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Il
qual padre Cristoforo si fermò ritto sulla soglia, e, appena ebbe data
un'occhiata alle donne, dovette accorgersi che i suoi presentimenti non eran
falsi. Onde, con quel tono d'interrogazione che va incontro a una trista
risposta, alzando la barba con un moto leggiero della testa all'indietro,
disse: - ebbene? - Lucia rispose con uno scoppio di pianto. La madre cominciava
a far le scuse d'aver osato... ma il frate s'avanzò, e, messosi a sedere sur
un panchetto a tre piedi, troncò i complimenti, dicendo a Lucia: - quietatevi,
povera figliuola. E voi, - disse poi ad Agnese, - raccontatemi cosa c'è! -
Mentre la buona donna faceva alla meglio la sua dolorosa relazione, il frate
diventava di mille colori, e ora alzava gli occhi al cielo, ora batteva i
piedi. Terminata la storia, si coprì il volto con le mani, ed esclamò: - o
Dio benedetto! fino a quando...! - Ma, senza compir la frase, voltandosi di
nuovo alle donne: - poverette! - disse: - Dio vi ha visitate. Povera Lucia!
- Non ci abbandonerà,
padre? - disse questa, singhiozzando.
- Abbandonarvi! -
rispose. - E con che faccia potrei io chieder a Dio qualcosa per me, quando
v'avessi abbandonata? voi in questo stato! voi, ch'Egli mi confida! Non vi
perdete d'animo: Egli v'assisterà: Egli vede tutto: Egli può servirsi anche
d'un uomo da nulla come son io, per confondere un... Vediamo, pensiamo quel che
si possa fare.
Così dicendo, appoggiò
il gomito sinistro sul ginocchio, chinò la fronte nella palma, e con la destra
strinse la barba e il mento, come per tener ferme e unite tutte le potenze
dell'animo. Ma la più attenta considerazione non serviva che a fargli scorgere
più distintamente quanto il caso fosse pressante e intrigato, e quanto scarsi,
quanto incerti e pericolosi i ripieghi. «Mettere un po' di vergogna a don
Abbondio, e fargli sentire quanto manchi al suo dovere? Vergogna e dovere sono
un nulla per lui, quando ha paura. E fargli paura? Che mezzi ho io mai di
fargliene una che superi quella che ha d'una schioppettata? Informar di tutto
il cardinale arcivescovo, e invocar la sua autorità? Ci vuol tempo: e intanto?
e poi? Quand'anche questa povera innocente fosse maritata, sarebbe questo un
freno per quell'uomo? Chi sa a qual segno possa arrivare?... E resistergli?
Come? Ah! se potessi, pensava il povero frate, se potessi tirar dalla mia i
miei frati di qui, que' di Milano! Ma! non è un affare comune; sarei
abbandonato. Costui fa l'amico del convento, si spaccia per partigiano de'
cappuccini: e i suoi bravi non son venuti più d'una volta a ricoverarsi da
noi? Sarei solo in ballo; mi buscherei anche dell'inquieto, dell'imbroglione,
dell'accattabrighe; e, quel ch'è più, potrei fors'anche, con un tentativo
fuor di tempo, peggiorar la condizione di questa poveretta». Contrappesato il
pro e il contro di questo e di quel partito, il migliore gli parve d'affrontar
don Rodrigo stesso, tentar di smoverlo dal suo infame proposito, con le
preghiere, coi terrori dell'altra vita, anche di questa, se fosse possibile.
Alla peggio, si potrebbe almeno conoscere, per questa via, più distintamente
quanto colui fosse ostinato nel suo sporco impegno, scoprir di più le sue
intenzioni, e prender consiglio da ciò.
Mentre il frate stava così
meditando, Renzo, il quale, per tutte le ragioni che ognun può indovinare, non
sapeva star lontano da quella casa, era comparso sull'uscio; ma, visto il padre
sopra pensiero, e le donne che facevan cenno di non disturbarlo, si fermò
sulla soglia, in silenzio. Alzando la faccia, per comunicare alle donne il suo
progetto, il frate s'accorse di lui, e lo salutò in un modo ch'esprimeva
un'affezione consueta, resa più intensa dalla pietà.
- Le hanno detto...,
padre? - gli domandò Renzo, con voce commossa.
