I Promessi Sposi
Capitolo XX
Il
castello dell'innominato era a cavaliere a una valle angusta e uggiosa, sulla
cima d'un poggio che sporge in fuori da un'aspra giogaia di monti, ed è, non si
saprebbe dir bene, se congiunto ad essa o separatone, da un mucchio di massi e
di dirupi, e da un andirivieni di tane e di precipizi, che si prolungano anche
dalle due parti. Quella che guarda la valle è la sola praticabile; un pendìo
piùttosto erto, ma uguale e continuato; a prati in alto; nelle falde a campi,
sparsi qua e là di casucce. Il fondo è un letto di ciottoloni, dove scorre un
rigagnolo o torrentaccio, secondo la stagione: allora serviva di confine ai due
stati. I gioghi opposti, che formano, per dir così, l'altra parete della valle,
hanno anch'essi un po' di falda coltivata; il resto è schegge e macigni, erte
ripide, senza strada e nude, meno qualche cespuglio ne' fessi e sui ciglioni.
Dall'alto del
castellaccio, come l'aquila dal suo nido insanguinato, il selvaggio signore
dominava all'intorno tutto lo spazio dove piede d'uomo potesse posarsi, e non
vedeva mai nessuno al di sopra di sé, né più in alto. Dando un'occhiata in
giro, scorreva tutto quel recinto, i pendìi, il fondo, le strade praticate là
dentro. Quella che, a gomiti e a giravolte, saliva al terribile domicilio, si
spiegava davanti a chi guardasse di lassù, come un nastro serpeggiante: dalle
finestre, dalle feritoie, poteva il signore contare a suo bell'agio i passi di
chi veniva, e spianargli l'arme contro, cento volte. E anche d'una grossa
compagnia, avrebbe potuto, con quella guarnigione di bravi che teneva lassù,
stenderne sul sentiero, o farne ruzzolare al fondo parecchi, prima che uno
arrivasse a toccar la cima. Del resto, non che lassù, ma neppure nella valle, e
neppur di passaggio, non ardiva metter piede nessuno che non fosse ben visto dal
padrone del castello. Il birro poi che vi si fosse lasciato vedere, sarebbe
stato trattato come una spia nemica che venga colta in un accampamento. Si
raccontavano le storie tragiche degli ultimi che avevano voluto tentar
l'impresa; ma eran già storie antiche; e nessuno de' giovani si rammentava
d'aver veduto nella valle uno di quella razza, né vivo, né morto.
Tale è la descrizione che
l'anonimo fa del luogo: del nome, nulla; anzi, per non metterci sulla strada di
scoprirlo, non dice niente del viaggio di don Rodrigo, e lo porta addirittura
nel mezzo della valle, appiè del poggio, all'imboccatura dell'erto e tortuoso
sentiero. Lì c'era una taverna, che si sarebbe anche potuta chiamare un corpo
di guardia. Sur una vecchia insegna che pendeva sopra l'uscio, era dipinto da
tutt'e due le parti un sole raggiante; ma la voce pubblica, che talvolta ripete
i nomi come le vengono insegnati, talvolta li rifà a modo suo, non chiamava
quella taverna che col nome della Malanotte.
Al rumore d'una
cavalcatura che s'avvicinava, comparve sulla soglia un ragazzaccio, armato come
un saracino; e data un'occhiata, entrò ad informare tre sgherri, che stavan
giocando, con certe carte sudice e piegate in forma di tegoli. Colui che pareva
il capo s'alzò, s'affacciò all'uscio, e, riconosciuto un amico del suo
padrone, lo salutò rispettosamente. Don Rodrigo, resogli con molto garbo il
saluto, domandò se il signore si trovasse al castello; e rispostogli da quel
caporalaccio, che credeva di sì, smontò da cavallo, e buttò la briglia al
Tiradritto, uno del suo seguito. Si levò lo schioppo, e lo consegnò al
Montanarolo, come per isgravarsi d'un peso inutile, e salir più lesto; ma, in
realtà, perché sapeva bene, che su quell'erta non era permesso d'andar con lo
schioppo. Si cavò poi di tasca alcune berlinghe, e le diede al Tanabuso,
dicendogli: - voi altri state ad aspettarmi; e intanto starete un po' allegri
con questa brava gente. - Cavò finalmente alcuni scudi d'oro, e li mise in mano
al caporalaccio, assegnandone metà a lui, e metà da dividersi tra i suoi
uomini. Finalmente, col Griso, che aveva anche lui posato lo schioppo, cominciò
a piedi la salita. Intanto i tre bravi sopraddetti, e lo Squinternotto ch'era il
quarto (oh! vedete che bei nomi, da serbarceli con tanta cura), rimasero coi tre
dell'innominato, e con quel ragazzo allevato alle forche, a giocare, a trincare,
e a raccontarsi a vicenda le loro prodezze.