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Le orazioni rappresentano il vertice dell'impegno politico e culturale, poiché in esse convergono tutte le discipline e le virtù umane.
Cicerone ha scritto moltissime orazioni, quindi ne ho scelte solo alcune, a mio parere, particolarmente significative. Per comodità espositiva possiamo suddividerle in due gruppi:
A) Le orazioni GIUDIZIARIE (pronunciate in tribunale pro o contro qualcuno)
nel 70 a. C. pronuncia le orazioni cosiddette Verrine
nel 75 diventa questore in Sicilia e si segnala come esempio di onestà ed oculatezza amministrativa. Nel 70 gli verrà chiesto di sostenere l'accusa di concussione dei siciliani contro l'ex governatore Verre: il processo non era limitatamente giudiziario, ma aveva implicazioni politiche, dato che con la figura Verre veniva messo in discussione l'intero sistema del regime oligarchico. Cicerone accettò, correndo il rischio di separarsi dai suoi protettori. Ortensio Ortalo, più anziano di Cicerone e oratore rinomato per il suo talento, assunse il compito della difesa. Cicerone portò avanti le cose in tal modo, riunì testimonianze così schiaccianti, che Verre non osò neppure perorare la sua causa e se ne andò in esilio dopo un solo giorno di dibattimento.
ne derivano alcune conseguenze interessanti per Cicerone: diventa l'eroe dei provinciali, perché vedono in lui il difensore contro i soprusi dei magistrati aristocratici romani; diventa l'eroe dei populares, che lo considerano un capace difensore contro gli optimates; anche quest'ultimi lo apprezzano, perché è stato capace di cancellare la parte 'marcia' della loro fazione. Non ultima conseguenza è l'enorme prestigio che ne acquista Cicerone, dal momento che ha sconfitto in tribunale colui che era considerato il 'principe del foro' e si presenta, quindi, come suo successore in ambito forense.
del 62 a. C. è la Pro Archia poeta (vedi approfondimento)
Cicerone difende il poeta Archia, nato ad Antiochia di Siria il 120 a.C. circa. Ancora giovane, costui si allontanò dalla sua città e compì numerosi viaggi in Asia Minore, in Grecia, nella Magna Grecia e, alla fine, a Roma. Nelle città dell’Italia meridionale che egli visitò, ottenne grandi successi in campo poetico tanto che gli fu da esse conferita la cittadinanza onoraria.
A Roma egli giunse nel 102, e fu accolto presso le famiglie più importanti del momento. Qui egli si esibiva in improvvisazioni poetiche suscitando ammirazione in tutti coloro che lo ascoltavano, soprattutto in Cicerone. Dallo stesso Cicerone (IV, 6) siamo informati circa un viaggio di Archia in Sicilia al seguito di Lucio Lucullo e sulla cittadinanza conferitagli ad Eraclea, città per la quale il poeta passò durante il ritorno.
Nel 62 un certo Grattio lo accusò di indebita permanenza a Roma in quanto non fornito di una regolare cittadinanza, il che provocò il processo nel quale Archia fu difeso da Cicerone.
In base all’accusa di Grattio, personaggio oscuro, conosciuto soltanto per questo suo atto e per essere stato nominato alcune volte da Cicerone nel corso dell’orazione, Archia doveva essere espulso da Roma a norma della Lex Papia de civitate del 65. Infatti Grattio sosteneva che la cittadinanza di cui Archia diceva di essere in possesso, quella conferitagli ad Eraclea, non risultava da alcun documento in quanto gli elenchi anagrafici di quella città erano andati distrutti in un incendio durante la guerra italica. Né il nome di Archia figurava negli elenchi dei cittadini censiti ad Eraclea in due momenti successivi. D’altra parte, sosteneva l’accusa, sulle liste redatte dai pretori secondo il dettato della Lex Plautia et Papiria dell’89, in base alla quale potevano ottenere la cittadinanza romana coloro che si trovavano in una determinata posizione (essere cittadini di una città federata; avere il domicilio in Italia; aver fatto registrare le proprie generalità davanti al pretore entro 60 giorni dalla promulgazione della legge), gravavano sospetti di manipolazione, sicché il fatto che in tali elenchi comparisse il nome di Archia, non era una prova certa della sua posizione giuridico-legale.