- Pur troppo; e per
questo son qui.
Che dice di quel
birbone...?
- Che vuoi ch'io dica di
lui? Non è qui a sentire: che gioverebbero le mie parole? Dico a te, il mio
Renzo, che tu confidi in Dio, e che Dio non t'abbandonerà.
- Benedette le sue
parole! - esclamò il giovane. - Lei non è di quelli che dan sempre torto a'
poveri. Ma il signor curato, e quel signor dottor delle cause perse...
- Non rivangare quello
che non può servire ad altro che a inquietarti inutilmente. Io sono un povero
frate; ma ti ripeto quel che ho detto a queste donne: per quel poco che posso,
non v'abbandonerò.
- Oh, lei non è come gli
amici del mondo! Ciarloni! Chi avesse creduto alle proteste che mi facevan
costoro, nel buon tempo; eh eh! Eran pronti a dare il sangue per me;
m'avrebbero sostenuto contro il diavolo. S'io avessi avuto un nemico?...
bastava che mi lasciassi intendere; avrebbe finito presto di mangiar pane. E
ora, se vedesse come si ritirano... - A questo punto, alzando gli occhi al
volto del padre, vide che s'era tutto rannuvolato, e s'accorse d'aver detto ciò
che conveniva tacere. Ma volendo raccomodarla, s'andava intrigando e
imbrogliando: - volevo dire... non intendo dire... cioè, volevo dire...
- Cosa volevi dire? E
che? tu avevi dunque cominciato a guastar l'opera mia, prima che fosse
intrapresa! Buon per te che sei stato disingannato in tempo. Che! tu andavi in
cerca d'amici... quali amici!... che non t'avrebber potuto aiutare, neppur
volendo! E cercavi di perder Quel solo che lo può e lo vuole! Non sai tu che
Dio è l'amico de' tribolati, che confidano in Lui? Non sai tu che, a metter
fuori l'unghie, il debole non ci guadagna? E quando pure... - A questo punto,
afferrò fortemente il braccio di Renzo: il suo aspetto, senza perder d'autorità,
s'atteggiò d'una compunzione solenne, gli occhi s'abbassarono, la voce divenne
lenta e come sotterranea: - quando pure... è un terribile guadagno! Renzo!
vuoi tu confidare in me?... che dico in me, omiciattolo, fraticello? Vuoi tu
confidare in Dio?
- Oh sì! - rispose
Renzo. - Quello è il Signore davvero.
- Ebbene; prometti che
non affronterai, che non provocherai nessuno, che ti lascerai guidar da me.
- Lo prometto. Lucia fece
un gran respiro, come se le avesser levato un peso d'addosso; e Agnese disse: -
bravo figliuolo.
- Sentite,
figliuoli, - riprese fra Cristoforo: - io anderò oggi a parlare a quell'uomo.
Se Dio gli tocca il cuore, e dà forza alle mie parole, bene: se no, Egli ci
farà trovare qualche altro rimedio. Voi intanto, statevi quieti, ritirati,
scansate le ciarle, non vi fate vedere. Stasera, o domattina al più tardi, mi
rivedrete -. Detto questo, troncò tutti i ringraziamenti e le benedizioni, e
partì. S'avviò al convento, arrivò a tempo d'andare in coro a cantar sesta,
desinò, e si mise subito in cammino, verso il covile della fiera che voleva
provarsi d'ammansare.
Il palazzotto di don
Rodrigo sorgeva isolato, a somiglianza d'una bicocca, sulla cima d'uno de'
poggi ond'è sparsa e rilevata quella costiera. A questa indicazione l'anonimo
aggiunge che il luogo (avrebbe fatto meglio a scriverne alla buona il nome) era
più in su del paesello degli sposi, discosto da questo forse tre miglia, e
quattro dal convento. Appiè del poggio, dalla parte che guarda a mezzogiorno,
e verso il lago, giaceva un mucchietto di casupole, abitate da contadini di don
Rodrigo; ed era come la piccola capitale del suo piccol regno. Bastava
passarvi, per esser chiarito della condizione e de' costumi del paese. Dando
un'occhiata nelle stanze terrene, dove qualche uscio fosse aperto, si vedevano
attaccati al muro schioppi, tromboni, zappe, rastrelli, cappelli di paglia,
reticelle e fiaschetti da polvere, alla rinfusa. La gente che vi s'incontrava
erano omacci tarchiati e arcigni, con un gran ciuffo arrovesciato sul capo, e
chiuso in una reticella; vecchi che, perdute le zanne, parevan sempre pronti,
chi nulla nulla gli aizzasse, a digrignar le gengive; donne con certe facce
maschie, e con certe braccia nerborute, buone da venire in aiuto della lingua,
quando questa non bastasse: ne' sembianti e nelle mosse de' fanciulli stessi,
che giocavan per la strada, si vedeva un non so che di petulante e di
provocativo.
