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In Venetia appresso Alessandro Vincenti
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Tancredi, che Clorinda un uomo stima 53
- Guerra e morte avrai; - disse - io non rifiuto 54
Notte, che nel profondo oscuro seno 55
Non schivar, non parar, non pur ritrarsi 56
L'onta irrita lo sdegno a la vendetta, 57
Tre volte il cavalier la donna stringe 58
L'un l'altro guarda, e del suo corpo esangue 59
Misero, di che godi? Oh quanto mesti 60
- Nostra sventura è ben che qui s'impieghi 61
Rispose la feroce: - Indarno chiedi 62
Torna l'ira ne' cori, e li trasporta, (…) 64
Ma ecco omai l'ora fatale è giunta 65
Segue egli la vittoria, e la trafitta 66
- Amico, hai vinto: io ti perdon ... perdona 67
Poco quindi lontan nel sèn d'un monte 68
Non morì già ché sue virtuti accolse |
52 Vuol ne l'armi provarla: un uom la stima degno a cui sua virtú si paragone. Va girando colei l'alpestre cima verso altra porta, ove d'entrar dispone. Segue egli impetuoso, onde assai prima che giunga, in guisa avien che d'armi suone, ch'ella si volge e grida: "O tu, che porte, che corri sí?" Risponde: "E guerra e morte."
53 "Guerra e morte avrai;" disse "io non rifiuto darlati, se la cerchi", e ferma attende. Non vuol Tancredi, che pedon veduto ha il suo nemico, usar cavallo, e scende. E impugna l'uno e l'altro il ferro acuto, ed aguzza l'orgoglio e l'ire accende; e vansi a ritrovar non altrimenti che duo tori gelosi e d'ira ardenti.
54 Degne d'un chiaro sol, degne d'un pieno teatro, opre sarian sí memorande. Notte, che nel profondo oscuro seno chiudesti e ne l'oblio fatto sí grande, piacciati ch'io ne 'l tragga e 'n bel sereno a le future età lo spieghi e mande. Viva la fama loro; e tra lor gloria splenda del fosco tuo l'alta memoria.
55 Non schivar, non parar, non ritirarsi voglion costor, né qui destrezza ha parte. Non danno i colpi or finti, or pieni, or scarsi: toglie l'ombra e 'l furor l'uso de l'arte. Odi le spade orribilmente urtarsi a mezzo il ferro, il piè d'orma non parte; sempre è il piè fermo e la man sempre 'n moto, né scende taglio in van, né punta a vòto.
56 L'onta irrita lo sdegno a la vendetta, e la vendetta poi l'onta rinova; onde sempre al ferir, sempre a la fretta stimol novo s'aggiunge e cagion nova. D'or in or piú si mesce e piú ristretta si fa la pugna, e spada oprar non giova: dansi co' pomi, e infelloniti e crudi cozzan con gli elmi insieme e con gli scudi.
57 Tre volte il cavalier la donna stringe con le robuste braccia, ed altrettante da que' nodi tenaci ella si scinge, nodi di fer nemico e non d'amante. Tornano al ferro, e l'uno e l'altro il tinge con molte piaghe; e stanco ed anelante e questi e quegli al fin pur si ritira, e dopo lungo faticar respira.
58 L'un l'altro guarda, e del suo corpo essangue su 'l pomo de la spada appoggia il peso. Già de l'ultima stella il raggio langue al primo albor ch'è in oriente acceso. Vede Tancredi in maggior copia il sangue del suo nemico, e sé non tanto offeso. Ne gode e superbisce. Oh nostra folle mente ch'ogn'aura di fortuna estolle!
59 Misero, di che godi? oh quanto mesti fiano i trionfi ed infelice il vanto! Gli occhi tuoi pagheran (se in vita resti) di quel sangue ogni stilla un mar di pianto. Cosí tacendo e rimirando, questi sanguinosi guerrier cessaro alquanto. Ruppe il silenzio al fin Tancredi e disse, perché il suo nome a lui l'altro scoprisse:
60 "Nostra sventura è ben che qui s'impieghi tanto valor, dove silenzio il copra. Ma poi che sorte rea vien che ci neghi e lode e testimon degno de l'opra, pregoti (se fra l'arme han loco i preghi) che 'l tuo nome e 'l tuo stato a me tu scopra, acciò ch'io sappia, o vinto o vincitore, chi la mia morte o la vittoria onore."
61 Risponde la feroce: "Indarno chiedi quel c'ho per uso di non far palese. Ma chiunque io mi sia, tu inanzi vedi un di quei due che la gran torre accese." Arse di sdegno a quel parlar Tancredi, e: "In mal punto il dicesti"; indi riprese "il tuo dir e 'l tacer di par m'alletta, barbaro discortese, a la vendetta."
62 Torna l'ira ne' cori, e li trasporta, benché debili in guerra. Oh fera pugna, u' l'arte in bando, u' già la forza è morta, ove, in vece, d'entrambi il furor pugna! Oh che sanguigna e spaziosa porta fa l'una e l'altra spada, ovunque giugna, ne l'arme e ne le carni! e se la vita non esce, sdegno tienla al petto unita.
(…)
64 Ma ecco omai l'ora fatale è giunta che 'l viver di Clorinda al suo fin deve. Spinge egli il ferro nel bel sen di punta che vi s'immerge e 'l sangue avido beve; e la veste, che d'or vago trapunta le mammelle stringea tenera e leve, l'empie d'un caldo fiume. Ella già sente morirsi, e 'l piè le manca egro e languente.
65 Segue egli la vittoria, e la trafitta vergine minacciando incalza e preme. Ella, mentre cadea, la voce afflitta movendo, disse le parole estreme; parole ch'a lei novo un spirto ditta, spirto di fé, di carità, di speme: virtù ch'or Dio le infonde, e se rubella in vita fu, la vuole in morte ancella.
66 "Amico, hai vinto: io ti perdon ... perdona tu ancora, al corpo no, che nulla pave, a l'alma sí; deh! per lei prega, e dona battesmo a me ch'ogni mia colpa lave." In queste voci languide risuona un non so che di flebile e soave ch'al cor gli scende ed ogni sdegno ammorza, e gli occhi a lagrimar gli invoglia e sforza.
67 Poco quindi lontan nel sen del monte scaturia mormorando un picciol rio. Egli v'accorse e l'elmo empié nel fonte, e tornò mesto al grande ufficio e pio. Tremar sentí la man, mentre la fronte non conosciuta ancor sciolse e scoprio. La vide, la conobbe, e restò senza e voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza!
68 Non morì già, ché sue virtuti accolse tutte in quel punto e in guardia al cor le mise, e premendo il suo affanno a dar si volse vita con l'acqua a chi co 'l ferro uccise. Mentre egli il suon de' sacri detti sciolse, colei di gioia trasmutossi, e rise; e in atto di morir lieto e vivace, dir parea: "S'apre il cielo; io vado in pace." |
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