Cicerone, nel corso della sua arringa, come si vedrà lungo lo studio dell’orazione, smonta tutto l’apparato accusatorio di Grattio per cui non è azzardato ritenere che Archia sia uscito assolto dal processo.
Il ruolo del poeta e della poesia
Nei capp. VI-XI Cicerone tratta un tema che, solo apparentemente, sembra lontano dalle normali procedure dibattimentali e dall’argomento della causa. Infatti egli affronta il problema del ruolo del poeta e della poesia, della loro funzione nella società e nell’individuo, del loro rapporto con il popolo romano e con la sua storia.
Infatti, in VI, 12 l’oratore spiega perché egli ci tenga moltissimo al destino di Archia, che ha voluto difendere in tribunale, adducendo come motivazione il fatto che il poeta «ci offre uno spazio in cui l’animo possa risollevarsi da questo frastuono del foro e le orecchie, stanche per il confuso vocio, possano riposarsi», ritenendo così la poesia non come puro diletto dell’animo, ma come sollievo dalla routine quotidiana, come una sorta di innalzamento dell’uomo dalla sfera dell’ovvio e del normale, a quella della vita dello spirito.
Ma il ruolo del poeta non si esaurisce nell’ambito della psicologia e dell’esistenzialità, perché esso condiziona in modo determinante anche l’attività pratica dell’individuo. Infatti secondo Cicerone, la cultura letteraria, quindi, è indispensabile all’oratore sia dal punto di vista pratico, in quanto lo sorregge nell’esercizio della sua professione, sia dal punto di vista etico-psicologico, in quanto gli offre una sorta di rifugio in cui le tensioni possano allentarsi.
La funzione della cultura letteraria
Ma lo stesso paragrafo contiene un’affermazione polemica di Cicerone nella quale egli evidenzia in modo esplicito la funzione della cultura letteraria nell’uomo:«si vergognino coloro che si sono immersi negli studi letterari in modo da non poter né trarne alcunché per la pubblica utilità né pubblicare qualcosa». Insomma l’oratore è contro una cultura che si risolva nel suo stesso ambito e non abbia alcuna possibilità di collegarsi con la società, così come è contro coloro che, non facendo conoscere i frutti dei loro studi, privano la collettività della possibilità di giovarsene. Sono concetti della massima importanza, perché sono alla base dell’ideale di humanitas, che Cicerone stesso contribuì certamente a formare.
La poesia e la sua funzione eternatrice
Ma l’oratore, che vuole evidenziare il ruolo del poeta e della poesia in tutte le sue ramificazioni, protende il suo sguardo lungo gli orizzonti della storia, quella passata e quella recente, affermando l’insostituibilità del poeta per l’acquisizione della memoria storica dell’uomo. Infatti, egli afferma, tutti i grandi uomini si son dati anima e corpo, nel senso letterale dei termini, a compiere imprese da cui ci si può attendere, come massima gratificazione, soltanto la gloria. Di «esempi sono pieni tutti i libri, sono pieni gli insegnamenti dei sapienti, è piena la storia antica» (VI, 14). Ma tali esempi di alta umanità e di eroismo «giacerebbero tutti nelle tenebre, se non vi si accostasse la luce delle lettere» (VI, 14).
E difatti, se non vi fosse la poesia, capace di cantare le imprese degli uomini, sottraendole così all’inevitabile oblio e destinandole alla memoria dei posteri, proprio grazie al potere eternatore del canto poetico, cosa resterebbe di quelle imprese? Esse sarebbero immerse nelle tenebre, privando così gli uomini, del presente e del futuro, della grande lezione del passato. E questo il più grande potere che hanno i poeti. Essi ci offrono paradigmi di comportamento di uomini eccellenti che non devono essere soltanto ammirati, ma anche imitati (non solum ad intuendum, verum etiam ad imitandum).