Fra Cristoforo attraversò
il villaggio, salì per una viuzza a chiocciola, e pervenne sur una piccola
spianata, davanti al palazzotto. La porta era chiusa, segno che il padrone
stava desinando, e non voleva esser frastornato. Le rade e piccole finestre che
davan sulla strada, chiuse da imposte sconnesse e consunte dagli anni, eran però
difese da grosse inferriate, e quelle del pian terreno tant'alte che appena vi
sarebbe arrivato un uomo sulle spalle d'un altro. Regnava quivi un gran
silenzio; e un passeggiero avrebbe potuto credere che fosse una casa
abbandonata, se quattro creature, due vive e due morte, collocate in simmetria,
di fuori, non avesser dato un indizio d'abitanti. Due grand'avoltoi, con l'ali
spalancate, e co' teschi penzoloni, l'uno spennacchiato e mezzo roso dal tempo,
l'altro ancor saldo e pennuto, erano inchiodati, ciascuno sur un battente del
portone; e due bravi, sdraiati, ciascuno sur una delle panche poste a destra e
a sinistra, facevan la guardia, aspettando d'esser chiamati a goder gli avanzi
della tavola del signore. Il padre si fermò ritto, in atto di chi si dispone
ad aspettare; ma un de' bravi s'alzò, e gli disse: - padre, padre, venga pure
avanti: qui non si fanno aspettare i cappuccini: noi siamo amici del convento:
e io ci sono stato in certi momenti che fuori non era troppo buon'aria per me;
e se mi avesser tenuta la porta chiusa, la sarebbe andata male -. Così
dicendo, diede due picchi col martello. A quel suono risposer subito di dentro
gli urli e le strida di mastini e di cagnolini; e, pochi momenti dopo, giunse
borbottando un vecchio servitore; ma, veduto il padre, gli fece un
grand'inchino, acquietò le bestie, con le mani e con la voce, introdusse
l'ospite in un angusto cortile, e richiuse la porta. Accompagnatolo poi in un
salotto, e guardandolo con una cert'aria di maraviglia e di rispetto, disse: -
non è lei... il padre Cristoforo di Pescarenico?
- Per l'appunto.
- Lei qui?
- Come vedete, buon uomo.
- Sarà per far del bene.
Del bene, - continuò mormorando tra i denti, e rincamminandosi, - se ne può
far per tutto -. Attraversati due o tre altri salotti oscuri, arrivarono
all'uscio della sala del convito. Quivi un gran frastono confuso di forchette,
di coltelli, di bicchieri, di piatti, e sopra tutto di voci discordi, che
cercavano a vicenda di soverchiarsi. Il frate voleva ritirarsi, e stava
contrastando dietro l'uscio col servitore, per ottenere d'essere lasciato in
qualche canto della casa, fin che il pranzo fosse terminato; quando l'uscio
s'aprì. Un certo conte Attilio, che stava seduto in faccia (era un cugino del
padron di casa; e abbiam già fatta menzione di lui, senza nominarlo), veduta
una testa rasa e una tonaca, e accortosi dell'intenzione modesta del buon
frate, - ehi! ehi! - gridò: - non ci scappi, padre riverito: avanti, avanti -.
Don Rodrigo, senza indovinar precisamente il soggetto di quella visita, pure,
per non so qual presentimento confuso, n'avrebbe fatto di meno. Ma, poiché lo
spensierato d'Attilio aveva fatta quella gran chiamata, non conveniva a lui di
tirarsene indietro; e disse: - venga, padre, venga -. Il padre s'avanzò,
inchinandosi al padrone, e rispondendo, a due mani, ai saluti de' commensali.
