La quarta ecloga e l'età dell'oro

 

Virgilio canta una nuova età dell’oro, che avrà inizio dopo la nascita di un puer e che riporterà sulla terra la pace, questo dono così prezioso, e la prosperità. Sul problema dell’identificazione di questo misterioso puer, prima ancora che sull’interpretazione complessiva dell’ecloga, gli interpreti si sono lungamente confrontati: la maggior parte dei critici lo hanno riconosciuto nel figlio di Asinio Pollione, a cui il carme è dedicato. Pollione fu console nel 40 a.C., alla cui data andrebbe dunque riportata la composizione; suo figlio Salonino nacque probabilmente nell’inverno di quell’anno. Ma è più verosimile che il puer a cui pensa Virgilio fosse il figlio (in realtà sarebbe nata una bambina) che Marco Antonio avrebbe generato con Ottavia, sorella di Ottaviano, dopo il patto di Brindisi stipulato dai due triumviri nel 40 a.C. e che, suggellato da quel matrimonio dinastico, si pensava avrebbe posto fine a ogni contesa tra loro.

 

A partire dal IV-V secolo d. C. (dall’imperatore Costantino, o da qualcuno che si nascose sotto il suo nome) si credette addirittura che Virgilio avesse preconizzato la nascita di Cristo; da qui la fama di indovino e mago che lo circondò nel Medioevo. Quanto al senso complessivo dell’ecloga, essa comprende effettivamente riferimenti di carattere messianico e soteriologico, impregnata com’è del tema della «salvezza» del mondo. Di certo il motivo del saeclorum ordo (“la sequenza ciclica delle età”) e del ritorno dell’età di Saturno percorreva largamente la società romana contemporanea, sensibilissima a ogni voce oracolare. Nel diffuso clima di attesa e di profezie (nel 33 a. C. Agrippa, in qualità di edile, fece scacciare da Roma indovini e maghi), il carme rifletteva l’idea che Roma e la civiltà stessa fossero a un bivio: o l’imbarbarimento, quello paventato da Orazio nell’epòdo 16, in cui s’immagina che il barbarus victor s’impossessi di Roma, o il ritorno dell’età dell’oro.

 

Virgilio indossa dunque l’abito del vates, trasfigurando l’attualità attraverso un linguaggio oscuro e a tratti involuto, che sembra ricalcare quello degli oracoli e dei vaticinii.

 

Questo è il testo e la traduzione della quarta ecloga

 





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Sicelides Musae, paulo maiora canamus!
Non omnis arbusta iuvant humilesque myricae;
si canimus silvas, silvae sint consule dignae.
Ultima Cumaei venit iam carminis aetas;
magnus ab integro saeclorum nascitur ordo:
iam redit et Virgo, redeunt Saturnia regna;
iam nova progenies caelo demittitur alto.
Tu modo nascenti puero, quo ferrea primum
desinet ac toto surget gens aurea mundo,
casta fave Lucina: tuus iam regnat Apollo.
Teque adeo decus hoc aevi te consule inibit,
Pollio, et incipient magni procedere menses.
te duce, si qua manent sceleris vestigia nostri,
inrita perpetua solvent formidine terras.
ille deum vitam accipiet, divisque videbit
permixtos heroas, et ipse videbitur illis,
pacatumque reget patriis virtutibus orbem.


At tibi prima, puer, nullo munuscula cultu
errantis hederas passim cum baccare tellus
mixtaque ridenti colocasia fundet acantho.
Ipsae lacte domum referent distenta capellae
ubera, nec magnos metuent armenta leones;
ipsa tibi blandos fundent cunabula flores,
occidet et serpens, et fallax herba veneni
occidet, Assyrium volgo nascetur amomum.
at simul heroum laudes et facta parentis
iam legere et quae sit poteris cognoscere virtus,
molli paulatim flavescet campus arista,
incultisque rubens pendebit sentibus uva,
et durae quercus sudabunt roscida mella
Pauca tamen suberunt priscae vestigia fraudis,
quae temptare Thetim ratibus, quae cingere muris
oppida, quae iubeant telluri infindere sulcos:
alter erit tum Tiphys, et altera quae vehat Argo
delectos Heroas; erunt etiam altera bella,
atque iterum ad Troiam magnus mittetur Achilles.


Hinc, ubi iam firmata virum te fecerit aetas,
cedet et ipse mari vector, nec nautica pinus
mutabit merces: omnis feret omnia tellus:
non rastros patietur humus, non vinea falcem;
robustus quoque iam tauris iuga solvet arator;
nec varios discet mentiri lana colores:
ipse sed in pratis aries iam suave rubenti
murice, iam croceo mutabit vellera luto;
sponte sua sandyx pascentis vestiet agnos.

Talia saecla, suis dixerunt, currite, fusis
concordes stabili fatorum numine Parcae.
Adgredere o magnos - aderit iam tempus - honores,
cara deum suboles, magnum Iovis incrementum!
Aspice convexo nutantem pondere mundum,
terrasque tractusque maris caelumque profundum!
Aspice, venturo laetentur ut omnia saeclo!
O mihi tam longae maneat pars ultima vitae,
spiritus et quantum sat erit tua dicere facta!
Non me carminibus vincet nec Thracius Orpheus,
nec Linus, huic mater quamvis atque huic pater adsit,
Orphei Calliopea, Lino formosus Apollo,
Pan etiam, Arcadia mecum si iudice certet,
Pan etiam Arcadia dicat se iudice victum.
Incipe, parve puer, risu cognoscere matrem,
matri longa decem tulerunt fastidia menses.
Incipe, parve puer, cui non risere parentes,
nec deus hunc mensa, dea nec dignata cubili est.