Ed allora la grande funzione sociale dei poeti deve essere ribadita ed apprezzata, così come i poeti stessi devono essere venerati da tutti coloro che sono in grado di comprendere il senso, appunto, di tale funzione.
Valore pedagogico ed edonistico degli studi letterari
Ma non solo per questo bisogna venerare i poeti e dedicarsi al culto degli studi letterari. Anzi, è comunque e sempre necessario coltivarli perché «questi studi guidano l’adolescenza, dilettano la vecchiezza, abbelliscono i momenti favorevoli, offrono rifugio e sollievo in quelli avversi, ci dilettano in casa, non sono d’impaccio fuori, pernottano con noi, viaggiano con noi, stanno in campagna con noi» (VII, 16).
Il poeta Archia
Perciò Archia, grande poeta, capace di improvvisare e di ripetere gli stessi concetti più volte in diversi modi, deve essere venerato, anche perché con le sue opere dà lustro a tutto il popolo romano.
E difatti, cantando le imprese di Mario nelle guerre contro Cimbri e Teutoni, le imprese di Lucullo contro Mitridate, ha cantato le imprese del popolo romano che da sempre ha ritenuto sue le imprese realizzate dai suoi comandanti. Ed allora come si fa a cacciare da Roma un poeta come Archia che ha tanto contribuito, scrivendo in greco le sue opere, a far conoscere il nome e la potenza di Roma in tutto il mondo?
E si badi bene, avverte Cicerone: tutti i grandi uomini, quelli che dedicano al loro popolo tutta la propria vita, mettendola tante volte in pericolo, sono animati soltanto dal desiderio della gloria e vogliono che le loro opere siano celebrate dal canto dei poeti (cap. X).
E nel cap. XI Cicerone porta il suo stesso esempio: Archia aveva messo mano ad un’opera in cui avrebbe dovuto narrare gli eventi relativi alla congiura di Catilina che avevano avuto come protagonista lo stesso oratore. Allora Cicerone lo esortò a portare a termine il lavoro (quod mihi magna res et iucunda visa est, hunc ad perficiendum adhortatus sum, XI, 28) perché null’altro si aspettano i protagonisti della storia e della vita politica se non l’immortalità che può venir loro soltanto dal canto dei poeti.
B) Le orazioni POLITICHE (pronunciate dai rostra o in senato, oppure orazioni che, pur essendo pronunciate in tribunale, hanno, però, uno spiccato contenuto politico)
del 63 a. C. è la Pro Rabirio , in cui parla del consensus omnium bonorum, portando avanti l'idea che la difesa della repubblica è possibile con la concordia tra le varie fazioni
sempre al 63 a. C. risalgono le Catilinarie
Cicerone diventa edile nel 69 e pretore nel 66: è eletto in ciascuna delle consultazioni a cui gli è consentito di partecipare come candidato, con una schiacciante maggioranza di voti. Per lui, sono ora schierate non tanto le famiglie nobili ma, oltre al popolo, che è sensibile alla sua parola, le famiglie degli equites, l'ordine equestre del quale, come sappiamo, è egli stesso originario. Nel periodo in cui è pretore, Cicerone pronuncia un discorso importante, il Pro lege Manilia, a favore del progetto di conferire a Pompeo poteri straordinari in Oriente, dove la guerra contro Mitridate si prolunga da tempo. Gli aristocratici erano ostili a questa legge, per timore di queste insolite procedure. Ma l'assemblea popolare seguì il parere di Cicerone, e la legge fu approvata.
Nel 63 diviene finalmente console, e nel periodo della sua carica si schiera con fermezza contro un altro progetto che ledeva gli interessi dell'aristocrazia, una legge agraria appoggiata sottobanco da Cesare. Le quattro orazioni sulla legge agraria (De lege agraria), di cui possediamo solo una parte, sbarrarono la strada a questa mozione.