L'uomo onesto in faccia
al malvagio, piace generalmente (non dico a tutti) immaginarselo con la fronte
alta, con lo sguardo sicuro, col petto rilevato, con lo scilinguagnolo bene
sciolto. Nel fatto però, per fargli prender quell'attitudine, si richiedon
molte circostanze, le quali ben di rado si riscontrano insieme. Perciò, non vi
maravigliate se fra Cristoforo, col buon testimonio della sua coscienza, col
sentimento fermissimo della giustizia della causa che veniva a sostenere, con
un sentimento misto d'orrore e di compassione per don Rodrigo, stesse con una
cert'aria di suggezione e di rispetto, alla presenza di quello stesso don
Rodrigo, ch'era lì in capo di tavola, in casa sua, nel suo regno, circondato
d'amici, d'omaggi, di tanti segni della sua potenza, con un viso da far morire
in bocca a chi si sia una preghiera, non che un consiglio, non che una
correzione, non che un rimprovero. Alla sua destra sedeva quel conte Attilio
suo cugino, e, se fa bisogno di dirlo, suo collega di libertinaggio e di
soverchieria, il quale era venuto da Milano a villeggiare, per alcuni giorni,
con lui. A sinistra, e a un altro lato della tavola, stava, con gran rispetto,
temperato però d'una certa sicurezza, e d'una certa saccenteria, il signor
podestà, quel medesimo a cui, in teoria, sarebbe toccato a far giustizia a
Renzo Tramaglino, e a fare star a dovere don Rodrigo, come s'è visto di sopra.
In faccia al podestà, in atto d'un rispetto il più puro, il più sviscerato,
sedeva il nostro dottor Azzecca-garbugli, in cappa nera, e col naso più
rubicondo del solito: in faccia ai due cugini, due convitati oscuri, de' quali
la nostra storia dice soltanto che non facevano altro che mangiare, chinare il
capo, sorridere e approvare ogni cosa che dicesse un commensale, e a cui un
altro non contraddicesse.
- Da sedere al padre, -
disse don Rodrigo. Un servitore presentò una sedia, sulla quale si mise il
padre Cristoforo, facendo qualche scusa al signore, d'esser venuto in ora
inopportuna. - Bramerei di parlarle da solo a solo, con suo comodo, per un
affare d'importanza, - soggiunse poi, con voce più sommessa, all'orecchio di
don Rodrigo.
- Bene, bene, parleremo;
- rispose questo: - ma intanto si porti da bere al padre. Il padre voleva
schermirsi; ma don Rodrigo, alzando la voce, in mezzo al trambusto ch'era
ricominciato, gridava: - no, per bacco, non mi farà questo torto; non sarà
mai vero che un cappuccino vada via da questa casa, senza aver gustato del mio
vino, né un creditore insolente, senza aver assaggiate le legna de' miei
boschi -. Queste parole eccitarono un riso universale, e interruppero un
momento la questione che s'agitava caldamente tra i commensali. Un servitore,
portando sur una sottocoppa un'ampolla di vino, e un lungo bicchiere in forma
di calice, lo presentò al padre; il quale, non volendo resistere a un invito
tanto pressante dell'uomo che gli premeva tanto di farsi propizio, non esitò a
mescere, e si mise a sorbir lentamente il vino.
- L'autorità del Tasso
non serve al suo assunto, signor podestà riverito; anzi è contro di lei; -
riprese a urlare il conte Attilio: - perché quell'uomo erudito, quell'uomo
grande, che sapeva a menadito tutte le regole della cavalleria, ha fatto che il
messo d'Argante, prima d'esporre la sfida ai cavalieri cristiani, chieda
licenza al pio Buglione...
- Ma questo - replicava,
non meno urlando, il podestà, - questo è un di più, un mero di più, un
ornamento poetico, giacché il messaggiero è di sua natura inviolabile, per
diritto delle genti, jure gentium: e, senza andar tanto a cercare, lo
dice anche il proverbio: ambasciator non porta pena. E, i proverbi, signor
conte, sono la sapienza del genere umano. E, non avendo il messaggiero detto
nulla in suo proprio nome, ma solamente presentata la sfida in iscritto...
- Ma quando vorrà capire
che quel messaggiero era un asino temerario, che non conosceva le prime...?
