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è la fase della competizione con i modelli greci, che lo porterà ad esser definito l' "Alceo romano" (per l'imitazione dei metri, dei ritmi e di alcune tematiche del poeta greco arcaico). L'intenzione di Orazio fu sempre di alludere al modello greco, attraverso citazioni (soprattutto nel "motto di inizio" che spesso rieccheggia l'originale greco) e riprese. Su tale fondo comune si innesta la varatio del tema che è tutta personale, contemporanea al poeta e quindi originale.
fortissima la cura formale, anche in questo è poeta alessandrino pieno di tèchne, doctrina e ars: decorum (= scelta del vocabolo più appropriato), attenzione sintattica, callidae iuncturae (= insoliti nessi di parole)
è profondamente consapevole di aver creato qualcosa di eterno: si definisce vates, poeta sacro ispirato da forze superiori, capace con la sua poesia di vincere il tempo e la morte
i quattro libri delle Odi comprendono 103 componimenti, pubblicati i primi tre nel 23 a.C., l’ultimo nel 13 a.C.
permangono prevalenti gli interessi filosofici:
perviene al concetto di aurea mediocritas, splendida moderazione e di aequa mens, animo imperturbato, che definiscono l’ideale di saggezza costantemente insidiato dal disagio esistenziale: dal sentimento del tempo che fugge e dal pensiero della morte (carpe diem, figlio dell’angoscia)
Carmen II, 10 (testo integrale con traduzione)
5 | Auream quisquis
mediocritatem diligit, tutus caret obsoleti sordibus tecti, caret invidenda sobrius aula. |
C'è una misura
d'oro: chi la predilige evita cauto lo squallore di un tugurio in pezzi, e sobrio lo splendore di una reggia che suscita l'invidia. |
Carmen III, 1 (testo integrale con traduzione)
25 30 35 40 45 |
Desiderantem
quod satis est neque tumultuosum sollicitat mare nec saevus Arcturi cadentis impetus aut orientis Haedi, non verberatae grandine vineae fundusque mendax, arbore nunc aquas culpante, nunc torrentia agros sidera, nunc hiemes iniquas. contracta pisces aequora sentiunt iactis in altum molibus: huc frequens caementa demittit redemptor cum famulis dominusque terrae fastidiosus; sed Timor et Minae scandunt eodem quo dominus, neque decedit aerata triremi et post equitem sedet atra Cura. quodsi dolentem nec Phrygius lapis nec purpurarum sidere clarior delenit usus nec Falerna vitis Achaemeniumque costum, cur invidendis postibus et novo sublime ritu moliar atrium? cur valle permutem Sabina divitias operosiores? |
Chi sogna in cuor
suo solo ciò che gli basta non diventa ansioso per il mare in burrasca,
la furia di Arturo quando tramonta o quella del Capretto quando si leva,
né per le vigne flagellate dalla grandine, per la delusione del podere,
che addebita ora alle piante, alle piogge, o alle stelle che bruciano i
campi, ora all'inverno crudo. I pesci avvertono che si restringe il mare per le dighe di macigni gettati al largo: con una folla di operai le colmano pietra su pietra l'impresario e il padrone infastidito dalla terraferma. Ma con le dighe salgono timore e minacce, e un cupo affanno s'abbarbica al bronzo della nave, segue a spalla il cavaliere. Ora se un marmo frigio o l'uso della porpora piú splendente degli astri, la vite falerna o un profumo orientale non sollevano chi è prostrato dal dolore, perché mai, seguendo i nuovi costumi, dovrei erigere un grand'atrio con stipiti da fare invidia? perché dovrei cambiare con ricchezze piú impegnative la mia valle sabina? |
Carmen I, 1 (testo integrale con traduzione)
29 30 35 |
Me
doctarum hederae praemia frontium dis miscent superis, me gelidum nemus Nympharumque leves cum Satyris chori secernunt populo, si neque tibias Euterpe cohibet nec Polyhymnia Lesboum refugit tendere barbiton. Quodsi me lyricis vatibus inseres, sublimi feriam sidera vertice. |
