferro nel bel sen di punta
      che vi s'immerge, e 'l sangue avido beve;
      e la veste, che d'or vago trapunta,
      le mammelle stringea tenera e leve,
      l'empie d'un caldo fiume. Ella già sente
      morirsi, e 'l piè le manca egro e languente.

65    Segue egli la vittoria, e la trafitta
      vergine minacciando incalza e preme.
      Ella, mentre cadea, la voce afflitta
      movendo, disse le parole estreme,
      parole ch'a lei novo spirto ditta,
      spirto di fé, di carità, di speme:
      virtù che Dio le infonde, e se rubella
      in vita fu, la vuole in morte ancella.

66     - Amico, hai vinto: io ti perdon ... perdona
      tu ancora, al corpo no, che nulla pave,
      e l'alma sí; deh! per lei prega, e dona
      battesmo a me ch'ogni mia colpa lave -.
      In queste voci languide risuona
      un non so che di flebile e soave
      ch'al cor gli scende ed ogni sdegno ammorza,
      e gli occhi a lagrimar gli invoglia e sforza.

67     Poco quindi lontan nel sèn d'un monte
      scaturia mormorando un picciol rio.
      Egli v'accorse e l'elmo empié nel fonte,
      e tornò mesto al grande ufficio e pio.
      Tremar sentì la man mentre la fronte
      non conosciuta ancor sciolse e scoprio.
      La vide, la conobbe, e restò senza
      e voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza!

68     Non morì già ché sue virtuti accolse
      tutte in quel punto e in guardia il cor le mise,
      e premendo il suo affanno a dar si volse
      vita con l'acqua a chi co 'l ferro uccise.
      Mentre egli il suon de' sacri detti sciolse,
      colei di gioia tramutossi, e rise;
      e in atto di morir lieto e vivace,
      die parea: - S'apre il cielo; io vado in pace -.

52      Vuol ne l'armi provarla: un uom la stima

      degno a cui sua virtú si paragone.

      Va girando colei l'alpestre cima

      verso altra porta, ove d'entrar dispone.

      Segue egli impetuoso, onde assai prima

      che giunga, in guisa avien che d'armi suone,

      ch'ella si volge e grida: "O tu, che porte,

      che corri sí?" Risponde: "E guerra e morte."

 

53      "Guerra e morte avrai;" disse "io non rifiuto

      darlati, se la cerchi", e ferma attende.

      Non vuol Tancredi, che pedon veduto

      ha il suo nemico, usar cavallo, e scende.

      E impugna l'uno e l'altro il ferro acuto,

      ed aguzza l'orgoglio e l'ire accende;

      e vansi a ritrovar non altrimenti

      che duo tori gelosi e d'ira ardenti.

 

54      Degne d'un chiaro sol, degne d'un pieno

      teatro, opre sarian sí memorande.

      Notte, che nel profondo oscuro seno

      chiudesti e ne l'oblio fatto sí grande,

      piacciati ch'io ne 'l tragga e 'n bel sereno

      a le future età lo spieghi e mande.

      Viva la fama loro; e tra lor gloria

      splenda del fosco tuo l'alta memoria.

 

55      Non schivar, non parar, non ritirarsi

      voglion costor, né qui destrezza ha parte.

      Non danno i colpi or finti, or pieni, or scarsi:

      toglie l'ombra e 'l furor l'uso de l'arte.

      Odi le spade orribilmente urtarsi

      a mezzo il ferro, il piè d'orma non parte;

      sempre è il piè fermo e la man sempre 'n moto,

      né scende taglio in van, né punta a vòto.

 

56      L'onta irrita lo sdegno a la vendetta,

      e la vendetta poi l'onta rinova;

      onde sempre al ferir, sempre a la fretta

      stimol novo s'aggiunge e cagion nova.

      D'or in or piú si mesce e piú ristretta

      si fa la pugna, e spada oprar non giova:

      dansi co' pomi, e infelloniti e crudi

      cozzan con gli elmi insieme e con gli scudi.

 

57      Tre volte il cavalier la donna stringe

      con le robuste braccia, ed altrettante

      da que' nodi tenaci ella si scinge,

      nodi di fer nemico e non d'amante.