- Con buona licenza di
lor signori, - interruppe don Rodrigo, il quale non avrebbe voluto che la
questione andasse troppo avanti: - rimettiamola nel padre Cristoforo; e si stia
alla sua sentenza.
- Bene, benissimo, -
disse il conte Attilio, al quale parve cosa molto garbata di far decidere un
punto di cavalleria da un cappuccino; mentre il podestà, più infervorato di
cuore nella questione, si chetava a stento, e con un certo viso, che pareva
volesse dire: ragazzate.
- Ma, da quel che mi pare
d'aver capito, - disse il padre, - non son cose di cui io mi deva intendere.
- Solite scuse di
modestia di loro padri; - disse don Rodrigo: - ma non mi scapperà. Eh via!
sappiam bene che lei non è venuta al mondo col cappuccio in capo, e che il
mondo l'ha conosciuto. Via, via: ecco la questione.
- Il fatto è questo, -
cominciava a gridare il conte Attilio.
- Lasciate dir a me, che
son neutrale, cugino, - riprese don Rodrigo. - Ecco la storia. Un cavaliere
spagnolo manda una sfida a un cavalier milanese: il portatore, non trovando il
provocato in casa, consegna il cartello a un fratello del cavaliere; il qual
fratello legge la sfida, e in risposta dà alcune bastonate al portatore. Si
tratta...
- Ben date, ben
applicate, - gridò il conte Attilio. - Fu una vera ispirazione.
- Del demonio, -
soggiunse il podestà. - Battere un ambasciatore! persona sacra! Anche lei,
padre, mi dirà se questa è azione da cavaliere.
- Sì, signore, da
cavaliere, - gridò il conte: - e lo lasci dire a me, che devo intendermi di ciò
che conviene a un cavaliere. Oh, se fossero stati pugni, sarebbe un'altra
faccenda; ma il bastone non isporca le mani a nessuno. Quello che non posso
capire è perché le premano tanto le spalle d'un mascalzone.
- Chi le ha parlato delle
spalle, signor conte mio? Lei mi fa dire spropositi che non mi son mai passati
per la mente. Ho parlato del carattere, e non di spalle, io. Parlo sopra tutto
del diritto delle genti. Mi dica un poco, di grazia, se i feciali che gli
antichi Romani mandavano a intimar le sfide agli altri popoli, chiedevan
licenza d'esporre l'ambasciata: e mi trovi un poco uno scrittore che faccia
menzione che un feciale sia mai stato bastonato.
- Che hanno a far con noi
gli ufiziali degli antichi Romani? gente che andava alla buona, e che, in
queste cose, era indietro, indietro. Ma, secondo le leggi della cavalleria
moderna, ch'è la vera, dico e sostengo che un messo il quale ardisce di porre
in mano a un cavaliere una sfida, senza avergliene chiesta licenza, è un
temerario, violabile violabilissimo, bastonabile bastonabilissimo...
- Risponda un poco a
questo sillogismo.
- Niente, niente, niente.
- Ma ascolti, ma ascolti,
ma ascolti. Percotere un disarmato è atto proditorio; atqui il messo de
quo era senz'arme; ergo...
- Piano, piano, signor
podestà.
- Che piano?
- Piano, le dico: cosa mi
viene a dire? Atto proditorio è ferire uno con la spada, per di dietro, o
dargli una schioppettata nella schiena: e, anche per questo, si posson dar
certi casi... ma stiamo nella questione. Concedo che questo generalmente possa
chiamarsi atto proditorio; ma appoggiar quattro bastonate a un mascalzone!
Sarebbe bella che si dovesse dirgli: guarda che ti bastono: come si direbbe a
un galantuomo: mano alla spada. E lei, signor dottor riverito, in vece di farmi
de' sogghigni, per farmi capire ch'è del mio parere, perché non sostiene le
mie ragioni, con la sua buona tabella, per aiutarmi a persuader questo signore?
- Io... - rispose
confusetto il dottore: - io godo di questa dotta disputa; e ringrazio il
bell'accidente che ha dato occasione a una guerra d'ingegni così graziosa. E
poi, a me non compete di dar sentenza: sua signoria illustrissima ha già
delegato un giudice... qui il padre...
- È vero; - disse don
Rodrigo: - ma come volete che il giudice parli, quando i litiganti non vogliono
stare zitti?