Lo stesso anno Cicerone ebbe la responsabilità di difendere l'ordine contro una pericolosa congiura ordita da L. Sergio Catilina (Catilinarie) con l'aiuto di alcuni altri nobili che speravano di ripetere, a proprio vantaggio, l'avventura di Silla: fu necessaria tutta l'energia del console (il suo collega era sospetto di simpatie a favore dei congiurati), per evitare che Roma fosse incendiata e le maggiori autorità dello Stato assassinate. Cicerone ebbe dunque la meglio e, sostenuto da un senatoconsulto, fece giustiziare i congiurati che era stato possibile arrestare. Gli altri, compreso Catilina, perirono sul campo di battaglia ai primi dell'anno successivo. In quel momento, Cicerone poteva dire di aver realizzato intorno a sé l'unione di tutte le "persone oneste", gli optimates, ma il trionfo non ebbe lunga durata.
divennero famose e molto discusse le quattro orazioni tenute di fronte sia al senato sia al popolo, con le quali egli svelò le trame sovversive che il nobile decaduto aveva ordito una volta vistosi sconfitto nella competizione elettorale: Cicerone lo costrinse a fuggire da Roma e giustificò la propria decisione di far giustiziare i suoi complici senza processo. I toni delle orazioni sono spesso accesi e veementi (nella I si fa uso, ad es., di un artificio retorico chiamato "prosopopea" - "personificazione" - della patria, che è immaginata rivolgersi a Catilina con parole di biasimo), ma vi sono altresì presenti interessanti spunti più razionali di analisi "sociologica" del quadro delle forze sociali in campo.
nel 56 a. C. pronuncia la Pro Sestio
richiamato dall'esilio nel 57, Cicerone trova Roma in preda all'anarchia: si fronteggiavano le opposte bande di Clodio e di Milone (tra l'altro, amico personale del nostro). Fu in tale clima che, nel 56, trovandosi a difendere Sestio (Pro Sestio), un tribuno accusato proprio da Clodio di atti di violenza, l'Arpinate espose una nuova versione della propria teoria sulla concordia dei ceti abbienti. La concordia ordinum si era rivelata fallimentare: Cicerone ne dilata ora il concetto in quello di consensus omnium bonorum, cioè la "concordia attiva di tutte le persone agiate e possidenti", amanti dell'ordine politico e sociale. I boni, una categoria trasversale rispetto agli strati sociali esistenti, senza identificarsi con alcuno di essi in particolare, saranno d'ora in poi il principale destinatario della predicazione etico-politica di Cicerone. Il loro dovere è quello di non rifugiarsi egoisticamente nel perseguimento dei propri interessi privati, ma di fornire sostegno attivo agli uomini politici che rappresentano la loro causa. L'esigenza di un governo più autorevole spinge tuttavia Cicerone a desiderare che il senato e i boni si affidino alla guida di personaggi eminenti e illustri: questa teoria verrà approfondita nel De repubblica ed è la principale causa che portò Cicerone ad avvicinarsi al triumvirato (l'autore cercherà, invano, di fare sì che il potere dei triumviri non prevarichi su quello del senato, ma si mantenga nei limiti delle istituzioni repubblicane);
ti invito a leggere i seguenti capitoli dell'orazione
45. Duo genera semper in hac civitate fuerunt eorum qui versari in re publica atque in ea se excellentius gerere studuerunt; quibus ex generibus alteri se popularis, alteri optimates et haberi et esse voluerunt. qui ea quae faciebant quaeque dicebant multitudini iucunda volebant esse, populares, qui autem ita se gerebant ut sua consilia optimo cuique probarent, optimates habebantur. (97) quis ergo iste optimus quisque? numero, si quaeris, innumerabiles, neque enim aliter stare possemus; sunt principes consili publici, sunt qui eorum sectam sequuntur, sunt maximorum ordinum homines, quibus patet curia, sunt municipales rusticique