Le Odi: l'Orazio lirico

 

  1. perviene al concetto di aurea mediocritas, splendida moderazione e di aequa mens, animo imperturbato, che definiscono l’ideale di saggezza costantemente insidiato dal disagio esistenziale: dal sentimento del tempo che fugge e dal pensiero della morte (carpe diem, figlio dell’angoscia)

Carmen II, 10 (testo integrale con traduzione)

5 Auream quisquis mediocritatem
diligit, tutus caret obsoleti
sordibus tecti, caret invidenda
sobrius aula.
C'è una misura d'oro: chi la predilige
evita cauto lo squallore di un tugurio
in pezzi, e sobrio lo splendore di una reggia
che suscita l'invidia.

 

Carmen III, 1 (testo integrale con traduzione)

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Desiderantem quod satis est neque
tumultuosum sollicitat mare
nec saevus Arcturi cadentis
impetus aut orientis Haedi,
non verberatae grandine vineae
fundusque mendax, arbore nunc aquas
culpante, nunc torrentia agros
sidera, nunc hiemes iniquas.
contracta pisces aequora sentiunt
iactis in altum molibus: huc frequens
caementa demittit redemptor
cum famulis dominusque terrae
fastidiosus; sed Timor et Minae
scandunt eodem quo dominus, neque
decedit aerata triremi et
post equitem sedet atra Cura.
quodsi dolentem nec Phrygius lapis
nec purpurarum sidere clarior
delenit usus nec Falerna
vitis Achaemeniumque costum,
cur invidendis postibus et novo
sublime ritu moliar atrium?
cur valle permutem Sabina
divitias operosiores?
Chi sogna in cuor suo solo ciò che gli basta non diventa ansioso per il mare in burrasca, la furia di Arturo quando tramonta o quella del Capretto quando si leva, né per le vigne flagellate dalla grandine, per la delusione del podere, che addebita ora alle piante, alle piogge, o alle stelle che bruciano i campi, ora all'inverno crudo.
I pesci avvertono che si restringe il mare per le dighe di macigni gettati al largo: con una folla di operai le colmano pietra su pietra l'impresario e il padrone infastidito dalla terraferma. Ma con le dighe salgono timore e minacce, e un cupo affanno s'abbarbica al bronzo della nave, segue a spalla il cavaliere.

Ora se un marmo frigio o l'uso della porpora piú splendente degli astri, la vite falerna o un profumo orientale non sollevano chi è prostrato dal dolore, perché mai, seguendo i nuovi costumi, dovrei erigere un grand'atrio con stipiti da fare invidia? perché dovrei cambiare con ricchezze piú impegnative la mia valle sabina?

 

Carmen I, 1 (testo integrale con traduzione)

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Me doctarum hederae praemia frontium
dis miscent superis, me gelidum nemus
Nympharumque leves cum Satyris chori
secernunt populo, si neque tibias
Euterpe cohibet nec Polyhymnia
Lesboum refugit tendere barbiton.
Quodsi me lyricis vatibus inseres,
sublimi feriam sidera vertice.
Io no: l'edera che premia la fronte dei sapienti mi associa agli dei e il fresco dei boschi, dove coi satiri danzano agili le ninfe, mi distingue dalla folla, se non ammutolisce il flauto di Euterpe e non si rifiuta Polinnia di accordare la lira di Lesbo.
Ponimi dunque fra i poeti lirici: col capo in cielo toccherò le stelle.

 

Carmen II, 14 (testo integrale con traduzione)

21



25


Linquenda tellus et domus et placens
uxor, neque harum quas colis arborum
te praeter invisas cupressos
ulla brevem dominum sequetur:
absumet heres Caecuba dignior
servata centum clavibus et mero
tinguet pavimentum superbo,
pontificum potiore cenis.
Dovrai lasciare la terra, la casa e l'amata moglie
e di questi alberi che coltivi
nessuno se non gli odiati cipressi
seguirà te, padrone per breve tempo.
Un erede più degno consumerà il Cecubo
conservato con cento chiavi e
e tingerà il pavimento con quel vino superbo
superiore a quello delle cene dei pontefici.

 

Carmen I, 4 (testo integrale con traduzione)

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20
Pallida Mors aequo pulsat pede pauperum tabernas
regumque turris. o beate Sesti,
vitae summa brevis spem nos vetat inchoare longam;
iam te premet nox fabulaeque Manes
et domus exilis Plutonia; quo simul mearis,
nec regna vini sortiere talis
nec tenerum Lycidan mirabere, quo calet iuventus
nunc omnis et mox virgines tepebunt.
Con piede uguale la pallida morte batte alle capanne dei poveri e alle torri dei príncipi. Sestio, uomo felice, lo scorrere breve della vita ci vieta di cullare una lunga speranza. Già la notte ti avvince e i Mani favolosi, la diafana dimora di Plutone: là, al tuo entrare, non t'avverrà per sorte d'essere eletto re del convito e d'ammirare il tenero Lícida, che ora i giovani fa accendere e farà le fanciulle sospirare.