Io no: l'edera
che premia la fronte dei sapienti mi associa agli dei e il fresco dei
boschi, dove coi satiri danzano agili le ninfe, mi distingue dalla folla,
se non ammutolisce il flauto di Euterpe e non si rifiuta Polinnia di
accordare la lira di Lesbo. Ponimi dunque fra i poeti lirici: col capo in cielo toccherò le stelle. |
Carmen II, 14 (testo integrale con traduzione)
21 25 |
Linquenda tellus
et domus et placens uxor, neque harum quas colis arborum te praeter invisas cupressos ulla brevem dominum sequetur: absumet heres Caecuba dignior servata centum clavibus et mero tinguet pavimentum superbo, pontificum potiore cenis. |
Dovrai lasciare
la terra, la casa e l'amata moglie e di questi alberi che coltivi nessuno se non gli odiati cipressi seguirà te, padrone per breve tempo. Un erede più degno consumerà il Cecubo conservato con cento chiavi e e tingerà il pavimento con quel vino superbo superiore a quello delle cene dei pontefici. |
Carmen I, 4 (testo integrale con traduzione)
13 15 20 |
Pallida Mors
aequo pulsat pede pauperum tabernas regumque turris. o beate Sesti, vitae summa brevis spem nos vetat inchoare longam; iam te premet nox fabulaeque Manes et domus exilis Plutonia; quo simul mearis, nec regna vini sortiere talis nec tenerum Lycidan mirabere, quo calet iuventus nunc omnis et mox virgines tepebunt. |
Con piede uguale la pallida morte batte alle capanne dei poveri e alle torri dei príncipi. Sestio, uomo felice, lo scorrere breve della vita ci vieta di cullare una lunga speranza. Già la notte ti avvince e i Mani favolosi, la diafana dimora di Plutone: là, al tuo entrare, non t'avverrà per sorte d'essere eletto re del convito e d'ammirare il tenero Lícida, che ora i giovani fa accendere e farà le fanciulle sospirare. |
Carmen I, 9 (testo integrale con traduzione)
9 10 15 |
Permitte divis
cetera, qui simul stravere ventos aequore fervido deproeliantis, nec cupressi nec veteres agitantur orni. Quid sit futurum cras, fuge quaerere, et quem Fors dierum cumque dabit, lucro adpone, nec dulcis amores sperne puer neque tu choreas, donec virenti canities abest morosa. |
Lascia il resto
agli dei: quando placano sul mare in burrasca la furia dei venti, non trema piú nemmeno un cipresso, un frassino cadente. Smettila di chiederti cosa sarà domani, e qualunque giorno la fortuna ti conceda segnalo tra gli utili. Se ancora lontana è la vecchiaia fastidiosa dalla tua verde età, non disprezzare, ragazzo, gli amori teneri e le danze. |
Carmen I, 11 (testo integrale con traduzione)
5 |
Tu ne quaesieris,
scire nefas, quem mihi, quem tibi finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios temptaris numeros. ut melius, quidquid erit, pati. seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam, quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare Tyrrhenum: sapias, vina liques, et spatio brevi spem longam reseces. dum loquimur, fugerit invida aetas: carpe diem quam minimum credula postero. |
Non chiedere
anche tu agli dei il mio e il tuo destino, Leucònoe: non è lecito
saperlo, come indagare un senso fra gli astri di Caldea. Credimi, è meglio rassegnarsi, se Giove ci concede molti inverni o l'ultimo sia questo che ora infrange le onde del Tirreno contro l'argine delle scogliere. Pensaci: bevi un po' di vino e per il breve arco della vita tronca ogni lunga speranza. Mentre parliamo, con astio il tempo se n'è già fuggito. Goditi il presente e non credere al futuro. |
c’è la ricerca del “giardino” privato dove sottrarsi alle burrasche della vita. Lo sfondo naturale diventa correlativo oggettivo di uno stato d’animo interiore