- Ammutolisco, - disse il
conte Attilio. Il podestà strinse le labbra, e alzo la mano, come in atto di
rassegnazione.
- Ah sia ringraziato il
cielo! A lei, padre, - disse don Rodrigo, con una serietà mezzo canzonatoria.
- Ho già fatte le mie
scuse, col dire che non me n'intendo, - rispose fra Cristoforo, rendendo il
bicchiere a un servitore.
- Scuse magre: -
gridarono i due cugini: - vogliamo la sentenza.
- Quand'è così, -
riprese il frate, - il mio debole parere sarebbe che non vi fossero né sfide,
né portatori, né bastonate.
I commensali si
guardarono l'un con l'altro maravigliati.
- Oh questa è grossa! -
disse il conte Attilio. - Mi perdoni, padre, ma è grossa. Si vede che lei non
conosce il mondo.
- Lui? - disse don
Rodrigo: - me lo volete far ridire: lo conosce, cugino mio, quanto voi: non è
vero, padre? Dica, dica, se non ha fatta la sua carovana?
In vece di rispondere a
quest'amorevole domanda, il padre disse una parolina in segreto a sé medesimo:
«queste vengono a te; ma ricordati, frate, che non sei qui per te, e che tutto
ciò che tocca te solo, non entra nel conto».
- Sarà, - disse il
cugino: - ma il padre... come si chiama il padre?
- Padre Cristoforo -
rispose più d'uno.
- Ma, padre Cristoforo,
padron mio colendissimo, con queste sue massime, lei vorrebbe mandare il mondo
sottosopra. Senza sfide! Senza bastonate! Addio il punto d'onore: impunità per
tutti i mascalzoni. Per buona sorte che il supposto è impossibile.
- Animo, dottore, - scappò
fuori don Rodrigo, che voleva sempre più divertire la disputa dai due primi
contendenti, - animo, a voi, che, per dar ragione a tutti, siete un uomo.
Vediamo un poco come farete per dar ragione in questo al padre Cristoforo.
- In verità, - rispose
il dottore, tenendo brandita in aria la forchetta, e rivolgendosi al padre, -
in verità io non so intendere come il padre Cristoforo, il quale è insieme il
perfetto religioso e l'uomo di mondo, non abbia pensato che la sua sentenza,
buona, ottima e di giusto peso sul pulpito, non val niente, sia detto col
dovuto rispetto, in una disputa cavalleresca. Ma il padre sa, meglio di me, che
ogni cosa è buona a suo luogo; e io credo che, questa volta, abbia voluto
cavarsi, con una celia, dall'impiccio di proferire una sentenza.
Che si poteva mai
rispondere a ragionamenti dedotti da una sapienza così antica, e sempre nuova?
Niente: e così fece il nostro frate.
Ma don Rodrigo, per voler
troncare quella questione, ne venne a suscitare un'altra. - A proposito, -
disse, - ho sentito che a Milano correvan voci d'accomodamento.
Il lettore sa che in
quell'anno si combatteva per la successione al ducato di Mantova, del quale,
alla morte di Vincenzo Gonzaga, che non aveva lasciata prole legittima, era
entrato in possesso il duca di Nevers, suo parente più prossimo. Luigi XIII,
ossia il cardinale di Richelieu, sosteneva quel principe, suo ben affetto, e
naturalizzato francese: Filippo IV, ossia il conte d'Olivares, comunemente
chiamato il conte duca, non lo voleva 1ì, per le stesse ragioni; e gli aveva
mosso guerra. Siccome poi quel ducato era feudo dell'impero, così le due parti
s'adoperavano, con pratiche, con istanze, con minacce, presso l'imperator
Ferdinando II, la prima perché accordasse l'investitura al nuovo duca; la
seconda perché gliela negasse, anzi aiutasse a cacciarlo da quello stato.
- Non son lontano dal
credere, - disse il conte Attilio, - che le cose si possano accomodare. Ho
certi indizi...
- Non creda, signor
conte, non creda, - interruppe il podestà. - Io, in questo cantuccio, posso
saperle le cose; perché il signor castellano spagnolo, che, per sua bontà, mi
vuole un po' di bene, e per esser figliuolo d'un creato del conte duca, è
informato d'ogni cosa...