 

Carmen I, 9 (testo integrale con traduzione)

9
10




15
Permitte divis cetera, qui simul
stravere ventos aequore fervido
deproeliantis, nec cupressi
nec veteres agitantur orni.
Quid sit futurum cras, fuge quaerere, et
quem Fors dierum cumque dabit, lucro
adpone, nec dulcis amores
sperne puer neque tu choreas,

donec virenti canities abest
morosa.
Lascia il resto agli dei: quando placano
sul mare in burrasca la furia dei venti,
non trema piú nemmeno un cipresso,
un frassino cadente.
Smettila di chiederti cosa sarà domani,
e qualunque giorno la fortuna ti conceda
segnalo tra gli utili. Se ancora lontana
è la vecchiaia fastidiosa
dalla tua verde età, non disprezzare, ragazzo,
gli amori teneri e le danze.

 

Carmen I, 11 (testo integrale con traduzione)





5


Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi
finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios
temptaris numeros. ut melius, quidquid erit, pati.
seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam,
quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare
Tyrrhenum: sapias, vina liques, et spatio brevi
spem longam reseces. dum loquimur, fugerit invida
aetas: carpe diem quam minimum credula postero.
Non chiedere anche tu agli dei il mio e il tuo destino, Leucònoe: non è lecito saperlo, come indagare un senso fra gli astri di Caldea.
Credimi, è meglio rassegnarsi, se Giove ci concede molti inverni o l'ultimo sia questo che ora infrange le onde del Tirreno contro l'argine delle scogliere.
Pensaci: bevi un po' di vino e per il breve arco della vita tronca ogni lunga speranza. Mentre parliamo, con astio il tempo se n'è già fuggito. Goditi il presente e non credere al futuro.

 

 

  1. c’è la ricerca del “giardino” privato dove sottrarsi alle burrasche della vita. Lo sfondo naturale diventa correlativo oggettivo di uno stato d’animo interiore

Carmen III, 13 (testo integrale con traduzione)


10




15
Te flagrantis atrox hora Caniculae
nescit tangere, tu frigus amabile
fessis vomere tauris
praebes et pecori vago.
Fies nobilium tu quoque fontium
me dicente cavis inpositam ilicem
saxis, unde loquaces
lymphae desiliunt tuae.
Non sfiorata dall'arsura violenta
dell'estate, tu un fresco delizioso
sai offrire alle pecore smarrite,
ai tori sfiniti dall'aratro.
E sempre si ricorderà il tuo nome,
se ora canto le querce che crescono
su quella rupe, dove tra le fessure
scendono mormorando le tue acque.

 

Carmen I, 20





5




10
Vile potabis modicis Sabinum
cantharis, Graeca quod ego ipse testa
conditum levi, datus in theatro
cum tibi plausus,
care Maecenas eques, ut paterni
fluminis ripae simul et iocosa
redderet laudes tibi Vaticani
montis imago.
Caecubum et prelo domitam Caleno
tu bibes uvam: mea nec Falernae
temperant vites neque Formiani
pocula colles.
In coppe modeste berrai un vinello
sabino, che io stesso ho suggellato
in anfore greche, quando in teatro
ti tributarono,
mio caro Mecenate, quell'applauso,
che le rive del nostro fiume e l'eco
dei colli per gioco ti riportarono
con le tue lodi.
Tu bevi cecubo o vino spremuto
in torchi caleni, ma non falerno
o vini dei colli di Formia riempiono
i miei bicchieri.

 

 

  1. riprende dai Greci il tema del convito e del vino. Luogo e mezzo della spensieratezza, da godersi con amici sinceri. Anche l’amore non è quello catulliano, ma è un’ esperienza piacevole, razionalmente controllata (come voleva Epicuro)

Carmen III, 21





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20




O nata mecum consule Manlio,
seu tu querellas sive geris iocos
seu rixam et insanos amores
seu facilem, pia testa, somnum,
quocumque lectum nomine Massicum
servas, moveri digna bono die
descende Corvino iubente
promere languidiora vina.
non ille, quamquam Socraticis madet
sermonibus, te neglegit horridus:
narratur et prisci Catonis
saepe mero caluisse virtus.
tu lene tormentum ingenio admoves
plerumque duro, tu sapientium
curas et arcanum iocoso
consilium retegis Lyaeo,
tu spem reducis mentibus anxiis
virisque et addis cornua pauperi
post te neque iratos trementi
regum apices neque militum arma.
Te Liber et si laeta aderit Venus
segnesque nodum solvere Gratiae
vivaeque producent lucernae,
dum rediens fugat astra Phoebus.
Nata con me al tempo del console Manlio,
sia che tu porti lamenti o gioia, litigi,
amori folli o un sonno senza sogni,
anfora consacrata, a qualunque titolo
fu eletto il massico che conservi, ma certo
degna d'essere aperta in un giorno felice,
scendi qui fra noi ora che Corvino
impone d'offrire un vino prelibato.
E non sarà lui, che si è nutrito dei dialoghi
socratici, a trascurarti per moralismo:
anche il cuore severo di Catone
si scaldò, come sai, a volte col vino.
Agli animi che meno sono inclini tu
fai dolce violenza; col giocondo Lieo
tu riveli l'angoscia dei sapienti
e i pensieri che nell'intimo nascondono;
tu ridoni speranza ai cuori che s'angustiano
e al povero, che dopo il vino piú non teme
l'ira imperscrutabile dei re e l'arma
dei soldati, regali forza e coraggio.
Se di cuore qui verranno Libero, Venere
e le Grazie che non vogliono separarsi,
sarai fra noi al lume delle fiaccole
finché il sole non disperderà le stelle.

