La tematica amorosa nella letteratura latina del I sec.  a. C.

 

 

Catullo

L’opera di Catullo, anche se non è ancora quella di un "elegiaco", è comunque l'espressione vivente di un sentimento personale e profondo, che ha già acquistato diritto di cittadinanza nella poesia: egli fa dell'amore (e attraverso questo, della poesia) l'unica ragione di vita, anzi in lui amore poesia e vita veramente coincidono. Per ciò che conserva ancora in sé di tumultuoso, di ricercato e, in qualche modo, di impuro, Catullo è da mettere fra i predecessori immediati (ma è l'unico di essi ad emergere) piuttosto che fra i poeti augustei, che formeranno in seguito il "classicismo" della poesia (anche "erotica") romana.

 

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Lucrezio

Il quarto libro del De rerum natura tratta dei sensi, della loro veridicità, di come possano essere turbati. I sensi, per Lucrezio, non fanno altro che captare dei flussi atomici particolari: sentiamo perché arrivano degli atomi alle nostre orecchie e vediamo perché ne arrivano altri ai nostri occhi. È dai sensi che hanno origine ogni forma di conoscenza e la ragione umana, non crollerebbe soltanto tutta la ragione, ma anche la vita stessa rovinerebbe di schianto, se tu non osassi fidare nei sensi (IV, vv. 507-8). Anche stavolta, dopo aver cercato di trasmette l'atarassia epicurea, Lucrezio si allontana dalla calma del suo maestro e descrive con profonda partecipazione quanto piú può turbare i sensi, le passioni amorose e carnali, a cui dedica i vv. 1026-1287, di cui diamo qualche saggio:

"È proprio lei che talvolta con l'onesto suo agire, / l'equilibrio dei modi, la nitida eleganza della persona, / ti rende consueta la gioia d'una vita comune. / Nel tempo avvenire l'abitudine concilia l'amore; / ciò che subisce colpi, per quanto lievi ma incessanti, / a lungo andare cede, e infine vacilla".

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L'elegia: Tibullo e Properzio

Al centro dell'elegia latina è la figura femminile, una donna dai netti connotati spirituali e dalla presenza fisica talora assai corposa, e spesso (inconsapevolmente) ossessiva. Accanto a lei, un poeta che la canta, perché (oltre tutto) è proprio lei ad esserne l'ingenium, l'ispirazione esclusiva; un poeta che la canta e che la adora, pur fra tradimenti, liti e riappacificazioni, in un vagheggiamento che trascende la dimensione puramente erotica per approdare ad una dimensione immaginifica e mitica, spesso ambigua (ma il mito, quando c'è, non è elemento fondamentale, ma accessorio: fondamentale è piuttosto la vita del poeta: questa sarebbe, secondo taluni critici, la vera novità rispetto all'originale greco). Essenziale, nel corteggiamento, è poi lo stesso esercizio poetico, che prospetta all'amata una fama imperitura; un esercizio poetico che per il poeta diviene tutto, assorbe completamente la sua vita, distogliendolo completamente da quelli ch'erano i doveri (sociali e militari) propri del civis romano: una volontaria, e orgogliosa, nequitia, un vero e proprio "otium" amoroso, cui spesso si associava addirittura una programmatica recusatio: ovvero, l'autore elegiaco confessava di accontentarsi di trattare un genere così umile e "privato", anche perché non in grado di (un modo garbato per dire che non voleva) trattare genere più impegnativi e più scopertamente ideologici, quali ad esempio l'epica o l'eziologia (che fosse, questo, anche un larvato aspetto di polemica o di fronda politica?).

Immancabilmente bellissima, la donna è dunque vita del poeta, ed è idealizzata sin nel nome (Lesbia, Delia, Cynthia...): essa è l'amica o, meglio, la "domina" alla quale sottomettersi in un servitium, ovvero in una sorta di volontaria schiavitù o vassallaggio d'amore, non senza un dolce arrovellarsi nella sofferenza, perché la donna è anche (se non soprattutto) traditrice e volubile. E' comunque amore che vuole durare eterno (almeno nelle intenzioni del poeta), e non passione intensissima ma labile, come quella di un epigrammista greco: è eros che va oltre la morte, e che talora il poeta canta addirittura come nenia funebre (flebilis è, come già accennato, tradizionalmente il componimento elegiaco).