- Le dico che a me accade
ogni giorno di parlare in Milano con ben altri personaggi; e so di buon luogo
che il papa, interessatissimo, com'è, per la pace, ha fatto proposizioni...
- Così dev'essere; la
cosa è in regola; sua santità fa il suo dovere; un papa deve sempre metter
bene tra i principi cristiani; ma il conte duca ha la sua politica, e...
- E, e, e; sa lei, signor
mio, come la pensi l'imperatore, in questo momento? Crede lei che non ci sia
altro che Mantova a questo mondo? le cose a cui si deve pensare son molte,
signor mio. Sa lei, per esempio, fino a che segno l'imperatore possa ora
fidarsi di quel suo principe di Valdistano o di Vallistai, o come lo chiamano,
e se...
- Il nome legittimo in
lingua alemanna, - interruppe ancora il podestà, - è Vagliensteino, come l'ho
sentito proferir più volte dal nostro signor castellano spagnolo. Ma stia pur
di buon animo, che...
- Mi vuole insegnare...?
- riprendeva il conte; ma don Rodrigo gli dié d'occhio, per fargli intendere
che, per amor suo, cessasse di contraddire. Il conte tacque, e il podestà,
come un bastimento disimbrogliato da una secca, continuò, a vele gonfie, il
corso della sua eloquenza. - Vagliensteino mi dà poco fastidio; perché il
conte duca ha l'occhio a tutto, e per tutto; e se Vagliensteino vorrà fare il
bell'umore, saprà ben lui farlo rigar diritto, con le buone, o con le cattive.
Ha l'occhio per tutto, dico, e le mani lunghe; e, se ha fisso il chiodo, come
l'ha fisso, e giustamente, da quel gran politico che è, che il signor duca di
Nivers non metta le radici in Mantova, il signor duca di Nivers non ce le
metterà; e il signor cardinale di Riciliù farà un buco nell'acqua. Mi fa pur
ridere quel caro signor cardinale, a voler cozzare con un conte duca, con un
Olivares. Dico il vero, che vorrei rinascere di qui a dugent'anni, per sentir
cosa diranno i posteri, di questa bella pretensione. Ci vuol altro che invidia;
testa vuol esser: e teste come la testa d'un conte duca, ce n'è una sola al
mondo. Il conte duca, signori miei, - proseguiva il podestà, sempre col vento
in poppa, e un po' maravigliato anche lui di non incontrar mai uno scoglio: -
il conte duca è una volpe vecchia, parlando col dovuto rispetto, che farebbe
perder la traccia a chi si sia: e, quando accenna a destra, si può esser
sicuri che batterà a sinistra: ond'è che nessuno può mai vantarsi di
conoscere i suoi disegni; e quegli stessi che devon metterli in esecuzione,
quegli stessi che scrivono i dispacci, non ne capiscon niente. Io posso parlare
con qualche cognizion di causa; perché quel brav'uomo del signor castellano si
degna di trattenersi meco, con qualche confidenza. Il conte duca, viceversa, sa
appuntino cosa bolle in pentola di tutte l'altre corti; e tutti que' politiconi
(che ce n'è di diritti assai, non si può negare) hanno appena immaginato un
disegno, che il conte duca te l'ha già indovinato, con quella sua testa, con
quelle sue strade coperte, con que' suoi fili tesi per tutto. Quel pover'uomo
del cardinale di Riciliù tenta di qua, fiuta di là, suda, s'ingegna: e poi?
quando gli è riuscito di scavare una mina, trova la contrammina già bell'e
fatta dal conte duca...
Sa il cielo quando il
podestà avrebbe preso terra; ma don Rodrigo, stimolato anche da' versacci che
faceva il cugino, si voltò all'improvviso, come se gli venisse un'ispirazione,
a un servitore, e gli accennò che portasse un certo fiasco.
- Signor podestà, e
signori miei! - disse poi: - un brindisi al conte duca; e mi sapranno dire se
il vino sia degno del personaggio -. Il podestà rispose con un inchino, nel
quale traspariva un sentimento di riconoscenza particolare; perché tutto ciò
che si faceva o si diceva in onore del conte duca, lo riteneva in parte come
fatto a sé.
- Viva mill'anni don
Gasparo Guzman, conte d'Olivares, duca di san Lucar, gran privato del re don
Filippo il grande, nostro signore! - esclamò, alzando il bicchiere.