 

Carmen I, 37  (testo integrale con traduzione)




Nunc est bibendum, nunc pede libero
pulsanda tellus, nunc Saliaribus
ornare pulvinar deorum
tempus erat dapibus, sodales.
Ora puoi bere, puoi il piede battere libero
sulla terra; tornato, tornato è ora il tempo
di ornare, amici, l'ara degli dei
con un banchetto da fare invidia ai Salii.

 

  1. molto presenti inni e preghiere agli dei, che – da buon epicureo – hanno valore solo simbolico e letterario, ben lontani dalle idee tradizionali che Augusto avrebbe voluto che cantasse. Il tema gli serve non solo per ribadire i temi che gli stanno più a cuore, ma anche per dar alla sua poesia un’intonazione sacrale e un’ispirazione sublime

Carmen III, 23





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Caelo supinas si tuleris manus
nascente Luna, rustica Phidyle,
si ture placaris et horna
fruge Lares avidaque porca,
nec pestilentem sentiet Africum
fecunda vitis nec sterilem seges
robiginem aut dulces alumni
pomifero grave tempus anno.
nam quae nivali pascitur Algido
devota quercus inter et ilices
aut crescit Albanis in herbis
victima, pontificum securis
cervice tinguet; te nihil attinet
temptare multa caede bidentium
parvos coronantem marino
rore deos fragilique myrto.
inmunis aram si tetigit manus,
non sumptuosa blandior hostia,
mollivit aversos Penatis
farre pio et saliente mica.
Se le mani aperte leverai al cielo
quando sorge la luna, Fídile, figlia del campo,
se con l'incenso, col nuovo raccolto
e una scrofa ingorda placherai i Lari,
i grappoli del tuo vigneto non soffriranno
i malanni dello scirocco, né le messi
il fungo che le rende sterili o gli agnelli
delicati le intemperie dell'autunno.
Certo, tra le querce e i lecci dell'Àlgido nevoso
o sui colli erbosi d'Alba pascola già
e cresce la vittima designata
che arrosserà col sangue del suo collo
la scure dei pontefici: ma a te,
che li incoroni di rosmarino e di mirto,
non serve sedurre con una strage
d'animali i tuoi piccoli dei.
Se una mano innocente si posa sull'altare,
nessuna offerta di valore intenerisce
i Penati ostili piú dolcemente
d'un crepitio di sale sul grano sacro.

 

Carmen III, 30





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15
Exegi monumentum aere perennius
regalique situ pyramidum altius,
quod non imber edax, non aquilo impotens
possit diruere aut innumerabilis
annorum series et fuga temporum.
non omnis moriar multaque pars mei
vitabit Libitinam: usque ego postera
crescam laude recens, dum Capitolium
scandet cum tacita virgine pontifex:
dicar, qua violens obstrepit Aufidus
et qua pauper aquae Daunus agrestium
regnavit populorum, ex humili potens
princeps Aeolium carmen ad Italos
deduxisse modos. sume superbiam
quaesitam meritis et mihi Delphica
lauro cinge volens, Melpomene, comam.
Più immortale del bronzo ho lasciato un ricordo,
che s'alza piú delle piramidi reali,
e non potrà distruggerlo morso di pioggia,
violenza di venti o l'incessante catena
degli anni a venire, il dileguarsi del tempo.
No, non sarà la fine: gran parte di me
sfuggirà alla morte. E finché sul Campidoglio
salirà con la vergine muta un pontefice,
nel futuro sempre piú fiorirò di gloria.
Cosí, dove strepita tumultuoso l'Àufido,
dove in cerca d'acqua Dauno regnò sul popolo
dei campi, si dirà che io, d'umili origini
fatto signore, per primo in ritmi italiani
ho portato la poesia d'Eolia. Merito
d'orgoglio per te, Melpòmene: con l'alloro
di Delfi, se vuoi, cingimi allora i capelli.

 

 

  1. accanto ai temi intimistici e privati troviamo il ciclo delle “Odi romane”, frutto dell’eredità della lirica greca arcaica (Alceo e la lotta politica a Mitilene) e della vicinanza col princeps (esaltazione di Roma, dei mores antichi e del ruolo epocale dell’Urbs).


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