Romani, sunt negoti gerentes, sunt etiam libertini optimates. numerus, ut dixi, huius generis late et varie diffusus est; sed genus universum, ut tollatur error, brevi circumscribi et definiri potest. omnes optimates sunt qui neque nocentes sunt nec natura improbi nec furiosi nec malis domesticis impediti. esto igitur ut ii sint, quam tu 'nationem' appellasti, qui et integri sunt et sani et bene de rebus domesticis constituti. Horum qui voluntati, commodis, opinionibus in gubernanda re publica serviunt, defensores optimatium ipsique optimates gravissimi et clarissimi cives numerantur et principes civitatis. (98) Quid est igitur propositum his rei publicae gubernatoribus quod intueri et quo cursum suum derigere debeant? id quod est praestantissimum maximeque optabile omnibus sanis et bonis et beatis, cum dignitate otium. Hoc qui volunt, omnes optimates, qui efficiunt, summi viri et conservatores civitatis putantur; neque enim rerum gerendarum dignitate homines ecferri ita convenit ut otio non prospiciant, neque ullum amplexari otium quod abhorreat a dignitate. 46. Huius autem otiosae dignitatis haec fundamenta sunt, haec membra, quae tuenda principibus et vel capitis periculo defendenda sunt: religiones, auspicia, potestates magistratuum, senatus auctoritas, leges, mos maiorum, iudicia, iuris dictio, fides, provinciae, socii, imperi laus, res militaris, aerarium. (99) Harum rerum tot atque tantarum esse defensorem et patronum magni animi est, magni ingeni magnaeque constantiae. etenim in tanto civium numero magna multitudo est eorum qui aut propter metum poenae, peccatorum suorum conscii, novos motus conversionesque rei publicae quaerant, aut qui propter insitum quendam animi furorem discordiis civium ac seditione pascantur, aut qui propter implicationem rei familiaris communi incendio malint quam suo deflagrare. qui cum tutores sunt et duces suorum studiorum vitiorumque nacti, in re publica fluctus excitantur, ut vigilandum sit iis qui sibi gubernacula patriae depoposcerunt, enitendumque omni scientia ac diligentia ut, conservatis iis quae ego paulo ante fundamenta ac membra esse dixi, tenere cursum possint et capere oti illum portum et dignitatis.
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Due sono sempre stati nella nostra città i partiti costituiti da coloro che hanno voluto dedicarsi alla vita politica e tenere in essa una parte di primo piano: gli aderenti ad essi hanno voluto essere, di reputazione e di fatto, gli uni democratici e gli altri ottimati: democratici quelli che volevano, nelle parole e nei fatti, riuscire graditi alla massa del popolo; ottimati invece quelli che miravano, con le loro azioni e le loro idee, all'approvazione dei migliori cittadini. "Chi sono dunque gli ottimati di cui parli?". Il loro numero, se vuoi saperlo, è innumerevole: ché altrimenti lo Stato non potrebbe reggersi. Sono ottimati i più autorevoli membri del senato e i loro seguaci, lo sono gli appartenenti alle classi più elevate, cui è aperto l'accesso al senato, lo sono cittadini romani dei municipi e delle campagne, lo sono uomini d'affari, lo sono anche dei liberti. Il loro numero, com'ho già detto, è esteso e comprende varie categorie, ma, per eliminare ogni equivoco, il carattere generale di questo partito può essere sintetizzato e definito in poche parole: sono ottimati tutti coloro che non sono malfattori né malvagi per natura né scalmanati né inceppati da guai familiari. Ne deriva quindi che coloro che tu hai chiamato "casta" sono i cittadini irreprensibili, assennati e benestanti. Quelli che nel governo dello Stato si pongono al servizio della volontà, degli interessi e delle vedute di costoro, come fiancheggiatori degli ottimati e ottimati essi stessi, vengono annoverati tra i cittadini più autorevoli