Privato, chi non lo
sapesse, era il termine in uso, a que' tempi, per significare il favorito d'un
principe.
- Viva mill'anni! -
risposer tutti.
- Servite il padre, -
disse don Rodrigo.
- Mi perdoni; - rispose
il padre: - ma ho già fatto un disordine, e non potrei...
- Come! - disse don
Rodrigo: - si tratta d'un brindisi al conte duca. Vuol dunque far credere
ch'ella tenga dai navarrini?
Così si chiamavano
allora, per ischerno, i Francesi, dai principi di Navarra, che avevan
cominciato, con Enrico IV, a regnar sopra di loro.
A tale scongiuro,
convenne bere. Tutti i commensali proruppero in esclamazioni, e in elogi del
vino; fuor che il dottore, il quale, col capo alzato, con gli occhi fissi, con
le labbra strette, esprimeva molto più che non avrebbe potuto far con parole.
- Che ne dite eh,
dottore? - domandò don Rodrigo. Tirato fuor del bicchiere un naso più
vermiglio e più lucente di quello, il dottore rispose, battendo con enfasi
ogni sillaba: - dico, proferisco, e sentenzio che questo è l'Olivares de'
vini: censui, et in eam ivi sententiam, che un liquor simile non si
trova in tutti i ventidue regni del re nostro signore, che Dio guardi: dichiaro
e definisco che i pranzi dell'illustrissimo signor don Rodrigo vincono le cene
d'Eliogabalo; e che la carestia è bandita e confinata in perpetuo da questo
palazzo, dove siede e regna la splendidezza.
- Ben detto! ben
definito! - gridarono, a una voce, i commensali: ma quella parola, carestia,
che il dottore aveva buttata fuori a caso, rivolse in un punto tutte le menti a
quel tristo soggetto; e tutti parlarono della carestia. Qui andavan tutti
d'accordo, almeno nel principale; ma il fracasso era forse più grande che se
ci fosse stato disparere. Parlavan tutti insieme. - Non c'è carestia, - diceva
uno: - sono gl'incettatori...
- E i fornai, - diceva un
altro: - che nascondono il grano. Impiccarli.
- Appunto; impiccarli,
senza misericordia.
- De' buoni processi, -
gridava il podestà.
- Che processi? - gridava
più forte il conte Attilio: - giustizia sommaria. Pigliarne tre o quattro o
cinque o sei, di quelli che, per voce pubblica, son conosciuti come i più
ricchi e i più cani, e impiccarli.
- Esempi! esempi! senza
esempi non si fa nulla.
- Impiccarli!
impiccarli!; e salterà fuori grano da tutte le parti. Chi, passando per una
fiera, s'è trovato a goder l'armonia che fa una compagnia di cantambanchi,
quando, tra una sonata e l'altra, ognuno accorda il suo stromento, facendolo
stridere quanto più può, affine di sentirlo distintamente, in mezzo al rumore
degli altri, s'immagini che tale fosse la consonanza di quei, se si può dire,
discorsi. S'andava intanto mescendo e rimescendo di quel tal vino; e le lodi di
esso venivano, com'era giusto, frammischiate alle sentenze di giurisprudenza
economica; sicché le parole che s'udivan più sonore e più frequenti, erano:
ambrosia, e impiccarli.
Don Rodrigo intanto dava
dell'occhiate al solo che stava zitto; e lo vedeva sempre lì fermo, senza dar
segno d'impazienza né di fretta, senza far atto che tendesse a ricordare che
stava aspettando; ma in aria di non voler andarsene, prima d'essere stato
ascoltato. L'avrebbe mandato a spasso volentieri, e fatto di meno di quel
colloquio; ma congedare un cappuccino, senza avergli dato udienza, non era
secondo le regole della sua politica. Poiché la seccatura non si poteva
scansare, si risolvette d'affrontarla subito, e di liberarsene; s'alzò da
tavola, e seco tutta la rubiconda brigata, senza interrompere il chiasso.
Chiesta poi licenza agli ospiti, s'avvicinò, in atto contegnoso, al frate, che
s'era subito alzato con gli altri; gli disse: - eccomi a' suoi comandi -; e lo
condusse in un'altra sala.
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