Il canone degli elegiaci romani appare già in Ovidio, che afferma di essere quarto dopo Gallo, Tibullo e Properzio; alla fine del I sec. d.C., lo conferma Quintiliano, nella sua Institutio oratoria, in quel famoso trafiletto, in parte già citato, la cui valenza anche "critica" è, nella sostanza, valida ancor oggi:

 

Elegia quoque Graecos provocamus, cuius mihi tersus atque elegans maxime videtur auctor Tibullus. Sunt qui Propertium malint. Ovidius utroque lascivior, sicut durior Gallus

 

Anche nel genere elegiaco sfidiamo i greci: di questo genere, Tibullo mi pare essere il rappresentante più discreto e raffinato; altri invece gli preferiscono Properzio; rispetto a questi due, Ovidio è inoltre più licenzioso (nei toni e nei temi), mentre Gallo risulta più "compassato"

 

Infine, « Catullo restò fuori dal canone semplicemente per i criteri esterni degli antichi, dato che il suo libro era polimetro e non costituito interamente da elegie » [I. Mariotti].

 

 

Tibullo

Delia è l'ispiratrice degli accenti più teneri e delicati, dei pensieri più umani e gentili del canzoniere: egli sogna di vivere con lei una vita serena e felice nella pace dei campi e di averla accanto a sé in punto di morte. Eppure Delia si rivela tutt'altro da come Tibullo se la rappresenta: è una creatura volubile, che sa anche tradire senza scrupolo. Inevitabile, così, la rottura, che il poeta, nonostante il voltafaccia di lei, pur non sopporta: egli si lascerà andare all'ira, ma un'ira essa stessa dolce, e portata al perdono. Il poeta non ama soffermarsi su ciò che è attuale e presente, ma abbandonarsi sempre alla speranza, al desiderio, alla rievocazione nostalgica del passato.

 

Properzio

Poesia e amore sono i due elementi fondamentali e inscindibili in Properzio: il poeta si sente vittima d'amore, e proclama il suo servitium Amoris, la sua dedizione totale alla passione. Questa è una precisa scelta di vita, lontana dalle tradizionali ambizioni del foro e della politica, una vita di nequitia di cui il poeta è consapevole; ed è pure una scelta di poesia che esprima una vita dedita completamente all'amore, e che dunque sia idonea a far innamorare la donna.

A differenza di altri elegiaci più - come dire - "fantasticanti", Properzio ha poi un'immaginazione corposa, che ama le tinte intense, i bruschi trapassi. L'amore è certamente al centro della sua vita e del suo canto, ma è un amore fatto soprattutto di passione e di tormento, assoluto e coinvolgente, che si proietta oltre il reale, oltre la vita stessa, sino a superare le barriere della morte, sino a farsi mito.

Cinzia è innanzitutto splendida presenza fatta di carne, che ossessiona la fantasia e il ricordo e alimenta la gelosia di Properzio. Raramente in lui l'amore è gioia e tenerezza, quasi sempre è dolore: egli vive questo sentimento in modo drammatico, come una tormentosa passione che lo sfianca.

 

 

Ovidio

Ovidio rappresenta la conclusione di questo percorso sotto diversi aspetti. Nella sua produzione elegiaca ritroviamo tutti gli elementi dei poeti a lui precedenti, e sotto questo aspetto rappresenta una specie di 'inventario' della poesia elegiaca.

Ma il repertorio elegiaco viene ora modificato, in parte parodiato, quasi trasformando in lusus il sentimento amoroso, che era realmente (e dolorosamente) vissuto dai poeti precedenti. È un poeta galante, che si fa maestro d'amore a uomini e donne dell'alta società romana, che ormai può solo giocare con un sentimento tanto grande.

 

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