Carmen III, 13 (testo integrale con traduzione)
10 15 |
Te
flagrantis atrox hora Caniculae nescit tangere, tu frigus amabile fessis vomere tauris praebes et pecori vago. Fies nobilium tu quoque fontium me dicente cavis inpositam ilicem saxis, unde loquaces lymphae desiliunt tuae. |
Non sfiorata
dall'arsura violenta dell'estate, tu un fresco delizioso sai offrire alle pecore smarrite, ai tori sfiniti dall'aratro. E sempre si ricorderà il tuo nome, se ora canto le querce che crescono su quella rupe, dove tra le fessure scendono mormorando le tue acque. |
Carmen I, 20
5 10 |
Vile potabis
modicis Sabinum cantharis, Graeca quod ego ipse testa conditum levi, datus in theatro cum tibi plausus, care Maecenas eques, ut paterni fluminis ripae simul et iocosa redderet laudes tibi Vaticani montis imago. Caecubum et prelo domitam Caleno tu bibes uvam: mea nec Falernae temperant vites neque Formiani pocula colles. |
In coppe modeste
berrai un vinello sabino, che io stesso ho suggellato in anfore greche, quando in teatro ti tributarono, mio caro Mecenate, quell'applauso, che le rive del nostro fiume e l'eco dei colli per gioco ti riportarono con le tue lodi. Tu bevi cecubo o vino spremuto in torchi caleni, ma non falerno o vini dei colli di Formia riempiono i miei bicchieri. |
riprende dai Greci il tema del convito e del vino. Luogo e mezzo della spensieratezza, da godersi con amici sinceri. Anche l’amore non è quello catulliano, ma è un’ esperienza piacevole, razionalmente controllata (come voleva Epicuro)
Carmen III, 21
5 10 15 20 |
O nata mecum
consule Manlio, seu tu querellas sive geris iocos seu rixam et insanos amores seu facilem, pia testa, somnum, quocumque lectum nomine Massicum servas, moveri digna bono die descende Corvino iubente promere languidiora vina. non ille, quamquam Socraticis madet sermonibus, te neglegit horridus: narratur et prisci Catonis saepe mero caluisse virtus. tu lene tormentum ingenio admoves plerumque duro, tu sapientium curas et arcanum iocoso consilium retegis Lyaeo, tu spem reducis mentibus anxiis virisque et addis cornua pauperi post te neque iratos trementi regum apices neque militum arma. Te Liber et si laeta aderit Venus segnesque nodum solvere Gratiae vivaeque producent lucernae, dum rediens fugat astra Phoebus. |
Nata con me al
tempo del console Manlio, sia che tu porti lamenti o gioia, litigi, amori folli o un sonno senza sogni, anfora consacrata, a qualunque titolo fu eletto il massico che conservi, ma certo degna d'essere aperta in un giorno felice, scendi qui fra noi ora che Corvino impone d'offrire un vino prelibato. E non sarà lui, che si è nutrito dei dialoghi socratici, a trascurarti per moralismo: anche il cuore severo di Catone si scaldò, come sai, a volte col vino. Agli animi che meno sono inclini tu fai dolce violenza; col giocondo Lieo tu riveli l'angoscia dei sapienti e i pensieri che nell'intimo nascondono; tu ridoni speranza ai cuori che s'angustiano e al povero, che dopo il vino piú non teme l'ira imperscrutabile dei re e l'arma dei soldati, regali forza e coraggio. Se di cuore qui verranno Libero, Venere e le Grazie che non vogliono separarsi, sarai fra noi al lume delle fiaccole finché il sole non disperderà le stelle. |
Carmen I, 37 (testo integrale con traduzione)
Nunc est
bibendum, nunc pede libero pulsanda tellus, nunc Saliaribus ornare pulvinar deorum tempus erat dapibus, sodales. |
Ora puoi bere,
puoi il piede battere libero sulla terra; tornato, tornato è ora il tempo di ornare, amici, l'ara degli dei con un banchetto da fare invidia ai Salii. |