      Tornano al ferro, e l'uno e l'altro il tinge

      con molte piaghe; e stanco ed anelante

      e questi e quegli al fin pur si ritira,

      e dopo lungo faticar respira.

 

58      L'un l'altro guarda, e del suo corpo essangue

      su 'l pomo de la spada appoggia il peso.

      Già de l'ultima stella il raggio langue

      al primo albor ch'è in oriente acceso.

      Vede Tancredi in maggior copia il sangue

      del suo nemico, e sé non tanto offeso.

      Ne gode e superbisce. Oh nostra folle

      mente ch'ogn'aura di fortuna estolle!

 

59      Misero, di che godi? oh quanto mesti

      fiano i trionfi ed infelice il vanto!

      Gli occhi tuoi pagheran (se in vita resti)

      di quel sangue ogni stilla un mar di pianto.

      Cosí tacendo e rimirando, questi

      sanguinosi guerrier cessaro alquanto.

      Ruppe il silenzio al fin Tancredi e disse,

      perché il suo nome a lui l'altro scoprisse:

 

60      "Nostra sventura è ben che qui s'impieghi

      tanto valor, dove silenzio il copra.

      Ma poi che sorte rea vien che ci neghi

      e lode e testimon degno de l'opra,

      pregoti (se fra l'arme han loco i preghi)

      che 'l tuo nome e 'l tuo stato a me tu scopra,

      acciò ch'io sappia, o vinto o vincitore,

      chi la mia morte o la vittoria onore."

 

61      Risponde la feroce: "Indarno chiedi

      quel c'ho per uso di non far palese.

      Ma chiunque io mi sia, tu inanzi vedi

      un di quei due che la gran torre accese."

      Arse di sdegno a quel parlar Tancredi,

      e: "In mal punto il dicesti"; indi riprese

      "il tuo dir e 'l tacer di par m'alletta,

      barbaro discortese, a la vendetta."

 

62      Torna l'ira ne' cori, e li trasporta,

      benché debili in guerra. Oh fera pugna,

      u' l'arte in bando, u' già la forza è morta,

      ove, in vece, d'entrambi il furor pugna!

      Oh che sanguigna e spaziosa porta

      fa l'una e l'altra spada, ovunque giugna,

      ne l'arme e ne le carni! e se la vita

      non esce, sdegno tienla al petto unita.

 

(…)

 

64      Ma ecco omai l'ora fatale è giunta

      che 'l viver di Clorinda al suo fin deve.

      Spinge egli il ferro nel bel sen di punta

      che vi s'immerge e 'l sangue avido beve;

      e la veste, che d'or vago trapunta

      le mammelle stringea tenera e leve,

      l'empie d'un caldo fiume. Ella già sente

      morirsi, e 'l piè le manca egro e languente.

 

65      Segue egli la vittoria, e la trafitta

      vergine minacciando incalza e preme.

      Ella, mentre cadea, la voce afflitta

      movendo, disse le parole estreme;

      parole ch'a lei novo un spirto ditta,

      spirto di fé, di carità, di speme:

      virtù ch'or Dio le infonde, e se rubella

      in vita fu, la vuole in morte ancella.

 

66      "Amico, hai vinto: io ti perdon ... perdona

      tu ancora, al corpo no, che nulla pave,

      a l'alma sí; deh! per lei prega, e dona

      battesmo a me ch'ogni mia colpa lave."

      In queste voci languide risuona

      un non so che di flebile e soave

      ch'al cor gli scende ed ogni sdegno ammorza,

      e gli occhi a lagrimar gli invoglia e sforza.

 

67      Poco quindi lontan nel sen del monte

      scaturia mormorando un picciol rio.

      Egli v'accorse e l'elmo empié nel fonte,

      e tornò mesto al grande ufficio e pio.

      Tremar sentí la man, mentre la fronte

      non conosciuta ancor sciolse e scoprio.

      La vide, la conobbe, e restò senza

      e voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza!

 

68      Non morì già, ché sue virtuti accolse

      tutte in quel punto e in guardia al cor le mise,

      e premendo il suo affanno a dar si volse

      vita con l'acqua a chi co 'l ferro uccise.

      Mentre egli il suon de' sacri detti sciolse,

      colei di gioia trasmutossi, e rise;

      e in atto di morir lieto e vivace,

      dir parea: "S'apre il cielo; io vado in pace."

 


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