Muse siciliane, cantiamo cose un poco più grandi! Non a tutti piacciono gli arbusti ed i bassi tamerischi; se cantiamo le selve, siano selve degne di un console.

Ora è giunta l'ultima età della profezia cumana, riprende da capo il grande ciclo dei secoli; ora anche la Vergine torna, tornano i regni di Saturno, dall'alto cielo è fatta scendere ora una nuova progenie. Tu dunque proteggi, casta Lucina, il fanciullo che sta nascendo, per il quale per la prima volta avrà fine la generazione del ferro e sorgerà in tutto il mondo quella dell'oro; ora governa il tuo Apollo. E proprio sotto il tuo, il tuo consolato, Pollione, avrà inizio questa splendida età e i grandi mesi cominceranno a trascorrere; sotto la tua guida, le tracce rimaste della nostra scelleratezza dissolte libereranno dall'eterna paura le terre. Il fanciullo assumerà la vita degli dei, e vedrà gli eroi insieme agli dei ed egli stesso sarà visto da loro, e reggerà il mondo pacificato con le virtù paterne.
Ma per te, fanciullo, senza essere coltivata, la terra produrrà come primi piccoli regali edere erranti qua e là e bàccare e colocasia frammista a ridente acanto; come culla spontaneamente produrrà per te fiori delicati. Spontaneamente le caprette riporteranno a casa le poppe colme di latte, né più gli armenti avranno paura dei grandi leoni; e perirà il serpente, e perirà l'erba ingannatrice del veleno; nascerà dappertutto amomo assirio.

Ma appena sarai in grado di leggere le gesta gloriose degli eroi e le imprese del padre e di conoscere quale sia la virtù, a poco a poco la campagna si farà bionda di morbide spighe e penderà da rovi incolti rosseggiante l'uva e le dure querce trasuderanno miele rugiadoso. Ma della antica malvagità resteranno celate poche tracce, che indurranno a solcare il mare con battelli, a cingere di mura le città, a incidere di solchi la terra. Vi sarà allora un altro Tifi e un'altra Argo che trasporti scelti eroi; vi saranno ancora altre guerre e di nuovo il grande Achille sarà inviato a Troia.

Quindi, quando ormai l'età adulta ti avrà fatto uomo, anche il navigante lascerà il mare, e la nave di pino non scambierà più le merci, tutta la terra produrrà tutto: il suolo non subirà rastrelli, né la vigna il falcetto, anche il robusto aratore libererà ormai dal giogo i buoi. La lana non apprenderà a simulare i vari colori, ma da sé sui prati l'ariete cambierà il suo vello ora nel color della porpora piacevolmente rosso ora nel color giallo dello zafferano; spontaneamente il minio scarlatto vestirà al pascolo gli agnelli.
Concordi per la ferma volontà dei fati dissero ai loro fusi le Parche: «Filate tali secoli». Orsù, avvicìnati (ormai è tempo) ai grandi onori, cara progenie degli dei, incremento grande di Giove ! Guarda il mondo ondeggiante nella sua massa ricurva, e le terre e gli spazi del mare e il cielo profondo; guarda come tutto si allieti per il secolo che sta giungendo! Oh, a me allora rimanga l'ultima parte di una lunga vita, e tanta ispirazione quanto basterà per cantare le tue imprese!
Nei canti non mi vincerà il tracio Orfeo né Lino, per quanto all'uno dia aiuto la madre e all'altro il padre, a Orfeo Calliope, a Lino il bell'Apollo. Anche Pan se gareggiasse con me davanti al giudizio d'Arcadia, anche Pan si dichiarerebbe vinto davanti al giudizio d'Arcadia.

Incomincia, bambino, a riconoscere nel sorriso la madre: lunga pena arrecarono i dieci mesi alla madre. Incomincia, bambino: colui al quale non sorrisero i genitori, né un dio lo degnò della sua mensa, né una dea del suo letto.

 

 

L'età di Saturno

 

Saturno era un tipico dio romano, collegato alla semina e all’agricoltura; era a lui dedicata la festa dei Saturnali.

Il dio provenne ai Romani (forse attraverso gli etruschi) da un’antica divinità mediterranea della fecondità. In seguito fu identificato con il dio greco Crono; ne nacque la tradizione mitica secondo la quale Saturno/Crono, spodestato da Zeus, trovò infine rifugio in Italia, che viene appunto celebrata dai poeti latini e da Virgilio come la Saturnia tellus, "terra di Saturno".

In particolare, il dio si sarebbe fermato nel Lazio, che avrebbe preso questo nome perché là egli si sarebbe nascosto (fatere significa "nascondersi"). Accolto da Giano, avrebbe fondato città e inaugurato un’era di concordia, chiamata età dell’oro o, appunto, "età di Saturno”.

La propaganda di Augusto celebrava il governo del principe come il ripristino di questo tempo mitico del Lazio primitivo.


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