molto presenti inni e preghiere agli dei, che – da buon epicureo – hanno valore solo simbolico e letterario, ben lontani dalle idee tradizionali che Augusto avrebbe voluto che cantasse. Il tema gli serve non solo per ribadire i temi che gli stanno più a cuore, ma anche per dar alla sua poesia un’intonazione sacrale e un’ispirazione sublime
Carmen III, 23
5 10 15 20 |
Caelo supinas si
tuleris manus nascente Luna, rustica Phidyle, si ture placaris et horna fruge Lares avidaque porca, nec pestilentem sentiet Africum fecunda vitis nec sterilem seges robiginem aut dulces alumni pomifero grave tempus anno. nam quae nivali pascitur Algido devota quercus inter et ilices aut crescit Albanis in herbis victima, pontificum securis cervice tinguet; te nihil attinet temptare multa caede bidentium parvos coronantem marino rore deos fragilique myrto. inmunis aram si tetigit manus, non sumptuosa blandior hostia, mollivit aversos Penatis farre pio et saliente mica. |
Se le mani aperte
leverai al cielo quando sorge la luna, Fídile, figlia del campo, se con l'incenso, col nuovo raccolto e una scrofa ingorda placherai i Lari, i grappoli del tuo vigneto non soffriranno i malanni dello scirocco, né le messi il fungo che le rende sterili o gli agnelli delicati le intemperie dell'autunno. Certo, tra le querce e i lecci dell'Àlgido nevoso o sui colli erbosi d'Alba pascola già e cresce la vittima designata che arrosserà col sangue del suo collo la scure dei pontefici: ma a te, che li incoroni di rosmarino e di mirto, non serve sedurre con una strage d'animali i tuoi piccoli dei. Se una mano innocente si posa sull'altare, nessuna offerta di valore intenerisce i Penati ostili piú dolcemente d'un crepitio di sale sul grano sacro. |
Carmen III, 30
5 10 15 |
Exegi monumentum
aere perennius regalique situ pyramidum altius, quod non imber edax, non aquilo impotens possit diruere aut innumerabilis annorum series et fuga temporum. non omnis moriar multaque pars mei vitabit Libitinam: usque ego postera crescam laude recens, dum Capitolium scandet cum tacita virgine pontifex: dicar, qua violens obstrepit Aufidus et qua pauper aquae Daunus agrestium regnavit populorum, ex humili potens princeps Aeolium carmen ad Italos deduxisse modos. sume superbiam quaesitam meritis et mihi Delphica lauro cinge volens, Melpomene, comam. |
Più immortale
del bronzo ho lasciato un ricordo, che s'alza piú delle piramidi reali, e non potrà distruggerlo morso di pioggia, violenza di venti o l'incessante catena degli anni a venire, il dileguarsi del tempo. No, non sarà la fine: gran parte di me sfuggirà alla morte. E finché sul Campidoglio salirà con la vergine muta un pontefice, nel futuro sempre piú fiorirò di gloria. Cosí, dove strepita tumultuoso l'Àufido, dove in cerca d'acqua Dauno regnò sul popolo dei campi, si dirà che io, d'umili origini fatto signore, per primo in ritmi italiani ho portato la poesia d'Eolia. Merito d'orgoglio per te, Melpòmene: con l'alloro di Delfi, se vuoi, cingimi allora i capelli. |
accanto ai temi intimistici e privati troviamo il ciclo delle “Odi romane”, frutto dell’eredità della lirica greca arcaica (Alceo e la lotta politica a Mitilene) e della vicinanza col princeps (esaltazione di Roma, dei mores antichi e del ruolo epocale dell’Urbs).
è molto attento alle simmetrie interne all’opera, che rende vano il tentativo di ricostruire l’ordine cronologico di composizione. Rimane sempre fedele al precetto del labor limae neoterico. Il vocabolario è semplice ed essenziale, mentre si concentra sulla callida iunctura, un’associazione di parole insolita e quindi capace di dare nuovo senso. La sintassi è limpida e composta, senza complicazioni strutturali.