e illustri, cioè il fior fiore della città. Qual è dunque lo scopo che questi amministratori dello Stato devono tenere davanti agli occhi e verso il quale indirizzare il loro operato? Quello che è il migliore e il più desiderabile per tutti i cittadini assennati, onesti e agiati: la tranquillità accompagnata dal prestigio. Tutti quelli che abbracciano questo programma sono ottimati, mentre coloro che lo attuano sono, a giudizio di tutti, gli uomini più influenti, le vere colonne dello Stato. Né infatti gli uomini devono lasciarsi trascinare dall'onore di governare lo Stato fino al punto di compromettere la tranquillità né avere per la tranquillità un attaccamento tale che escluda il prestigio. Ora, di questo prestigio accompagnato dalla tranquillità i fondamenti e gli elementi che meritano la protezione e la difesa, anche a rischio della vita, da parte dei cittadini più autorevoli, sono questi: le istituzioni religiose, gli auspici, i poteri dei magistrati, l'autorità del senato, le leggi, il costume degli antenati, la giurisdizione penale e civile, la lealtà le province, gli alleati, il prestigio dello Stato, le forze armate, il tesoro pubblico. La difesa e la protezione di tanti e sì grandi valori esige grandezza d'animo, acutezza d'ingegno, fermezza di carattere: ché fra tanti cittadini c'è una gran folla di persone che o per timore della pena, consapevoli come sono delle loro colpe, mirano ad agitazioni rivoluzionarie e a cambiamenti politici, o per una sorta di insania congenita si nutrono di discordie e di rivolte civili, o per difficoltà economiche preferiscono perire in un incendio che avvolga tutti piuttosto che loro soltanto. Ed è proprio quando costoro trovano chi li aiuti e li guidi nelle loro cattive tendenze che si levano nella repubblica flutti tempestosi, sicché coloro che hanno reclamato per sé il timone dello Stato debbono stare all'erta e sforzarsi con tutta la loro perizia e il loro zelo perché, mantenendo intatti i fondamenti e gli elementi di cui poc'anzi ho parlato, possano mantenere la rotta e giungere finalmente nel porto della tranquillità e dell'onore. |
agli anni 44-43 a. C. risalgono le Filippiche, scritte contro Marco Antonio.
nel 44, morto Cesare, rientra finalmente nella vita politica e comincia la sua lotta contro Antonio. Ma dopo il voltafaccia di Ottaviano, che stringe il secondo triumvirato, il suo nome viene inserito nelle liste di proscrizione: muore di lì a poco, sotto i colpi dei sicari di Antonio;
dopo la morte di Cesare, per indurre il senato a dichiarare guerra ad Antonio, Cicerone pubblicò invece le Filippiche, in numero forse di 18 (il titolo, che risale a una definizione scherzosa dello stesso autore, intendeva sottolineare il legame ideale coi celebri discorsi di Demostene, il più grande oratore ateniese, contro le pretese all’egemonia di Filippo di Macedonia). Uno solo dei discorsi, il secondo, un attacco di violenza inaudita, non venne effettivamente pronunciato, ma fatto circolare come pamphlet. Nelle Philippicae, Antonio viene dipinto - con sapiente varietà di toni, dall'ironico al satirico - come un volgare bandito, programmatore di proscrizioni e di confische, alla stregua dei suoi loschi fautori. Le Philippicae costituiscono anche un tentativo assai ardito (e fallito) di influenzare l’opinione pubblica, lanciando in tutto il mondo romano dei programmi che fissavano di volta in volta l’obiettivo da raggiungere nella lotta contro Antonio.
Emergono in tutti questi testi due principi del pensiero politico:
1) Il bene dello stato prevale sugli uomini e sui partiti.
2) Il governo è collegiale tra senato e alte magistrature.
Cicerone viene definito laudator temporis acti (colui che loda i tempi passati) poiché ritiene ancora valevole il modello repubblicano.